Longa sazon ai estat vas Amorè un testo abbastanza singolare nella produzione lirica trobadorica: esempio tipico ma letterariamente pregevole di comjat che dichiara con ampiezza di motivazioni, fra le quali spicca il riferimento al codice feudale (1), l’abbandono del servizio a una dama, la canzone è stata presa a modello da Iacopo Mostacci per l’unica chanson de change siciliana (2), Umile core e fino e amoroso. Essa è inoltre al centro di una complessa questione attributiva, a partire dalle nove diverse indicazioni di paternità che si trovano nei quattordici testimoni che l’attestano.
A questa interessante situazione corrisponde uno stato editoriale del tutto insoddisfacente. Dopo essere stato inserito da Raynouard nel terzo volume del suo Choix des poésies originales des troubadours (1818), il testo è stato edito da Max von Napolski fra le poesie apocrife attribuite a Pons de Capduelh (1879) e quasi un secolo dopo da Jean Mouzat fra le poesie di Gaucelm Faidit (1965): due edizioni, quelle di Napolski e Mouzat, oltre che invecchiate (la seconda non meno della prima), del tutto inadeguate nel metodo e nei risultati. A valutare la prima basteranno alcune frasi di un compte-rendu di Paul Meyer:
On ne peut pas rendre compte longuement d’un travail où tout est à refaire. [...] Les textes de M. de N. sont constitués d’une façon si arbitraire qu’il n’y a même pas lieu de les examiner. [...] L’auteur nous apprend en terminant que M. Stengel a bien voulu l’aider dans ses recherches et revoir les épreuves de son travail. Le meilleur service à rendre à M. de Napolski était de lui démontrer que son édition avait tout à gagner à rester inédite (3).
Quanto alla seconda, così la descrive Sergio Vatteroni:
[L’ed. Mouzat] generalmente non dà conto delle scelte testuali adottate, ed appare sostanzialmente bédieriana, di un bédierismo tuttavia sui generis, poiché concede largo spazio alla congettura e persino alla riscrittura di interi versi (4).
Nella fattispecie, Mouzat si limita a stampare il testo del ms. A, corredando l’edizione di un apparato completo quanto inutile; se a ciò si aggiunge che l’ultimo editore del testo, J. Zemp (1978), riproduce l’edizione Mouzat con numerose «retouches» che sono in larga parte ripristini delle lezioni di Napolski e che nessuno degli editori giustifica le proprie scelte editoriali, si comprenderà l’esigenza di una nuova edizione del componimento.
Era inoltre necessario fornire un testo affidabile (e, si vedrà, omogeneo alla tradizione cui ha attinto Iacopo Mostacci) e soprattutto ampi dati sulla varia lectio della canzone agli studiosi della poesia federiciana e dei rapporti fra i Siciliani e i loro modelli provenzali (5), e in particolare al nuovo editore del corpus poetico del Mostacci (6).
Non può invece trovare soluzione in questa sede il problema della paternità, la cui portata pare andare oltre la mera attribuzione del componimento per coinvolgere questioni più generali di storia della tradizione, in particolare legate alla prima diffusione della lirica trobadorica. Mi limito qui ad offrire i dati ricavabili dall’esame delle testimonianze e della bibliografia, e a fare qualche osservazione.
Si è detto che le indicazioni di paternità sono ben nove: [1] Jordan de l’Isla de Venessi (BdT n° 276) in AD, che già Meyer 1871, p. 149, n. 1 identifica con [2] l’Escudier de la ylha a cui R assegna la poesia (7); [3] Peire de Maensac (BdT n° 348) in IK (8); [4] Rostaing demerges (= Rostanh de Merguas, BdT n° 428) in Dc. [5] Cadenet (BdT n° 106) in CMTf, a cui l’assegnano Raynouard nello Choix, III, pp. 245-46 e, con qualche cautela, Zemp 1978, pp. 381-88 che mette in dubbio lo stringato responso di Appel, fondato su valutazioni stilistiche:
Eine bestimmte Entscheidung über den Verfasser des Liedes wird schwer zu treffen sein; ich erkenne aber weder in seinem Inhalt noch in seiner ganzen Art etwas, was Ansprüche Cadenets stützen könnte. Wem das Gedicht gehört, mag hier dahin gestellt bleiben. Unter diejenigen unseres Trobadors haben wir keine Veranlassung es aufzunehmen (9).
Per Zemp invece «l’auteur de la présente chanson fait ressortir certaines caractéristiques stylistiques, qui, si elles ne sont pas valable pour prouver la paternité de Cadenet, situent du moins le texte dans les lignes principales qui sont celles de la poésie de Cadenet» (10). Contesta la decisione di Zemp, ma senza fornire argomenti, Urlich Mölk nella recensione all’edizione (11). Pare invece accettarla, ma per esigenze pratiche, Antonelli 1999 [ma 1980], se a p. 56 può parlare del verso «12 di Cadenet» e dichiarare poco oltre di «aver sottoposto la tradizione manoscritta di Folquet e di Cadenet ad un taglio per così dire “trasversale”» (corsivi miei): oggetto dello studio di Antonelli è infatti la traduzione di Iacopo Mostacci, e il Mostacci attinge alla tradizione rappresentata da T e f, che appunto assegna il testo a Cadenet (12).
