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Gresti, Paolo. La canzone "En est son far chansonet'ai noelha" (BdT 328,1). "Zeitschrift für romanische Philologie", 116 (2000), pp. 237-259.

Postilla 2010.

328,001- Peire de Blai

 

La canzone En est son far chansonet’ai noelha (BdT 328.1) (*)

In M la canzone, che si trova a c. 158rv preceduta da Cadenet, Tals reinha desavinen e seguita, a c. 159r, da Pons de Capduolh, Aissi m’es pres com cellui qi ser tan, è stata inserita in un secondo tempo: occupa, infatti, la parte finale del quaderno 13°, dove era stato lasciato uno spazio bianco. (1) La canzone è preceduta dalla didascalia, confermata da Mreg, «Pere de blai» (c. 5v). A c. 158r, in alto a destra, presso la didascalia, c’è la seguente nota di mano di Angelo Colocci: «replica tre parole all’ultimo et lo principio della sequente stanza et accordan addue addue». (2)

In C En est son si trova a c. 257rv, inserita nel corpus del trovatore Uc Brunenc, al quale anch’essa è attribuita: la canzone è infatti preceduta da Lanquan son li rozier vermelh e seguita da Anc enemicx q’ieu agues, ma di queste due canzoni solo la prima è sicuramente da attribuire al trovatore rouergate, mentre la seconda è di un altro e più famoso – almeno ai tempi nostri – Uc, quello de Saint Circ. Nell’indice di C la canzone En est son è data allo stesso Brunenc, ma compare anche l’attribuzione alternativa «Peire de brau». (3)

La presenza della canzone in questi due testimoni si deve alla fonte comune, quella che François Zufferey chiama «source languedocienne occidentale». (4)

Carl Appel rifiuta con decisione la possibilità di attribuire a Uc Brunenc la canzone, sia perché «die ganze Art des Gedichtes spricht [...] gegen Uc», sia perché, dal punto di vista della tradizione manoscritta, «stehen zwei Zeugnisse gegen Uc dem einen fur sie gegenüber»; e conclude: «so werden wir aus dem sonst unbekannten Namen Brau erklären dürfen, daß Brunenc als Verfasser genannt wird». (5) In effetti si fatica a immaginare che un trovatore come Uc, il quale, pur non rinunciando a qualche guizzo di vitalità espressiva, per le sei canzoni superstiti si serve solo di due schemi metrici, peraltro non certo peregrini, possa essere stato improvvisamente visitato dallo spirito della sperimentazione che lo avrebbe spinto a produrre un unicum estremamente complesso dal punto di vista metrico-retorico. Ci rendiamo perfettamente conto che un ragionamento siffatto potrà risultare, alla fin fine, soggettivamente debole sul piano argomentativo; eppure crediamo che Appel abbia, anche questa volta, ragione: il corpus poetico del rouergate, pur esiguo, è tuttavia sufficiente a darci un’idea non approssimativa della sua arte poetica, che ci porta ad escludere, per la canzone in oggetto, la paternità del trovatore, pur in assenza della prova matematicamente perentoria. A meno di non supporre un bifrontismo stilistico che sfiorerebbe però, in questo caso, la schizofrenia.

La metrica, dunque. Frank registra il nostro testo sotto il numero 403:1 (a10’ b10 a10’ b10 c10 d10’; ch 8 d 6, 2–3; rims derivatius: 1/2, 3/ 4, 5/6), ma in realtà lo schema della canzone del peraltro ignoto Peire è molto più complesso, perché i rimanti sono ripetuti anche all’interno del verso secondo un disegno ben preciso e piuttosto rigido. (6) Anche qui, dunque, come ad es. nell’unico testo noto di Grimoart Gausmar, Lanquan lo temps renovelha, la parola-in-rima assume un ruolo metrico di grande importanza strutturale: se lo si ignorasse, «lo schema verrebbe banalizzato e immiserito». (7) Essendo la canzone a coblas doblas, le rime cambiano ogni due strofe: nello specchietto che segue abbiamo cercato di dar conto sia del cambio di rima, sia del cambio di rimante, e dunque la lettera dell’alfabeto indica, come di consueto, la rima (maiuscola: esterna; minuscola: interna), l’esponente il rimante. (8)

I II III IV V VI VII VIII
A1 d1   A3 d2   E1 h1   E3 h2   I1 n1   I3 n2   L5 n3   L6
a1   B1 a3   B3 e1   F1 e3   F3 i1   L1 i3   L3 l5   M3 l6   M4
 b1   A2 b3   A4 f1   E2 f3   E4 l1   I2 l3   I4 m3   N3 m4   N4
 a2   B2 a4   B4 e2   F2 e4   F4 i2   L2 i4   L4    
 b2   C1 b4   C2 f2   G1 e4   G2 l2   M1 l4   M2    
 c1   D1 c2   D2 g1   H1 g2   H2 m1   n1 m2   N2    

Si aggiunga che le coppie di rime AB, CD ecc. sono, a norma delle Leys d’Amors, rims derivatius, dove la derivazione è per mermamen nella prima parte della strofe, per creyshemen alla fine, con una sorta d’incrocio: (9)

Un sistema analogo si trova, ad es., nella citata canzone di Grimoart Gausmar, il cui incipit, del resto, come si sarà notato, richiama da vicino quello di Peire. La derivazione è, come in molti casi consimili, intrastrofica.

