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Loporcaro, Michele. "Be·m platz lo gais temps de pascor" di Guilhem de Saint Gregori. "Studi Mediolatini e Volgari", 34 (1988), pp. 27-68.

080,008a- Guillem de Saint Gregori

 

BE·M PLATZ LO GAIS TEMPS DE PASCOR DI GUILHEM DE SAINT GREGORI.*

 

1. Introduzione.

Fra quanti componimenti circolarono sotto il nome di Bertran de Born, Be·m platz lo gais temps de pascor (BdT. 80. 8a) fu quello di maggior fortuna, a giudicare dalla tradizione delle opere del trovatore quale oggi a noi si presenta: il sirventese, conservato da quindici canzonieri, è il più ampiamente tradito all’interno del corpus bertrandiano (1). E tuttavia accade che proprio sull’attribuzione della più nota opera del signore di Altaforte gravino fondate incertezze. Incertezze di lunga data, come mostra l’oscillazione delle attribuzioni leggibili in epigrafe nei canzonieri: Bertran de Born IKdTa¹, Guilhem de Saint Gregori ABD, Blacasset PUV, Lanfranc Cigala Ce, Guilhem Augier de Grassa M, Pons de Capdoill Sg.

Dai lettori antichi i filologi moderni hanno ereditato la questione, così che molteplici argomentazioni sono state prodotte a favore o contro l’attribuzione a Bertran. In primo luogo si è fatto appello al carattere stilistico spiccatamente bertrandiano di questi versi, al qual carattere segnatamente certuni filologi francesi inclinarono ad annettere valore di prova indiscutibile (2). Alla questione dell’incerta paternità si affiancano inoltre, in gran numero, i problemi relativi alla costituzione del testo, il quale si presenta con differenze rimarchevoli nei diversi testimoni, in specie quanto al numero ed alla successione delle strofe (3). Due unità strofiche, in particolare, sono state fatte oggetto di dibattito in sede attributiva: SgTV tramandano un secondo congedo, nel quale Papiol, il giullare di Bertran, figura inviato a re Riccardo, designato col consueto senhal bertrandiano di Oc-e-No. Se tale congedo è originale, esso depone certo a favore dell’attribuzione a Bertran de Born. Inoltre la strofa che compare come sesta, ultima avanti il congedo, in ABU e si legge con diversa disposizione anche in CMPVa¹e, è strutturata in forma di allocuzione ad una pros comtessa Biatriz. Ma poiché mai in altri versi Bertran si rivolse ad una Beatrice, e poiché comunque nessuna contessa di tal nome pare individuabile le cui date collimino con quelle dell’attività di Bertran, se n’è concluso da più parti che la strofa, non potendo attribuirsi a lui, mancasse all’originale e debba considerarsi posteriormente aggiunta.

Attribuzioni nelle rubriche, identificazione di Beatrice (ed autenticità o meno della VI strofa), autenticità del secondo congedo, generale carattere stilistico del componimento: questi gli argomenti intorno ai quali si è sviluppata la discussione attributiva, che contempla numerose posizioni dalle diverse sfumature e non può dirsi risolta soddisfacentemente, benché le edizioni recenti dell’opera di Bertran de Born considerino i dubbi esauriti e la paternità del sirventese certa (4).

Il tono del sirventese ed il secondo congedo provano la paternità di Bertran secondo Léon Clédat, che pur non offrendo edizione, lascia intendere di attribuire all’originale un testo di cinque strofe e due congedi supponendo che la sesta strofa «a pu d’ailleurs être ajoutée après coup» (5). Identica la posizione dello Chabaneau, che si allinea esplicitamente con le conclusioni del Clédat ed inoltre identifica Beatrice nella figlia di Tommaso di Savoia, che sposò Raimondo Berengario V di Provenza fra fine 1219 ed inizio 1220 (6), ritenendo in base a ciò considera spuria la sesta strofa. Il testo consta di cinque strofe e due congedi anche nelle edizioni di Thomas e poi di Appel: da quest’ultimo il sirventese è incluso fra le poesie di incerta attribuzione ed anche Thomas, pur incline a seguire gli argomenti di Clédat, non considera cancellato ogni dubbio (7).

D’altro canto il Bartsch, inserendo questi versi nella Chrestomathie provençale, accordava la preferenza al testo (sei strofe ed un congedo) di ABU ed alla attribuzione (a Guilhem de Saint Gregori) di ABD, ed analogamente si comportava lo Stimming nella prima sua edizione di Bertran de Born (8). La strofa di Beatrice è dunque inclusa nell’edizione con l’annotazione: «Es ist nicht klar, welche Beatrice gemeint ist», e vien prestata fede all’attribuzione di ABD. Si può ben capire, argomenta lo Stimming, come singoli copisti abbiano indipendentemente innovato, attribuendo i versi al «kriegerischer aller Troubadours». Indicando infine le numerose e puntuali riprese di stilemi bertrandiani nel sirventese egli conclude «dass der Verfasser von II [scil. Be·m platz] den Stil, den Ausdruck und die Gedanken Bertrans direct und absichtlich nachgeahmt hat» (9).

Simile l’argomentazione di Kurt Lewent: la sesta strofa è originale, mancando ai soli IKdT (Lewent non conosce il saragozzano) (10). I primi tre codici vanno insieme, D si arresta alla IV strofa non presentando il congedo (offre dunque solo «ein Bruchstück des Liedes»), cosicché si devono supporre due sole cadute indipendenti della sesta strofa. Il secondo congedo è spurio, e fu aggiunto nell’antigrafo comune a TV (cui va aggiunto Sg; pp. 327s). Versi tanto caratteristici, se originali, non avrebbero potuto scomparire da tante versioni: al contrario, la loro aggiunta fu intesa a rafforzare l’attribuzione a Bertran.

A dimostrazione della probabilità dell’aggiunta di un congedo apocrifo in tale funzione, il Lewent (p. 329) introduce un parallelo efficace, già istituito da Stanisław Stroński. Questi, nella sua edizione di Folchetto di Marsiglia, pubblica (nº XXVI, pp. 101-5) Los mals d’amor ai ieu ben totz apres (BdT. 370.9), accettando l’attribuzione a Perdigon, largamente maggioritaria (15 mss.), e rifiutando quella concorrente a Folchetto, riportata dai soli CRf (11). Egli riconosce nella canzone i tratti caratteristici di Perdigo, in tale quantità da non permettere dubbio alcuno circa la paternità (struttura strofica, la rime refrain bon-esper che in altre poesie di Perdigo è senhal, la formula comparativa eu sui cel que v. 16 = 370.13,23 e 370.14,11), e individua lo spunto per l’attribuzione a Folchetto nella vaga consonanza, ravvisabile in alcuni luoghi di questa poesia, (v. 1, vv.31-3), con espressioni e contenuti tipici di quest’ultimo trovatore. L’estensore dell’antecedente comune di CRf — la cui congiunzione stemmatica è indipendentemente dimostrabile — ebbe probabilmente di fronte un antigrafo adespoto, come permette di argomentare il fatto che il componimento è anonimo in O, testimone che si raggruppa con CRf in un’unica famiglia. Guidato da tali assonanze, il copista formulò l’attribuzione a Folchetto e, al fine di avvalorarla, aggiunse di suo pugno la seconda tornada (vv. 51-4) in cui figurano i senhal Azimans eTotztemps, caratteristici di quel trovatore (12):

 

«Il [scil. cet envoi] a été tout simplement ajouté pour appuyer l’attribution fausse à Folquet. Pour citer un exemple analogue, on peut rappeler le sirventes 233,1 que certains mss. attribuaient à Bertran de Born et auquel fut ajouté un envoi fabriqué contenant le nom de son jongleur Papiol».

 

Il mutamento di rubrica in IKTa¹d — argomenta ancora il Lewent a proposito di Be·m platz — è senz’altro poligenetico: più di un copista avrà voluto attribuire al «poeta dell’armi» l’opera tradita sotto il nome di Guilhem de Saint Gregori, che fu probabilmente un semplice giullare attivo alla corte di Blacatz ed imitò, in questi versi, lo stile del trovatore famoso (13).

Carl Appel ha contestato gli argomenti del Lewent: benché l’attribuzione a Bertran gli appaia non assolutamente sicura, il nome di Guilhem de Saint Gregori gli pare fuori discussione in quanto, a suo dire, «Versteckname» privo di contenuto storico (14). Il Kastner sottoscrive la conclusione dell’Appel circa l’attribuzione a Bertran, ed ancora recentemente il Perugi considera ben dimostrata l’inesistenza di Guilhem de Saint Gregori (15), ma quest’argomento sembra difficilmente sostenibile, costringendo a supporre che tale nome sia stato inventato, indipendentemente ma in forma identica, da sette diversi canzonieri in dieci diversi luoghi (16). È molto più probabile che che un Guilhem de Saint Gregori sia esistito e che abbia operato nell’entourage di Blacatz, come sostenne il Lewent e come di recente è tornato a proporre Pietro G. Beltrami (17).

Concludiamo questa ricapitolazione preliminare col ricordare che nelle recenti edizioni Gouiran e Paden Jr. delle opere di Bertran de Born si considera ormai passata in giudicato la questione attributiva. La prima edizione presenta un testo di sei strofe ed un congedo, basato su AB: il componimento è attribuito senza dubbio a Bertran benché sia esclusoil secondo congedo e permanga irrisolto il problema dell’identificazione della contessa Beatrice. Il testo dell’edizione Paden è radicalmente innovativo rispetto alle edizioni precedenti: il sirventese vi consta di otto strofe e due congedi risultando dall’assemblaggio non esplicitamente motivato, di quasi tutto il materiale tradito, non escluso quello manifestamente interpolato e unanimente riconosciuto tale nelle edizioni e negli studi sin qui succedutisi (cfr. oltre, § 2.4).

Scopo del presente lavoro è di riprendere in esame dettagliatamente il testo tradito dai quindici testimoni, per procedere ad una recensio sistematica. Pur nella consapevolezza che il compito è reso arduo dalla fitta contaminazione, concordemente riconosciuta, si tenterà di fornire una rappresentazione stemmatica dei rapporti fra i testimoni e, in tal modo, di decidere su un fondamento coerente dell’autenticità o meno delle due unità strofiche capitali ai fini dell’attribuzione. Il che darà agio di riprendere la discussione attributiva nel suo complesso: si cercherà di dimostrare la maggior probabilità dell’attribuzione a Guilhem de Saint Gregori.

 

2. Nota testuale.

Be·m platz lo gais temps de pascor (BdT. 80.8a = 233.1)

Attribuzioni: ABD Guilhem de Saint Gregori, IKTa¹d Bertran de Born, Ce Lanfranco Cigala, PUV Blacasset, M Guilhem (ms. Guiellm) Augier de Grassa, Sg Pons de Capdoill.

Metrica:

a
b
a
b
c
d
d
c
d
d
8
8
8
8
6’
8
8
6’
8
8
 

 

Frank 424.1: 6 coblas unissonans di 10 versi, un congedo di 3 versi (cdd). Rime: or, ir, atge, atz (18).

