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Radaelli, Anna. Raimon Gaucelm de Béziers. Poesie. Firenze: La Nuova Italia, 1997.

401,005- Raimon Gaucelm de Bezers

 

DIEUS M’A DADA FEBRE TERSANA DOBLA

(BdT 401,5)

 

La seconda preghiera, che Raimon Gaucelm rivolge a Dio, trae occasione da una particolare condizione del poeta: egli infatti, secondo la rubrica, la scrisse quan fo malautes. Azaïs, pur senza troppa convinzione, ne fa risalire la composizione all’epoca della morte, datata dagli autori dell’Histoire Littéraire de la France al 1285, ma la mancanza assoluta nella poesia di elementi solidi sui quali basare una datazione, suggerisce di accettare la nota della rubrica come un innocuo dettaglio biografico, che nulla di concreto aggiunge; resta tuttavia il fatto che la febre tersana dobla, che rende il poeta turmentatz e afrevolatz, sembra proprio creare quello stato psicologico e spirituale in cui l’uomo, sentendo prossima la morte, si pente, implorando la misericordia divina.

La poesia si riallaccia alla tradizione biblica dei salmi penitenziali nei quali il fedele considera la sua infermità come un castigo divino per le proprie colpe: così Raimon fin dal secondo verso individua l’origine del suo male come un avvertimento inviatogli dal Signore «que vol que ieu sïa d’Elh remembratz». La malattia lo tormenta a tal punto che trascura il mondo intorno a sé, e nemmeno nella poesia trova sostegno e conforto («no mi val tenso, dansa ni cobla», v. 11), ma il trovatore sa bene che, attraverso la sofferenza, Dio vuole che si rammenti delle sue colpe e si penta. Come nella lirica I, l’esame di coscienza di RmGauc si fa più ampio, giungendo ad investire il suo tempo, perché anche il mondo ha dimenticato Dio ed è degenerato, raddoppiando «e malvestatz, en totz et en foldatz» (v. 18): gli uomini bestemmiano («quascus homs vol de Dieu far sa cobla / e sos esquerns e sos malvais dechatz», vv. 19-20), e non sono più in grado di distinguete il bene dal male, né hanno consapevolezza di sé e delle proprie azioni («non an de re conoissensa»), da cui procede il timore di Dio. La carnalità dominante li ha portati all’indifferenza verso le esigenze spirituali, preoccupati solo dei beni materiali e della soddisfazione dei bisogni terreni. Ma la punizione divina non si farà attendere, «lo jorn quez er jutjatz», per lo sciagurato che non si è curato della propria anima, e ha imprecato contro Dio, invocando su di sé la morte eterna:

 

                            Tu iest vengutz en dechazensa
                            qu’ades iras el fuec d’ifern arden,
                            on ja de mal non auras guerimen!

 

Con il ricorso all’immaginario escatologico, e grazie al ruolo di severo predicatore che Raimon assume nei suoi “sermoni”, il poeta mira a colpire l’attenzione dell’ascoltatore e a convincerlo drammaticamente che per ottenere il sollievo dalla «febre tersana», che Dio manda come monito ai peccatori come lui, il cristiano deve pregare e confessare le proprie colpe «senes voltuntat dobla», trasformando così la propria esperienza in esemplare metafora delle condizioni del mondo ingrato e peccatore. Quanto più forte è la fragilità dell’uomo tanto più insistita e fervida dovrà essere, nell’atto di penitenza, l’invocazione alla misericordia divina («si anc falhi, prec vos, merce m’ajatz!», vv. 36 sgg.), cui deve seguire il fermo proposito di conversione, con cui si conclude la poesia, perché solo chi si pente e dimentica le attrattive del mondo, troverà indulgenza presso Dio

 

                            ... tot quant es als teni a nïen.
                            E deg o far, tals ert sertanamen.

 

SCHEDA RETORICO-STILISTICA

Nella poesia si dà un notevole risalto all’equivocità, espressa nei mots refranhs (dobla, aggettivo e predicato da doblar, e cobla intesa come genere, ma anche come strofa e frase), e alla ricerca insistente di effetti retorici. Emerge in maniera particolare la tendenza alla ripetizione dei nuclei tematici centrali, accorgimento stilistico proprio dei predicatori, aggiunto alla volontà di rendere nella composizione gli effetti di sdoppiamemo e indebolimento della febre tersana doblata fort ma lengua·s dobla / qu’om no m’enten tan sui afrevolatz», vv. 33-34):

2 que vol que ieu sïa d’Elh remembratz
14 per tal qu’aja d’El sovinensa
 
16 si anc lunh temps fi negun fallimen
36 si anc falhi
 
23 ans se tenon tot quant es a nïen
43 que tot quant es als teni a nïen
 
10 qu’ar be·u deg far
44 E deg o far
 
34 qu’om no m’enten
35 prec a vos qu’entendatz
36 prec vos

 