La struttura della stanza della canzone di Peire comporta, a livello di rima, una sorta di circolarità nelle strofe pari e nelle tornadas, perché quella che chiude la cobla è la stessa che, internamente, l’ha aperta. Nella str. VI – dove i rimanti, interni ed esterni, sono tutti voci verbali – questa circolarità è particolarmente forte, perché dezira (v. 31) e vira (v. 36), che rispettivamente aprono e chiudono la strofe, sono le uniche terze persone all’interno di una stanza dominata dalla prima persona singolare. La ripetizione di un elemento della strofe precedente nel primo verso di quella che segue – che garantisce un forte legame inter-strofico – richiama certo l’espediente retorico delle coblas capfinidas; ma il fatto che tale elemento sia sempre il rimante, e che quindi ci sia la ripetizione di rima – seppure interna – tra l’ultimo e il primo verso di strofe adiacenti, rinvia al gioco delle coblas capcaudadas. (10) La nostra canzone sarebbe il «most legitimate exemple» di anadiplosi, secondo Nathaniel B. Smith, (11) mentre Margaret L. Switten l’accosta, dal punto di vista retorico, a Comensamen comensarai di Guilhem Ademar, testo nel quale una parola viene ripetuta due volte in un verso per due versi consecutivi: «such a procedure coincides with an even more elaborate arrangement in a poem by Peire de Blai (...). To the regular placing of three words in a stanza, Peire adds the difficulty of rims derivatius». (12) Non è d’accordo con la Switten Dominique Billy nell’accostare il nostro testo al corpus di canzoni «qui utilisent systématiquement la repetitio à raison d’un radical (ou d’une unité lexicale) par couplet». (13) Nella canzone di Peire c’è sì la rima derivata, ma anche la tecnica della rima incatenata, che si sovrappone alla prima, pur non avendo «aucune parenté génétique avec le type de repetitio mis en oeuvre dans les pièces considérées» dalla Switten. (14)

L’elenco delle «pièces à rimes dérivées» approntato dal Frank (15) consta di 45 testi, ai quali andranno però aggiunti i quattro componimenti indicati dalla Ferrari; (16) limitandosi poi ai componimenti completamente derivativi, il numero scende a 34. (17) Fra tutti questi esempi, però, i testi a coblas doblas sono solo tre: oltre a Peire de Blai, infatti, troviamo la Comtessa de Dia, Ab ioi et ab ioven m’apais (BdT 46.1, Frank 295:8) e Bernart de Ventadorn, Bel m’es quant eu vei la broilla (BdT 70.9, Frank 295:11). Queste due canzoni, peraltro, non hanno la stessa complicata sofisticazione retorica della chansoneta di Peire, benché le coblas della canzone di Bernart siano, come quelle di Peire, oltre che doblas anche capfinidas, con la ripresa dell’ultimo rimante della strofe che precede all’inizio del primo verso di quella che segue. Nella canzone del trovatore limosino, inoltre, troviamo i rimanti viravir, deziradezir, sofriresofrir, utilizzati anche dal Nostro. (18)

Per quanto riguarda le parole-in-rima ripetute del nostro testo, solo in alcuni casi, e con particolare insistenza nelle strofe IV e V, ci troviamo davanti alla figura dell’equivocatio per così dire grammaticale. Partendo dalla ripetizione intra-strofica l’equivocatio è netta ai vv. 5-6 (str. I) con deport verbo e sostantivo, 11-12 (str. II) con conort sostantivo prima, verbo poi, 16-17 (str. III) con estanc aggettivo predicativo e verbo, 23-24 (str. IV) con aten verbo prima e sostantivo poi, 29-30 (str. V) con dezir verbo e sostantivo. Meno perentoria la figura ai vv. 25-26 (str. V) con prenga, in entrambe le occorrenze congiuntivo presente del verbo prendre, ma nel primo caso 1ª pers. sing., nel secondo 3ª pers. sing.

