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Vatteroni, Sergio. Ancora sulle fonti provenzali della sestina di Dante (con una nuova edizione di "Ar es lo mont[ç] vermelltç e vertç" di Gaucelm Faidit, BdT 167,10. "Studi Mediolatini e Volgari", 37 (1991), pp. 169-177.

167,010- Gaucelm Faidit

 

Ancora sulle fonti provenzali della sestina di Dante (con una nuova edizione di Ar es lo mont[ç] vermelltç e vertç di Gaucelm Faidit, BdT 167, 10)

 

1. In una nota ai vv. 34-35 della sestina Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra avevo segnalato la possibilità che al v. 35 Dante si fosse ricordato, oltre che di Daniele 4,22, anche di un antico costume germanico, italico e slavo (1); posso ora aggiungere un nuovo riscontro trobadorico da BdT 323,1 Abans qe·il blanc puoi sion vert, un componimento poco noto, nonostante la larga diffusione nei canzonieri, recentemente pubblicato da Pietro Beltrami (2). Il testo è conservato da quattordici manoscritti, nei quali è attribuito sia a Peire D'Alvernhe che a Giraut de Bornelh, trovatori entrambi noti a Dante (solo il florilegio di Ferrarino da Ferrara (3), siglato Dc, che ne copia una sola cobla, lo assegna a Peire Rogier) (4). Si confrontino i vv. 34-35 della sestina (5):

 
[...] che mi torrei dormire in petra
tutto il mio tempo e gir pascendo l'erba
 

coi vv. 36-38 del componimento provenzale:

 
Ben sap far paisser erba vert
femna qe·l marit encrima
per son avol faig tener nec
 

(«Ben sa dar da mangiare erba verde donna che accusa il marito per nascondere la sua colpa»). La coincidenza è, come si vede, solo formale: nel testo occitanico si tratta di una donna che, dopo aver ingannato il marito e generato figli bastardi, lo accusa per nascondere la propria colpa, mostrando così di sapergli «dar da mangiare erba verde», cioè di sapersi prendere gioco di lui. L'espressione, che non pare altrimenti attestata in provenzale, è da confrontare col francese antico faire paistre herbe «jem. zum Narren halten, betrügen» (6). Il contatto potrebbe ritenersi del tutto casuale se la sestina non esibisse un'altra vistosa ripresa del testo provenzale. I vv. 2 e 10-11:

 
son giunto, lasso, ed al bianchir de' colli
 
il dolce tempo che riscalda i colli,
e che li fa tornar di bianco in verde
 

richiamano l'incipit di BdT 323,1:

 
Abans qe·il blanc puoi sion vert
 

(«Prima che i bianchi poggi siano verdi»): l'analogia coinvolge un sintagma in rima, in entrambi i casi funzionale alla determinazione stagionale (i colli che da bianchi si fanno verdi (7)).

 

2. Il componimento attribuibile a Peire d'Alvernhe rientra dunque nel piccolo gruppo di liriche provenzali di cui Dante si mostra debitore nella sestina, affiancandosi all'altra e più famosa canzone del trovatore alverniate, Deiosta·ls breus iorns e·ls loncs sers (8) Un'ulteriore prova della conoscenza dantesca del componimento (9) è il fatto che nella prima canzone petrosa, Io son venuto al punto de la rota, la designazione perifrastica della primavera, in posizione in rima (v. 31):

 
e li altri han posto a le lor voci triegue
per non sonarle infino al tempo verde
 

è la stessa del testo provenzale (v. 8):

 
per so·m plagra qu'en lo temps vert.
 

