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Radaelli, Anna. Raimon Gaucelm de Béziers. Poesie. Firenze: La Nuova Italia, 1997.

401,003- Raimon Gaucelm de Bezers

 

A PENAS VAU EN LOC QU’OM NO·M DEMAN

(BdT 401,3)

                                                        

In questo sirventese ritorna l’orgoglio di essere poeta che Raimon Gaucelm aveva già espresso nella lirica III, questa volta però è scomparsa ogni forma di modestia

 

A penas vau en loc qu’om no·m deman:
«Raimon Gaucelm, avetz fag re novelh?»

 

e Ramon si dichiara fiero di essere riconosciuto come uno che «que sap far coblas e sirventes» e dimostra di apprezzare i complimenti che riceve in pubblico «quar mant home valen m’en fan sembelh / de lur amor e m’en venon denan». Per giunta, sottolinea, la sua attività è occasione di vanto perché il suo meritato successo non è provocato da piaggeria, né la sua poesia cerca comodi consensi o facili guadagni, per avere in dono vestiti e vivere d’assistenza

 

qu’estiers nulh temps non gazanhei castelh,
borda ni mas, ni·l quart d’un clarmontes (vv. 12-13)

 

anzi, per questo suo atteggiamento inflessibile ed autonomo ci ha addirittura rimesso del suo: «ans me costa que val .v. cens tornes!». Tuttavia, nonostante la premessa di una tale presuntuosa indipendenza, non vuole certo farci pensare che un gesto di generosità non sarebbe gradito anche ad un intransigente come lui e quindi, per dimostrare quanto sia meritevole il donar fatto con gratuità e senza compenso, svolge il suo sirventese sul tema della generosità, cui sono dedicate le coblas centrali. Ma il quadro che ne esce è desolante poiché pare finita l’epoca in cui il donar era ritenuto virtù indispensabile all’uomo di valore, anzi ormai sopravvive in pochi animi nobili (egli ne conosce solo uno...), perché i nuovi signori, avidi ed ipocriti, non conoscono né largueza cortese né caritat cristiana.

Fin dall’avvio del suo argomentare RmGauc si scaglia dunque contro coloro che condannano il donar come sperperìo dannoso e immorale, accusandoli aspramente di mentire «plus que fals mezelh» perché l’essere prodighi non solo procura credito sociale ma anche rende l’uomo gradito agli occhi di Dio. È la generosità che gli dà pregio, e se poi il suo agire è guidato dalla carità cristiana, allora il suo valore è perfetto:

 

Pero mais val lo dos on pus francx es,
quan Caritatz l’adutz a cor volon
lai on Merces li fai planca e pon (vv. 22-24)

 

Ma guardandosi intorno Raimon non vede che meschinità e grettezza: alla ribalta sociale sono saliti i ricchi «prelatz, terriers e borzes» i quali, dimenticando i valori cristiani della pietà e della carità, non invitano alla loro mensa i poveri, anzi vivono rintanati nelle loro case tenendo nascosto il cibo come fa l’uccello nel suo nido: «e sai ne moutz que dins lai on estan / s’acluzon, pus no fa’b son past auzelh!», né donano loro di che coprirsi, anzi si cambiano d’abito furtivamente, cercando di ricavar profitto anche dalla vendita dei propri indumenti smessi: «quascus ven sos vestirs a rescon, / qu’a nulh paupre no vei negus aon». Il modello di S. Martino non suggerisce nulla ai loro cuori, ma è certo che una cruda punizione li attende, un «estranh mazelh», castigo esemplare per la loro avarizia e avidità. Gli esecrabili comportamenti che dominano il suo tempo devono essere bollati con aperte parole di biasimo, e Raimon in questo non desiste anche se sa che così facendo si attira i mormorii indispettiti di coloro cui sono rivolte le sue fustigazioni: «E sai que mal lor es / quant hom lo vers en chantan lur despon, / pero meinhs pres aquel que mais en gron». Meno male che esiste ancora un campione delle antiche virtù! È il suo amico fraterno En Raimon, la fama del quale sente riecheggiare intorno a sé e dal quale, ci par di capire, sarebbe onorato di ricevere doni a dimostrazione del suo affetto.