Per quanto concerne, invece, i collegamenti inter-strofici, l’equivocatio sembrerebbe presente solo in due casi, tra le strofe III e IV, e tra le strofe IV e V. Nel primo caso si tratterebbe di uno spostamento di persona, in quanto al v. 18 (str. III) entenda è una 1ª pers. sing. del congiuntivo presente di entendre, mentre nel secondo caso è una 3ª singolare dello stesso modo e tempo; ma anche il significato del verbo cambia, in realtà, e dunque l’equivocatio è piena. Il collegamento tra le str. IV e V, invece, è assicurato dal rimante atenda, voce verbale prima (v. 24) e forse sostantivo femminile poi (v. 25). In tutti gli altri casi ci sembra di poter escludere la presenza di questa figura retorica.

Per quanto riguarda, infine, i rims derivatius, essi comportano spesso un cambiamento dello status grammaticale: succede per novelha – de novelh (agg. – avv.), deport² – deporta (sost. – vb.), capdelha – capdelh (vb. – sost.), conort – conorta (sost. – vb.), estanca – estanc¹ (vb. – agg. pred.), esbranca – branc (vb. – sost.), aten² – atenda (sost. – vb.), dezir² – dezira (sost. – vb.), albir – albira (sost. – vb.).

Quasi mai la ripresa interna del rimante si colloca esattamente all’inizio del verso, e sembra anzi che con il procedere del componimento, al poeta interessi sempre meno essere rigoroso in questo senso: si vedano i vv. 1-2 (noelha), 3-4 (belha), 7-8 (isnelha), 8-9 (isnelh), 14-15 (franc). Dal punto di vista ritmico, però, si noti che nei vv. 5 e 6 di ogni strofe, ivi comprese le tornadas (vv. 5-6, 11-12, 17-18, [23]-24, 29-30, 35-36, 38-39, 41-42), l’accento di 4ª cade sempre sul rimante ripetuto, che si trova così in cesura. L’unica eccezione è rappresentata dal v. 23, dove su blanc cade l’accento di 2ª. La situazione sarebbe però riconducibile alla «norma» seguendo la lezione di M: «non vi cors blanc con ill ren don aten», cioè ‘non vidi un corpo bianco come la creatura, dalla quale attendo...’, con ill da intendere come articolo femniinile enclitico (co·ill).

Per quanto concerne la capfinidad, essa è perfetta, in realtà, solo nel passaggio dalla II alla III strofe (ben me conorta), e nel passaggio dalla V alla VI (fort dezira). Nella lista che segue, la colonna di sinistra raccoglie i rimanti interni, quella di destra quelli esterni; il simbolo • indica la ripresa del rimante all’inizio del verso seguente (e quindi anche la capfinidad perfetta), il simbolo + i segni (= parole) che precedono il rimante, senza però alcuna gerarchizzazione a livello grammaticale e/o semantico:

I    –   NOELHA
    •NOVELHA   DE NOVELH
    +DE NOVELH   BELHA
    •BELHA   ES BELH
    +++ES BELH   DEPORT
    ++DEPORT   NO•S DEPORTA
         
II   + DEPORTA MI   ISNELHA
    •ISNELHA   ISNELH
    •ISNELH   CAPDELHA
    ++CAPDELHA   CAPDELH
    ++CAPDELH   PER CONORT
    •PER GEN CONORT   BEN ME CONORTA
         
III   •BE·M CONORTA   FRANCA
    +FRANCA   FRANC
    •FRANC   S’ESTANCA
    +S’ESTANCA   SON ESTANC
    ++M’ESTANC   M’ENTEN
    ++ENTEN   ENTENDA
         
IV   +ENTENDA   S’ESBRANCA
    ++BRANCA   BRANC
    ++BRANCX   BLANCA
    ++BLANCA   BLANC
    +BLANC   ATEN
    ++ATEN   ATENDA
         
V   ++ATENDA   PRENGA
    +PRENGA   PRENC
    +PRENC   VENGA
    +VENGA   M’EN VENC
    ++M’EN VENC   DEZIR
    ++DEZIR   FORT DEZIR
         
VI   •FORT DEZIRA   EMPRENGA
    ++PRENGA   N’ESPRENC
    ++M’ESPRENC   QU’ESTENGA
    +QU’ESTENGA   ESTENC
    +++ESTENC   VIR
    +++VIR   VIRA
         
VII   ++VIRA   TENC
    +++TENC   ALBIR
    +++ALBIR   N’ALBIRA
         
VIII   +S’ALBIRA   ••M COVENC
    ++•M COVENC   SOFRIR
    +++SOFRIR   SOFRIRA

Qualora sia esistita davvero la micro-Ursammlung di «testi virtuosistici improntati ad un esasperato tecnicismo» ipotizzata da Anna Ferrari, il nostro testo ne avrebbe senz’altro fatto, a buon diritto, parte. (19)