I quindici testimoni differiscono notevolmente per l’ordine ed il numero delle strofe riportate (19):

A B U
I
II
III
IV
V
VI
t
 
 
C
I
II
III
IV
VI
 
 
 
 
D
I
II
III
IV
 
 
 
 
 
I K d
I
II
III
IV
V
t
 
 
 
M
I
II
III
IV
VI
VIII
 
 
 
P
I
II
III
IV
V
VI
VIII
t
 
Sg
I
II
III
IV
V
IX
t
t’
 
T
I
II
III
V
IV
t
t’
 
 
V
I
II
III
V
IV
VII
VI
t
t’
a1
I
II
III
IV
V
VII
VI
t
 
e
I
II
III
IV
V
VI
VIII
t
 
 

2.1. I rapporti fra i manoscritti, che sono di grande complessità, vengono discussi in modo più o meno approfondito nelle precedenti edizioni e negli studi sinora dedicati al sirventese. Soltanto il Clédat e lo Stimming¹, tuttavia, sono pervenuti alla formulazione di vere e proprie rappresentazioni stemmatiche. Lo Stimming propone quattro stemmi diversi, valevoli il primo per le strofe I, III, IV, il secondo per la II, il terzo per la V, l’ultimo per la VI ed il congedo. Gli stemmi sono tutti bipartiti, e contrappongono ora AB (il primo ed il secondo) ora ABU (gli ultimi due) al resto della tradizione. Si tratta tuttavia di costruzioni immetodiche, poiché le famiglie sono raggruppate adoperando indifferentemente come prova di congiunzione la concordanza in errori mono- e poligenetici (p. es. errori di declinazione), in varianti adiafore e persino in lezioni buone.

Discutiamo qui solamente, a titolo di esempio, il secondo stemma (p. 224) (20):

Fig. 1

 

Il raggruppamento y, vale a dire l’intero primo ramo, non è dimostrato affatto: le stesse lezioni che congiungono AB varrebbero ad individuarlo, secondo un procedimento comunemente adottato dallo Stimming. Tali lezioni, già enumerate nella dimostrazione del primo stemma, sono quelle offerte da AB ai vv. 5, 6, 9, 34, 36: v. 5 lo chant AB] lor chant rell. (variante inferiore ma non manifestamente erronea); v. 6 per los pratz AB] sobrels pratz rell. (variante adiafora che per giunta lo Stimming mette a testo: utilizza dunque una concordanza in buona lezione come lezione stemmatica); v. 9 campaignas AB (messa a testo); v. 34 maint vassal AB] maints vassals rell. e v. 36 cavail AB] cavals rell. (due errori di declinazione). In realtà non è reperibile alcuna lezione congiuntiva di IKdCeMPDTU e separativa di questi contro AB, e dunque la bipartizione dello stemma è mal fondata. Neppure la famiglia x è dimostrata: l’unica lezione addotta come distintiva di tale famiglia contro IKd è, al v. 15, et ai gran alegratge (che in realtà non è propria di tutto x) contro e platz me mout en mon coratge IKd (=AB con l’inserzione di mout che crea ipermetria). Si tratta di una variante adiafora, priva di valore congiuntivo, e per giunta l’Autore è costretto a postulare qui una contaminazione di D, poiché esso legge E platz me mon corage, come ABIKd e diversamente dalla famiglia x, individuata proprio dalla sola lezione suddetta.I quattro stemmi dell’edizione Stimming sono in ogni punto costruiti secondo i criteri ora esemplificati: ci asteniamo dunque dal discuterne ulteriormente.

Quasi contemporaneo all’edizione Stimming è il saggio su Bertran de Born di Léon Clédat, nel quale l’autore fornisce uno stemma unico per il nostro sirventese, differente da quelli dello Stimming (21):

Fig. 2

 

Tale rappresentazione è però ottenuta senza che vengano discusse le lezioni dei manoscritti: gli argomenti utilizzati riguardano esclusivamente la confezione dei canzonieri (numero e ordine dei componimenti al loro interno, ecc.). Si tratta di una discutibile applicazione di critica esterna, le cui risultanze contrastano con quelle della recensione sistematica fornita qui nel seguito (22).

Il Lewent sviluppa alcune osservazioni sui rapporti fra i manoscritti, limitandosi in buona sostanza a riconoscere l’esistenza di alcuni raggruppamenti ai piani bassi (IKd, CMe, TV) già prima di lui segnalati, nonché la presenza di una fitta rete di contaminazioni.

Nella recente edizione Gouiran le pp. 727-30 sono dedicate all’analisi della tradizione. Benché non sia opfferto uno stemma, vengono individuate le due famiglie AB|D|IKd da un lato e CMa¹e|SgTV dall’altro. Restano nel mezzo PU, contaminati con più manoscritti. Numerosi rapporti orizzontali con diversi altri testimoni interessano anche D, a¹, e. Va tuttavia oservato che i gruppi sono costituiti non soltanto in base a lezioni erronee monogenetiche lachmannianamente congiuntive e separative, bensì confrontando l’ordine delle strofe, le rubriche e tutte le lezioni comuni (ivi incluse varianti adiafore, lezioni corrette, ecc.).

Uno stemma soddisfacente per la tradizione di Be·m platz lo gais temps de pascor resta ancora da produrre. A tal fine si presenta qui di seguito una nuova recensione.

 

2.2. Il v. 6 è ipometro in IKd: Em platz quan vei sobrels pratz (—1). Tale ipometria, che congiunge i tre testimoni, è generata dall’inversione che porta il pronome in enclisi alla congiunzione, con perdita della vocale. La collocazione originale è evidentemente quella postverbale tonica (in A e cett.): E plai me quand vei p(er) los pratz.

Al v. 9 la lezione che ha maggior probabilità di essere originale è per campaigna rengatz (grafia di D), attestata da DIKdMSgUV. A tale lezione possono agevolmente ricondursi le altre concorrenti. La spinta alla degenerazione sarà venuta dall’uso raro e poetico del sostantivo senz’articolo come indefinito singolare. T testimonia il disagio del menante di fronte a questa figura sintattica: inserendo l’articolo senza ulteriori modificazioni normalizza la sintassi ma guasta la misura metrica creando ipermetria (Qan vei p(er) la canpagna rengatz). P, che tradisce un’analoga spinta alla semplificazione sintattica, presenta una soluzione metricamente accettabile: per lo camps arengatz. AB appianano altrimenti la durezza sintattica, portando il sostantivo al plurale ove l’indefinito senza articolo è di regola: Qan vei per campaignas rengatz (A). Questa lezione decisamente minoritaria sarà difficilmente originale, poiché non spiega la genesi di quelle degli altri testimoni. Ciononostante essa è posta a testo da Stimming¹, Gouiran e Paden, mentre Stimming³, Thomas ed Appel stampano champanha. Ce, infine, modificano la sostanza semantica del passo: Qan vei per companha rengatz ‘schierati per compagnia’. La lezione dà senso (companha in accez. milit. è registrato dal SW, s. v.), ma andrà scartata anch’essa perché supponendola originale si spiegano meno bene le altre deviazioni sopra discusse. Se si accetta che le lezioni concorrenti siano frutto della diffrazione in presenza ora ipotizzata, si dovranno ritenere qui congiunti, rispettivamente, AB e Ce.

Al v. 15 l’inserzione di mout, che crea ipermetria, è errore congiuntivo di IKd: E platz me mout en mon corage.

Al v. 20 la lezione corretta è de fortz pals serratz di ABU (serratz è anche in M am liças e am pals s. ed U), mentre corruzione manifesta è il seiatz di IKd, che non dà senso (‘pali assediati’) ed è certo sorto per influenza della parola in rima al v. 16 (asseiatz leggono questi mss.). Il medesimo passaggio serratz > seiatz par presupporre a¹, la cui lezione ab lissatz de for basseiatz è singolare e priva di senso. SgTV sono congiunti in errore allo stesso verso: simgiatz Sg, singatz T, singnatz V.

Al v. 24 C’aissi fai los sieus enardir —lezione di AB, condivisa, con variazioni non sostanziali, da DIKdMPSgU — è perfettamente accettabile, come pure quella di Ca¹e, che leggono invece enantir. Inappropriata nel contesto è invece la lez. esbaudir T, esbadir V ‘gioire’. Nel passo l’effetto del coraggio del condottiero sul morale dei sottoposti non è infatti considerato astrattamente, nei suoi risvolti psicologici, ma al contrario è dipinto nel suo concreto incidere sul contesto bellico descritto. Si può dunque considerare la lezione in questione congiuntiva di TV.

Ai versi 26/37 — come già ad 8/15 (23) — si presentano due gruppi di mss. con distribuzione complementare delle lezioni (1) E quand er en l’estor intratz (lez. di A) e (2) e pueis qe l’estorms er mesclatz (lez. di M). Questa, schematicamente, la situazione (24):

 
(1)
(2)
v. 26
CeMa¹|SgTV
ABDIKd|PU
v. 37
ABP|DIKd|U
CeMa¹|SgTV
 

Mentre nel caso dei vv. 8/15 mancano elementi per preferire un ordine o l’altro — trattandosi di proposizioni principali simili per senso e sintassi e non fornendo il contesto alcuna indicazione di preferenza — qui, nonostante la vicinanza strutturale e semantica dei due tipi, e nonostante la lezione dia senso in entrambi i casi, sembra di poter considerare l’ordine di A (et al.) inferiore rispetto a quello di C (et al.). Al v. 26 sembra più pertinente la menzione del signore che per primo entra nella mischia — in luogo di una generica indicazione situazionale ‘la battaglia inizia’ — dal momento che subito dopo si parla di schiere che lo seguono:

v. 26
E qand er en l’estor intratz, (v. 37 in AB ecc.)
 
chascus deu esser acesmatz
 
de segre·l d’agradatge (lez. di Sg).
 

 Con l’ordine di AB il senso non si guasta radicalmente, poiché il pronome accusativo rimanda pur sempre al seignor del v. 21, ma certo il passo perde di coerenza. Simmetricamente, al v. 37, l’ordine di AB, che presenta il tipo (1), peggiora la sintassi del luogo:

v. 37
E qand er en l’estor intratz
 
chascus hom de paratge
 
non pens mas …
  

Si avrebbe infatti coreferenza fra il pronome indefinito al v. 38 ed il pronome personale di III pers. sottinteso, sogg. della secondaria nel verso precedente. La difficoltà svanisce se si suppone collocato originariamente in questa sede il tipo (2), poiché dalla secondaria circostanziale premessa alla reggente è assente il riferimento al sogg. di quest’ultima. Con tale ordine dei versi (tipo 2 al v. 37), infine, la descrizione della scena di battaglia nella IV strofa risulta meglio concatenata: i vv. 31ss descrivono il primo momento in cui si ingaggia lo scontro («a l’intrar de l’estor»), della cui prosecuzione trattano i vv. 37ss («e pueis qe l’estorns er mesclatz»). Sembra dunque di poter considerare erroneo l’ordine dei versi di A (et al.), col che tali mss. risulterebbero congiunti in errore. La genesi dello scambio è chiarita dall’identico inizio (chascus) dei vv. 27 e 38, seguenti i due in oggetto.