La situazione di f è tuttavia più complessa: com’è normale in un codice appartenente alla categoria gröberiana dei Zusammengesetztze Handschriften (13), i testi attribuiti a Cadenet non sono raggruppati; fra le attuali cc. 36v e 37v si trovano tre poesie assegnate al trovatore separate l’una dall’altra da un componimento con rubrica diversa:
.xxx. CADANET Ai com dona ric corage (BdT 106,2) (14)
.xxxi. DEAUDE DE PRADAS Dome fol ni desconoisen (BdT 461,86) (15)
[lacuna di una carta]
.xxxij. EN CADANET Longa sazons ay estat uas amor (BdT 276,1)
.xxxiij. P. VIDAL Can homs honrats torna en gran paupriera (BdT 364,40)
.xxxiiij. EN CADANET Non sai cal conseilh mi prenda (BdT 106,17)
Stefano Asperti ha fatto notare che già dallo studio di Meyer 1871, p. 149, n. 3 si poteva ricavare che quest’ultimo testo, BdT 106,17, era stato in un primo tempo attribuito a Rostan de Melies; ha inoltre sottolineato che ad esso segue uno scambio di coblas fra Hugo de moensac, cioè Uc de Maensac, e Peire Cardenal, 453,1 (=335,23) En Peire, per mon chantar bel (16), per concludere: «Non si possono trarre conclusioni da questa apparizione quasi simultanea in f di un “Maensac” e di “Rostan de Melias”; si ha però l’impressione di trovarsi di fronte ad un punto davvero critico (forse quasi decisivo) nella tradizione manoscritta dei trovatori» (Asperti 1995, p. 92 in nota) (17).
Attribuzione molteplice anche nella prima delle due tavole dei testi copiati nel manoscritto che si trova all’inizio di C (18), dove a margine dell’incipit, elencato fra i testi assegnati a Cadenet dalle rubriche del codice, si leggono i nomi di Rostanh de Mergas (attribuzione di Dc) e dell’escudier de la ylha (attribuizione di R): trascrivo per chiarezza l’intero indice della sezione dedicata a Cadenet (cc. 6v-7r di t ¹) (19):
Lonia sazo ay estat uas amor|| Rostanh de mergas / Escudier de la ylha
276,1
Sieu hueymays deras enan
106,21
Rostanh de Merguas, oltre che dalle attribuzioni di Longa sazon, è noto per una canzone tràdita dal solo ms. C (c. 361v; ed. Appel 1890, p. 301) che nella tavola presenta a sua volta un’attribuzione alternativa (t ¹ 15v):
Tre attribuzioni pure in H, dove Longa sazon segue un gruppo di poesie di Sordello e in origine era priva di rubrica: secondo Careri 1990, p. 130, n. 10 il compilatore del canzoniere la riteneva di [6] Sordello (BdT n° 437); la mano chiamata 1b da Careri aggiunge la rubrica Peire de maensac in séguito a una collazione con un manoscritto appartenente alla tradizione di IK (collazione che ha lasciato tracce nel componimento, come si vedrà nella Nota al testo), quindi la mano 2 aggiunge l’attribuzione a Rostan de melies (22).
Le attribuzioni di gran parte dei testimoni dunque ruotano su quattro nomi (Jordan de l’Isla de Venessi, Rostaing de Mergas, Peire de Maensac e Cadenet); rubriche estravaganti sono quelle di a che propone [7] Pons de Capduelh (BdT n° 375) e di P che lo ascrive a un [8] gauselm poiché, secondo Mouzat, Longa sazon è «une assez adroite imitation de Gaucelm Faidit» (23). Ancora diversa la situazione di N, dove il testo privo di rubrica (oltre che di lettere capitali a inizio cobla) segue due componimenti di [9] Peire Raimon de Tolosa, 355,5 Atressi cum la candela e 355,9 No·m puosc sufrir d’una leu chanson faire, anch’essi adespoti ma altrove attribuiti quasi unanimemente al trovatore di Tolosa (24). Longa sazon appare quindi inserita, sebbene in posizione liminare, nella sezione di Peire (25). Andrà in primo luogo notato che la sezione immediatamente precedente (cc. 237v-240r) è proprio quella di Cadenet, e, in subordine, che l’assegnazione a Peire Raimon del testo potrebbe avere un rapporto col fatto che nella vida di Peire Raimon de Tolosa si legge al § 4 dell’ed. Boutière-Schutz: «Et estet en la cort del rei e del bon comte Raimon e d’En Guillem de Monpeslier, longa sason»: poiché longa sason è lezione dei soli IK e stante il rapporto di parentela fra IK e N dimostrato più sotto, non si può escludere che l’ascendente di N abbia avuto a disposizione la versione della vida oggi tràdita in IK e che la presenza del sintagma longa sason abbia indotto l’attribuzione a Peire; parallelamente l’attribuzione in IK di Longa sazon a Peire de Maensac ha un sicuro rapporto con la vida di questo trovatore attestata, come detto, solo nei due codici.
L’insieme delle circostanze sinora evidenziate suggerisce che la ricerca della chiave del “giallo attributivo” del componimento presuppone lo studio tradizione manoscritta di ciascun trovatore a cui il testo è stato assegnato e dei canali di alimentazione delle sezioni a loro dedicate nei canzonieri: la strada tracciata da Asperti – esame della posizione del testo nei singoli canzonieri in rapporto con l’organizzazione complessiva del codice e attenzione alla presenza e alle relazioni reciproche nei canzonieri dei poeti coinvolti nella questione – appare come la più proficua per tentare di risolvere la questione (26).