Rispetto alle canzoni trobadoriche citate della Comtessa de Dia e di Bernart de Ventadorn, più vicina allo schema metrico-retorico del componimento che stiamo analizzando è la struttura della conzone anonima in lingua d’oïl Puis qu’il m’estuet de ma dame partir (S1441, MW 1199:1), (20) composta di 5 coblas doblas capfinidas, senza elementi d’invio. Dal punto di vista metrico, i décasyllabes, alternativamente maschili e femminili, si dispongono lungo la schema ababccd, che si differenzia da quello della canzone provenzale solo per l’aggiunta di un rimante in c. Ecco la lista dei rimanti:

I     PARTIR
    PARTIR   PARTIE
    PARTIE   MARTYR
    MARTYR   AÏE
    AÏE   PLAINS
    PLAINS   MAINS
    MAINS   CHIERE
         
II   CHIERE   DEVENIR
    DEVENIR   ENVIE
    ENVIE   RETENIR
    RETENIR   PARTIE
    PARTIE   PLAINZ
    PLAINS   FAINS
    FAINS   FIERE
         
III   FIERE   PRIS
    PRIS   PRISE
    PRISE   PRIS
    PRIS   JUSTISE
    USTISE   SAVOIR
    SAVOIR   A VOIR
    AVOIR   TRAIRE
         
IV   TRAIRE   VIS
    VIS   DEVISE
    DEVISE   DIS
    DIS   MESPRISE
    MESPRISIÉ   VOLOIR
    VOLOIR   ESPOIR
    ESPOIR   REPAIRE
         
V   REPAIRE   FIN
    FIN   DEBONAIRE
    DE BON AIRE   ENCLIN
    ENCLIN   RETRAIRE
    RETRAIRE   CONFORT
    CON FORT   PORT21
    PORT   FACE

Come si vede, l’anonimo francese è meno rigoroso nel far giocare i rims derivatius, e lo schema potrebbe senz’altro risultare zoppicante, qualora lo si guardasse dalla prospettiva d’intransigenza strutturale che caratterizza il testo in lingua d’oc: ma non è detto che l’aspirazione compositiva del francese fosse davvero animata dalla medesima, quasi maniacale, precisione di quella del suo collega, e che tale disegno si sia poi sfatto cammin facendo. Non sempre c’è la derivazione, ad es., tra il primo e il secondo rimante della strofe (manca nelle str. II e V), mentre tra il terzo e il quarto rimante la derivazione c’è solo nella str. III; rispetto allo schema di Peire, inoltre, nella canzone francese manca sempre il rapporto derivativo tra il penultimo e l’ultimo rimante della strofe. Viceversa, la capfinidad del francese è più rigorosa di quella del provenzale, nel senso, almeno, che i rimanti di collegamento sono collocati, nella strofe che segue, tutti in posizione di apertura assoluta. Tuttavia, la somiglianza tra le due strutture non ci sembra illusoria, anche se non è possibile stabilire se vi sia un rapporto diretto, e, nel caso di risposta affermativa, in quale direzione. Si aggiunga che le due canzoni hanno in comune due rime: -ir (rima a per l’anonimo, c per Peire) e -ort (c sia per l’anonimo, sia per Peire).

Ha probabilmente ragione Jörn Gruber quando afferma che «die einzelnen Lieder (...) sind virtuell Fragmente eines verschlüsselten Minnedialogs zwischen ‘Verstehenden’, die einander gedanklicher Subtilität und formaler Virtuosität zu überbieten streben (...). Dabei kommt es darauf an, spracrdich-metrisch-musikalische Elemente bestimmter Lieder von Vorgängern und/oder Zeitgenossen dergestalt in das neue Lied einzufügen, daß diese Lieder zugleich aufbewahrt, widerlegt und überwunden, d.h. im dreifachen Wortsinn ‘aufgehoben’ werden». (21) E sappiamo che questo dialogo aveva dimensione non solo intra-trobadorica, ma anche ‘internazionale’. È noto che, posti davanti a difficoltà tecniche di natura metrica e/o retorica, certi trovatori affilavano con gusto le armi dell’ingegno per ingaggiare con i colleghi certami di estensione variabile: non sarà quindi fuori luogo inferire che anche il componimento di Peire de Blai fosse originariamente incluso, risposta e pretesto a un tempo, in una rete intertestuale dalle maglie non sappiamo, purtroppo, quanto fitte. Anche se la trama sarà senz’altro stata quella dello schema metrico-melodico mai prima esperito, e dunque a buon diritto novelh, si trattasse poi di reale consapevolezza d’innovative intraprese poetiche, o semplice, così per dire, vantardise d’arditezze tecniche fini a se stesse.

Da questa costatazione si potrebbe certo partire, anche con l’aiuto di quella cartina privilegiata di tornasole che è la rima, per tentare d’avviarci su un sentiero che, in verità, non ci sentiamo, almeno qui, di percorrere per lungo tratto. Seguiranno dunque delle semplici osservazioni piuttosto esterne suggerite dal capriccio soggettivo, piuttosto che da una ricerca sistematica: forse potranno portare più lontano, una volta rimpinguate a dovere, e meditate. Ma ci resta il sospetto che lo spregiudicato allontanamento dal punto di partenza, magari sorretto passo passo da accostamenti pirotecnico-pindarici, sulla spinta d’un’incontinente ricerca intertestuale, possa rivelarsi vano, quando non dannoso. Più d’una volta senz’altro discutibile.