Testimonia a favore di quest’ipotesi l’ulteriore evoluzione, nel prosieguo della tradizione, del testo del verso (tipo 1) dopo lo scambio. In entrambi i casi — sia nella famiglia in cui è avvenuto lo scambio (tipo 1 al v. 37) sia altrove (tipo 1 al v. 26) — il futuro er < ERIT, arcaico e meno frequente del futuro sintetico panromanzo, è stato esposto a fraintendimenti diversi: fra tutti i testimoni i soli ABP lo conservano. È tuttavia indicativo che nel collocazione testuale originaria lo scostamento prodotto dalla difficoltà della forma sia stato minimo: si è avuta la semplice trasformazione in es pres. ind. (così CeMa¹SgTV), frequente nella tradizione manoscritta di testi provenzali. Al contrario, un simile sviluppo non si registra in nessuno dei testimoni con l’ordine permutato, il che può essere considerato indizio della difficoltà sintattica sopra postulata. Risultando qui poco perspicuo non solo l’arcaismo morfologico ma anche la struttura sintattica — con la coincidenza del sogg. non espresso di III sing. con quello del verso successivo — ha avuto origine l’errore testimoniato da IKdD, che ne risultano congiunti. Questi mss. leggono: E quan seren (sere(n) K) en l’estor entratz (I), E qan serem el estor intratz (D), E quan seren l’estor entratz (d). Si ha ipermetria (+1) in IKD e lezione asemantica in d, derivante evidentemente dalla precedente per eliminazione del monosillabo eccedente il metro. Al sogg. di III sing. si è dunque sostituito un sogg. di I plur. ‘noi’, con riferimento alla schiera di guerrieri in cui si include la voce narrante (cfr. veirem al v. 33) (25). Lo spunto per la regolarizzazione sintattica va individuato nella forma della sequenza er en, nella quale figurava forse in origine un riflessivo pleonastico, oggi non tradito da alcun testimone: *‹s’er en l’estor intratz. Avvenuta la fusione in seren questo problema sintattico vien meno ma un altro se ne crea, venendo a mancare la preposizione della determinazione di luogo. Donde, per sanare quest’ulteriore difficoltà, l’inserzione di en e la conseguente ipermetria.

Nessuna indicazione stemmatica è ricavabile dalle altre differenze riscontrabili nei due luoghi: si tratta di alternative lessicali ugualmente accettabili e dunque adiafore. C inserisce al v. 26 un sogg. pronominale e legge camp anziché estor (e quant elh es el camp intratz). Camp è anche in Ma¹e. Si ha oscillazione nella congiunzione temporale: nel tipo (1) figura e quant (con varianti grafiche) ovunque tranne in a¹ (e pois cant); nel tipo (2) E pois (con varianti grafiche) in ABDIKd (v. 26) Ma¹ (v. 37), E can (con varianti grafiche) in SgTV (v. 37) PU (v. 26) (26), e la pus C, e ia pos e. Sempre nel tipo (2) diversa è la forma dell’ausiliare — anche in questo caso le lezioni sono adiafore: es ABDIKd (v. 26) ea¹ (v. 37), er CM (v. 37), sera PU (v. 26) SgTV (v. 37).

Ai vv. 27s è probabilmente originaria la struttura ipotattica acismatz … de segre·l conservata integra dal solo saragozzano. TVa¹ de segre, Ce de seguir perdono il pronome oggetto. Accanto all’isolato a segre·l di P, con italianizzazione della reggenza, si ha per il resto passaggio alla paratassi (e segre·l, con varianti) in ABDIKdU. Se si considera monogenetica quest’alterazione, essa contribuisce ad individuare la medesima famiglia già isolata dalla permutazione dei vv. 26/37.

Al v. 31 la lezione manifestamente erronea blanc T, blan U congiunge questi due mss. contro tutti gli altri: Massas e brans elms de color (lez. di A). Si tratta infatti di ‘brandi ed elmi colorati’ e non di impossibili ‘bianchi elmi colorati’.

La lezione di Ce cavaliers mortz e derrocatz (al v. 36) dà senso ma è manifestamente inappropriata al contesto (‘se ne andranno vagando cavalieri morti ed abbattuti’): i due manoscritti ne risultano congiunti. Al v. 39 la lezione corretta Non pens mas d’asclar caps e bratz è in AB e, con alcune varianti non sostanziali, in DIKdMP. U, in cui il verbo è destrar ‘condurre, accompagnare, misurare’ (cfr. SW II 172) non dà senso e va considerata corruzione del tipo precedente. Sostanzialmente differenti sono invece le lezioni degli altri testimoni. Ce presentano no ponch (ponh e) d’asclar mas (mains e),caps e bratz: ‘non si sforzi (ponhar, cfr. SW VI 450) di tagliare altro che teste e braccia’ (C), non dà senso nel contesto, come anche la lezione di e ‘non si sforzi di tagliare mani, teste e braccia (e)’. Le lezioni erronee derivano da quella di A (et al.) attraverso fraintendimento del pens (> ponh) e, in e, del MAGIS, omografo di MANUS, reinterpretato per attrazione della successiva enumerazione di parti anatomiche. Palesemente errate sono le lezioni di SgTVa¹: nos cug escaper (esclar TV)cap (caps TV) ni bratz SgTV, mens rompa cap o bras a¹. Il verso dà senso, letteralmente, in TV (‘non (si) creda di tagliare teste o braccia’) ma è inappropriato nel contesto nonché ipometro (—1). Vien meno l’ipometria in Sg per l’aggiunta di una sillaba nel verbo: escaper, che è certo un esclar influenzato dal cap seguente, non dà però senso. Ipometra ed asemantica è infine la lezione di a¹, anch’essa guasta nel primo emistichio. Questa costellazione di errori diversi induce a supporre una caduta meccanica dell’inizio del verso in un subarchetipo comune ai quattro mss.: *[non pens mas d’a]sclar caps e bratz.

Al v. 41 l’originale Be·us dic (SgT) è passato a Ben us dic V, Ben uos dic Pe. Si ha nei tre mss. ipermetria, che in V sarà sorta indipendentemente dagli altri due, mentre in Pe andrà considerata congiuntiva, come mostrano l’identità formale dell’esito ed il confronto con altri luoghi della stessa strofa (vv. 43 e 44).

Al v. 43 ABIKdU conservano la congiunzione bisillaba coma (cuma), che negli altri testimoni passa invece a com. Si crea così ipometria, come in Pe — con cant (com quant e) aug cridar a lor — ovvero si ha l’introduzione di una zeppa monosillabica: com (con Va¹; cant T, erronea anticipazione del cant seguente nel verso)fai cant aug SgTVa¹. Questi quattro mss. risultano congiunti dall’identità del riempitivo metrico, mentre non si dovrà considerarli congiunti a Pe: la perdita dell’ultima vocale di coma può ben essere poligenetica, trattandosi della riduzione di una forma relativamente rara ad una più frequente (27).

Al v. 44 accanto alla lezione maggioritaria engnir (con varianti grafiche) IKdUSgTV si hanno hantrair P, en trair e che non dànno senso e creano ipermetria. Il bruir di AB non è manifestamente erroneo, ma essendo minoritario e meno appropriato di engnir deve essere innovazione comune dei due testimoni (28).

Nei vv. 45/48 si assiste ad uno scambio analogo a quelli già visti in precedenza, questa volta limitato alla parola in rima. ABUa¹ leggono infatti cavals voitz p(er) l’ombratge (ABU), cavalliers per l’umbratge a¹ al v. 45 e Paucs e grans p(er)(planz e granz en a¹) l’erbatge al v. 48. L’ordine delle voci in rima in IKdSgV si presenta invertito (erbatge v. 45, ombratge v. 48); in T lo scambio è osservabile al v. 45 (l’erbage), mentre il v. 48 è caduto. Sicuramente corrotto è il passo in Pe, dove l’erbastie è in rima in entrambi i versi ed inoltre jos cavals (v. 45) per cavals voitz non dà senso. E non originale va considerato anche l’ordine di IKdSgTV: al v. 45 erbatge banalizza l’immagine, mentre al v. 48 ombratge sembra inappropriato (‘vedo cadere … umili e grandi nell’ombra’).

Da segnalare, al v. 50, fra diverse corruttele e lezioni singolari, un errore congiuntivo di IKd ab (al K) los penons ab los cendatz, dove il primo ab è anticipazione del secondo ed elimina il verbo (ant ABSgT, an UV) guastando il senso.

Nella VI strofa, che si legge in ABCMPUVa¹e, ai vv. 52 e 54 si contrappongono due raggruppamenti di manoscritti: ABUV vs. CMPa¹e. In A si legge:

v. 51
Pros comtessa p(er) la meillor
 
C’anc se mires ni mais se mir
 
Vos ten hom e p(er) la gensor
 
Dona del mon segon c’auch dir.
 

Con minime variazioni, è questo il testo anche di BUV. Nei mss. del secondo gruppo, al cui interno le differenze fra i testimoni sono più pronunciate (29), il v. 52 di A figura in luogo del v. 54, mentre il secondo verso della strofa è (secondo P): Qe hom puesca el mon chauzir. Il Perugi ritiene superiore la lezione del secondo gruppo (30). Le alterazioni subite dai quattro versi sarebbero sorte dalla spinta all’eliminazione del doppio iato al v. 52 e dello iato al v. 54. Questo il testo originale, nella ricostruzione dell’Autore: Pros comtessa per la melhor/que hom puesca el mon chauzir/vos ten hom, e per la genssor/que anc se mires ni se mir (31). Si osservi che l’incontro vocalico ricostruito congetturalmente al v. 54 in base alle lezioni di CMPe, è in realtà attestato da a¹, non incluso nell’apparato dell’ed. Stimming¹ e dunque non considerato dal Perugi — che a tale edizione si rifà — la cui divinatio risulta così brillantemente confermata. Quanto all’ordine dei versi nella strofa, argomenta il Perugi, «La precellenza qualitativa della lezione proposta da *CMPe* induce ad accoglierne anche la consecuzione dei versi all’interno della strofe [...] La redazione di *ABUV* è chiaramente il prodotto di una doppia sostituzione, che operando sull’unità di misura dell’intero verso provoca una sorta di reazione a catena: il risultato complessivo del décalage si traduce nell’abbandono di un verso marcatamente autentico (il v. 52 di *CMPe*) a vantaggio di un altro di netto conio formulare».

Dunque, l’ordine permutato congiunge ABUV. Inoltre bisogna considerare congiunti al v. 52 CMe in cui l’eliminazione del duplice iato è effettuata sanando il metro attraverso l’inserzione del medesimo materiale lessicale: el mon → en tot lo mon.

Le strofe VII e VIII sono tradite da pochi testimoni, e non offrono alcun errore manifesto comune a più manoscritti (32). Pure inutile per lo stemma è la strofa IX, estratta da un sirventese di Falquet de Romans, ed interpolata dal solo Sg nel nostro testo (cfr. oltre, § 2.4).

Il congedo (t), tramandato da ABIKPSgTUVa¹de, non offre alcun errore rilevante ai fini della costituzione dello stemma.

L’ultimo verso del secondo congedo (t’) si presenta ipermetro in tutti e tre i testimoni che tale congedo riportano: Digas li que trop estat en patz Sg, (et) digas li ce trop estan en patz T, et digas li qe trop estat en patz V. Tale ipermetria congiunge SgTV.