Si deve tenere presente, infine, che anche nella probabile fonte verde è parola-rima che ritorna in tutte le coblas: una circostanza che acquista qualche peso se consideriamo che l'aggettivo vert, relativamente ben rappresentato nella poesia dei trovatori, soprattutto nel cosiddetto esordio stagionale (10), è però estremamente raro in posizione di rima. Tra le poesie che presentano rime in -ért ed -értz (11), il lessema vert compare in rima, oltre che in Abans qe·il blanc puoi sion vert, soltanto nel vers Ar es lo mont[ç] vermelltç e vertç di Gaucelm Faidit. Il componimento, di cui si dà qui sotto una nuova edizione (12), è unicum di T (13) e rientra in un gruppetto di testi per Raimon d'Agout in parte caratterizzati dall'impiego di rimas caras, forse per influenza di Raimbaut d'Aurenga. Benché non faccia parte della tradizione cui si fa risalire il canzoniere utilizzato da Dante, T poteva essergli noto (14), e il vers di Gaucelm Faidit lì contenuto avrebbe potuto interessarlo per la struttura metrica, abbastanza vicina a quella della sestina. Anche questo secondo componimento si apre con l'immagine di un colle verde, ma a parte coincidenze puntuali di questo tipo, che possono essere favorite dall'identità della situazione 'stagionale', è assai significativo che i due testi provenzali qui considerati siano i soli, tra quelli a noi noti, a portare in rima la parola vert, ripetuta in tutte le coblas in Abans qe·il blanc puoi, in tre coblas su sette in Ar es lo mont[ç]; per di più, come nella sestina, l'aggettivo compare in contesti non puramente naturalistici, ed è piegato ad usi metaforici e perifrastici. Ciò autorizza a considerare le due liriche i probabili modelli per l'impiego da parte di Dante della parola-rima verde, quel fantasma stagionale (15) che collega la quarta strofe di Io son venuto al punto de la rota con Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra (16). Un altro tratto che accomuna Ar es lo mont[ç] con la sestina è la relazione oppositiva tra il verde e la totale assenza di luce (quindi il colore): nero, oscurità, ombra. In Gaucelm Faidit come in Dante l'opposizione è localizzata nella prima strofa:

 
Ar es lo mont[ç] vermelltç e vertç
e de mantas colors cubertç,
he rema·l brun'aura negra
 
Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra
son giunto, lasso, ed al bianchir de' colli,
quando si perde lo color ne l'erba:
e 'l mio disio però non cangia il verde.
 

Com'è stato notato, nella serie dei «rather obvious and not discordant contrasts: donna-petra, erba-colli, verde-ombra», almeno una delle «antinomies is not as obvious as it seems at first glance. The simplest opposite of "green" would be "white", the color of winter versus the color of spring; and inside the lines, this opposition is exploited, as is the other easy contrast of "light" and "shade"» (17). In realtà, nella sestina il verde è contrapposto non solo all'oscurità dell'ombra, ma anche al bianco, ed eccelle sopra i due contrari, proprio come il verde dello smeraldo, «invincibile ed immutabile alla luce del sole come a quella della lucerna ed egualmente nell'oscurità ("neque sol mutat nec clara lucerna nec umbrae")» (18). Che l'opposizione verde/ombra sia tutt'altro che banale lo dimostra, per contrasto, l'altissima frequenza nella lirica italiana dell'altra topica polarità di chiarore/oscurità (19). La correlazione oppositiva oscurità/verde è invece estremamente rara, potendosi ravvisare, oltre che nella sestina, solo in due sonetti di Cino da Pistoia, uno dei quali è indirizzato a Dante (Novelle non di ventate ignude, 14 «come si dee mutar lo scuro in verde». Novellamente Amor mi giura e dice, 14 «che peggio che lo scur non mi sia 'l verde») (20).

 

 

Metrica: 7 coblas unissonans di sette versi, più una tornada, di tre versi:

 

a8 b8 c7' d8 e8 f7' g8

 

(I. Frank, Répertoire métrique de la poésie des troubadours, 2 voll., Paris 1953-57, 875: 4). Le parole-rima della IV cobla ripetono quelle della I, quelle della V ripetono quelle della II e quelle della VI ripetono quelle della III. Nella cobla VII le parole-rima riprendono, nell'ordine, quelle del primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto verso delle coblas I-VI, mentre la settima è uguale all'ultima della cobla I. Nella tornada abbiamo desplec, mogra, venc, cioè le parole-rima che si trovano in quinta, sesta, settima posizione sia nella prima che nella seconda terna di coblas (cfr. D. Billy, L'architecture lyrique médiévale. Analyse métrique et modélisation des structures interstrophiques dans la poésie lyrique des troubadours et des trouveres, Montpellier, 1989, p. 209).