Il componimento che ci viene subito spontaneo accostare a quello di Peire de Blai, o almeno al suo incipit, è senz’altro Ab nou cor et ab nou talen di Raimbaut d’Aurenga, la cui prima strofe merita di essere citata per intero: (22)

Ab nou cor et ab nou talen
ab nou saber et ab nou sen
et ab nou bel captenemen
voill un bon nou vers comensar;
e qui mos bons nous motz enten
ben er plus nous a son viven
qu’us vieills en deu renovellar.

Anche la seconda strofe di questa canzone continua sul concetto di «nuovo», con la ripetizione insistita dell’aggettivo novel (e cf. anche i vv. 50-51: «De mon nou vers vuoill totz pregar / que·l m’anon de novel chantar»). Altri luoghi del canzoniere del signore d’Orange soccorrono nel parallelo con l’incipit della canzone di Peire de Blai, tanto che può valer la pena di esibirli schematicamente:

Peire de Blai   Raimbaut d'Aurenga 
     
    Assatz m'es belh (BdT 389.17)
1. En est son ... noelha   23. ab son novelh (23)
2. ... chant de novelh   2-3. que de novelh / fassa parer
5. per que m'es belh   1. Assatz m'es belh
     
    Aissi mou (BdT 389.3) 
1. En est son ... noelha   1-2. Aissi mou / un sonet nou
1. chansonet'ai    4. chansson leu
     
    En aital rimeta prima (BdT 389.26) (24)
 1. En est son far chansonet'ai noelha    1. En aital rimeta prima
32. qu'ieu n'art totz    25. si que·l cor m'art
     
    Una chansoneta fera (BdT 389.40) 
1. En est son far chansonet'ai noelha   1. Una chansoneta fera
    4. e far l'ai
     
    Can vei qe clars (BdT 389.38)
     6-7. ... per qe comenz / una chansoneta gaia (25)

È evidente che altri componimenti di altri autori possono facilmente essere accost.ti al nostro, e nel commento se ne dà un campionario, non esaustivo, certo, ma crediamo adeguato. Ci sono però degli indizi di diversa natura che ci hanno pilotato – un po’ settariamente, ripetiamo – verso Raimbaut, il «novatore più spinto sulla linea» dell’ «arte sofisticata». (26) In primo luogo le due canzoni Assatz m’es belh e Aissi mou sono per certi versi assimilabili al testo di Peire anche da un punto di vista formale con i loro schemi «a spina di pesce». (27) Si aggiunga che Assatz m’es belh è a coblas ternas, mentre Aissi mou è a coblas doblas. In entrambi questi componimenti di Raimbaut, inoltre, ci sono rime che si ripetono in Peire de Blai: nel primo caso si tratta della rima -elh (con i rimanti belh e [de] novelh), nel secondo della rima, molto meno frequentata, -enc (con i rimanti venc e tenc).

Proprio le rime ci forniscono un altro spunto di riflessione. Alcune di quelle di cui Peire de Blai si serve sono diffusissime, altre sembrano avere riscosso meno successo. Basandoci per comodità sul materiale disponibile nei due volumi finora editi del Rimario trobadorico, (28) e facendo in primis riferimento al periodo fino al 1173 (morte di Raimbaut d’Aurenga), possiamo empiricamente suddividere le rime usate de Peire de Blai nelle seguenti categorie: rime a larghissima frequenza (più di dieci occorrenze), a bassa frequenza (meno di 10 occorrenze, ma più di 5), a bassissima frequenza (meno di 5 occorrenze). Nella prima categoria s’iscrivono le rime -elh, -ort, -en, -ir, nella seconda -enda (9), -èlha (8), -ira (8), nella terza -anc (4), -enc (4), -enga (3). Restano fuori, perché mai utilizzate prima del 1173, le rime -orta e -anca, le quali, d’altra parte, non sembrano aver goduto di grande favore nemmeno da parte dei trovatori successivi: la prima rima conta 16 occorrenze, la seconda solo 6; altre rime a bassa frequenza anche dopo il 1173 sono -enc (10) e -enga (5). Un dato che ci sembra da non trascurare è che tra i fruitori delle rime a bassissima frequenza l’unico autore che incontriamo con costanza è Raimbaut d’Aurenga; in particolare, il trovatore d’Orange si serve della rima -enga in due componimenti, Er quant s’embla·l foill del fraisse (BdT 389.15) e Pois tals sabers mi sortz e·m creis (BdT 389.36): dopo di lui la ritroviamo solo in Azalais de Porcairagues, Ar em al freg temps vengut (BdT 43.1: con il solo rimante Aurenga), nel nostro Peire, in Peire de la Mula, Dels joglars servir mi laisse (BdT 352.1), che sembra avere preso come esempio la prima delle due canzoni di Raimbaut, e nel tardo Bertran Carbonel, Enaissi com en gazaignar (BdT 82.52). Si aggiunga che lo schema metrico di Pois tals sabers (ababccdc) non è lontanissimo da quello di Peire de Blai (ababcd). (29)

