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Beltrami, Pietro G. La canzone "Belhs m'es l'estius" di Jaufre Rudel. "Studi Mediolatini e Volgari", 26 (1979), pp. 77-105.

Postilla 2012.

262,001- Jaufre Rudel de Blaja

 

LA CANZONE « BELHS M’ES L’ESTIUS » DI JAUFRE RUDEL

 

Che la fortuna di Belhs m’es l’estius sia sempre stata inferiore a quella di altre poesie rudeliane (1), come Lanquan li jorn per esempio, è dimostrato da un’evidente sproporzione nel numero dei manoscritti superstiti; sedici per la canzone più fortunata, due soli per la nostra, che condivide questo relativo disinteresse dei copisti (se, in termini probabilistici, la proporzione dei mss. superstiti rispecchia quella dei mss. copiati) soltanto con Pro ai del chan essenhadors. Anche la critica moderna, quella nata dopo la pionieristica pubblicazione dello Choix di Raynouard, se ne è occupata in misura piuttosto ridotta. Una breve nota troviamo nei Leben und Werke di Diez: « In einem andern Liede erklärt er [J.R.] die Erfüllung seiner Wünsche und preist sich glücklich, die schwere Liebesprobe überstanden zu haben, die den Lei-denden selbst in Schlummer erschrecke; er dankt denen, die ihm mit gutem Rathe beigestanden. Die letzte Strophe erwähnt eines tragikomischen doch räthselhaften Abentheuers, das dem Trobadour begegnet war » (2). Di li si passa alla prima edizione critica di Rudel, quella di Stimming (1873), e poi ancora, per sentir parlare specificamente della nostra canzone dopo l’edizione e il sobrio commento dello Jeanroy (1915, 1924²), al saggio Poesia e storia di Mario Casella (3), e all’edizione annotata e commentata dallo stesso studioso (1946). A Salvatore Battaglia (autore nel 1949 di un’altra edizione di Rudel) Belhs m’es l’estius non piaceva, tanto da farlo parlare di « balbettamento lirico »; lo disturbavano gli scarti dal filo logico, le non poche oscurità, quello che gli parve un difetto di unità della composizione; l’unità egli si trovò a doverla cercare in un altro ordine: « finiva col prevalere sull’intelligenza del contenuto, così tenue e fuggitivo, il gusto del ritmo e della melodia » (4), non a torto, a patto di ridurre quel ritmo e quella melodia a dimensioni letterarie più concrete. Dopo di allora, troviamo un saggio di Donald Stone, l’unico specificamente dedicato a questa canzone (5); un interessante intervento di Yves Lefèvre (6); alcuni appunti di Silvio Pellegrini, in un saggio che dovrà servire di base ad ogni nuova valutazione della poesia rudeliana (7); gli studi, fondamentali per quanto riguarda Belhs m’es l’estius, del Topsfield (8); lo studio complessivo di Matteo Majorano (9), che dedica ampio spazio alla nostra canzone.

