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Squillacioti, Paolo. Perdigon, "Trop ai estat mon Bon Esper no vi" (BdT 370,14). "Zeitschrift für romanische Philologie", 121 (2005), pp. 543-562.

370,014- Perdigon

 

Perdigon, Trop ai estat mon Bon Esper no vi (BdT 370,14) (*).

È un fatto ben noto che la lirica trobadorica sia alla base della produzione della Scuola poetica siciliana, e non solo per singoli motivi e immagini: alcune canzoni provenzali sono state indicate come modelli per «traduzioni poetiche», secondo la definizione di Gianfranco Folena. (1) Il trovatore più utilizzato in questo senso è Folquet de Marselha, che ha tre canzoni rielaborate da poeti siciliani: BdT 155,4 A vos, midontç, voill retrair’ en cantan tradotta da Giacomo da Lentini in Madonna, dir vo voglio, (2) BdT 155,6 Chantan volgra mon fin cor descobrir tradotta da Rinaldo d’Aquino in Poi li piace che avanzi suo valore (3) e BdT 155,21 Sitot me soi a tart aperceubutz tradotta da Mazzeo di Ricco in Sei anni ho travagliato. (4) Non ha un autore certo la canzone BdT 276,1 Longa sazon ai estat vas Amor, rielaborata da Iacopo Mostacci in Umile core e fino e amoroso. (5)

Il quinto caso riconosciuto di traduzione poetica dal provenzale è la canzone Troppo son dimorato di Giacomo da Lentini, che ha come modello la canzone di Perdigon BdT 370,14 Trop ai estat mon Bon Esper no vi. Anche questa operazione traduttoria è stata ben studiata da Furio Brugnolo e Gabriele Giannini, (6) sebbene il punto di partenza occitanico sia ricavato da un’edizione, quella di H. J. Chaytor, la cui affidabilità è inficiata da omissioni ed errori non trascurabili. (7)

Ho perciò intrapreso lo studio della tradizione manoscritta di Trop ai estat per metterne in rilievo alcune caratteristiche lasciate in ombra nell’edizione Chaytor, e per proporre un testo omogeneo per metodo editoriale alle quattro liriche trobadoriche citate qui sopra, tutte da me edite in lavori precedenti. (8) Si tratta comunque di risultati parziali, perché sarebbe stato necessario premettere al lavoro ecdotico uno studio complessivo della tradizione manoscritta del trovatore: ne è venuta fuori una sorta di «restauro» del testo di pubblicato da Chaytor, che affido alla riflessione critica di chi sta attualmente lavorando a una nuova edizione delle poesie di Perdigon. (9) Da questa natura di specimen dipende inoltre la carenza di osservazioni linguistiche e letterarie non propriamente funzionali al lavoro ecdotico.

Trop ai estatè stata stampata da Chaytor nell’edizione delle poesie di Perdigon una prima volta nel 1909 nelle «Annales du Midi»; (10) l’edizione è stata ristampata in volume nel 1926 nella serie «Les classiques français du Moyen Âge», con alcune correzioni suggerite da Kurt Lewent e Giulio Bertoni. (11) Ma nel caso di Trop ai estat la revisione non ha eliminato alcuni problemi di base, come la consultazione indiretta dei manoscritti conservati a Parigi e del ms. Q (12) e la mancata utilizzazione dei mss. D, K, L, a, f e della citazione nel Breviari d’Amor di Matfre Ermengaud (α). L’omissione è particolarmente grave per quanto riguarda il ms. D, il più antico fra i canzonieri datati della lirica trobadorica, e il ms. f, che appartiene al ramo della tradizione da cui derivano gli originali trobadorici delle altre quattro traduzioni poetiche. (13)