Scheda metrica. Lo schema è il n° 612:4 Frank 1953-57: cinque coblas unissonans di 8 décasyllabes con schema abbacdcd (a = or, b = an, c = atge, d = en) e una tornada di 4 vv. con schema regolare cdcd. Schema e rime si ritrovano in Raimon Gaucelm de Beziers, 401,2 ADieu done m’arma de bon’amor, il solo schema nel planh di Guiraut Riquier per Almarico IV di Narbona, 248,63 Ples de tristor, marritz e doloiros. I décasyllabes sono tutti a minore (cesura lirica ai vv. 6, 21, 41). I testimoni presentano tutti il medesimo ordine strofico, eccetto P che presenta un’inversione fra le coblas III e IV.
Nota al testo. La tradizione manoscritta di Longa sazon offre le condizioni per un’applicazione del metodo editoriale messo a punto nell’edizione delle poesie di Folchetto di Marsiglia (Squillacioti 1999): in assenza di lezioni erronee comuni all’intera tradizione ed essendo assai poche quelle comuni a gruppi di codici, si tratterà di tenere distinte le versioni del testo che lo studio della tradizione fa emergere, rinunciando a una prospettiva marcatamente ricostruttiva che produca untesto a favore di un’operazione di restauro conservativo della tradizione stessa. Lo strumento d’indagine è la tabella delle varianti adiafore riprodotta alla fine di questa Nota al testo, il risultato dell’indagine l’edizione di tre diverse versioni del componimento, due delle quali, edite più sotto in questa stessa Nota, sono considerabili ‘inferiori’ alla terza perché in varia misura innovative. Sulla terza si concentrano inoltre gli interventi ricostruttivi che pare lecito esercitare, stante la situazione della tradizione e gli strumenti a disposizione (27).
Dalla lettura della tabella si ricavano tre raggruppamenti di codici: α= ADHPa, β= CMRTf + Dc e γ= IKN (28): quest’ultimo gruppo si può anzi definire famiglia in senso stemmatico, stante l’ipometria (-1) al v. 9 (indotta dalla riduzione agut > tut [ut in N per omissione della capitale]); è evidentemente erroneo anche 25 quantDIKN (< quantus) in luogo di quan (< quando), e così 22 per soIK in luogo di pero ‘ma, tuttavia’ (cfr., pur nell’incertezza di lettura, la variante comunque avversativa mais di R). Passando al gruppo β non credo si possa dare valore congiuntivo all’ipometria (-1) in RT a v. 4, segnalata da Zemp 1978, p. 381, perché l’errore è poligenetico (lo osserva anche Antonelli 1999, p. 56): R legge quien, Tqen; se non erronea è certo deteriore la lezione 18 es (pres. indicativo) in DcT in luogo del futuro er. Non mi pare invece avere consistenza il presunto errore metrico in CT a v. 11 segnalato da Zemp 1978, p. 381 e indotto da dezerenan (in luogo di derenan): grazie alla riduzione no mi > nom il verso per que samor nom platz dezerenan è un perfetto décasyllabe, mentre la medesima riduzione rende ipometro il verso di Hper qe samors nom platz derenan. Non registro errori comuni a manoscritti del gruppo α: non è infatti ipometro, nonostante l’indicazione di Careri 1990, p. 187, il v. 13 in DHe partimen caissim venc dagradatge; sul partimen di H è intervenuta la mano che Careri chiama 1b a integrare ra in interlinea fra t e i, così da avere la stessa lezione di Aa: siccome partrai è lezione anche di IKNP e la studiosa dimostra che H è stato collazionato con un esemplare simile a IK, «è anche possibile che il copista abbia utilizzato questo secondo modello, giungendo, per economia d’intervento, a una soluzione analoga a quella di Aa» (Careri 1990, p. 187). Infatti alla mano 1b si deve, come s’è visto, l’aggiunta nella rubrica del nome d’autore Peire de maensac, attribuzione appunto proposta da IK; inoltre nell’interlineo dei vv. 11, 15, 27, 36 «sono visibili dei segni (somiglianti a una piccola e o crocetta obliqua), proprio in corrispondenza di lezioni di IKd (N), divergenti da quelle di H» (Careri 1990, p. 186, cui rimando per il confronto fra le lezioni).
Ai tre raggruppamenti corrispondono tre versioni del testo: i latori della versione α recano attribuzioni divergenti (Jordan de l’Isla de Venessi AD, Sordello / Peire de Maensac / Rostan de Melies H, gaucelmP, Pons de Capduelh a), ma la redazione non presenta problemi testuali, al punto che la sua scorrevolezza potrebbe essere messa in conto a quel processo di “ricodificazione” linguistica riscontrabile per alcuni testi nella tradizione veneta e messo in luce da Maurizio Perugi (29).
I tre testimoni della versione γ sono caratterizzati dall’attribuzione a Peire de Maensac (IK) e a Peire Raimon de Tolosa (N): in IK peraltro il componimento è preceduto da una vida del trovatore non altrimenti attestata (30):
(1) Peire de Maensac si fo d’Alverne, de la terra del Dalfin, paupres cavalliers; et ac un fraire que ac nom Austors de Maensac, et amdui foron trobador. (2) E foren amdui en concordi que l’uns d’els agues lo castel e l’autre agues lo trobar. (3) Lo castel ac Austors e·l trobar ac Peire; e trobava de la moiller d’En Bernart de Tierci.