 

Note

(1) V. «Rivista di letteratura italiana», IX (1991), p. 56. ()

(2) P.G. Beltrami, «Er auziretz» di Giraut de Bomelh e «Abans qe·il blanc puoi» di autore incerto: note sulla rima dei trovatori, in corso di stampa in «Cultura neolatina». La sigla BdT vale Bibliographie der Trobadours, von Dr. A. Pillet ergänzt, weitergeführt und herausgegeben von Dr. H. Carstens, Halle (Saale) 1933. ()

(3) Su cui cfr. M.L. Meneghetti, Il florilegio trobadorico di Ferrarino da Ferrara, in «Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea», Modena 1989, III, pp. 853-871, con indicazione della precedente bibliografia. ()

(4) Fino ad oggi il testo era stato edito criticamente solo da C. Appel, Das Leben und die Lieder des Trobadors Peire Rogier, Berlin 1882, p. 97; in seguito non era stato più ripubblicato né dagli editori di Peire (Zenker, Del Monte), né da quelli di Giraut (Kolsen, Sharman). ()

(5) Cito da Dante Alighieri, Rime, a cura di G. Contini, Torino 1970. ()

(6) A. Tobler-E. Lommatzsch, Altfranzösisches Wörterbuch, Berlin (poi Wiesbaden) 1925-, s.v. erbe. ()

(7) Secondo M. Perugi, Arnaut Daniel in Dante, in «Studi danteschi», LI (1978), pp. 59-152 a p. 78, il v. 11 «e che li fa tornar di bianco in verde» riecheggia Arnaut XI 34 «devenc sovent ners e blans» (Le canzoni di Arnaut Daniel, edizione critica a cura di M. Perugi, tomo II, Milano-Napoli 1978; e si noti che al posto di ners «una fetta della tradizione ha vertz»). ()

(8) I contatti tra i due testi sono studiati da A. Pulega, Modelli trobadorici nella sestina dantesca: esercizi di lettura, in «ACME», XXXI (1978), pp. 261-328, alle pp. 293-298. ()

(9) Dante lo avrà creduto probabilmente opera di Peire d'Alvernhe; a questo trovatore è infatti attribuito nei codici ADIK, i più vicini all'ipotetico canzoniere provenzale da lui usato (sulla questione si veda la sintesi di P.V. Mengaldo in Enciclopedia Dantesca, 6 voll., Roma 1970-1978, alla voce Oc). Come Pietro Beltrami (art. cit. ) e Maria Luisa Meneghetti (Il florilegio cit, p. 855), anch'io ritengo che l'attribuzione a Peire d'Alvernhe (oltre che in ADIK anche in BENN2T e nel Register di C, contro Dc Peire Rogier e CQRSga Guiraut de Bornelh) sia la più probabile: alla forte motivazione addotta da Beltrami aggiungerei un rilievo di carattere intertestuale relativo ad un particolare stilema: il primo verso Abans qe·il blanc puoi sion vert ha in comune con la famosa canzone Deiosta·ls breus iorns e·ls loncs sers (Peire d'Alvernha, Liriche, a cura di A. Del Monte, Torino 1955, VII) l'accostamento inusuale di verde e bianco (48-49: «dompneis d'amor, q'en lieis s'espan e creis, / plens de dousor, vertz e blancs, cum es nics»). ()

(10) Su cui v. D. Scheludko, Zum Geschichte des Natureingangs bei den Trobadors, in «Zeitschrift für französische Sprache und Literatur», LX (1935-1937), pp. 257-334 e, da ultimo, E.M. Ghil, The Seasonal Topos in the Old Provençal canzo: A Reassessment, in « Studia Occitanica in memoriam Paul Remy», 2 voll., Kalamazoo (Michigan) 1986, I, pp. 87-99. ()