L’analisi dei manoscritti offerta da Chaytor è talora scorretta e complessivamente infondata. L’editore individua quattro gruppi di manoscritti: AN (in base ai vv. 17 e 20), MPS (cf. vv. 22, 28, 30), EU (leggi EV, cf. v. 28) e GQ (cf. vv. 36, 18 [?], 39 [forse intende 38]), che ritiene «apparentés» due a due: AN con GQ e MPS con EV (inoltre GQ avrebbe delle affinità con PS: cf. v. 37). I mss. I, O e V (leggi U) «montrent des lignes de tradition indépendantes» (Chaytor 1926, 58–59). I versi indicati da Chaytor, tuttavia, presentano solo varianti adiafore che sono insufficienti se si vogliono formare famiglie stemmatiche (la mancata indicazione delle lezioni non favorisce la ricostruzione del ragionamento ecdotico); possono tuttavia essere un punto di partenza se si affrontano i problemi testuali in modo diverso. Non sorprende infatti che la tradizione manoscritta di Trop ai estat non sia organizzabile neanche parzialmente con gli strumenti del metodo degli errori comuni, il cosiddetto «metodo del Lachmann»: (14) non ci sono errori significativi che possano guidare la ricostruzione di un archetipo o per delineare i piani alti di uno stemma, per cui occorre utilizzare un approccio diverso. Le condizioni sono favorevoli per l’applicazione della procedura editoriale sperimentata nella mia edizione delle poesie di Folquet de Marselha, procedura fondata sull’analisi delle varianti adiafore; queste sono organizzate in una tabella (vedi pagina seguente) in cui è possibile misurare con qualche approssimazione le variazioni più significative nella tradizione manoscritta. (15)

Nel caso di Trop ai estat il dato macroscopico è l’individuazione di due raggruppamenti di manoscritti, ADLN+F e CEMRVf, che trasmettono quasi sistematicamente lezioni differenti e quindi due «versioni» del testo, che chiamo «versione α» e «versione β». L’edizione sinottica delle due versioni consente di osservare nel loro contesto le zone di maggiore oscillazione della tradizione e di fornire un risultato testuale non univoco, ma storicamente fondato e su cui basare nuove ricerche.

La scelta della versione β come testo principale dipende in primo luogo dal fatto che essa (limitamente ai mss. EMVf, con IKOPSU) conserva l’ordine strofico che consente richiami lessicali fra la parte finale di ogni cobla e la parte iniziale della successiva: 4 folh – 9 foudatz (I–II); 12 mor, 13 mueira – 17 murrai (II–III); 24 venir denan – 26 m’an denan (III–IV); 30 perda, 31 pert, 32 perdut – 33 perdre ... perdra (IV–V).

Inoltre, se è vero che la tradizione non presenta veri e propri errori, la versione β dà l’impressione generale di un testo migliore. Per esempio al v. 1 la lezione quen di ADN+IK (cf. qem U e l’anfibologico di G) potrebbe scaturire dall’interpretazione maschile del senhal Bon Esper (qu’En Bon Esper no vi) laddove la tradizione a monte, rispecchiata da OQS, avrà letto que (que Bon Esper no vi): non si può escludere la trafila opposta (quen > que), resta aleatoria la natura di errore di que(n), e tuttavia mon di β (CERVf+DTa) appare decisamente superiore.

Infine, dal momento che Chaytor fonda la sua edizione sul ms. C, la scelta di β come versione principale e di C come ms.-base ha il vantaggio di produrre un testo comparabile con quello del precedente editore. Per alcune lezioni ho rigettato la lezione di C a vantaggio di lezioni di altri manoscritti latori della versione β: 11 aisselh (cum selh EMRVf et al.); 17 er om. (er MRVf et al.); 21 em gitet (e que·m trais [M]Rf+PS); 23 estatz (estat EMRVf et al.); 24 degra ieu uenir (degr’ieu pueis venir [EM]RVf et al.); 25 Sim suy (Si·m sent EMRVf et al.); 30 perdal (perda so EMRVf et al.); 34 queu lo iorn uuelh may (qu’en eis lo jorn vuelh [E]MRVf et al.); 38 uas que lun trop (tant mi truep Rf: vedi infra); 42 daquo que (de so c’om [E]MR[V]); (16) 46 queus am (e de midons EMRVf et al.), que neguna re (que de re ER[V]f+U). Conservo inoltre la grafia e le particolarità fonetiche di C eccetto 5 sauals (sivals), 11 que (qu’en, anche se que si scioglie qu’e), 16 trayshes (traises), 40 hi (i). (17) Distinguo inoltre u da v e i da j (ma sempre u e i in apparato).

Pubblico in calce alla versione principale la versione α, fondandola sul ms. D; rigetto solo 18 chai (sai) e 31 perc (pert) e ricavo dal ms. A le due tornadas, emendando solo 44 cors (cor).