 

SCHEDA RETORICO-STILISTICA

Il tono enfatico del sirventese è sostenuto dall’interrogazione dell’esordio (vv. 1-2) e da frequenti esclamazioni (vv. 5-6, 14, 28, 33-35). Ma all’impianto retorico del componimento contribuiscono anche le seguenti figure: l’iterazione sinonimica «joi et alegrier» (v. 9), accentuata dall’allitterazione «bon e belh» (v. 4), «planca e pon» (v. 24), «ferm e fin» (v. 43); l’enumerazione «castelh, / borda ni mas, ni·l quart d’un clarmontes» (vv. 12-13), «prelatz e terriers e borzes» (v. 29), la dittologia «coblas e sirventes» (v. 6), «d’aval e d’amon» (v. 15), l’anastrofe «mas negus homs no vei» (v. 25), «qu’a nulh paupre no vei negus aon» (v. 32) e l’anafora «e sai» (vv. 27, 29, 38). Si notino inoltre la ripetizione morfemica di donar nella cobla III: donan (v. 18), dona (v. 19), donar (v. 21) cui si aggiunge il sostantivo dos (v. 22); l’iperbato «quar qui dona a lauzor on que an, / e grat de Dieu» (vv. 19-20), «e sai ne moutz que dins lai on estan / s’acluzon» (vv. 27-28). Da ultimo i casi di allitterazione, «alegrier gran» (v. 9), «d’aval e d’amon» (v. 15), «paupre apelh» (v. 26), «quetz quascus de mes en mes» (v. 30), «ven... vestirs» (v. 31), «del foc d’ifern» (v. 38), con figura etimologica «far fatz» (v. 44).

 

Rubriche: C (333v) Sirventes d’en Raimon Gaucelm

R Raimon Gaucelm

Scheda metrica: Frank 382:14. Sirventese di cinque coblas unissonans + 1 tornada di 4 vv.

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rime a -an   b -elh   c -es   d -on

 

Decasillabi a maiore: vv. 1, 10, 17, 22, 25.

Cesura lirica: vv. 8, 18, 19, 32, 35.

Cesura mediana: vv. 9, 37.

La cesura è difficilmente localizzabile ai vv. 5 e 28.

Coincidenze tra cesura e pausa logica: vv. 2, 8, 13, 18, 19, 20, 25, 34, 36, 37, 38, 41.

 

Incontri vocalici: dialefe (vv. 1, 3, 5, 8, 17, 19, 24 (2), 26, 27, 41), dialefe in cesura (vv. 9, 19, 37).

 

Tenendo conto delle cesure, si possono osservare delle rime interne 20 Dieu : 36 grieu, 6 far : 16 nomnar : 21 donar : 26 manjar, 23 caritatz : 29 prelatz : 44 fatz, 4 vetz : 30 quetz : 33 aquetz, 37 lai : 41 vai; delle rime identiche a distanza 32 : 35 paupre; ed anche figure etimologiche in rima interna 18 donan : 19 dona : 21 donar : 22 dos; 6 : 44 far : fatz.

 

Enjambements: vv. 5, 10, 17, 27, 33, 34, 36, 37, 42.

 

In C sono ipometri i vv. 4 e 43, in R il v. 43 e ipermetro il v. 35.

Oltre ad alterazioni individuali (C: 4, 31, R: 2, 30) e alla caratteristica tendenza di R alla banalizzazione e all’interpretazione (particolarmente evidente ai vv. 15, 23, 28, 32, 39), entrambi i manoscritti presentano errori comuni: la pur minima diffrazione del v. 39 e l’ipometria del v. 43 che, seppur di natura non significativa, confortano la nota parentela tra C ed R.

 

 

 

 

 

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