Belhs m’es l’estius occupa un posto a sé, fra le poesie di Rudel, per la trasposizione in termini temporali di quel sistema di coordinate spaziali sulle quali, nelle altre canzoni, si dispongono i termini del linguaggio amoroso e si costruisce la trama del discorso. L’opposizione vicino-lontano è in quasi tutto il canzoniere di Rudel la matrice dell’inventio, sia che uno dei termini venga sottinteso (Amors de terra lonhdana, II, 8 dell’ed. Jeanroy), sia che entrambi vengano accostati in modo quasi provocatorio nella canzone dell’amor de lonh (quan drutz lonhdas er tan vezis, V, 20). In Quan lo rossinhols Rudel risolve la tormentosa ambiguità del desiderio d’amore con l’opposizione forzata di due movimenti nello spazio: que quant ieu vau ves lieys corren / vejaire m’es qu’a reüsos / m’en torn e qu’elas n’an fugen (I, 23-25); in Pro ai del chan materializza la figura dell’amata collocandola ad una distanza imprecisabile: Luenh es lo castelhs e la tors / on elha jay e sos maritz (III, 17-18); in No sap chantar oppone « qui » e « là » come luoghi ideali del « gaudio » e del dolore: Anc tan suau no m’adurmi / mos esperitz tost no fos la, / ni tan d’ira non ac de sa / mos cors ades no jos aqui (VI, 19-22). L’elenco potrebbe essere continuato, e i modi di questo linguaggio poetico basato sull’opposizione di distanza meglio precisati; ma qui importa osservare che allo spazio Belhs m’es l’estius sostituisce il tempo. Le opposizioni non sono più giocate sul piano della contemporaneità, ma sono prevalentemente diacroniche: c’è un « presente gioioso » (Er ai ieu joy e suy jauzitz, 8) e un « passato doloroso » (Lonc temps ai estat en dolor, 15), e la canzone si apre opponendo due « tempi » esemplari, l’estate e l’inverno. Quale che sia l’origine della contrapposizione di ivern a estius, e della preferenza accordata al primo, la sua funzionalizzazione nell’esordio, dopo la lode della bella stagione nei primi due versi, caratterizza la canzone come deviante e capricciosa rispetto ad una topica che viene richiamata nel congedo, chiudendo il cerchio. Avviata così nel circolo dell’elaborazione poetica, e bruciato il « tema » ivern che non viene più presupposto, la canzone tende al recupero del tema primaverile, e vi giunge con il congedo, che ha la forma di un nuovo esordio (El mes d’abril e de pascor..., 50 ss.): il punto nel quale si risolvono i contrasti e le ambiguità, e il poeta, descargatz de fol fais, può diffondere con gioiosa sicurezza il proprio canto. Nella duplicazione dunque del tema primaverile, tipicamente esordiale, ricava il proprio spazio l’opposizione passato-presente, sulla quale si articola il tema dell’amore contrastato, perduto e riconquistato. Non dell’abbandono di un tipo d’amore per un altro, come alcuni hanno ritenuto: credo di poter dimostrare, nel commento, che l’« amore » per Rudel è uno solo, quello cortese di Guglielmo IX, e che il termine fin’amor del v. 35 non presuppone alcuna contrapposizione con amor dei versi precedenti. La contrapposizione, semmai, è all’esterno, con Marcabruno, che chiama fin’amor qualcosa di ben diverso. In questo senso la canzone ha anche un contenuto ideologico, e difende l’amore cortese contro l’attacco moralistico o di Marcabruno o, non si può escludere, di qualcun altro a noi sconosciuto che sostenesse le sue stesse idee.

Ripubblicare Belhs m’es l’estius, che certo non sfigura fra le sei « maliose, ma sconcertanti » (come scriveva Silvio Pellegrini) del canzoniere rudeliano, e merita senz’altro di essere riproposta all’attenzione degli studiosi, serve a portare qualche miglioramento al testo, ma soprattutto a mettere a fuoco i non pochi problemi che essa suscita. Oltretutto, l’edizione dello Jeanroy, alla quale sostanzialmente si continua a far capo per le canzoni di Rudel (con l’eccezione di Lanquan li jorn, riedita, con sostanziali progressi, da Rita Léjeune (10)), appare sempre più superata. Questo lavoro ha dunque anche lo scopo di contribuire, sul piano testuale come su quello del commento, ad un riesame globale della questione rudeliana.

 

Scheda metrica e retorica

Otto strofe di sette ottosillabi maschili, unissonanti quanto alle rime, ma alternate a coppie per l’inversione delle rime a con le rime b:

(I-II, V-VI) 8a 8b 8b 8a 8c 8c 8d
(III-IV, VII-VIII) 8b 8a 8a 8b 8c 8c 8d

Rime: a -itz, b -or (estreit), c -en (estreit), d -ays.

Cfr. ISTVÁN FRANK, Répertoire métrique de la poésie des troubadours, Paris, vol. I 1953, vol. II 1957, n. 571.

Rima equivoca: sen « sento » 19 e « senno » 47.

Cadono due volte in rima le espressioni avverbiali az escien, 12 e 34, e cominalmen, 48 e 54.

Riprese di costrutti: quan l’auzelh chanton sotz la flor (2) - can l’auzel movon lur dous critz (51); e quant hom ve son jauzimen... (5-7) - e nuills hom non a tan de sen... (46-48) - E sapchatz tug cominalmen... (54-56); qu’eras say ben az escien / que selh... (12-13) - per qu’ieu sai ben az escien / qu’anc... (34-35); qu’anc no fuy tan fort endurmitz / que no·m rissides de paor (17-18) - qu’anc no fuy tan lunhatz d’amor / qu’er non sia sals e gueritz (31-32); Mout m’o tenon a gran onor /.../ quar (22-24) - Mais d’una re soi en error, /.../ que... (43-45).

Paronomasia: nello stesso verso joy-jauzitz (8); fra due versi floritz-flor (1-2).