In base alla discussione fin qui condotta, si può tentare di descrivere le relazioni fra i quindici testimoni con la seguente rappresentazione stemmatica:

Fig. 3

 

AB sono congiunti al v. 9 da una diffrazione in presenza e al v. 44 da un’innovazione in variante peggiore (33). L’antecedente comune di AB è a sua volta congiunto ad U dalla permutazione dei vv. 52/54 (34). IKd sono congiunti in errore ai vv. 6, 15, 17, 20, 50 (35) ed insieme, a loro volta, si congiungono a D per il passaggio <s’> er en > seren al v. 37. Il ms. e segue C per le prime quattro strofe (C manca della quinta) — cfr. vv. 9, 34, 36, 39 — per poi avvicinarsi a P nella successiva (cfr. vv. 41, 43, 44, 45) (36). TV sono congiunti fra loro al v. 24 e con Sg ai vv. 20 e 39. Che TV siano congiunti ma indipendenti l’uno dall’altro è dimostrato dalla presenza di due separativi: solo il primo testimone presenta la caduta dei vv. 47s e solo il secondo la caduta dei vv. 18s. Un progenitore comune di SgTV|a¹ presentava lacuna al v. 39 ed inserzione al v. 43 del riempitivo fai per sanare il metro. MC, quest’ultimo seguito da e, sono congiunti al v. 52: el mon → en tot lo mon. Più in alto, un raggruppamento AB|IKdD|Pep|U è suggerito dallo scambio dei vv. 26/37 e dal passaggio alla paratassi al v. 28.

Lo stemma risultante è dunque a tre rami: ABIKdDPepU|SgTVa¹| CecM. L’errore al v. 31 (bran >blan), condiviso da T ed U, non è inseribile in questo stemma e spinge a postulare un contatto orizzontale tra i due testimoni. La parola in rima al v. 20 si presenta corrotta in più testimoni (37): in IKd si è avuto il passaggio serratz > seiatz, e non è improbabile, si è detto, che la corruzione in rima in a¹ (ab lissatz de for basseiatz) presupponga anch’essa una trasformazione di serratz in seiatz. Se così fosse, tuttavia, si dovrà pensare che tale evoluzione sia avvenuta indipendentemente in θ ed in a¹ (38). La poligenesi appare probabile, se si considera che la parola in rima al v. 20 viene modificata in un lessema graficamente simile già ricorrente in rima al v. 16.

L’interversione delle parole in rima ai vv. 45/48, che congiunge IKdSg(T)V, spinge a postulare un contatto orizzontale fra ζ e θ.

L’accostamento di V ad ABU ai vv. 52/54 nella VI strofa, è manifestamente incompatibile con lo stemma sin qui delineato, poiché l’appartenenza di V al ramo β è inconfutabilmente dimostrata dalle lezioni — tutte ricorrenti nelle strofe I-V — che lo congiungono a T (v. 24), a Sg (vv. 20, 39) ed a a¹ (vv. 39, 43). L’unica soluzione proponibile sembra essere la seguente: confortati dall’assenza della strofa VI in SgT, supporremo che essa mancasse al subarchetipo comune ζ, e che in V essa sia stata integrata facendo ricorso, per questa sola porzione del testo, ad un antigrafo secondario della sottofamiglia δ del ramo α (39).

In nessun altro caso ricorrono errori comuni monogenetici in disaccordo con questo stemma.

 

2.3. Esaurita l’analisi degli errori stemmatici, procediamo a verificare se questo stemma ipotetico costituisca o meno uno strumento valido per la razionalizzazione della varia lectio.

Al v. 1 douz IKdU (dolz D), per gais (cett.), è variante adiafora stemmaticamente minoritaria originatasi indipendentemente in ε ed in U (40). Sempre nel primo verso, del per de sarà alterazione indipendente di U, ζ, M. L’incipit del v. 2 è Que fai in α e qan vei (con varianti grafiche) negli altri due rami. Quest’ultima lezione gode dunque di maggioranza stemmatica e va posta a testo in luogo dell’innovazione di α finora preferita e stampata da tutti gli editori, fedeli sempre, in misura maggiore o minore, ad AB (41). Al v. 3 accanto a qand auch (ABCDMPUa¹e) compare qand vei IKd SgTV. La seconda lezione, minoritaria, può considerarsi innovazione indipendente di ϑ e di ζ, trattandosi qui di semplice sostituzione del verbo di percezione in presenza di identiche sequenze vicine nel testo (vv. 6, 9, 13, 16 ed anche v. 2 per ζ) (42). Al v. 6 va scartata la variante per los pratz, innovazione di AB, poiché sobre·ls (cett., con varianti grafiche) è chiaramente maggioritaria (43). Quanto all’ordine reciproco dei vv. 8 e 15, gli editori seguono senza eccezione ABIKdD, mentre lo stemma ora delineato porta a preferire il testo dei due rami C(e)M, SgTVa¹. Della presenza di quest’ultimo ordine di versi anche in P ed U, appartenenti ad α, si renderà conto supponendo contatti orizzontali fra ognuno di questi due testimoni ed un altro ramo della tradizione (44). Per U è già stato supposto un afflusso di lezioni da T (al v. 31). Quanto a P, si vedano oltre le considerazioni relative al v. 19.

Al v. 9, secondo la discussione già condotta, sarà da scartare l’innovazione di AB per campaignas. Al v. 14 la lezione venir è maggioritaria (ABIKd|CeM|Sga¹). La variante brugir TUV sarà sorta in ι e passata ad U per il contatto orizzontale già postulato.

Al v. 17 l’intera famiglia α condivide, con minime variazioni, la lezione di AB E·ls barris rotz et esfondratz (45). Presuppongono la medesima lezione M (e barres rotz e esfrondatz) e ζ (46). Le lezioni di Ce sono manifestamente corrotte (47).

Al v. 19 si presentano le varianti adiafore Q’es tot entorn claus de fossatz ABIKda¹ (grafia di AB) — presupposta da Ce e tot (e tot) entorn claus de fossatz e da M tot entor claus ambos fossatz — e Q’es claus de murs e de fossatz DPUSgT. Data la distribuzione delle varianti all’interno dei tre rami (48)

α
β
γ
δ
ε
P
 
 
=
=
2
=
1
 

si può credere che la lezione di AB sia originale e che l’altra sia sorta in ζ e di qui sia passata per contaminazione nei tre testimoni di α in cui la si osserva. Sarà necessario tracciare ex novo due linee di contaminazione congiungenti ζ con D e con P, mentre ad U la lezione di ζ sarà giunta da T, secondo il contatto orizzontale già provato per il v. 31.

Al v. 20 è da stampare la lezione di ABUM, l’unica dotata di un senso soddisfacente a ricorrere in più rami.

Al v. 24, scartato esbaudir T, esbadir V, si darà la preferenza per maggioranza stemmatica ad enardir ABIKdPU|M|Sg rispetto alla variante adiafora enantir a¹|Ce la quale, data la vicinanza grafica, sarà sorta indipendentemente in C ed in a¹. Al v. 38 la scelta fra le varianti chascus ABDIKdP|a¹ e negus CM (ia nulls) e|SgTV non può condursi meccanicamente: la prima variante è in α, la seconda in γ mentre in β entrambe si equilibrano. Al v. 47 iazer SgV (T manca) è innovazione di ζ contro il cazer / cader di α.

Per quanto concerne l’ordine dei vv. 52/54, l’argomento stilistico del Perugi può ora essere confortato in base alla constatazione che la lezione erronea è limitata ad una metà (δ) del ramo α. L’ordine originale resta invece in P, così che all’interno di α si ha parità stemmatica, ed è decisiva la testimonianza degli altri due rami, i quali concordano con P (49).

Il testo del primo congedo è tradito da ABIKPSgTUVa¹de (non è rappresentato il ramo γ, mancando CM; si rammenti che e segue P in questa parte del testo) senza che si registrino varianti degne di nota. Al v. 62 la struttura coordinante disgiuntiva castels o vilas o ciutatz è innovazione di IKd, e va messo a testo il polisindeto testimoniato da ABSgTa¹. Al v. 63 si presentano le varianti adiafore enans]abans, con maggioranza stemmatica — sia pur di misura — a favore della prima, vigendo equilibrio in β (a¹ vs. SgTV) e ricorrendo enans in due gruppi su tre in α (ABU|IKd vs. P). L’intero verso sarà da porre a testo secondo AB: Enans c’usquecs no·us gerreiatz (50).

 

2.4. La disamina della varia lectio ha interessato un testo composto di sei strofe ed un congedo. Tale deve considerarsi, date queste premesse, la struttura originale del sirventese, preservata nei soli ABU, poiché secondo lo stemma il restante materiale strofico, che figura annesso al sirventese in uno o in più d’uno degli altri testimoni, non può derivare dal piano superiore della tradizione.

Quest’affermazione è corroborata dal fatto che l’abbozzo di stemma proposto (fig. 3) in base alle lezioni congiuntive permette una rappresentazione nitida e credibile delle vicende di inserzione e perdita di intere unità strofiche nei singoli testimoni (fig. 4) (51).

Fig. 4

 

Tutte le strofe originali (sei più il primo congedo) sono infatti rappresentate in almeno due dei tre subarchetipi α, β, γ: così non è, al contrario, per VII, VIII, IX e t’.

In questo quadro la costituzione del testo riceve un fondamento coerente mentre in assenza di uno stemma, essa era fatta dipendere da criteri allotri. Donde le sensibili variazioni.

L’edizione Stimming³ contiene un testo di cinque strofe ed un congedo, strutturato come quello di IKd. Le edd. Thomas ed Appel mettono a testo anche la seconda tornata.

Il sirventese conta sei strofe ed un congedo nelle edd. Stimming¹ e Gouiran. Tale condotta editoriale non discende tuttavia da una disamina complessiva della tradizione, e non si configura quindi, a rigore, come ipotesi circa la costituzione del testo originale. È piuttosto la fedeltà al bon manuscrit A(B) a determinarla. Il che è evidente nel caso dell’ed. Gouiran, ove si rinuncia ad ogni tentativo di organizzazione stemmatica dei testimoni; e risulta affatto chiaro anche nell’ed. Stimming¹, sol che si tenti di proiettare sulle quattro figure stemmatiche ivi proposte i dati riguardanti il numero e l’ordine delle strofe in ciascun testimone. Così ad esempio la lunga teoria di subarchetipi postulata nel primo stemma all’interno del ramo y (y x u t s) è del tutto inadatta all’illustrazione delle vicende del testo. La riunione sotto ognuna di queste minuscole di testimoni latori di un testo diversamente composto costringe a supporre una conservazione integrale del testo originale in y x u t ed a lasciare a carico di ogni singolo manoscritto le modificazioni finali, giammai proiettabili su di un piano superiore. Solamente di s (=CMe) si può supporre che perdesse la V strofa. Il secondo stemma (sopra riprodotto in fig. 1), formulato per la seconda strofa, non si presta meglio a questo scopo: la collocazione di U, che conserva il testo originario, costringe a supporre integri tutti i subarchetipi (s t u x y) ad esso sovrapposti.