(4) Tant cantet d’ella e tant la onret e la servi que la dompna se laisset furar ad el; e mena la en un castel del Dalfin d’Alverne. (5)E·l marritz la demendet molt com la Glesia e com gran guerra que·n fetz; e·l Dalfins lo mantenc, si que mais no·[i]ll la rendet.
(6) Fort fo adregs hom e de bel solatz; e fez avinenz cansos de sons e de motz, e bonas coblas de solatz.
Nei due manoscritti, di séguito a Longa sazon, si trova vergata la canzone Estat aurai de chantar, attribuita a Peire de Maensac anche in C (e in d), e assegnata invece a Gui d’Ussel in un’altra zona di I (c. 91v) e di K (c. 74v-75r), oltre che in GQa¹: a Audiau 1922, pp. 127-28 il testo di Estat aurai tramandato da IK con l’attribuzione a Peire da Maensac appare «une rédaction un peu différente» della canzone. Tale circostanza, insieme con le considerazioni generali sui componimenti trobadorici tràditi due volte nello stesso codice esposte da Giuseppina Brunetti al convegno messinese della S.I.F.R. (31), consentono agevolmente d’interpretare le marcate divergenze della versione γ (cfr. in partic. la col. 2 della tabella delle varianti adiafore e la col. 4 al v. 33) come il risultato di un processo innovativo al limite del rifacimento.
Il testo della versione α è fondato sul ms. A, di cui conservo anche le lectiones singulares 10 ad e 11 derenauan (altrimenti il verso risulta ipometro: un recupero a mio avviso più economico è nel testo critico); emendo invece l’inversione 36 ual mais.
Il testo della versione γ è fondato sul ms. I, con qualche minimo emendamento per lo più grafico: 5 dellei [IKN] → de lei; 5 corrage [I] → corage; 14 par [IK] → part; 17 delleis [IK] → de leis; 27 agraga [I] → agra; 30 maisī [I] → mais si·m; 37 con [I] → com (per uniformità); 40 tensos [I] → temses (da N; K legge tenses); 42 romaner [IK] → remaner. Inoltre al v. 29 la nasale finale nei due non è espressa in IK con un titulus: sullo scioglimento in -n del primo decide la forma piena non di N, l’altro è editoriale poiché anche N legge nō; infine al v. 31 l’opposizione con la lezione α sarebbe sostanziale se s’intedesse, più onerosamente, passon ‘passano’.
versione α
versione γ
I
1
Longa sazon ai estat vas Amor
Longa sason ai estat vas Amor
2
humils e francs, et ai faich son coman
humils e francs, et ai faich son coman
3
e tot qant puosc; et anc per nuill affan
en tot quan puec; que anc per nuill affan
4
q’ieu en sofris ni per nuilla dolor,
qu’eu en sofris ni per nuilla dolor,
5
de lieis amar non parti mon coratge
de lei amar non parti mon corage
6
a cui m’era rendutz de bon talen,
a cui m’era rendutz de bon talen,
7
tro q’ieu conuc en lieis un fol usatge
tro que conuc c’avi’ un fol usaje
8
ab qe·m dechai e m’a camjat mon sen.
ab que·sdechai e m’a camjat mon sen.
II
9
Agut m’aura per leial servidor,
Tut m’aura per lial servidor,
(-1)
10
mas tant la vei adonar ad engan,
mas tan la vei adonar ab enjan,
11
per que s’amor no·m platz derenavan,
per que no·m platz s’amistatz derenan,
12
ni·m pot far ben que ja m’agues sabor;
ni·m pot far ben qu’eu en senta sabor;
13
e partrai m’en, c’aissi·m ven d’agradatge,
anz m’en partrai c’aissi·m ven d’agradage,
14
puois ill se part de bon pretz eissamen,
pois il se part de bon pretz eissamen,
15
et er m’aillors tener autre viatge
et er m’aillors tener autre viage
16
on restaure so qu’il m’a faich perden.
on restaure so qu’il m’a fait perden.
III
17
Ben sai si·m part de lieis ni·m vir aillor,
Ben sai si·m tuoill de leis ni·m vir aillor,
18
que no·ill er greu ni non s’o ten a dan;
que non l’er greu ni·l par que·l tegn’a dan;
19
e si cuich eu saber e valer tan
e si cug eu saber e valer tan
20
c’aissi cum suoill enanssar sa lauzor
c’aissi co·l sap enantir sa valor
21
li sabria percassar son dampnage;
li saubria percassar son damage;
22
pero lais m’en per mon dreich chausimen,
per so m’en lais en dreg mon chausimen,
23
car asatz fai qui de mal seignoratge
quar assatz fai qui de mal seingnoratge
24
si sap partir ni loignar bonamen.
si sa partir e longnar bonamen.
IV
25
En patz m’en part; mas qan cossir l’error
En patz m’en part; mas quant consir l’error
26
e·l dan c’ai pres e·l destric lieis aman,
e·l dan c’ai pres e·l destric leis aman,
27
ai! cum m’agra trobat ses cor truan
e com agra trobat ses cor truan
28
qi·m feira ben e·m tengra en doussor!
qui·m fera ben e·m tengra en dousor!
29
no·m puosc mudar que no·m sia salvatge;
non puosc mudar que non sia salvaje;
30
mas si·m conort, c’auzit ai dir soven
mais si·m conort, c’auzit ai dir soven
31
c’ades pass’om primiers per lo follatge
c’ades pass’on premiers per lo follatge
32
e pois taing ben c’om s’an reconoissen.
mas pois conven c’om s’an reconossen.