Non sempre è stato possibile tenere distinte le due versioni. Esistono infatti delle lezioni che frammentano a tal punto la tradizione manoscritta da rendere impossibile il loro inserimento nella tabella: si tratta delle varianti di 5 sivals a, 14 que n’aurai, 18 senes cosselh, 28 hom l’a ric bon lial e fi, 36 de lieys en cuy tan, 36 s’asi, per le quali ho scelto di mettere a testo comunque la lezione di C, anche quando si tratta di una lectio singularis (v. 18: vedi infra) o quando la lezione coincide per gran parte con la lezione della versione α. A v. 28, per esempio, i manoscritti attestano varie combinazioni fra gli aggettivi che formano la parte finale del décasyllabe:

ric bon e leial e fi
ACDN
ric e ualen e fi
EV
bo e lial e fi
RU
bon bon e lial e fi
f
bo franc e leial e fi
DcGIKQa
franc e leial e fi
MPS (leials PS)
pros e ualent e fi
O

Secondo un’ipotesi più volte emersa nella mia edizione di Folquet de Marselha in casi del genere si può pensare al risultato di una trasmissione per collazione di varianti alternative, che in una fase della tradizione manoscritta anteriore a quella documentata dai canzonieri trobadorici si dovevano trovare sui margini o nell’interlineo dei codici. (18) A v. 28, come peraltro nella maggior parte dei casi, questa operazione risulta invisibile perché la distribuzione delle varianti non ha lasciato tracce, se non la duplicazione di bon in f. Talvolta è rivelata da spie come le lezioni doppie. In Trop ai estat il ms. f attesta lezioni che contaminano versioni distinte del testo: al v. 17 f legge er quieu mueira, mentre GIKOQUV leggono er quar morrai e ADLN quieu muoira. La circostanza è confermata da R che legge er cā, con una piccola r al di sopra di ā. Anche al v. 19 R presenta una doppia lezione, plor con sospir scritto al di sopra. Doppie lezioni anche al v. 25: la lezione della versione α è sil sui (mss. ADN; cf. si soi PSa), quella della versione β sim sent (mss. EMRVf + DcGKO; cf. sim sem IU, si sen X), per cui sono doppie lezioni sim suy C (sim ← β, suy ← α) e sui sen Q (suia, sen ← β). Anche Maurizio Perugi, nel volume di Prolegomeni alla sua edizione delle poesie di Arnaut Daniel, individua delle «doppie redazioni» nella lezione lai (scil. l’ai) di R al v. 36 (Perugi 1978, vol. 1, 526) e in mas quar soi tan di E al v. 38 (528). (19)

Proprio l’inizio del v. 38 è il luogo più critico dell’intera tradizione manoscritta: Chaytor stampa mas tant la truep de bona fe, traducendo «mais je la trouve de si bonne foi»; così Riquer (1975), che traduce «pero la encuentro de tan buena lealtad». La lezione mas tant la truep è attestata dal solo R, dove però la è scritto sul rigo in alternativa a mi: si tratta ancora una volta di una doppia lezione, che contamina lai la trop di D (cf. mas lai lo trop FIK) con e tāt me truop di f. Gli altri manoscritti trasmettono lezioni assai diverse, complicate dall’oscillazione mas/vas a inizio verso, e che è possibile raggruppare in base al riferimento di trob:

a) ‘trovo in lei’  
          mas lai trob tant A
          mas lai lo trop FIK
          mas lai la trop D
          mas lai trop N
          ues qen lei trou PS
   
   
b) ‘trovo in me stesso’
 
          mas tant mi truep
R con la su mi
          mas tāt me truop
f
          uas cossim trop V
          (mas qar soi tan
E)
   
   
c) referenza incerta
 
          uas que lun[o lim] trop
C
          uas qacel trop
O
          mas ieu trop tan
U
          mais aici trob
GQ
          mas daissol trueb
a

Alla versione α deve essere evidentemente attribuita la lezione del tipo (a), alla versione β quella del tipo (b), ma non ci sono gli elementi per una sicura individuazione della lezione da mettere a testo; poiché il ms.-base C presenta una lezione non riconducibile al tipo (a) adotto la lezione base di R tan mi truep.

Una soluzione analoga è presente anche al v. 18, dove però la versione α è ben individuabile: (20)

car estau sai
ADLN GV (= lezione α)
car eu stau chai
Q
qeu estauc sui
O
 
 
 
 
senes cosselh
C
descosselhatz
R
ses amixcz
f
senes amics
a
 
 
 
 
qieu sui remas
MPS
ni remanrai
EU

Anche in questo caso la versione β non è individuabile, ma qui C ha una lezione accettabile e confermata nella sostanza da Rfa.