Iterazioni sinonimiche: l’estius el temps floritz (1); es ben razos e d’avinen (6); coyndes e guays (7); ai ieu joy e suy jauzitz (8); say ben az escien (12 e 34); vey e pes e sen (19); lur grat e lur prezen (26); sals e gueritz (32); en sospir e·n pantays (42); per ric e per manen (55).

Opposizioni: estius-ivern (1-3); savis-fols (13-14); endurmitz-·m rissides (17-18); lunhatz d’amor - sals e gueritz (31-32); vestitz- despollatz (36-37); fraire-seror (45-46, probabile distributio); desditz-autreiar (45-46).

Allitterazione: degna di nota solo fol fais (56).

 

Testo

Grafia di C per le strofe I-VI, di e per le strofe VII-VIII, di cui è testimone unico.

 

Note:

(1) Per una bibliografia complessiva rimando a ALFRED PILLET e HENRY CARSTENS, Bibliographie der Troubadours, Halle a.S., 1933, n. 262, pp. 238-242, aggiornato da SILVIO PELLEGRINI, Appunti (forse provvisori) su Jaufre Rudel, « Studi mediolatini e volgari », XVIII (1970), pp. 77-80 (nota 2, pp. 79-80). Sono da aggiungere: S.PELLEGRINI, Jaufré Rudel e la critica, in « Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini », Padova, 1970, vol. I, pp. 234-239; LESLIE THOMAS TOPSFIELD, Three levels of Love in the Poetry of the Early Troubadours, Guilhem IX, Marcabru and Jaufre Rudel, in « Mélanges de philologie romane dédiés à la mémoire de Jean Boutière », Liège, 1971, pp. 571-587 e Jois, amors and fin’amors in the Poetry of Jaufre Rudel, « Neuphilologische Mitteilungen », LXXI (1970), pp. 277-305; PAOLO CHERCHI, Notula sull’amore lontano di Jaufré Rudel, « Cultura neolatina », XXXII (1972), pp. 185-187; ARIÉ SERPER, Jaufré Rudel et Guillem Ademar, « Revue de langues romanes », LXXX (1973), pp. 405-411; YVES LEFÈVRE, Jaufré Rudel et son « amour de loin », in « Mélanges de langue et de littérature médiévales offerts à Pierre Le Gentil », Paris, 1973, pp. 461477; MATTEO MAJORANO, Lingua e ideologia nel canzoniere di Jaufres Rudels, « Annali dell’Istituto Universitario Orientale » di Napoli, XVI (1974), pp. 154-201. ()

(2) FRIEDRICH DIEZ, Leben und Werke der Troubadours (Zwichau, 1829), II ed. a c. di KARL BARTSCH (Leipzig, 1882), rist. Amsterdam, 1965, pp. 50-51. Diez dice « l’ultima strofa » perché usa il testo di Raynouard (cfr. infra). ()

(3) MARIO CASELLA, Poesia e storia. II. Jaufre Rudel, « Archivio storico italiano », n.s., II (1938), pp. 154-199, rist. in Saggi di letteratura provenzale e catalana a c. di G.E. SANSONE, Bari, 1966, pp. 69-115. ()

(4) SALVATORE BATTAGLIA, I primi trovatori, Napoli, 1941, rist. in Jaufre Rudel e Bernardo di Ventadorn, Canzoni, testo, versione e introduzione a c. di S.B. Il passo citato è a p. 92 dell’ed. ()

(5) DONALD STONE, Rudel’s Belhs m’es l’estius. A new reading, « Neuphilologische Mitteilungen », LXVII (1966), pp. 337-144. ()

(6) Y. LEFÈVRE, Jaufre Rudel, professeur de morale, « Annales du Midi », LXXVIII (1966), pp. 415-422. ()

(7) S. PELLEGRINI, Jaufre Rudel e la critica, cit. ()

(8) L. T. TOPSFIELD, Three levels of Love, cit., e soprattutto Jois, amors and fin’amors in the Poetry of Jaufre Rudel, cit. Per i rapporti di Rudel con Guglielmo IX e Marcabruno è fondamentale il saggio di DIMITRI SCHELUDKO, Über die Theorien der Liebe bei den Trobadors, « Zeitschrift für romanische Philologie », LX (1940), pp. 191-234. ()

(9) M. MAJORANO, Lingua e ideologia, cit. ()

(10) RITA LÉJEUNE, La chanson de l’« amour de loin » de Jaufré Rudel, in « Studi in onore di Angelo Monteverdi », Modena, 1959, pp. 403-442. ()

 

 

 

 

 

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