CLXXXVIII.
IGNOTO
Testo di L (unico); restituz. di A. Thomas, in Annales du Midi, I (1889), p. 190 sgg. I vv. 49–120 anche in Bartsch, Chrestom. Provenz.3 col, 291–2. La prima pagina del codice è assai sbiadita, e al Bartsch e al Thomas non riescì di leggerne che pochi versi, essendo stato loro vietato l’uso del reagente. Tale divieto essendo stato cortesemente tolto per me, mi fu possibile leggerne dippiú, riducendo notevolmente il numero delle lacune. Ediz. diplom. in M. Pelaez, Il Canzon. Prov. L., p. 19.
CLXXXVIII. Pongo qui, in coda alle poesie del sec. XIII, questo poemetto intitolato il Castello d’Amore. L’A. vi descrive un castello fantastico, abitato da donne dedite all’amore, al quale non accedono e non sono ammessi se non gli amatori, e ciò punto facilmente. Lo assaltano i mariti gelosi e i «lausengier», ma ne sono respinti. Gli elementi costruttivi dell’edificio sono allegorici e allegoriche altresi le armi. Non è questo il luogo di studiare un cosí fatto componimento in relazione con la letteratura congenere, che, tanto in Provenza quanto altrove, andava preparando quella celebre composizione che è il Roman de la Rose. Ricorderemo come alla descrizione del «palazzo d’Amore» è dedicata una stanza di una canzone di Guiraut de Calansó (BARTSCH, Chrest. Prov.3, col. 163), e una parte di un poema anonimo La Corte d’Amore, che io credo scritto in Italia. Il testo è pieno di italianismi (per es. «qest» per «aquest», «us» per «uis» = usci, «negosan» = negoziante, «spaven» per «esp.-», «ensir», dial., per «eissir»), e ciò ha indotto giustamente il THOMAS a pensare a un autore italiano. A rinforzo di tale ipotesi posso addurre un altro argomento. Come lo stesso THOMAS ha osservato, la forma metrica del com ponimento (aaaaab) (bbbbbc) (cccccd...), benché non ripugnante alle consuetudini trobadoriche, tuttavia non la si riscontra altrove nella letteratura Provenzale. D’altronde, dato il soggetto del Chastel d’Amors, un poeta provenzale, come un francese, l’avrebbe quasi sicuramente trattato in versi ottosillabi accoppiati. Or si trova che quella forma è propria della poesia giullaresca d’Italia: ne abbiamo esempi del XIII secolo, provenienti dall’Umbria e dalla Toscana meridionale (v. le mie Rime giullaresche e popolari d’Italia, Prefazione). Il poemetto ci è pervenuto purtroppo frammentario. Tuttavia quel che se ne serba giova sufficientemente a dare un’idea del suo carattere. Esso non avrebbe che un valore puramente letterario, ove non ci fossero elementi i quali fanno pensare aver l’autore tratta l’ispirazione da consuetudini di vita reale, non diversamente che Rambaldo di Vaqueiras per il Carroccio e Guglielmo de la Tor per la Treva. Il fatto è che «castelli d’amore», abitati esclusivamente da donne e a cui i cavalieri solevano dare assalto, si costruivano realmente nelle nostre piazze, per pubblico divertimento. ROLANDINO ha lasciato una diffusa descrizione di quello costruito in Treviso nel 1214: «Factum est enim ludricum quoddam castrum, in quo posite sunt domne cum virginibus sive domicellabus et servitricibus eundarum, que sine alicuius viri auxilio castrum prudentissime defenderunt. Fuit eciam castrum talibus municionibus undique premunitum: scilicet variis et griseis et cendatis, purpuris, samitis et ricellis, scarlatis et baldachinis et armerinis. Quid de coronis aureis, cura grisolitis et iacintis, topaciis et amaragdis, piropis et margaritis omnisque generis ornamentis, quibus domnarum capita tuta forent ab impetu pugnatorum? Ipsum quoque castrum debuit expugnari et expugnatum fuit huiuscemodi talis et instrumentis: pomis, datalis et muscatis, tortellis, piris et coctanis, rosis, liliis et violis» &c. (Cron. Marchie Trivixane, p. 25). Circa la probabile diffusione del Chastel d’Amors nell’Oriente bizantino, veggasi K. KRÜMBACHER, Geschichte der Byzantinischen Litteratur (München, Beck, 1891), p. 442.
[IMATGE: v. II, p. 308]