V
33
A! cum cuidiei fos dinz d’aital color
E com cuidei fos dinz d’aital color
34
cum aparec de foras per semblan!
com aparec de foras per senblan!
35
et enaissi cum ill a beutat gran
et enaissi com il a beutat gran
36
e cum val mais, gardes genseitz s’onor;
e com val mais, gardes genseis s’onor;
37
et enaissi cum es de bel estage
et enaissi com es de bell estaje
38
agues en si mais de retenemen;
agues en si mais de retenemen;
39
et enaissi cum es d’ausor paratge
et enaissi com es d’ausor parage
40
contra son pretz temses far faillimen.
contra son pretz temses far faillimen.
41
Ja non degra beutatz far son estage
Ja non degra beutatz far son estaje
42
ni remaner en dompna autramen,
ni remaner en dompna autramen,
43
si non gardes s’onor e son paratge
si non gardes s’onor e son paratge
44
e non agues en si retenemen.
e non agues en se retenemen.
Non è solo per ragioni di completezza, quindi, che scelgo come testo principale quello della versione β: caratterizzata dall’attribuzione a Cadenet (CMTf), presenta anche l’attribuzione a un escudier de la ylha (R) oltre che a Rostan de Merges (Dc), indicazioni di paternità alternative a Cadenet nella tavola di C. Va inoltre rilevato che in base alle osservazioni di generali Antonelli 1999, è a un testo omogeneo a questa versione che deve aver attinto Iacopo Mostacci per realizzare la sua traduzione-rifacimento Umile core e fino e amoroso.
Fondo il testo sul ms. M depurato da alcune lectiones singulares (1 songa > longa, 5 partic > parti, 10 uas > ab, 13 es > ven, 17 non ... lueinh > ben ... part, 25 malbir > cossir, 33 qien > com; per altri emendamenti del testo di M ai vv. 18, 28, 30 rimando al Commento); normalizzo alcune grafie ed emendo alcune varianti fonentico-morfologiche (2 humills > humils, 2 hay > ay, 8 deschai > dechai, 11 darenan > derenan, 12 ages > agues, 14 issamen > eissamen, 15 ez > et, 31 pasom > pass’om, 35 ez > et, 35 ha > a, 37 e > et, 39 e > et, 44 ages > agues); sciolgo inoltre in com la forma 39 cō (cfr. la forma piena a v. 34), e adotto com anche quando M legge con (vv. 20, 35, 36, 37); mantengo tuttavia co a v. 27. Utilizzo infine costantemente la forma que anche se M legge qe.
In Dc è tràdita solo la cobla III (vv. 17-24). quarta colonna: 3 fpuoc e. 7 Mtro ieu; Rtro. 11b fde ara enan. 12 P altro v. (ni ioi qem det nom pot donar sabor). 13 Mpartirai men; Rpartit mē ai; faisi men part. 16 azo dō. 18 Mni par so teng a dan. 22 Rēdreg de. 30 fe sim conort ; P altro v. (con ieu qai auzit dir souen). 32 Pqe. 33 IKe, N om. 36 Rmay; P om.
Note:
(*) Desidero ringraziare Gabriele Giannini e Roberta Manetti per l’amichevole contributo a queste pagine. (↑)
(1) Scrive Brugnolo 1999, p. 69: «Raramente nella lirica trobadorica l’omologia fra servizio d’amore e servizio feudale è spinta così avanti come nel comjat, dove l’interruzione del rapporto d’amore per iniziativa di chi della sottomissione e della pazienza ha fatto la sua divisa viene appunto giustificata in base a codici di comportamento risalenti al più inveterato diritto feudale». (↑)
(3) P. Meyer in «Romania», X (1881), pp. 268-70; una nuova edizione è stata annunciata da Jean-Claude Rivière, En prélude à une nouvelle édition de Pons de Capdoill: la chanson «Us gais conortz me fai gajamen far» (PC 375,27), in Studia occitanica in memoriam Paul Remy, edited by Hans-Erich Keller in collaboration with Jean-Marie D’Heur, Guy R. Mermier, Marc Vuijlsteke, Kalamazoo (Michigan), Medieval Institute Publications, Western Michigan University, 1986, pp. 241-51; si vedano anche le considerazioni sulla tradizione manoscritta di Pons di Carlo Pulsoni, «Lo senher que formet lo tro» (BdT 323,22) e alcune considerazioni sul corpus poetico di Pons de Capduelh, in AA.VV., Studi provenzali e galeghi, L’Aquila, Japadre, 1994 (Romanica vulgaria. Quaderni 13-14), pp. 81-116. (↑)
(4) Sergio Vatteroni, Per lo studio dei Liederbücher trobadorici: I. Peire Cardenal; II. Gaucelm Faidit, «Cultura neolatina», LVIII (1998), pp. 7-89: p. 46; nell’articolo trova posto una nuova edizione di Gaucelm Faidit, 167,43 No m’alegra chans ni critz, e altre edizioni di singoli testi sono citate a p. 74, n. 143. Sull’edizione Mouzat si veda anche Pietro G. Beltrami, Er auziretzdi Giraut de Borneil e Abans qe·il blanc puoidi autore incerto: note sulla rima dei trovatori, «Cultura neolatina», LII (1992), pp. 259-321: pp. 282-287 (con edizione di 167,57 Tant * me creis Amors en ferm talan). (↑)