Un discorso a parte va fatto per le tre coblas (I–II, IV) tràdite dal ms. X in una veste francesizzante e in una lezione tanto caratterizzata da renderne inutile l’inserimento in apparato. Come Chaytor (1926, 61) riproduco il testo a parte correggendo alcune cattive letture dell’editore:

Molt ai estat qen bon esper non ui. & est ben dreiz que toz ioi mi soffraigne. cant eu mes loig de la soie 9paigne. pir mon fol sen don tan ior non ioii. nomporqant li non [89v] coste ren. que dans torne sobre men. & cant eu mais men uois loignan. meins ai de ioi & mais dalfan.

Si ma folda engens & li aucis. ben es qa hom ia nō men plaigne. que si cō cil qen mi lague se baigne.a qi mor de sei cest droiz ie uos affi. qeu more en desierran. del ben. que iai tant desirrab  iasen. ia nagusse aiqo qen deman. kan la fui sin traisisse auan.

Si sen sospreis car eu nō sai consi. an denāt li. ne comen mi 9tengnec li. si cō cil cat seigner qi nel 9dengne. cāt il la bon rich & ualen & fin. paudor deit aueir cant il uen. de perdre son seignor & sen. & seu la per cui me comāt. perdu ai me. & ioi & chant.

aSegue cest d biffato (anticipo di cest droiz). b Segue spazio bianco.  c Segue spazio bianco.

Il ms X condivide alcune lezioni isolate soprattutto con PS: 3 cant, 4 tan, 7 cant (+ M), 11 aiga (+f), 26 an (+ Ea), 30 de perdre (+ M), e con O: 8 ai, 14 iase; meno significative le convergenze con (16 auan) e con IKa (2 et est). 

  

Versificazione: Frank (1953–1957, 577:157)

a10 b10’ b10’ a10 c8 c8 d8 d8                       a = i b = anha c = e d = an

Cinque coblas unissonans di 8 versi e due tornadas di 4 versi. Schema metrico e rime utilizzate da Johan Esteve nel sirventese BdT 266,6 Francx reys frances, per cuy son angevi, datato 1286 (Vatteroni 1986, n° VIII). Tutti i décasyllabes sono a minore.

Dc solo coblas IV e VI; F solo cobla V; L solo cobla III, per la caduta della carta precedente; X solo coblas I, II e IV. Tornadas invertite in M; VI omessa in DNa; VII omessa in DGNQa.

Ordine delle strofe:

  I II III IV V
ACDGNQR 1 2 5 3 4
a 1 5 4 2 3

Melodia (mss. GX): Sesini 1942, 246–247 (solo G); Gennrich 1958–1960, vol. 3, 149 n° 162 (cf. vol. 4, 83); Fernández de la Cuesta 1979, 385–387; Van der Werf 1984, 278*–279*. La melodia in X è incompleta: è omessa la notazione musicale riferita alle ultime due sillabe del v. 6 e ai vv. 7–8. 

 

Note:

(*) Questo lavoro è stato pensato come un omaggio a Peter T. Ricketts: è a lui che lo dedico con amichevole stima. Ringrazio per il loro contributo Loredana Boldini, Pär Larson e mia moglie Bernadette Baiamonte. ()

(1) Folena (1991 [1973], 25 e n. 34). Uno sguardo d’assieme sulle traduzioni di liriche trobadoriche in Sicilia è offerto da Brugnolo (1999) e Giannini (2000), dove si troverà la bibliografia precedente: in essa si segnala l’importante il contributo di Antonelli (1999); si veda anche Mancini (2000). Più in generale sulla Scuola poetica siciliana: Folena (1965), Bruni (1990), Brugnolo (1995), Brunetti (2000). ()

(2) È la traduzione più celebre e studiata: cf. Monteverdi (1971, 283–291), Folena (1991 [1973], 24–27), Roncaglia (1975, 24–36), Antonelli (1987, 24–26), Bruni (1988, 79–81), Schulze (1989, 173–174, 218, 228–231), Giannini (1999), Brugnolo (2000). Per il testo Giacomo da Lentini cf. Antonelli (1979, 1–21) e CLPIO B 032, L 055, P 037, V 001. ()

(3) Cf. Ramazzina (1998), Brugnolo (1999, 59–65). Per il testo di Rinaldo d’Aquino cf. Panvini (1994, 154–155, 294–295) e CLPIO L 118, P 047, V 029. ()

(4) Cf. Giannini (2000, 933–945), Latella (1999, 246–258). Per il testo di Mazzeo di Ricco cf. Contini (1960, vol. 1, 150–152) e CLPIO V 082. ()