L’effetto è reso ancor più evidente dall’anadiplosi, che si estende per ben quattro versi, di merce: «si anc falhi, prec vos, merce m’ajatz! / Merce nais en vos e·i comensa / de merce etz frugz e semensa / per que merce vos queri humilmen» (vv. 36-39). Anche le figure dell’accumulazione e della ripetizione, insieme con le frequenti sequenze allitteranti, contribuiscono ad accentuare questo intento di raddoppiamento espressivo: enumerazione «tenso, dansa ni cobla» (v. 11), «e malvestatz, en tortz et en foldatz» (v. 18), «sa cobla / e sos esquerns e sos malvais dechatz» (vv. 19-20); dittologie «frugz e semensa» (v. 38), «francx ...omnipoten» (v. 40); iterazione sinonimica «nais en vos e·i comensa» (v. 37); anafora «que·m perdo mos peccatz / e que·m do .../ e que·m garde ...» (vv. 4-6). Allitterazione nel verso: «Dieus m’a dada» (v. 1), «E pus que·l plai, en la primeira cobla / li pregarai que·m perdo mos peccatz» (vv. 3-4), «far falhensa / et a la fi» (vv. 6-7), «m’arma de marrimen» (v. 7), «fa suffrensa» (v. 13), «fi negun fallimem» (v. 16), «de Dieu» (v. 19), «ans se tenon tot quant es» (v. 23), «ajon d’aver abastamen» (v. 24), «mot malazuratz» (v. 26), «lo jorn quez er jutjatz» (v. 28), «fuec d’ifern» (v. 31), e in rima: 13 suffrensa : 14 sovinensa.

A queste, che costituiscono la base retorica su cui si fonda il componimento, si aggiungono anche figure per detrazione quale lo zeugma «e que·m garde de far falhensa / et, a la fi, m’arma de marrimen» (vv. 6-7), per ordinem come l’iperbato «Et es mout folhs qui sa paraula dobla / encontra Dieu, e mot malazuratz» (vv. 25-26) o l’anastrofe «qu’a pauc no m’es aquest mon oblidatz» (v. 12), «val de Dieu far sa cobla» (v. 19), «e non an de re conoissensa / ni lur fa nulla res temensa» (vv. 21-22), «ans se tenon tot quant es a nïen» (v. 23), «qui sa paraula dobla / encontra Dieu» (vv. 25-26), «vostra bevolensa / me datz» (vv. 41-42), cui si affianca il poliptoto «ajon d’aver» (v. 24). Si aggiunga lo hysteron proteron «frugz e semensa» qui dettato probabilmente da esigenze di rima. L’esclamazione «Per Jhezu Crist!» (v. 28), le implorazioni «merce m’ajatz!» (v. 36), «doncx ajatz la·m, francx reis omnipoten!» (v. 40), unite al discorso diretto dei vv. 30-32 e alle apostrofi a Gesù Cristo dei vv. 33 e 41, accentuano infine il tono commosso della 4ª e 5ª cobla e contribuiscono ad amplificare pateticamente l’invocazione del poeta malaute.

 

Rubrica: So son coblas que fes .R. Gaucelm quan fo mal[a]utes

Scheda metrica: Frank 382:68. Canzone religiosa di cinque coblas unissonans + 1 tornada di 4 vv.

a
b
a
b
  |  
c
c
d
d
10’
10
10’
10
 |
8’
8’
10
10
rime a -obla   b -atz   c -ensa   d -en

 

Mots refranhs dobla : cobla al 1º e 3º verso di ogni strofa.

 

Decasillabo a maiore: v. 11 (con possibilità 4 + 6).

Cesura lirica: vv. 1, 23, 24.

Cesura mediana con elisione in 5ª sede: v. 15.

Coincidenza tra cesura e pausa logica: vv. 3, 7, 10, 11, 18, 26, 28, 33, 36, 40, 44.

 

Incontri vocalici: dialefe (vv. 2, 16, 17, 24, 30, 34, 36, 38, 39, 43), dialefe in cesura (vv. 3, 26).

 

Tenendo conto delle cesure, si possono osservare delle rime interne 3 plai : 4 pregarai; 7 fi : 36 falhi; 23 tenon : 24 ajon; ed anche delle rime identiche a distanza: 9 : 33 Dieus; 10 : 44 far; 12 : 43 es.

 

Rime grammaticali 2 remembratz : 15 remembramen, 8 turmen : 10 turmentatz.

 

Enjambements: vv. 17, 25, 41.

 

 

 

 

 

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