Un serventese di Guilhem Figueira.
Il serventese, del quale intendo tener qui brevemente parola, incomincia (ediz. Levy, nº 3):
Ja de far nou sirventes
No quier autre ensenhador
ed è conservato in tre manoscritti: C, 250; R, 22; a, 508. Secondo i due primi codici, esso consterebbe di sola quattro strofe, com' è fatto chiaro dall'ediz. del Levy, il quale non potè naturalmente giovarsi nel 1880 dell'altro ms. a, soltanto di recente segnalato agli studiosi. Che il testo di C e R sia manchevole, si può facilmente desumere dalla metrica: mentre le due prime strofe sono, come dicono le Leys, I, 168 „capcaudadas”, le ultime due non presentano questo ingegnoso allacciamento; sicchè si può ammettere che due strofe siansi perdute nella redazione CR, l'una prima della terza, l'altra prima della quarta. Infatti, la lezione data dal ms. a ha codeste due strofe, le quali vengono ad integrare il mutilo componimento. E poichè non poche varianti di a sono preziose o almeno interessanti, non ispiacerà ch'io qui riproduca per intero il testo, quale si può leggere nel nuovo manoscritto:
Ja de far un sirventes...
La prima osservazione, che possiam fare, è che i vv. 1 e 3 di ogni strofe non hanno, come credettero il Raynouard e il Levy, Otto sillabe, ma sono ettasillabi. Del resto, già i codd. C e R ce ne avvertono. Entrambi leggono al v. 3: Qieu (non Que ieu) e al v. 27 [19]: Ja de bon (non ja mais de bon). Ne segue che si può tranquillamente respingere ai vv. 11 e 27 dell' ediz. del Levy repaira e sostituirvi, con a, torna, vv. 11 e 43. Anche lor del v. 27 dell' ed. Levy non è esatto. Occorre una rima in -os. Il ms. a reca (v. 43) uos, che si può cambiare in nos, perchè il serventese fu scritto in Italia, con ogni probabilità, tra il 1226 e il 1237 (Levy, p. 4).
Il nuovo testo porta poi un notevole contributo anche per migliorare la lez. del v. 29 [21 in Levy]. Il Levy legge:
E donc clars estic son lansol
e aggiunge, nelle note, p. 90: „Dieser Vers ist mir unverständlich geblieben.” Era naturale che questo disgraziato verso restasse inintelligibile, dal momento che i mss. CR lo hanno trasmesso in una lezione disperata: (e manca in C; R legge clas e più oltre lassol). Il ms. a non è neppure del tutto corretto: Don a larc son estreg la col. Ho emendato: arcson, arcione; estreng sogg. 3 sing. pres. e da don sono facilmente risalito a donc sulle tracce di CR. La nuova restituzione del verso fa conoscere un vocabolo non ancora registrato sin qui, se non m'inganno, e cioè acol, che sarà un deverbale da acolar. (1)
Il verso 31 nella lezione di a non si può dire chiaro. Gioverà, per la retta intelligenza del passo, tener presente la lezione di CR (Levy, 23): Que qui non dona so quel dol, la quale non parmi però, neppur essa, del tutto immune da qualche menda. In ogni modo, essa è superiore ad a.
Come gli studiosi vedono, l'importanza della lezione di a è assai notevole e, salvo in qualche punto, codesta lezione è migliore di CR. Questo manoscritto a non ci ha tramandato soltanto due strofe di più; ma ci ha lasciato alcune varianti, che aprono la via per giungere, quasi, alla forma originale del componimento. (2)
GIULIO BERTONI.
Note:
1. Anche al v. 44 la lezione di a mi par migliore di quella di CR.
2. Un altro componimento si legge in a, attribuito al Figueira, che incomincia nello stesso modo (Ja de far un sirventes — non chal q’om m'ensegn) e che è una fiera invettiva contro Federico II. Questo componimento fu edito ultimamente da O. Schultz-Gora in un assai importante studio (Ein Sirventes von G. Figueira gegen Friedrich II., Halle a. S., 1902). Alle conclusioni dello Schultz-Gora, per quanto concerne la data del testo e la sua ricostruzione, si può aderire, parmi, con fiducia. Si veda quanto ne scrissi in Giorn. stor. d. lett. ital., XLI, 420. Oggi, dopo alcuni anni, mi riesce però più che mai problematica l'attribuzione di questo componimento anti-imperiale al Figueira, che fu sempre ghibellino fervente e penso che il ms. a ci abbia conservato, per errore, il testo tra quelli del Figueira. Lo Schultz-Gora ha cercato ingegnosamente alcuni argomenti per confermare l’attribuzione di a; ma io non ne sono del tutto persuaso. Anzi, dubito forte che il citato provenzalista sia nel vero. Quanto egli dice (p. 5: „Einmal zeigt der Anfang entschiedene Ähnlichkeit mit dem Anfange eines anderen Gedichtes, das ihm übereinstimmend von CR [è il serventese pubblicato più sopra] zugeschrieben werden. Ferner ist es der Umstand, daſs ebenso wie in unserem Gedicht Str. 4 auch in einem Sirventes Figueira's, Levy, No. 7, das Verhalten Friedrichs gegenüber dem don de Barut, Johan von Ibelin, einer Betrachtung unterzogen wird, was m. W. von Seiten keines anderen Trobadors geschieht”) non è convincente, perchè il secondo argomento è assai debole e quanto al primo, esso può essere ritorto contro l'ipotesi del nostro studioso, sol che si osservi che appunto la identità del primo verso con uno di un altro serventese del Figueira può essere stata la vera ragione dell'accogliersi tra i testi di questo trovatore anche un altro componimento, che non gli appartiene. Fatti di questo genere si sono verificati, come si sa, più volte. Tutta la questione riposa sopra l'autorità dell'attribuzione di a, e qui convien dire che talora le attribuzioni di questo prezioso manoscritto non sono esatte.