(5) Cf. Folena (1965, 241–242) e Folena (1991 [1973], 27–28), Bruni (1990, 241–242), Brugnolo (1995, 302–303) e Brugnolo (1999, 65–74), Giannini (2000, 919–933). Per il testo di Iacopo Mostacci cf. Panvini (1994, 216–218, 309–310) e CLPIO P 009, V 045. ()

(6) Brugnolo (1999, 53–58) e Giannini (2000, 906–917). Per il testo di Giacomo da Lentini cf. Antonelli (1979, 119–120) e CLPIO V 009, L 112. Anche il poeta fiorentino Chiaro Davanzali ha tradotto la poesia di Perdigon nella canzone Troppo aggio fatto lungia dimoranza, tenendo inoltre conto del testo di Giacomo da Lentini: studiano il rapporto Brugnolo (1999, 59) e, più estesamente, Giannini (2000, 917–919); per il testo di Chiaro cf. Menichetti (1965, 39–42). ()

(7) Ne è consapevole Giarmini (2000, 907 n. 7): «La natura sincopata della traduzione e la scarsa affidabilità dell’edizione critica di Trop ai estat, non priva di inesattezze ed omissioni (grave la mancata notizia di f), impediscono l’elaborazione di congetture plausibili intorno alla tradizione manoscritta cui doveva imputarsi la conoscenza del modello presso l’imitatore». ()

(8) Per le canzoni di Folquet de Marselha cf. Squillacioti (1999, 211–228 [Sitot me soi], 353–367 [Chantan volgra], 414–421 [A vos, midontç]); i testi sono stati ripubblicati in Squillacioti (2003). Per Longa sazon cf. Squillacioti (2000). ()

(9) Segnalo che una nuova edizione delle poesie di Perdigon è oggetto della tesi di dottorato a cui Loredana Boldini sta lavorando presso l’Università degli Studi di Siena: questo lavoro deve molto alla sua generosa collaborazione. Ho inoltre notizia di un’altra tesi di dottorato su Perdigon cui attende Riccardo Bentsik presso l’Università di Ginevra. ()

(10) Chaytor (1909). ()

(11) Chaytor (1926); Lewent (1909), Bertoni (1913a, 5–6) e Bertoni (1913b). Vedi anche Schultz-Gora (1913). ()

(12) Cf. Chaytor (1909, 155–156). Cito i canzonieri provenzali con la sigla della BdT, ma uso la sola sigla a per la copia del canzoniere di Bernart Amoros, in accordo con Zufferey (1987, 80). ()

(13) Si veda Antonelli (1999, 57–58); ininfluente invece l’omissione di K, identico al ‘gemello’ I; l’omissione di a è giustificata nel 1909, ma non più nel 1926 (la sezione estense del manoscritto venne edita da Bertoni 1911). ()

(14) Per i fraintendimenti sull’origine del metodo si vedano Schmidt (1988) e Fiesoli (2000). ()

(15) Rimando a Squillacioti (1999, 52–62), ossia ai Criteri di edizione ora discussi da Zinelli (2003). ()

(16) In questo caso si può ipotizzare una trafila del tipo de so qu’om > zo que om V > d’aquo que C (con f, che presenta la doppia lezione de so que: vedi infra); om appare necessario, altrimenti non è chiaro quale sia il soggetto di ve. Chaytor assume, senza giustificazioni, la lezione isolata di E d’aiso qu’om (cf. daiso cum O). ()

(17) Cf. Zufferey (1987, 139 [h-], 145 [-ysh-], 190 [sauals]). ()

(18) Cf. Squillacioti (1999, 57–58). ()

(19) Perugi, seguendo l’apparato di Chaytor, attribuisce anche a F la lezione di E: la dipendenza da un’edizione con una recensio tanto incompleta e scorretta rende in questo caso mal fruibile l’analisi dello studioso. Do conto comunque delle sue «soluzioni»: 3 Car eu·m luenh de la soa companha (eu con dieresi: 203); 4 Que eu ai dezirat ancse (dialefe fra Que e eu: 76); 33 Perdre la puesc, que ilh non perdra mi (dialefe fra que e ilh: 77); 34 Que eis lo jorn vuelh que mort me contranha (dialefe fra Que e eis: 77); 36 De lais onte es tan fermat a si (526–527); 38 Que a si truep de bona fe (dialefe fra Que e a: 527–528); 46 Que eu·s am mais que autre re (dialefe fra Que e eu·s: 77). ()

(20) Non considero IK, che attestano un verso piuttosto diverso (queu son marritz sai entre gent estraingna) da quello degli altri mss. ()

 

 

 

 

 

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