Ugualmente inadatto a tale scopo è lo stemma del Clédat (cfr. sopra, fig. 2), per la medesima ragione: ad esempio, l’inclusione di P nella famiglia s costringe a considerare avvenuta indipendentemente in C ed in M la caduta della V strofa e del congedo.

Tornando ora alle unità strofiche interpolate, nient’affatto problematica è l’eliminazione della cobla Ben volgra que fos un senhor (qui siglata IX come nell’ed. Gouiran), tratta dal sirventese Qan cug chantar, ieu planc e plor di Falquet de Romans (BdT 156.11, vv. 31-40), che nel solo Sg figura inserita nel nostro sirventese fra la V strofa (l’ultima in quel testimone, mancando esso della VI) ed il congedo t (52).

Gli altri frammenti di testo compaiono però in più di un manoscritto, senza denunciarsi per estranei così chiaramente come la cobla interpolata in Sg. Così che un pronunciamento circa la loro autenticità richiede un vaglio attento di tutti gli elementi disponibili. A tal fine lo stemma costituisce strumento indispensabile: situati i testimoni nelle vicende della tradizione è possibile decidere dell’ascrivibilità o meno all’originale del materiale testuale di cui i singoli manoscritti sono portatori. Mancando uno stemma, al contrario, si è forzati a prendere atto acriticamente della testimonianza di ogni singolo manoscritto, senza poter procedere oltre o, peggio, formulando ipotesi in base a criteri d’altra natura (53).

La strofa VII (Amors vol drut cavalcador, BdT. 461.21) è inserita in V ed a¹ fra la quinta e la sesta. Compare inoltre, come cobla esparsa, nei canzonieri G (c 130r), N (cc 86v - 87r), Q (c 108v) (54). Si tratta senza dubbio di una strofa estravagante di simile struttura, penetrata nel nostro sirventese e non di una strofa originariamente appartenentegli, e successivamente stralciata così da circolare separatamente. Lo dice la sua natura di enunciazione di precetti d’amore, in sé conclusa e priva di legami con il contesto del nostro componimento, ma soprattutto lo dice la sua struttura metrica. La strofa presenta conformazione identica alle altre unissonans del sirventese nei soli Va¹, mentre in GNQ, in cui figura come cobla esparsa, il secondo senario segue immediatamente al primo. Se si fosse trattato di una strofa originariamente appartenente al sirventese e successivamente isolata da esso a mo’ di citazione, non vi sarebbe stato motivo per tale spostamento di versi. Spostamento che, invece, si giustifica bene ammettendo il contrario: la strofa isolata, con le stesse rime e di struttura metrica simile ma non identica, dovette subire una modifica per poter essere inserita nel sirventese. Poiché tale aggiustamento si presenta identico in Va¹, concluderemo che la cobla Amors vol drut cavalcador fu interpolata nel testo del subarchetipo comune β, mentre i rami α e γ non l’hanno mai conosciuta (55).

 

VII.
 
Amors vol drut cavalcador
 
65
bon d’armas e larc de servir
 
 
gen parlan e bon donador,
 
 
tal que sapcha ben far e dir
 
 
     fors e dinz son estatge,
 
 
segon lo poder qui li er datz,
 
70
e sia d’avinent solatz,
 
 
     cortes e d’agradatge.
 
 
E domna q’ab aital drut iatz
 
 
es monda de totz sos pechatz.
             

VII. 64 Amor NVa¹; vol] ual a¹; drut] drutz Va¹GQ; cavalcador] caualgador a¹, caueleador G.  65 bon] franc V, gen G.  66 parlan] guarniment G, garnent NQ, bon] gran a¹; donador] garnidor V.  67 sapcha ben] sapcha a¹, ben s. V.  68 fors] e for V; dinz] dineç Q; estatge] staie N.  69 er] es Va¹ | Cortes et agradage GN; Cortes e gradage Q.  70 avinent] auinen a¹Q, auinenz V.  71 Segun lo poder quier daz G, Segon lo poder quillier daç N, Sengond lo p. qi ierdaç Q.  72 E domna q’ab] e d. i ab a¹, adonc V; aital] ia tal Q; drut] drutz VGNQ; iatz] uiatz V.  73 es monda] sesmenda V, sos] seu N.

 

In MPe figurano fra l’ultima strofa (VI) ed il congedo (t) sei versi di argomento amoroso strutturati come un doppio congedo. Questi versi, designati convenzionalmente come strofa VIII nella numerazione di Gouiran, che qui seguo, compaiono dunque in un manoscritto del ramo α ed in uno del ramo γ. Tuttavia, supporli presenti nei subarchetipi α e γ — considerandoli eventualmente parte di una strofa originale giunta frammentaria — implicherebbe un’ulteriore supposizione, manifestamente insostenibile: essi dovrebbero essere caduti indipendentemente in δ, ε, β, C.Di fronte a quest’impensabile quadruplice coincidenza, una soluzione di gran lunga più economica e probabile consiste nel considerare la loro invenzione — o comunque la loro inserzione in questo testo — come avvenuta in M o in P, con successiva trasmissione all’altro testimone per contatto orizzontale.

 

VIII.
 
     Donzella d’aut linhatge
 
75
tal en cui es tota beutatz
 
 
am fort e sui per leis amatz.
 
 
     E dona·m tal coratge
 
 
que ia no pens esser sobratz
 
 
per un dels plus outracuiatz.
                

VIII. 74 d’aut] dau M.  75 tota beutatz] pretz e beutatz Pe.  78 no pens] non cuitz Pe.  79 per un dels plus] p. (pels e) fols gelos P.

                

Dallo stemma tracciato discende anche che il secondo congedo (t’: Papiol d’agradatge) non può essere originale ma va considerato come un’interpolazione avvenuta ai piani medi. Esso è tradito dai soli SgTV: non può dunque risalire a monte di ζ (56).

 

t’
80
     Papiol, d’agradatge
 
 
ad Oc-e-Non t’en vai viatz,
 
 
et digas li qe trop es tan en patz.
                 

t’ 80 d’agradatge] degradage T.  81 non] no V, anu T; vai] ua Sg, uaic T.  82 et digas li] Dire qe trop Gouiran, et] manca Sg; es tan] estat SgV.

 

In conclusione si può dunque presentare uno stemma definitivo (fig. 5), completo delle linee di contaminazione richieste dalla distribuzione delle varianti e delle unità strofiche.

Fig. 5

 

4. L’attribuzione.

Riprendiamo dunque la discussione attributiva per verificare se, alla luce dello stemma proposto, sia possibile dar soluzione alle questioni a questo riguardo sollevate (cfr. § 1). Il secondo congedo, si è detto, non può risalire più in alto di ζ, ricorrendo nei soli SgTV. La sua natura d’interpolazione di copista è dichiarata del resto esplicitamente anche dall’ipermetria dell’ultimo verso nei tre testimoni. Thomas e Appel stampano un decasillabo secondo T(V) — Sg ha un novenario — e Gouiran è il primo a segnalare esplicitamente l’irregolarità metrica emendando, a testo, in Dire qe trop estai en patz. Nell’edizione qui sopra (§ 2.4) si è mantenuta l’ipermetria a che risulti chiaro che, per quanto a noi è dato giudicare, tale frammento di testo, non originario, dovette presentarla fin dal suo sorgere. Esso fu assemblato da un copista con sintagmi bertrandiani, concordanze alla mano, per così dire, nell’intenzione di dotare di una σφραγίς un componimento che, benché fosse stilisticamente ben caratterizzato, si leggeva con ogni probabilità adespoto nel suo antigrafo. L’errore di metrica tradisce la mano non sicura, diversa certo da quella dell’autore di Be·m platz che imita anch’egli, ma resta esente da simili grossolanità (57).

Se questa tornada non risale all’originale essa, quale che ne sia il contenuto, non può evidentemente rapportarsi al sirventese come «la marque certaine de son origine» (58), come è stato proclamato da più sostenitori dell’attribuzione a Bertran de Born. Tale posizione, assunta dai filologi francesi in schiera compatta, si risolve perlopiù in un puro atto di fede nella paternità bertrandiana. Così il Clédat afferma:

 

«le sens, le rhythme et les rimes de cet envoi s’appliquent exactement à la pièce Bem plai lo gais temps [N. B.: non è rilevata l’imperfezione metrica]. Il est donc très-probable que le manuscrit primitif et original x contenait l’envoi, bien qu’il soit impossible de dire pourquoi la plupart des manuscrits l’ont supprimé» (59).

 

Si tratta, a ben vedere, piuttosto che di argomentazioni scientifiche, di proteste patriottiche, volte ad avversare i tentativi di sottrarre ad una gloria nazionale, «le plus populaire de nos troubadours», una delle sue poesie più famose (60).

La sesta strofa del sirventese, al contrario, è originale: essa era nei tre subarchetipi α, β e γ e fu perduta soltanto, indipendentemente, da ε (=IKdD) nella prima famiglia e da ζ (=SgTV) nella seconda (61). Non v’è dunque ragione di espungerla, e se l’allocuzione alla comtessa Biatriz rende problematica l’attribuzione a Bertran de Born è quest’ultima, e non certo l’autenticità della strofa, che dev’essere ridiscussa (62). Come si è detto, è stata avanzata l’ipotesi che ai vv. 59s si faccia riferimento al matrimonio di Beatrice, figlia di Tommaso di Savoia — questa resta ad oggi l’unica identificazione verosimile proposta per la Beatrice menzionata in questi versi — con Raimondo Berengario V di Provenza, avvenuto fra la fine del 1219 ed il principio del 1220 (63). Un terminus post quem che non si accorda con l’attribuzione a Bertran, ma che nondimeno resta l’unico riferimento cronologico probabile per il sirventese, non offrendo esso alcun altro appiglio a causa della genericità con la quale il tema della guerra vi è sviluppato. A ciò si deve il silenzio generale degli editori sulla collocazione cronologica dei versi, infranto dal solo Gouiran il quale, pur non mettendo a testo, si noti, il secondo congedo, tenta di ricavare un indizio dal rimprovero rivolto a re Riccardo nell’ultimo verso di esso. Un periodo di pace che pare prestarvisi — egli conclude pur senza pronunciarsi definitivamente — è quello fra 1179 e 1181. Questa pur vaga e poco convinta ipotesi di datazione del componimento, l’unica mai avanzata da un fautore dell’attribuzione a Bertran, porta ad una data troppo alta per poter essere presa in considerazione. Manca infatti nelle pagine del Gouiran una discussione, a cui tale ipotesi impegnerebbe, della datazione (inverno 1191-92) stabilita dal Kolsen per la canzone No posc sofrir c’a la dolor di Guiraut de Bornelh, modello di questo sirventese (64).

La data del matrimonio di Beatrice di Savoia, d’altro canto, viene a costituire un riferimento pienamente accettabile per Be·m platz se si prendono in esame gli altri nomi di trovatori menzionati nelle rubriche dei manoscritti. Una volta scartate, in quanto singulares, le attribuzioni a Lanfranc Cigala (Ce), a Pons de Capdoill (Sg) ed al non altrimenti noto Guilhem Augier de Grassa (M), rimangono i nomi di Guilhem de Saint Gregori (ABD) e Blacasset (PUV). Dal punto di vista puramente cronologico quest’ultimo appare sfavorito, poiché non si conoscono suoi versi databili a prima del 1233 (65). Si può inoltre menzionare il parere del Klein, che nella sua edizione dei versi di Blacasset ricorda Be·m platz fra gli «unechte Gedichte», commentando: «Mag es Bertran de Born oder Guillem de S. Gregori gehören, sicher gehört es unserem Dichter nicht» (66).