(5) Dopo che Gaspary 1882, pp. 34-38 ha individuato il legame fra Longa sazon (letto nell’ed. Raynouard) e Umile core, i due testi sono stati confrontati da Gianfranco Folena, Cultura e poesia dei Siciliani, in Storia della Letteratura Italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, vol. I, Milano, Garzanti, 1965, pp. 273-347: pp. 284-85 e in Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi, 1991 [1ª ed. Trieste 1973], pp. 27-28 (il testo provenzale è ancora ricavato da Raynouard); limitatamente alla prima stanza anche da Francesco Bruni, La cultura alla corte di Federico II e la lirica siciliana, in Storia della civiltà letteraria italiana, vol. I (Dalle Origini al Trecento), Torino, UTET, 1990, pp. 211-73: pp. 241-42. Il confronto è stato repertoriato da Aniello Fratta, Le fonti provenzali dei poeti della Scuola siciliana. I postillati di Torraca e altri contributi, Firenze, Le Lettere, 1996, pp. 58-59. Ora, dopo la breve trattazione in Brugnolo 1995, pp. 302-303, Brugnolo 1999, pp. 65-74 offre finalmente gli elementi per valutare appieno uno dei più interessanti casi di traduzione poetica dal provenzale (ma Longa sazon da Zemp). Assai stimolanti le recentissime ricognizioni sulle traduzioni trobadoriche dei Siciliani di Gabriele Giannini, Tradurre fino a tradire. Precisazioni siciliane, «Critica del testo», III (2000), pp. 903-45 e In margine a «Madonna dir vo voglio», in Atti del convegno sul tema "Interpretazioni dei trovatori". Con altri contributi di filologia romanza, Bologna, Pàtron, 2001, pp. 305-20 («qfr», 14 [1999]). Quest’ultima sede ha già ospitato l’intervento linguistico Giannini 1999, che tratta di Umile core in relazione a Longa sazon alle pp. 335-37. (↑)
(6) Umile core, trasmesso dal ms. Banco rari 217 della Nazionale di Firenze e dal Vaticano lat. 3793 (cfr. CLPIO P 009 e V 045), si legge in Bruno Panvini, Le rime della scuola poetica siciliana, vol. I (Introduzione, testo critico, note), Firenze, Olschki, 1962, pp. 87-89, 181-82 (poi in Poeti italiani della corte di Federico II. Edizione riveduta e corretta, Napoli, Liguori, 1994, pp. 216-18, 309-10; riproduce quest’ultima con ritocchi migliorativi Brugnolo 1999, pp. 66-67), ma anche nell’antologia di Carlo SalinariLa poesia lirica del Duecento, Torino, U.T.E.T., 1951, pp. 179-80. Per le non univoche ipotesi degli studiosi sull’origine del Mostacci si veda la rassegna di Rosario Coluccia, Storia editoriale e formazione del canone, preliminare alla nuova edizione del corpus siciliano patrocinata dal Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, in Dai Siciliani ai Siculo-toscani. Lingua, metro e stile per la definizione del canone, Atti del Convegno (Lecce, 21-23 aprile 1998), a cura di Rosario Coluccia e Riccardo Gualdo, Galatina, Congedo, 1999, pp. 39-59: p. 40. (↑)
(7) L’identità fra le due designazioni di trovatori non altrimenti note è poi ripetuta da Mouzat 1965, p. 587, che ritiene questo trovatore originario dell’Isle-sur-Sorgue in Valchiusa, regione frequentata anche da Gaucelm Faidit, il probabile autore di Longa sazon. Anche per Asperti 1995 i due personaggi, originari della Provenza, «potrebbero in realtà coincidere in uno solo» (p. 91, n. 9). (↑)
(8) In I la rubrica è in realtà assente, ma il testo segue immediatamente la vida di Peire de Maensac; stessa attribuzione in d, descriptus di K. Per le ipotesi di C. Chabaneau e A. Jeanroy sulla localizzazione geografica di Maensac si veda Lavaud 1957, p. 31. (↑)
(9) Carl Appel, Der Trobador Cadenet, Halle, 1920, p. 92 (cito dal reprint Genève, Slatkine, 1974). (↑)
(10) Zemp 1978, p. 383; gli elementi sono la rima in -atge, presente in tre poesie di Cadenet e alcune «tournures» che richiamano particolarità stilistiche di Cadenet (cfr. pp. 383-84); l’editore aggiunge (p. 384) anche considerazioni d’ordine contrario, la prima delle quali («Il serait frappant de rencontrer une pièce où Cadenet se serait borné, quant aux rimes identiques, au cas prévu par la règle») è infondata: ripetizioni di rimanti limitate alla tornadas sono ammesse dalla trattatistica e diffusissime nella produzione trobadorica; la seconda riguarda termini «d’une résonnance éstrange dans le vocabulaire de Cadenet», come 11 amistatz (lezione limitata alla mia versione γ), 21 percassar son dampnage, 34 aparec de foras, 36 gençer. (↑)
(11) Nei «Cahiers de civilisation médiévale», XXIII (1980), pp. 413-14: p. 413; cfr. la versione in tedesco nella «Zeitschrift für romanische Philologie», XCVI (1980), pp. 449-50: p. 449. (↑)
(12) Si tenga per di più conto delle osservazioni di Antonelli citate infra alla nota 29. (↑)
(13) Gustav Gröber, Die Liedersammlungen der Troubadours, in «Romanische Studien», II (1877), pp. 337-670: pp. 358-67, e cfr. d’Arco Silvio Avalle, I manoscritti della letteratura in lingua d’oc. Nuova edizione a cura di Lino Leonardi, Torino, Einaudi, 1993, pp. 68-69. (↑)