Comunque sia dei suoi legami a monte e a valle, valeva la pena, crediamo, di emancipare questo frammento dall’ombroso sottoportico in cui alloggiava. E tanto ci basta. Con la speranza, certo, che l’insidiosa lubricità dell’experimentum poetico adduca all’improvvido filologo meno definitiva e tragica fine (metaforicamente!) di quella occorsa allo sventurato escursionista gaddiano che, avvisando pure con altruismo «Atenti (...) che se scarliga!», «scarligò lui stesso, defunse».

 

NOTA AL TESTO

Opportunamente Anna Ferrari ricorda che, nel lavoro propriamente ecdotico di ricostituzione del testo, «la rigidità [della struttura metrico-retorica] facilita l’individuazione dell’errore», fino al limite estremo in cui «le correzioni ope ingenii (o le integrazioni, in caso di lacuna testimoniale) risultano obbligate e automatiche». (30) Nel nostro caso non sembra rendersi necessaria alcuna congettura – ad eccezione del primo verso, dove però l’urgenza, peraltro presunta, dell’intervento non mette radici nella struttura della canzone – anche se la rigidezza della gabbia metrico-retorica che l’autore ha forgiato attorno al proprio componimento fa sì che la scelta del testimone s’imponga, in più d’un’occasione, da sé. Globalmente C sembra più corretto, poiché infrange lo schema solo al v. 32, mentre M deraglia in ben cinque occasioni: ai vv. 14, 16, 18, 20 e 41-42, infatti, il copista di questo testimone (o già il suo antigrafo?) mostra palesemente di non comprendere le necessità della struttura metrico-retorica. Ma non possiamo tacere il fatto che la comodità congetturale proposta dallo schema non poteva non essere alla portata, anche, di un copista almeno un po’ scaltrito, poniamo quello di C. In altri casi la scelta si fa più imbarazzante, presentandosi varianti tutto sommato adiafore: si vedano, ad es. i vv. 12 e 13. Nel primo caso si è optato per la lezione di M perché propone il sintagma ben me conorta ripreso integralmente all’inizio della strofe seguente; lo stesso discorso vale al v. 30, dove si fronteggiano le varianti adiafore mout dezira di C e fort dezira di M: se si opta per la seconda è solo perché la strofe seguente si apre con il medesimo sintagma. Anche in questi due casi, però, la scelta è in fin dei conti soggettiva, perché non sappiamo con certezza se la ripetizione testimoniata da M sia il riflesso di una più fedele adesione a scelte retoriche risalenti all’originale. Per quanto riguarda il v. 13 si rinvia alla nota. Per il v. 23 si è deciso di mettere a testo la lezione di C, ma ragioni ritmiche potrebbero deporre, invece, a favore dell’altro testimone (vedi nota).

La traduzione risente, come tutte le traduzioni, dell’endemica atrofia semantica che preclude di norma a siffatti esercizi qualsivoglia tentativo d’innalzamento dal piano meramente utilitaristico che loro, del resto, compete: certo, al servizio di testi come quello che segue il risultato del negotium traduttorio apparirà senz’altro particolarmente bolso.

 

Note:

(*) Sigle usate: AFW = A. Tobler/E. Lommatzsch, Altfranzösisches Wörterbuch, Berlin, poi Wiesbaden/Stuttgart 1925–; BdT = Bibliographie der Troubadours, von A. Pillet (...), ergänzt, weitergeführt und herausgegeben von H. Carstens (...), Halle, Niemeyer, 1933; Ch = F. Raynouard, Choix des poésies originales des troubadours, vol. V, Paris 1821; FEW = Französisches Etymologisches Wörterbuch, von W. von Wartburg, Tübingen, poi Basel 1948–; Frank = I. Frank, Répertoire métrique de la lyrique des troubadours, Paris, Champion 1953-1957; Mahn = Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache (...) von C. A. F. Mahn, vol. III, Berlin 1886; MW = U. Mölk/F. Wolfzettel, Répertoire métrique de la poésie lyrique française des origines à 1350, München, Fink, 1975; Par = Le Parnasse occitanien, ou choix des poésies originales des troubadours tirées des mss. nationaux, Toulouse, Benichet Cadet, 1819; PD = E. Levy, Petit dictionnaire Provençal-Français, Heidelberg, Wìnter, 51973; S = G. Raynauds Bibliographie des altfranzösischen Liedes, neu bearbeitet und ergänzt von H. Spanke, Leiden, Brill, 1955; SW = E. Levy, Provenzalisches Supplement-Wörterbuch, Leipzig, Reisland, 1894-1924. ()