Quanto a Guilhem de Saint Gregori, invece, la sua sestina d’imitazione arnaldiana (Ben grans avolesa intra) è databile entro il 1220, e la celebre canzone Razo e dreyt ay si·m chant e·m demori è certamente anteriore al 1229, risalendo probabilmente agli anni 1217-20 (67). Be·m platz potrebbe dunque trovare collocazione senza difficoltà nell’arco cronologico dell’attività di questo trovatore.

Vediamo ora se è possibile valutare, servendosi dello stemma, l’attendibilità delle attribuzioni fornite dalle singole rubriche. Cinque sono i canzonieri che menzionano Bertran de Born; la testimonianza resa da IKd è però unica, informandoci che tale attribuzione era in θ. Bertran è dunque rappresentato in due rami (α e β) come Blacasset, mentre Guilhem de Saint Gregori figura solo in α. È stato però supposto che la rubrica di M risulti da una storpiatura del nome di Guilhem de Saint Gregori (68). Se è così, poiché l’attribuzione di C non entra in questione, il ramo γ depone per Guilhem de Saint Gregori, mentre all’interno degli altri rami non sembra possibile una scelta meccanica. In α, δ si divide fra Guilhem e Blacasset, ε fra Guilhem e Bertran, P attribuisce il sirventese a Blacasset; una metà di β reca l’attribuzione a Bertran (a¹), nell’altra (ζ) si oscilla fra questi e Blacasset. Nell’impossibilità di raggiungere una conclusione certa per questa via, si può almeno affermare che anche da questo punto di vista nulla impedisce di ipotizzare che l’originale attribuisse questi versi a Guilhem de Saint Gregori. Se questo sirventese tipicamente bertrandiano, unanimemente considerato come uno degli esempi più rappresentativi del genere, avesse recato in origine concorde attribuzione al signore di Altaforte, ben difficilmente nel corso della trasmissione del testo si sarebbe da più parti modificata tale attribuzione a vantaggio di trovatori meno noti. Così come difficilmente il copista di ζ avrebbe avvertito la necessità di confezionare un congedo-σφραγίς al solo scopo di confermare un’attribuzione già certa. Al contrario, la dispersione delle attribuzioni indizia fortemente la paternità di un trovatore minore, ed il sorgere indipendente del secondo congedo in ζ e delle attribuzioni a Bertran in θ, T, a¹ documenta il tentativo, messo in atto da più parti, di assicurare ai versi divenuti famosi un autore all’altezza di tale notorietà. L’attribuzione a Blacasset sarà stata favorita da spinte analoghe: anche il figlio di Blacatz, è noto, imitò la maniera di Bertran de Born (69), ed anche in questo caso sarebbe arduo supporre che Be·m platz, se originariamente recante l’attribuzione ad un imitatore di Bertran di maggiore notorietà, potesse successivamente essere riferito all’oscuro Guilhem per iniziativa autonoma di diversi copisti (quelli di η, D e γ).

Un’ultima parola in merito alla collocazione storico-letteraria di Be·m platz. Pietro G. Beltrami ha osservato come non solo le attribuzioni a Guilhem ed a Blacasset, ma anche la maggior parte delle altre, divergenti e manifestamente inattendibili tradite per questo sirventese (ad eccezione di quella a Pons de Capdoill), riconducano allo stesso ambito storico nel quale si muove Blacatz. La corruzione dell’attribuzione in M potrebbe essere in qualche relazione col fatto che un Augerius de Grassa fu tra i giudici di Raimondo Berengario V (come risulta da atti degli anni 1232-1233) (70). L’alterazione potrebbe esser sorta «parce qu’on connaissait à peu près le milieu d’où ce texte avait été diffusé». Lo stesso potrebbe argomentarsi per l’attribuzione a Lanfranco Cigala, i cui rapporti con Blacatz sono documentati da un frammento di canzone (BdT. 282.11) (71) e che nel 1241 fu ambasciatore presso Raimondo Berengario V (72). Il conte di Provenza, al cui matrimonio probabilmente si allude nella VI strofa di Be·m platz, annoverò Blacatz fra i suoi sostenitori. Il signore di Aups lo aiutò a tornare in Provenza fra il 1216 e il 1217, e un’idea della rilevanza di tale cooperazione si può avere dai due congedi di Amors, ben m’avetz tengut di Elias de Barjols (BdT. 132.1, ed. Stroński nº VII): nel primo si festeggia il ritorno alla signoria di Provenza del «senher naturals»; nel secondo si magnifica la «valensa» di En Blacatz. La casa di Provenza e Blacatz sono nominati insieme da Elias de Barjols anche nei due congedi di Car compri vostras beutatz (BdT. 132.7; ed. Stroński nº VIII). Ma indicazioni ancor più rilevanti, ai fini della situazione di Be·m platz, sono fornite da altri due luoghi di Elias de Barjols, in cui sono menzionati congiuntamente Blacatz e la contessa Beatrice, figlia di Tommaso e sposa di Raimondo Berengario V: si tratta di BdT. 132.11, vv. 41-8 (Pus vei que nulh hom pro no·m te, ed. Stroński nº X) e di BdT. 132.4, vv. 41-8 (Ben deu hom son bon Senhor, ed. Stroński nº XII, i cui due congedi iniziano, rispettivamente, «Comtessa Beatris ...» e «En Blacas ...»).

Ulteriori elementi si ricavano dai rimproveri, di segno opposto, mossi a Blacatz da Lanfranco Cigala e da Falquet de Romans. Il primo, nel frammento di canzone sopra citato, accusa Blacatz di slealtà verso la sua domna, poiché egli si prepara a partire: «Hom qe de domna se fegna/ fort enamoratz/ non sembla ges En Blacatz,/ s’el vol anar en Sardegna;/ pero si·l dompna me·n cre,/ enanz qez el torn vas se,/ aura trobat un leial amador;/ qar ges no faill qui tricha trichador». Il Branciforti (p. 28) identifica questa domina con Beatrice, e con Beatrice è da identificare anche la contessa de Proenza cui fa riferimento Falquet de Romans quando, tenzonando con Blacatz (BdT. 97.2 = 156.4), gli rimprovera di tardare a seguire l’imperatore in crociata proprio a causa della fedeltà a questa dama (73). Al che Blacatz replica vantando il pieno successo del proprio servizio d’amore: «En Falquet, be voill sapçatz/ q’eu sui amatz/ et am ses cor vaire/ lei en cui es fina beutatz/ e gais solatz» (vv. 15-19).

A questo punto si possono trarre alcune conclusioni, a mio parere con un ragionevole margine di certezza. In primo luogo Blacatz, il cui stretto legame con Raimondo Berengario V conte di Provenza è noto sulla base delle notizie storiche e della tradizione letteraria, intrattenne nella finzione letteraria cortese un «servizio d’amore» avente per oggetto la consorte del signore di rango superiore al quale egli era legato. In secondo luogo questa circostanza, insieme alla connessione di Blacatz e Guilhem de Saint Gregori dimostrata dalla tenzone tra i due, aggiungendosi agli argomenti di altra natura già addotti nel corso di questo lavoro, rende difficile dubitare che Be·m platz lo gais temps de pascor, sia stato scritto da Guilhem de Saint Gregori, un letterato della cerchia di Blacatz, e sia stato dedicato alla di lui domina, di cui nella strofa sesta si tessono le lodi.

 

MICHELE LOPORCARO

 

Note:

* Il primo nucleo di questo lavoro è costituito da un seminario tenuto nell’Università di Pisa nella primavera del 1986 nell’ambito del corso di Filologia romanza del prof. P. G. Beltrami, che ringrazio. ()
 
1. Esso figura nei canzonieri trobadorici ABCDIKMPSgTUVa¹de. La sigla BdT. abbrevia A. PILLET e H. CARSTENS, Bibliographie der Troubadours, Halle (Saale), Niemeyer 1933. Le altre abbreviazioni utilizzate nel corso del lavoro sono quelle di uso comune: LR = F.-J.-M. RAYNOUARD, Lexique roman, Paris 1836-1845 [rist. Heidelberg, Winter]; SW = E. LEVY, Provenzalisches Supplement-Wörterbuch, Leipzig, Reisland 1894ss. ()
 
2. Cfr. p.es. L. CLÉDAT, Du rôle historique de Bertran de Born, Paris, Thorin 1878, p.91; id., Le sirventes Bem plai lo gais temps de pascor, «Romania» VIII (1879), pp. 268-74, alla p. 273. ()
 
3. Di queste diversità, più in dettaglio al § 2. ()
 
4. Cfr. G. GOUIRAN, L’amour et la guerre. L’oeuvre de Bertran de Born, Aix-en-Provence, Université de Provence 1985, nº 37, pp. 723-45; W. D. PADEN Jr., T. SANKOVITCH, P.H. STABLEIN, The Poems of the Troubadour Bertran de Born, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press 1986, nº 30, pp. 334-45. ()
 
5. CLÉDAT, Le sirventes, p. 273 in nota. ()
 
6. C. CHABANEAU, Poésies inédites des troubadours du Périgord (suite), «Revue des Langues Romanes» XXV (1884), pp.2 09-38, alle pp. 234s. Notizie su Beatrice di Savoia in F. BERGERT, Die von den Trobadors genannten oder gefeierten Damen, Halle (Saale), Niemeyer 1913 (Beihefte zur «ZRPh», 46), pp. 44-47; a p. 43 si considera la contessa menzionata in Be·m platz come ignota. Cfr. anche S. STROŃSKI, Le troubadour Elias de Barjols, Toulouse, Privat 1906, p. XXII, p.87. L’identificazione proposta dallo Chabaneau è recisamente respinta dal Gouiran (p. 725), che avanza dubitativamente alcune proposte alternative: è un rifiuto obbligato dal momento che egli attribuisce a Bertran de Born il sirventese completo della VI strofa. P. G. BELTRAMI, Appunti su «Razo e dreyt ay si·m chant e·m demori», «Rivista di Letteratura italiana» V, 1 (1987), pp. 9-39, alla p. 32, accoglie invece la proposta di identificazione dello Chabaneau. ()
 
7. A. THOMAS, Poésies complètes de Bertran de Born, Toulouse, Bibliothèque Méridionale 1888, pp.133-5; C. APPEL, Die Lieder Bertrans von Born, Halle (Saale), Niemeyer 1932, nº 40, pp. 92-4. ()
 
8. K. BARTSCH, Chrestomathie provençale (Xe-XVe siècles), Marburg, Elwert 19046, pp.180s; A. STIMMING, Bertran von Born, sein Leben und seine Werke, Halle (Saale), Niemeyer 1879 [Stimming¹], pp. 95s, 222-8, 301. ()
 