(11) Sei componimenti con -ért : BdT 323,1; 323,16 (Peire d'Alvernha, Liriche cit., XVIII); 376,2 (Ponz Fabre d'Uzes, ed. in Provenzalische Inedita aus Pariser Handschriften, herausgegeben von C. Appel, Leipzig 1890, p. 254); 404,13 (Il trovatore Raimon Jordan. Edizione critica a cura di S. Asperti, Modena 1990, XIII); 411,3 (J.H. Marshall, La chanson provençale Entre·l taur e·l doble signe (BdT 411,3): une dix-neuvième chanson d'Arnaut Daniel?, in «Romania», XC (1969), pp. 548-558, pubblicata anche in The Poetry of Arnaut Daniel, edited and translated by J.J. Wilhelm, New York-London 1981, 19); 156,6 (R. Arveiller-G. Gouiran, L'oeuvre poétique de Falquet de Romans troubadour, Aix-en-Provence 1987 [«Senefiance» 23], VI); un componimento con -értz: 167,10 (Gaucelm Faidit: cfr. qui sotto). ()

(12) Quella di J. Mouzat, Les poèmes de Gaucelm Faidit. Troubadour du XIIe Siècle, Paris 1965, 21, è sfigurata da diversi errori nel testo e nell'interpretazione. ()

(13) Cfr. G. Brunetti, Sul canzoniere provenzale T (Parigi, Bibl. Nat. F. fr. 15211), in «Cultura neolatina», L (1990), pp. 45-73. ()

(14) Cfr. Perugi, Arnaut Daniel in Dante cit, pp. 127-129, dove si dimostra la conoscenza dantesca di un componimento di Guillem de Berguedà unicum di T. ()

(15) L'espressione è di Contini, commento alla citata ed. delle Rime, p. 150. ()

(16) Nella lirica italiana trovo una attestazione in rima di verde in Guittone, O tu, de nome Amor, guerra de fatto, 55-56 «e gire ove receve / morte, talor sembra·i tornar più verde» (Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, 2 voll., Milano-Napoli 1960, I, p. 218). Per il v. 4 della sestina, «e ‘l mio disio però non cangia il verde», cfr. Bonagiunta, Avegna che partensa, 57 «como la uliva non cangia verdura» (Rimatori siculo-toscani del Dugento. I Rimatori pistoiesi lucchesi pisani, a cura di G. Zaccagnini e A. Parducci, Bari, 1915, p. 49) Un altro verso di Ar es lo mont[ç], «Si fera, que·l gioi[s] es trop verç» (43) risuona nel v. 9 della canzone di Meo Abbracciavacca Sovente aggio pensato di tacere: «ch'ard'e consumma di gioi' la verdura» (Contini, Poeti del Duecento cit., I, p. 338). ()

(17) L.A. Fiedler, Green thoughts in a green shade: reflections on the stony sestina of Dante Alighieri, in «The Kenyon Review», XVIII (1956), pp. 238-262, p. 248; cfr. anche Pulega, Modelli trobadorici nella sestina dantesca cit., p. 227 nota 62. L'opposizione bianco/verde si trova al v. 11 «e che li fa tornar di bianco in verde»; il contrasto luce/ombra al v. 23 «e dal suo lume non mi può far ombra». ()

(18) V. Bertolucci, Gli smeraldi di Beatrice, in «Studi mediolatini e volgari», XVII (1969), pp. 7-16, ora in Morfologie del testo medievale, Bologna, 1989, pp. 199-207, p. 202. La medietà del colore verde è del resto riconosciuta dall'estetica medievale: per Guglielmo d'Auvergne il verde «tient le juste milieu et correspond à l'équilibre parfait de la fonction visuelle: "Il se trouve en effet entre le blanc qui dilate l'oeil et le noir qui le contracte"» (E. de Bruyne, Etudes d'esthétique médiévale, 3 voll., Bruges, 1946, III, p. 86). Sulla viriditas nella mistica e nella poesia mediolatine, con particolare riguardo a Ildegarda di Bingen, è fondamentale P. Dronke, Tradition and Innovation in medieval Western Colour-Imagery, in «Eranos Jahrbuch», XLI (1972), pp. 51-107, alle pp. 77-88. ()