(1) Sui modi d’assemblaggio di questo canzoniere si veda in particolare quanto ha scritto François Zufferey, A propos du chansonnier provençal M (Paris, Bibl. Nat. fr. 12474), Lyrique romane médiévale: la tradition des chansonniers, Actes du Colloque de Liège, Liège 1989, 221-243, soprattutto le pagine 221-232. Su M verte la tesi dattiloscritta di Anne-Claude Lamur, Recherches sur le chansonnier de troubadours M, Paris 1987 (cf. «École Nationale de Chartes. Position des thèses» [1987], 125-137), parzialmente confluita nell’articolo della stessa studiosa Aux origines du chansonnier de troubadours «M» (Paris, Bibl. Nat. Mf. 12474), Romania 109 (1988), 183-198. Si veda inoltre Stefano Asperti, Sul canzoniere provenzale M: ordinamento intemo e problemi di attribuzione, in AA. VV., Studi provenzali e francesi 86/87, L’Aquila,  Japadre, 1989, 137-169, nonché, dello stesso autore, il capitolo terzo del volume Carlo I d’Angiò e i trovatori, Ravenna, Longo, 1995 (Un manoscritto napoletano, 43-88). ()

(2) Si veda anche Santorre Debenedetti, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento. Edizione riveduta, con integrazioni inedite, a cura e con postfazione di Cesare Segre, Padova, Antenore, 1995, 184. ()

(3) Più precisamente l’attribuzione alternativa compare nel primo indice (Creg1, c. 11r), quello per ordine d’autore, mentre nel secondo (Creg2, c. 23r), per ordine alfabetico di incipit, il componimento è dato al solo Uc. Su C si vedano Jacques Monfrin, Notes sur le chansonnier provençal C, Recueil de travaux offerts à M. Clovis Brunel, Paris, Société de l’École de Chartes, 1955, vol. II, 292-312, e François Zufferey, Recherches linguistiques sur les chansonniers provençaux, Genève, Droz, 1987,134-152. Tuttora inedito, a quanto sappiamo, lo studio di Stefano Asperti, Fonti indipendenti e ordinamento interno nel canzoniere provenzale C, presentato al «XVIIIe Congrès de Linguistique et Philologie Romanes», Trier 24-29 mai 1986, ma non compreso nei relativi Atti, Tübingen, Niemeyer, 1988. ()

(4) Zufferey, A propos du chansonnier, 236-238. E si tenga anche conto del fatto che il ms. C sembra particolarmente sensibile nei riguardi dei componimenti derivativi: per molti di essi è infatti testimone unico, cf. Anna Ferrari, Rima derivativa e critica testuale: Grimoart Gausmar, «Lanquan lo temps renovelha» (BdT 190.1), CN 51 (1991), 121-206, 195. ()

(5) Si veda Carl Appel, Der Trobador Uc Brunec (oder Brunenc), in: Abhandlungen Herrn Prof. Dr. Adolf Tobler (...) in Ehrbietung dargebracht, Halle, Niemeyer, 1895, 45-78, 50. In realtà, però, le due pretese testimonianze contro Uc si potrebbero ridurre a una, qualora i due testimoni risalissero alla stessa fonte per il testo di questa canzone. Rimane, certo, il problema della doppia attribuzione. Si veda ora Paolo Gresti, Il trovatore Uc Brunenc. Edizione critica con commento, glossario e rimario, Tübingen, Niemeyer, 2001, in particolare a p. xlvii, nota 75. ()

(6) Sbrigativamente, in Ch, 219, si parla «d’une pièce dans laquelle le troubadour s’était imposé la difficulté bizarre de la répétition obligée des mêmes mots». ()

(7) Ferrari, Rima derivativa e critica testuale, 128. Vedi, qui di seguito, la nota al v. 1. ()

(8) Si veda ad es., per una soluzione simile, Aurelio Roncaglia, L’invenzione della sestina, Metrica 2 (1981), 3-41, 22. Per i casi di prefissazione, non segnalati nello schema, si rinvia alla nota 19 del commento. ()

(9) Si vedano le Leys dAmors, manuscrit (...) publié par Joseph Anglade, Toulouse, Privat, 1919-1920, vol. II, 112-113. Altri due schemi si possono mettere accanto a quello base di Frank (ABABCD): ABABBA (alternanza maschile/femminile) e AABBCC (derivazione). ()

(10) Si può rinviare ad es. a Costanzo Di Girolamo, Elementi di versificazione provenzale, Napoli, Liguori, 1979, 60-61. ()