9. Lo Stimming ha mutato parere nella successiva edizione: Bertran von Born, sein Leben und seine Werke, Halle (Saale), Niemeyer 1913 [Stimming³] nº 41, p. 139; e pp.51s. Qui l’attribuzione a Bertran è ritenuta probabile, e così l’identificazione di Beatrice con la contessa di Savoia: in accordo con questi presupposti la sesta strofa, considerata come cobla esparsa non coerente per contenuto con quanto precede, viene espunta ed il testo edito consiste di cinque strofe ed un congedo. ()
 
10. K. LEWENT, Zur provenzalischen Bibliographie, «Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen» CXXX (1913), pp. 324-34; cfr. pp. 332s. ()
 
11. Cfr. S. STROŃSKI, Le troubadour Folquet de Marseille, Cracovie, Académie des Sciences 1910, pp.130*-131*. ()
 
12. Pubblicando questa poesia, Stroński espunge la seconda tornada. Anche H.-J. CHAYTOR, Poésies du troubadour Perdigon, «Annales du Midi» XXI (1909), pp. 153-68, pp. 312-37 la considerava apocrifa, seguendo il Jeanroy: «la tornade a dû être fabriquée pour appuyer cette attribution [scil. a Folchetto]» (p. 156). ()
 
13. Il Lewent (pp. 329s) osserva come, al di là della generale tematica e dei singoli stilemi, Be·m platz presenti rispetto alle poesie di Bertran de Born una differenza di fondo: è assente il riferimento ad avvenimenti storici puntuali. ()
 
14. C. APPEL, Petrarka und Arnaut Daniel, «Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen» CXLVII (1924), pp. 212-35; cfr. pp. 220s. La posizione è ribadita in ID., Bertran von Born, Halle (Saale), Niemeyer 1931, p. 80 n. 1. Nell’edizione Appel di Bertran de Born Be·m platz è stampato fra i componimenti di incerta attribuzione. ()
 
15. Cfr. L. E. KASTNER, Notes on the poems of Bertran de Born. V., «Modern Language Review» XXXII (1937), pp. 169-221, alla p. 216; M. Perugi, Trovatori a Valchiusa. Un frammento della cultura provenzale del Petrarca, Padova, Antenore 1985, p. 40. ()
 
16. Tanti sono i canzonieri in cui figura una o più d’una delle poesie di Guilhem de Saint Gregori con relativa attribuzione: ABCDIK. ()
 
17. Cfr. P. G. BELTRAMI, Appunti e ID., Remarques sur Guilhem de Saint Gregori, relazione inviata al II congresso AIEO, Torino 1987 [si cita dal dattiloscritto]. ()
 
18. La forma metrica è ripresa da No posc sofrir c’a la dolor di Guiraut de Bornelh, cfr. A. KOLSEN, Sämtliche Lieder des Trobadors Giraut de Bornelh, I. Texte mit Varianten und Übersetzung, Halle (Saale), Niemeyer 1910 [rist. anast. Genève, Slatkine 1976], nº 40, pp. 228-35. La canzone è datata dal Kolsen, II. Vida, Kommentar und Glossar, Halle (Saale), Niemeyer 1935, p. 79, all’inverno 1191-1192. ()
 
19. Nella tavola del Gouiran, p. 726, sono contenute alcune imprecisioni: si dà come presente in M il primo congedo, che invece manca; in e, inoltre, il congedo chiude il sirventese e non è preposto alla strofa VIII, come il Gouiran ripete a p. 729. ()
 
20. Mancano allo stemma SgVa¹, non utilizzati dallo Stimming nella sua edizione. ()
 
21. Rôle historique, p. 89. ()
 
22. In un successivo articolo (Le sirventes, cit.) questo stemma è difeso dall’Autore in polemica con lo Stimming. In questa sede è fatto riferimento ad alcune lezioni di alcuni testimoni, ma in modo affatto episodico. ()
 
23. Lo scambio dei versi 8/15, risultando in due varianti adiafore, sarà considerato oltre, in sede di disamina della varia lectio. ()
 
24. Le suddivisioni segnate da una barra verticale all’interno dei singoli gruppi si riferiscono a differenze di lezione che saranno discusse nel seguito. ()
 
25. Nella tradizione di testi provenzali non è infrequente il caso di fraintendimento del futuro er, arcaismo morfologico (cfr. p. es. V. CRESCINI, Manuale per l’avviamento agli studi provenzali, Milano, Hoepli 19263, p. 123). In Lanquan li jorn son lonc en mai di Jaufre Rudel (ed. G. CHIARINI, Il canzoniere di Jaufre Rudel, L’Aquila, Japadre 1985, nº IV, pp. 85ss) il futuro al v. 27 (quan drutz lonhdas er tan vezis), conservato generalmente nella famiglia α (cfr. lo stemma a p. 88) è variamente trasformato nei testimoni del ramo β: le versioni in lingua d’oïl presentano le rielaborazioni q. dru lointains seront veisins W, sont pres voisin X; pure passaggio al presente ovvero al futuro sintetico panromanzo si ha in SSga¹ (er >sera), CMªe (er > es). Il v. 24 di M’amia·m men’estra lei di Guiraut de Bornelh (ed. KOLSEN, nº 24, pp. 124ss) è Deus, qu’en er? A vos m’autrei: il futuro er viene conservato da ABCDIKQSgVa, mentre MR corrompono differentemente, inglobando la sequenza fonetica er in una voce di diverso significato che, pur inseribile nel contesto, ingenera una perdita di informazione (de ver R; seinher M). In Anc ieu non l’aic, mas elha m’a di Arnaut Daniel (VII, 11, cfr. M. EUSEBI, Arnaut Daniel, il sirventese e le canzoni, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1984) L presenta la lezione ipometra Qan es charida, derivante per aplologia da qand m’er escarida: la semplificazione fagocita l’arcaismo er. Sempre in Arnaut Daniel, si ha il passaggio er > es in IX,59 (l’er for rendutz > les fortz r. UV), e l’inclusione di er in unità lessicali più estese in IX,72 (m’er per vos manhs erguelhs > me seran mant erguelh R), IX,89 (al rei qui t’er escuoills > arei — V —/arrei — U —qui ten e. UV; seguo per questo verso l’ed. G. TOJA, Arnaut Daniel, Canzoni, Firenze, Sansoni 1960, mentre l’Eusebi mette a testo «al rei qui te recuelhs»), XVI,25 que greu er > greu sera R. In Bernard de Ventadorn VI,18 (ed. Appel, esquerns er a tota gen) IKOSif conservano er, M ha es, a et, Q Escarniramen la gen, D e skerniramen la çent. In Ben volria saber d’Amor di Rigaut de Berbezilh (nº V ed. A. VÀRVARO, Bari, Adriatica 1960, p. 160), al v. 15 («ni qui li er frans ni lials ni fis») li er passa a sera ABIK, ·l sera M, li son CT, son f. ()
 
26. In P, essendo omessa la congiunzione coordinante (e), si ha ipometria. ()
 
27. In alcuni altri casi si assiste, nella tradizione di testi poetici provenzali, alla corruzione di coma (< QUOMODO AC, cfr. REW 6972, LR I, 446). Tale corruzione comporta per solito il passaggio al più comune com, con creazione di ipometria ed eventuale inserzione di una zeppa metrica. In Ges, si tot ma don’et amors di Raimbaut de Vaqueiras (ed. LINSKILL nº VIII, pp. 132ss), tradito da cinque testimoni, il coma originale al v. 8 è conservato soltanto da E: si coma fes quan passei lai los portz. C, stemmaticamente vicino ad E, muta in aissi cum f., e nell’altra famiglia (DGa¹) si ha si com a fait (faiz G).
L’inserzione di fai per restaurare la misura del verso laddove sia insorta un’ipometria, è anch’essa fenomeno documentato nella tradizione di testi trobadorici. Il lessema si presta bene, ovviamente, a tale impiego in ragione della sua flessibilità semantica, come osserva M. PERUGI, Le canzoni di Arnaut Daniel, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, tomo I. Prolegomeni p. 345 discutendo alcuni luoghi confrontabili col nostro. Nel sirventese Ja hom pres ni dezeretatz di Raimbaut de Vaqueiras (ed. J. LINSKILL, The Poems of the Troubadour Raimbaut de Vaqueiras, The Hague, Mouton 1964, nº XXVIII, pp. 272ss) al v. 11 la lezione com fai quant hom a pres lo dan, messa a testo dall’editore (com fai è in EMfCRGQ), è per il Perugi alterazione di un originale Com pois que hom a pres lo dan — l’ipotesi è formulata in base all’esame delle lezioni concorrenti, per cui si rimanda all’apparato del Linskill, p. 275. Analogamente il Perugi considera non originale fai ai vv. 10 e 12 della canzone Quant l’aura doussa s’amarzis di Cercamon (nº I ed. A. JEANROY, Les poésies de Cercamon, Paris, Champion 1922, pp. 1ss; nº 1 ed. V. TORTORETO, Cercamon, Modena, S.T.E.M.-Mucchi 1981, pp. 61ss). Nei due versi di struttura parallela, il Jeanroy conserva fai — v. 10 Com fai so q’ieu vau deziran; v. 12 Cum fai so qu’ieu non posc aver — mentre il Perugi ritiene che entrambi principiassero Com so que eu, contenendo uno iato la cui perdita avrebbe provocato l’inserzione di fai (anche in questo caso si rimanda all’apparato delle edizioni, che riportano le lezioni diffratte dei diversi testimoni, sulle quali l’ipotesi si fonda). Nell’ed. Tortoreto è accolta nella sostanza l’eccezione sollevata dal Perugi a carico di fai: v. 10 Cum so que om vai deziran; v. 12 Cum so que om non pot aver. ()
 
28. Discutibile dunque la condotta editoriale di Gouiran e di Paden i quali, fedeli ad AB, mettono a testo bruïr in rima al v. 44. ()
 
29. Al v. 52 Ce leggono qu’hom (c’hom e) puesc en tot lo mon chauzir, a¹ q’inz el mon si pogues chauzir; al v. 54 si ha qu’anc (c’anc e) se mires ni ar se mir Ce, Q’anc mires ni mais se mir P (dove la caduta del riflessivo ingenera ipometria), qe anc se mires ni se mir a¹. ()
 
30. Nell’ed. di Arnaut Daniel, I. Prolegomeni p. 26. BELTRAMI, Appunti p. 32 n. 34 si pronuncia a favore dell’ipotesi in questione. ()
 
31. Viene correttamente individuata la natura di riempitivi metrici di en tot lo mon per el mon (v. 52 CMe) e di ar Ce, ia M, mais P inseriti al v. 54. ()
 
32. Ma cfr. oltre (§ 2.4) per le indicazioni fornite dalle differenze nella struttura metricca della prima cobla, riscontrabili nei diversi testimoni che la tramandano. Nel luogo citato si dà ragione dell’inclusione dei vv. 69/71 fra quelli dimostranti, nello stemma, il subarchetipo β. ()
 
33. È nota la parentela congiungente questi due canzonieri: tutti i componimenti trobadorici traditi in entrambi presentano un testo nella sostanza identico — cfr. A. PAKSCHER e C. DE LOLLIS, Il canzoniere provenzale A (Codice Vaticano 5232), «Studj di filologia romanza» III (1891) in cui a p. XIII sono esaminate le lacune d’antigrafo ricorrenti identiche nei due canzonieri, tali da dimostrare che essi ebbero un progenitore comune. ()
 