(14) Come fa notare Meyer 1871, p. 148, n. 1 il componimento è contrassegnato per errore con il n° .XXIX. (↑)
(15) Si tratta della cobla doppia anonima D’ome fol ni desconoissen, attribuita solo in f a Daude de Pradas, e edita da Adolf Kolsen, 25 bisher unedierte provenzalische Anonyma, «Zeitschrift für romanische Philologie», XXXVIII (1917), pp. 281-310: p. 284. (↑)
(16) L’incipit della cobla di Cardenal è Hugo, si vos n’aves ioel: per il testo dello scambio si veda ora Vatteroni 1999, pp. 105-10; cfr. anche Lavaud 1957, pp. 30-32: per Lavaud: «Uc était sans dout leur [scil. di Peire e Austorc de Maensac] frère ou cousin» (p. 31); l’affermazione, per quanto priva di priva di pezze d’appoggio, è ritenuta «percorribile» da Vatteroni (p. 106), cui rinvio per ulteriori indicazioni. (↑)
(17) È lo stesso studioso (cfr. Asperti 1989, pp. 141-42) a segnalare che in M (c. 157) l’incipit di Longa sazon è accompagnato da una piccola miniatura che individua nel canzoniere l’inizio di una sezione dedicata a un trovatore minore (a Longa sazon segue BdT 106,25), anche se la sezione di Cadenet comincia a c. 152r con una grande miniatura: poiché la c. 156 è rimasta bianca, all’ipotesi che la collocazione del testo sia dovuta a incertezze attributive da parte del compilatore del codice, Asperti affianca come più probabile quella di una semplice svista da parte del miniaturista, «il quale, notato lo spazio bianco che precede Longa sazon e pensando ad una nuova sezione di canzoni, avrebbe automaticamente inserito la miniatura». Quindi l’attribuzione in M a Cadenet sarebbe da confermare. (↑)
(18) Siglata t¹ da François Zufferey, Recherches linguistiques sur les chansonniers provençaux, Genève, Droz, 1987, p. 135, n. 105, la tavola abbraccia le prime 17 carte del canzoniere. (↑)
(19) I componimenti sono indicati con una porzione di testo che talvolta esorbita dall’incipit: un punto separa la fine del v. 1 dall’inizio del secondo; aggiungo sulla colonna di destra il numero della BdT. (↑)
(20) S’anc fuy bella ni prezada è l’incipit in CR (e nell’ed. Zemp 1978, p. 249, n° XIII) dell’alba che nel resto della tradizione comincia col verso Eu sui tan corteza gaita: per le conseguenze dell’attribuzione a Folchetto di Marsiglia rimando a Squillacioti 1999, p. 24. (↑)
(21) Anche Jordan de Born è attestato solo nelle attribuzioni alternative della tavola di C di una canzone di Pistoleta (ne trascrivo l’intera sezione, t¹ 14r):
PISTOLETA
Anc mays nulhs hom no fo apoderatz|| Jordan de Born
372,2
Ar agues yeu nul marce de fin argen|| Helyas cayrelh
372,3
Manta gen fatz merauillar de mi
372,5
Questi assaggi dimostrano l’interesse e la complessità della situazione: le attribuzioni di t¹ meritano infatti uno studio specifico, che sarà certamente più agevole dopo la pubblicazione, ormai prossima, del repertorio delle attribuzioni controverse di Carlo Pulsoni e dell’edizione della stessa tavola di C nell’àmbito del progetto Intavulare coordinato da Anna Ferrari. (↑)
(22) Cfr. Careri 1990, pp. 186-87 e 200-201; riepiloga i dati Asperti 1995, p. 89. (↑)
(23) Mouzat 1965, p. 587: gli elementi a sostegno (rimanti e sintagmi con rima -atge e altre espressioni tipiche della vulgata trobadorica) non appaiono stringenti; mi pare inoltre del tutto infondata l’ipotesi che, stante la ripresa di schema e rime da parte di Raimon Gaucelm de Beziers (vd. infra la Schedametrica), è a questo gaucelm che pensava il copista di P nell’apporre la rubrica: i testi del trovatore di Béziers sono tràditi solo da C e R e quello in questione solo da C, mentre P è un canzoniere copiato in Italia, forse da un eugubino, senza rapporti con l’ambiente cui risalgono i relatori delle poesie di Raimon Gaucelm. (↑)
(24) Si tratta delle canzoni VIII e IV dell’ed. Cavaliere 1935, le più ricche di testimoni della produzione di (o dei) Peire Raimon de Tolosa: la prima, attestata in 14 mss., è assegnata sempre a un Peire Raimon (de Tolosa) ed è adespota nel solo O; la seconda, attestata in 19 mss., è attribuita in T a Rigaut de Berbezilh ed è adespota in O e Q. I due componimenti appartengono al «nucleo catalano» (vi si nomina un re d’Aragona che potrebbe essere Alfonso II) e sono ascrivibili a Peire Raimon «lo Viellz», come si legge nella versione di ABN² della vida (cfr. Boutière-Schutz 1964, p. 347): la tavola elaborata da Manetti 1998, p. 197 dimostra la loro omogeneità visto che, quando vengono trasmessi entrambi dallo stesso manoscritto, i due testi sono quasi sempre attigui (VIII IV in ABCDFR, e cfr. VIII XVIII IV in c, VIII XIII XVI IV in U; IV VIII in IKMN, e cfr. IV XIV XIII VIII in Dc). (↑)