(11) Figures of Repetition in the Old Provençal Lyric: A Study in the Style of the Troubadours, by Nathaniel B. Smith, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1976, 105. ()

(12) Margaret L. Switten, Raimon de Miraval’s «Be m’agrada», RPh 22 (1969), 432-448, 435. ()

(13) Dominique Billy, L’architecture lyrique médiévale. Analyse métrique et modélisation des structures interstrophiques dans la poésie lyrique des troubadours et des trouvères, Montpellier, Section francaise de l’A.I.E.O., 1989, 194. ()

(14) Billy, L’architecture lyrique médiévale, 194. ()

(15) Frank, vol. II, 61-62. ()

(16) Ferrari, Rima derivativa e critica testuale, 191. ()

(17) Ferrari, Rima derivativa e critica testuale, 194, n. 59. ()

(18) Si può appena ricordare, come una curiosità, il componimento di Frances de Morlas, A tu me clam, que es de vertat princessa, risalente al 1468, che presenta una struttura non rigorosamente derivativa, oltre alla ripetizione, all’interno di ogni primo verso di strofe, di clam come mot-refrain (cf. Les joies du Gai Savoir, recueil de poésies [...] publié avec la traduction de J.-B. Noulet, revue et corrigée, une introduction, des notes et un glossaire par Alfred Jeanroy, Toulouse, Privat, 1914, 95). Per le rime usate da Peire si veda più avanti. ()

(19) Cf. Ferrari, Rima derivativa e critica testuale, 123. ()

(20) Il testo della canzone si legge in Alfred Jeanroy/Arthur Långfors, Chansons inédites tirées du ms. fr. 1591 de la Bibliothèque Nationale, R 44 (1915-1917), 454-510, 500-501. ()

(21) Jörn Gruber, Die Dialektik des Trobar, Tübingen, Niemeyer, 1983, 256. ()

(22) Si veda Walter T. Pattison, The Life and Works of the Troubadour Raimbaut d’Orange, Minneapolis, The University of Minnesota Press, 1952 184. Ora si veda anche l’edizione parziale di Luigi Milone, in http://lettere2.unive.it/milone/RaiAur/testi/, dove si trovano anche Assatz m’es belh e Aissi mou citate qui di séguito. ()

(23) La lezione son è nei mss. DM, ed è accolta da Roncaglia, L’invenzione della sestina, 22, e da Milone, ma non dal Pattison, che mette a testo sen. ()

(24) E si tenga presente che En aital rimeta prima abbina la volontà di voler scrivere un componimento facile al procedimento dei rims derivatius. ()

(25) L’espressione sarà ripresa da Arnaut Catalan, Ben es razos qu’eu retraia (BdT 27.4a), v. 2 «una cansoneta gaia». ()

(26) Cf. Roncaglia, L’invenzione della sestina, 22. E che questo trovatore sia sempre in prima linea quando si tratta di esperimenti formali non è una novità: si veda, tra l’altro, il recente volume (pur discutibile sotto certi aspetti) di Paolo Canettieri, Il gioco della forma nella lirica del trovatori, Roma, Bagatto, 1996. ()

(27) Roncaglia, L’invezione della sestina, 22-23. ()

(28) Rimario trobadorico provenzale, a cura di Pietro G. Beltrami e Sergio Vatteroni, Pisa, Pacini, 1988 e 1994. ()

(29) Può forse non essere superfluo ricordare che Gavaudan, A la pus longa nuech de l’an (BdT 174.1), che risale con tutta probabilità agli anni 1210-1211 (cf. Saverio Guida, Il trovatore Gavaudan, Modena, Mucchi, 1979, 61-63), utilizza i rims derivatius -anca/ -anc, con i rimanti s’estanca (v. 5), l’estanc (v. 8), blanca (v. 15), blanc (v. 16), franca (v. 39), franc (v. 40). E si aggiunga che Gavaudan usa anche la rima -ira, che è pure di Peire de Blai. Meno significativo sottolineare che Raimbaut de Vaqueiras, Truan, mala guerra (BdT 392.32) usa ben quattro rime di Peire de Blai (-orta, -enc, -ir, -enda), e che Guiraut Riquier, Pos astres no m’es donatz (BdT 248.65) riprende -ort, -enc, -enda. Non è evidentemente possibile determinare se vi sia stato un rapporto tra Peire de Blai e Raimbaut de Vaqueiras, né dire se il tardo Guiraut abbia preso spunto da l’uno o dall’altro, o se alle spalle ci sia ancora Raimbaut d’Aurenga, almeno per la non frequentissima rima -enc. A questi si faccia precedere la già citata canzone di Bernart de Ventadorn Bel m’es quant eu vei la broilla. ()

(30) Ferrari, Rima derivativa e critica testuale, 135. ()

 

 

 

 

 

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