XVI.
IL MARCHESE LANCIA E PEIRE VIDAL
Testo secondo Bartsch, P. V.’s L., n. 33; Anglade, P. de P. V., n. XXI; Crescini, Man.3, p. 235.
Manfredi I Lancia, figliuolo di Guglielmo, marchese di Busca, e padre di Bianca, l’amante di Federico II, madre di re Manfredi, appare per la prima volta in un istrumento del 1168. Morì tra il 1214 e ‘15. I suoi domini ereditari si stendevano a sud di Saluzzo, nell’arco formato dalle Alpi Cozie e dalle Marittime, ed avanzavano sin nelle Langhe, verso Alba e Cortemiglia. La residenza abituale del marchese sembra sia stata Dogliani. Secondo i documenti studiati da C. MERKEL (Manfredi I e Manfredi II Lancia, pp. 12 sgg.), la vita di lui appare tutta una successione di vendite, di cessioni e di pignorazioni delle sue terre, dovute principalmente alle lotte che egli, come gli altri signori del Piemonte, dove sostenere contro la nascente potenza comunale di Asti. Rimangono alcuni suoi atti di vendita del 1180 e del 1191. Nel 1187, Manfredi impegna i suoi diritti sulla metà a lui spettante del contado di Loreto, al possesso del quale aspiravano gli Astigiani, per aver libera la via del mare. Iniziatasi, nel ‘91, la guerra di Asti contro Bonifacio di Monferrato, parteggiò dapprima con quel comune. Nel ‘94 trattò con Bonifazio per la cessione a lui di Loreto; ma gli Astigiani impedirono il baratto.
[imatge: CASTELLO DI LORETO.]
Tra il 1194 e il ‘96, doveva versare in gravi strettezze, se, il 3 di novembre del ‘96, faceva cessione a Bonifazio, per cinquecento once d’oro, di tutta la terra «quam» diceva «habeo, teneo et possideo in Lombardia»; cioè: «Castrum Dolliani cum burgo, cum villa, cum hominibus, cum vassallis, domiciliis, cum mancipiis, pascuis, pratis, agris, cultis et incultis, nemoribus, aquis, stratis, introytibus...».
Inoltre cedeva tutta la sua parte del contado di Loreto «et partem totam castri et ville Burgi Sancti Stephani et Coxani et Rochete et de Favreis» e tutta «aliam terram meam excepto Bozolasco et Niella et Recisio et Boves». Bonifacio rendeva, nell’atto stesso, a Manfredi questi territori in feudo diretto, con la condizione che, dopo la morte dell’investito, ritornassero a lui e a’ suoi eredi. (Cod. Ast., II, p. 119). Così il Lancia, da possessore libero di una estesa e ricca regione, si riduceva al rango di vassallo. Fu questo il colpo più grave alle sue condizioni economiche. Le quali non punto migliorarono quindinnanzi, ma andarono sempre peggiorando. Nel ‘98 fu fatto prigioniero dagli Astigiani e dagli Alessandrini e considerato come ribelle al Comune. A un accordo con Asti venne nel 1206; (v. più oltre Pos ubert ai).
Lo scambio di cobbole tra lui e P. V. sarebbe avvenuto tra il 1181 e il 1190, secondo il MERKEL, p. 20. Ma il MERKEL aveva ritenuto per certo che il trovadore avesse attraversato il Piemonte entro quegli anni, reduce da un viaggio a Cipro, di cui è cenno in una delle redazioni della sua biografia provenzale, e che il BARTSCH, P. V.’s L., p. VII e lo SCHULTZ-GORA, in Zeitschr., 1883, p. 187, pongono avanti il 1190. Ora, senza entrare nella questione della maggiore o minore veridicità del racconto di quel viaggio in Oriente (che sarebbe stato il primo del trovadore, avendone questi compiuto un secondo con Riccardo Cuor di Leone), sta di fatto che né l’autore della biografia, né i critici moderni accennano all’aver egli attraversato il Piemonte nel viaggio di ritorno. In Piemonte, P. V. fu certamente, come s’ è visto a p. 44 nota, nel 1195; vi fu, assai probabilmente, nella seconda metà del 1196, di ritorno all’Ungheria. È nell’uno o nell’altro di questi anni che seguí il suo urto col marchese Lancia ovvero più tardi?
Il MERKEL scorgeva ne’ vv. 19-21, un’ allusione a’ debiti che il marchese andava contraendo per sostenere la lotta contro Asti. Credo però che sia più nel giusto il TORRACA, P. V. in Italia, p. 219, quando vi scorge una allusione alle più gravi condizioni in cui dové dibattersi il marchese posteriormente. Invero le parole del poeta trovano perfetta rispondenza ne’ fatti del 1196, allorché egli fu costretto a spogliarsi di quasi tutta la sua eredità e a dichiararsi vassallo del marchese del Monferrato. Fu quello veramente un momento in cui poteva dirsi che da «franc» il Lancia divenisse «sers». Che se l’atto definitivo della cessione fu rogato solo il 3 novembre, esso fu senza dubbio preceduto da trattative e cessioni provvisorie, per cui il Lancia, povero e, secondo P. V., dissennato, poteva assomigliarsi a una vecchia venditrice di galline e di capponi.
Senonché P. V. sparla di M., e più ferocemente, anche in Pos ubert (v. più oltre), poesia composta nel 1206, e li pure allude alla miseria in cui era caduto il Marchese, e alle cessioni dei suoi beni. Di guisa che si resta incerti se la tenzone sia proprio del 1195 e non del 1206. Sopra di che può vedersi il mio articolo in Studi Medievali, N. S., III, p. 79.
Il testo della singolare corrispondenza poetica non ci è pervenuto, probabilmente, intiero. Essa è provocata dal marchese, il quale prende a dileggiare il trovadore, sia perché questi si fa chiamare imperatore, sia perché vanta valore guerresco e qualità di poeta. Credo non sia necessario pensare essere state le parole del Lancia ispirate unicamente dall’essersi P. V. detto precedentemente «Emperaire dels Genoes» (v. BERTONI, in Gior. stor., LXV, 45), né dall’essersi spacciato per erede del trono Bizantino, come narra la biografia; (v. Estat ai). Il sarcasmo del Lancia può essere stato provocato insieme dall’una e dall’altra vanteria, la scritta e la verbale. Le poesie di P. V., divulgate, potevan ben dare appiglio, a chi avesse voluto, di fingere di prenderle sul serio, mentre il suo carattere personale lo portava alla millanteria anche in fatto di armi. Si cf., più in là, Pos ubert ai.