(25) Ritengono senza riserve che N assegni il testo a Peire C. A. F. Mahn, Gedichte der Troubadours in provenzalischer Sprache, vol. III, Berlin, 1864, n° 943 (p. 162), Hermann Suchier, Il canzoniere provenzale di Cheltenham, in «Rivista di filologia romanza», II (1875), pp. 49-52, 144-72, a p. 166, e quindi la BdT nella scheda n° 276,1 (p. 246). La paternità di Peire Raimon de Tolosa è rigettata, senza argomenti ma di certo a ragione, da Cavaliere 1935, p. x (che peraltro non ha potuto utilizzare N: cfr. p. xiv); alla medesima conclusione giunge Manetti 1998, p. 199 e n. 21. (↑)
(26) La ricerca sui dati esterni andrà intrecciata con quella sui dati interni, risultanti dall’esame della varia lectio dei componimenti coinvolti, fermi restando i limiti del ricorso a metodi stemmatici in campo attribuzionistico evidenziati da Maria Luisa Meneghetti: basti un rimando all’intervento metodologico Stemmatica e problemi d’attribuzione fra provenzali e siciliani, in Atti Messina 1993, I, pp. 91-105. Su Peire de Maensac e la sua “produzione fantasma” si veda ora Maria Pia Betti La canzone del trovatore Peire de Maensac Estat aurai de chantar (BdT 194.7), in Studi di Filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, a cura di Pietro G. Beltrami, Maria Grazia Capusso, Fabrizio Cigni, Sergio Vatteroni, Pisa, Pacini, 2006, vol. I, pp. 227-60]. (↑)
(27) Per indicazioni ulteriori sul principi e la pratica ecdotica qui accennata è necessario un rimando ai Criteri di edizione enunciati in Squillacioti 1999, pp. 52-62. (↑)
(28) Secondo Zemp 1978, p. 381: «L’ensemble des mss. montre une disparité déconcertante. Il n’y a que les attributions communes à Cadenet (CMTf) et à Peire de Maensac (IKd) qui garantissent, dans une certaine mesure, l’existence de deux groupements, formés par la moitié des mss. présents: CMTf et IKNd». A parte le osservazioni che si possono fare su singole lezioni discusse da Zemp, che accosta a presunti errori varianti adiafore che non hanno valore nell’analisi stemmatica (cfr. 3 negun e 7 entro in CTf; 12 qieu en senta e 20 col in IKN, 14 ilh se e 16 quil in IKN+A), fa bene Antonelli 1999 a osservare che «la pertinenza delle rubriche a fini di classificazione stemmatica è comunque metologicamente molto dubbia» (p. 55, n. 13); lo stesso Antonelli rileva che le osservazioni ecdotiche di Zemp «andrebbero radicalmente ricontrollate» (p. 55). (↑)
(29) Per le indicazioni bibliografiche rinvio ancora a Squillacioti 1999, pp. 58-59; si aggiunga ora Les textes de Marcabru dans le chansonnier provençal A: prospections linguistiques, «Romania», CXVII (1999), pp. 289-315. (↑)
(30) Testo da Boutière-Schutz 1964, p. 301; la vida è attestata anche da d, come detto descriptus di K. Maria Luisa Meneghetti, Il pubblico dei trovatori. La ricezione della poesia cortese fino al XIV secolo, Torino, Einaudi, 1992, nell’analizzarne la sequenza narrativa (pp. 207-208) giudica la vicenda «il più compiuto – ma credo anche unico – esempio di “favola” trobadorica a lieto fine» (p. 207); e infatti ha toni epici la ripresa poundiana nel V dei Cantos: «And Pieire won the singing, Pieire de Maensac, / Song or land on the throw, and was dreitz hom / And had De Tierci’s wife and with the war they made: / Troy in Auvergnat / While Menelaus piled up the church at port / He kept Tyndarida. Dauphin stood with de Maensac» (Ezra Pound, I Cantos, a c. di Mary de Rachewiltz, Milano, Mondadori, 1985, p. 34). (↑)
(31) In particolare: «1. le versioni del testo trascritto sono differenti, in diversa misura e spessore ma sempre diverse in singole lezioni e/o nella grafia in cui ogni testo è esemplato; 2. a doppio testo tràdito corrisponde generalmente, ma non sempre, una doppia attribuzione» (Giuseppina Brunetti, Il testo riflesso: appunti per la definizione e l’interpretazione del doppio nei canzonieri provenzali, in Atti Messina 1993, II, pp. 609-28: p. 610; per le ipotesi sulle cause delle attribuzioni divergenti nei doppi si veda ibid. la nota 4). (↑)
(32) Rispetto alle tabelle elaborate in Squillacioti 1999 faccio notare alcune differenze: le dimensioni della tradizione consentono di portare da tre a quattro le colonne (il numero è dettato da mere esigenze pratiche), le lezioni sono presentate in ordine di verso cosicché le sei fasce orizzontali individuano le cinque coblas e la tornada (viene di conseguenza meno l’esigenza di indicarle con lettere dell’alfabeto); inoltre le lezioni comprese nella tabella sono precedute da un asterisco nella prima fascia di apparato. (↑)