(19) La polarità clardat/ombra è già della lirica provenzale, cfr. ad es. Alegret, Ara pareisson ll'aubre sec, 1-3 «Ara pareisson ll'aubre sec / E brunisson li elemen, / E vai li clardatz del temps gen» (Jongleurs et troubadours gascons des XIIe et XIIIe siècles. Materiaux édités par A. Jeanroy, Paris 1923, p. 6); Gavaudan, VII 35-36 «Ben laissa clardat per ombra / Selh que vas son dan s'alarca», ed anche VI 29 (S. Guida, Il trovatore Gavaudan, Modena 1979; per il «tempo scuro» che torna chiaro vd. Gaucelm Faidit nella cit. ed. di Mouzat, 35,1-2). Per la lirica italiana cfr., dai cit. Poeti del Duecento di Contini, Giacomo da Lentini, A l'aire claro 1-2 «A l'aire claro ho vista plog[g]ia dare, / ed a lo scuro rendere clarore» (I 78); Bonagiunta, Fina consideransa 24 «corno lo scuro inver' [de] la lumera» (I 264, e vd. dello stesso, presso Guinizelli, II 481, Voi, ch'avete mutata la mainera 5-6 «avete fatto como la lumera, / ch'a le scure partite dà sprendore»); Lunardo del Guallacca. Si come 'lpescio al lasso 49 «La chiar’aire fu scura» (I 291); Meo Abbracciavacca, tenzone con Dotto Reali 1,1 «A scuro loco conven lume clero» (I 374); Chiaro Davanzali, La splendïente luce 1-2 «La splendïente luce, quando apare, / in ogne scura parte dà chiarore» (I 428); Monte Andrea, Sì come i marinar' guida la stella 9-10 «ché troppo è scura la mia vita e fella / a gir, se vostra lumera non ag[g]io» (I 466); Guinizelli, Gentil donzella, di pregio nomata 9-11 «che 'l vostro viso dà sì gran lumera / che non è donna ch'aggia in sé beltate / ch'a voi davante non s'ascuri in cera» (II 474); Dino Frescobaldi, Voi che piangete 3 «come la luce nella parte oscura» (II 621 ). Cfr. anche A. Marin, Le rime in Inghilfredi, Firenze 1978, II 47-50 e la nota alle pp. 95-96; Le rimedi Panuccio del Bagno, a cura di F. Brambilla Ageno, Firenze 1977, V 61-66, VIa 57-59 e la nota a p. 45, VIb (Meo Abbracciavacca) 49-51, XIIIb 56, XIXa 5-8, XXII 4-6; Chiaro Davanzati, Rime, ed. critica con commento e glossario a cura di A. Menichetti, Bologna 1965, canzone IX 33-34 e la nota. ()

(20) II fatto è significativo, poiché sul contrasto tra bianco e nero, oltre che sull'emblematica insistenza su toni oscuri e luttuosi, è costruita una piccola ma non trascurabile porzione del canzoniere di Cino. Per il contrasto bianco/nero cfr. A. Pézard, "De passione in passionem", in «L'Alighieri», I (1960), pp. 14-26, pp. 19-23; vd. inoltre i sonetti per la donna «scura», velata, in Poeti del Dolce stil nuovo, a cura di M. Marti, Firenze 1969, Cino da Pistoia CXII-CXVII (nonché CIV 13-14; CXXII 12; C 14 e nota; ed infine il rimario, pp. 1029 ss., per «oscura», «scura», «bianco», «bianchi» in rima). I due sonetti di Cino sono stati posti in relazione con la sestina; al proposito si veda Dante Alighieri, Rime della maturità e dell'esilio, a cura di M. Barbi e V. Pernicone, Firenze 1969, pp.520-530; Contini, ed. cit. delle Rime di Dante, pp. 137-138, nonché le voci Cino da Pistoia e I'ho veduto già senza radice della cit. Enciclopedia Dantesca. ()

 

 

 

 

 

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