34. Quest’errore congiuntivo è proprio anche di V, ma essendo un raggruppamento stemmatico ABUV improponibile per l’intero sirventese, si dovrà supporre una traslazione in V del testo di questa sola strofa da un manoscritto della famiglia δ (cfr. la discussione subito oltre). ()
 
35. I tre canzonieri sono sempre vicini negli stemmi relativi alla tradizione di liriche provenzali. Nel nostro testo non è in alcun luogo possibile accertare rapporti di dipendenza all’interno di questo raggruppamento. ()
 
36. Potremmo utilizzare le sigle ec ed ep per designare i due nuclei del testo di e. Nella VI strofa e torna all’antigrafo principale (Ce sono congiunti al v. 52), per poi copiare da P il congedo, caduto in C, ed i versi interpolati della strofa VIII. ()
 
37. Tralasciamo le singulares di P cimatz (d’incerta lettura), Ce ficatz. ()
 
38. Ovvero in ε ed in β. Il singnatz di SgTV potrebbe infatti costituire un tentativo di reazione alla corruzione seiatz, inteso a migliorare il senso del passo (‘pali segnati’ che resta tuttavia insoddisfacente, ma è comunque più accettabile di ‘pali assediati’). D’altra parte, poiché la lezione di D è d’incerta lettura — setjatz si legge nell’apparato di Gouiran, setratz in quello di Stimming¹ — non si può escludere che la corruzione si sia originata in ε anziché in θ. ()
 
39. Se il testo di V in questa strofe discende da α, a¹ rimane per questi versi l’unico rappresentante del ramo β. Si osservi che la marcata scorrettezza del testo della VI strofa come tradito in a¹ deve indurre almeno il sospetto che già in β tale zona del testo dovesse presentarsi deteriorata. L’estensore di ζ avrebbe dunque amputato il luogo, giudicato insanabile ed oscuro in più punti. Si noti infine che l’ipotesi ora formulata comporta una economia notevole. Se non si ammettesse la caduta della strofa in ζ si dovrebbe supporre che Sg e T l’abbiano perduta indipendentemente. ()
 
40. Per la poligenesi si pronuncia Clédat, Le sirventes cit. p. 271. ()
 
41. In verità quan vei era stato difeso, ma in base a considerazioni puramente stilistiche e non stemmatiche, da CLÉDAT, Le sirventes cit., p. 271. Questa l’argomentazione: «En effet, quan vei répond mieux que que fai au mouvement de la strophe, au quand auch du v. 3 et aux deux autres quan vei des vers suivants: la triple répétition de ces deux mots ne fait pas difficulté, car elle est parfaitement dans le goût habituel des troubadours. Il est vrai qu’avec notre hypothèse il faut admettre que P et U se sont rencontrés fortuitement pour le que fai avec la sous famille v [l’Autore raggruppa sotto questa sigla i testimoni ABDIKd; cfr. lo stemma alla p. 272, riprodotto qui sopra (fig. 2)]; mais cette rencontre ne me paraît pas impossible, «lo gais temps que fai venir flors» étant une locution courante, qui se présentait d’elle-même à l’esprit du copiste». Da osservare che, nella nostra ricostruzione stemmatica, la variante que fai può considerarsi sorta in α. Per illustrarne la genesi resta valido l’argomento della banalizzazione sintattica: l’unificazione del soggetto della dipendente con quello della reggente produce una lectio facilior andando incontro inoltre ad una locuzione comune e distruggendo la corrispondenza anaforica individuata dal Clédat. ()
 
42. Alternativamente, senza che il quadro generale ne risulti alterato, si potrebbe supporre che tale lezione, originata in ζ, sia passata in IKd lungo la stessa linea di contaminazione già postulata (cfr. vv. 45/48). ()
 
43. Questa la prassi editoriale di Stimming³ ed Appel, cui si associa Kastner, p. 216, mentre Stimming¹, Thomas, Gouiran e Paden stampano secondo AB. ()
 
44. Si osservi però che la perfetta equivalenza sintattica e semantica dei due tipi, l’identità della struttura metrica e rimica nei due luoghi in oggetto nonché la presenza di Quan vei in anafora nei due versi rispettivamente seguenti (v. 9 e v. 16) spingono a non escludere la possibilità che l’interversione sia poligenetica. ()
 
45. IKd presentano un’alterazione meccanica rotz > totz che porta come conseguenza la rielaborazione della sintassi del verso (la congiunzione diventa copula e l’obl. plur. diventa nom. sing.): el beri totz es esfondratz. U legge in rima desforzatz. ()
 
46. All’interno di questa famiglia, più vicino all’originale si mantiene Sg (el bai rot e desfondratz). TV inseriscono un que inappropriato al contesto sintattico, con modifiche collaterali: e al (el V)bair qe rot (rotz V) et defronsatz (desforatz V). a¹ corrompe invece in e portals rotz et enfrondatz. ()
 
47. e murs fondre e derocatz (C), e bars rompre et esfrondatz (e). L’introduzione di un infinito rende impossibile la coordinazione con il participio seguente. Si osservi che e conserva esfondratz che in C è alterato. L’abate Plá, estensore di e, inserisce questo sirventese nella sua progettata antologia trobadorica servendosi di C e di P (l’indicazione, ovviamente, va intesa come non riferentesi necessariamente a quegli individui, bensì a qualsivoglia rappresentante della medesima tradizione. L’intera ricostruzione seguente va poi pressa cum grano salis, come l’ipotesi minimale autorizzata dai dati traditi. Essa necessiterebbe di conferme esterne, ed è teoricamente possibile che il sincretismo delle tradizioni rappresentate da C e da P sia avvenuto in un qualche perduto predecessore di e). Come risulta dalla distribuzione degli errori stemmatici, egli segue C come antigrafo principale copiandolo integralmente (il testo di C è ridotto alle strofe I-IV e VI). Disponendo anche di P, il Plá inserisce poi (rispettando l’ordine di ricorrenza all’interno di P) le strofe V e VIII ed il congedo (t), così da completare il testo. Data questa situazione generale, si deve però supporre che egli già copiando la prima porzione del sirventese confrontasse il secondo antigrafo nei casi — questo del v. 17 è uno di quelli — in cui C non offrisse lezioni a suo giudizio soddisfacenti. Anche al v. 14 e eredita da P gran iens armatz (vs. gran ren d’armatz C et cett.), perché evidentemente al compilatore resta per qualche motivo insoddisfatto della lezione attestata dall’antigrafo principale. Al v. 57, ugualmente, sorzon e è tratto da P, benché la strofa nel suo complesso sia copiata da C (che al v. 57 ha invece soiorn). La consultazione di P durante la copia di C resta però sporadica, limitata a singoli casi. Di sicuro P non è stato confrontato al v. 27: la parola in rima acesmatz (AB et cett.) è conservata in P (cascuns deu esser acesmatz) ed è invece corrotta in C (chascus deu esser assermatz). In questo caso il Plá emenda congetturalmente in afermatz la lezione priva di senso di C, non avendo evidentemente presente la lezione corretta di P.
Sin qui i dati interni, evincibili dal confronto fra testimoni. Essi ricevono puntuale conferma dalle informazioni che lo stesso Plá (p. 159) fornisce circa le due fonti utilizzate: vv. 1-40, 51-56 (dal «mio Cod. ms.») e vv. 41-50, 57-60, VIII, t («dal Crescimbeni»). ()
 
48. Il segno = indica parità stemmatica delle due varianti. ()
 
49. Si è già mostrato come per la VI strofa il solo a¹ rappresenti la famiglia β. ()
 
50. IKd perdono il riflessivo di II pl.: nous > nos. In U si trova la corruzione Ennanz qe uencut uus no(n) guerreiaz mentre in β va perduto l’avverbio temporale: abans q(ue) uos non gherreiatz SgTV (con varianti grafiche), enan qe de guerra·us laissatz a¹. ()
 
51. Le cifre arabe indicano il numero di strofe di cui il testo si compone. Il numero d’ordine di ogni strofa è designato da una cifra romana. I segni + e — van letti rispettivamente «aggiunge» e «perde» [scil. rispetto all’antigrafo], = «resta invariato», naturalmente da intendersi nell’accezione ristretta di «non perde né aggiunge unità strofiche». Il segno _ indica il luogo dell’aggiunzione: β+VII (V_VI) «β aggiunge la strofa VII fra la V e la VI»; ι inv. V, IV «ι inverte l’ordine delle strofe IV e V». ()
 
52. Il sirventese è il nº VII nell’ed. di R. ZENKER, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle (Saale), Niemeyer 1896, pp. 57-61. Questo il testo della strofa in Sg: «Ben uolgra que fos un senhor/ q’aghes tan poder e albir/ c’als maluais tolghes la ricor/ e no·i laisses terras tenir,/ e dones de l’eretatge/ a tals que fos pros e preszatz,/ q’aisi fo lo setgle començatz,/ e non gardes linatge,/ mas aisi camies lo riche maluatz/ com fan Lombartz [ms. Lōrbartz] lor poestatz»(cfr. anche GOUIRAN, p. 743). ()
 
53. Per il nostro sirventese, esempio drammatico di edizione condotta a prescindere da ogni tentativo di recensio e, in generale, di vaglio critico del materiale testuale tradito, è quello della recente ed. Paden. Il testo ivi presentato consta di sette strofe e tre congedi: alle strofe I-V seguono Amors vol drut cavalcador [VII], Pros comtessa [VI], Donzella d’aut lignatge [VIII nella nostra numerazione, considerata dagli editori alla stregua di un congedo di sei versi] ed infine t e t’. Tale assemblaggio è condotto senza il minimo tentativo di ponderazione del valore delle singole testimonianze. Esso viene tautologicamente motivato per mezzo di una discutibile petitio principii circa la «vera» natura poetica del testo, quale intesa dagli editori: «we consider him [scil. Bertran de Born] the probable author of the stanzas on love (6, 7, 8), which are included in only a few MSS and earlier editions [mi sono in realtà ignoti editori precedenti che abbiano concepito un tal golem testuale]. The inclusion of these stanzas changes the poem from an ode to war into a celebration of élan in war and in love, themes which intertwine throughout Bertran’s work». ()
 
54. Essa figura anche fra le citazioni trobadoriche nel Breviari d’amors. Cfr. R. RICHTER, Die Troubadourzitate im Breviari d’Amor, Modena, S.T.E.M.-Mucchi 1976, p. 429. ()
 
55. La natura di cobla esparsa di questa strofa è stata riconosciuta da tutti gli editori precedenti, con l’unica eccezione di Paden. Cfr. anche LEWENT, art. cit. p. 334 e A. KOLSEN, Altprovenzalisches (Nr. 3-5), 4. Drei Giraut de Bornelhs No posc sofrir nachgebildete Lieder, «Zeitschrift für Romanische Philologie» XXXIX (1917), pp. 162-171, alle pp. 170s, che dà un’edizione della cobla. ()
 
56. Che questo secondo congedo non potesse discendere dai piani alti della tradizione ben vide il Lewent (cfr. § 1), pur non conoscendo il saragozzano. ()
 
57. Si vedano per il testo di Be·m platz i paralleli bertrandiani segnalati nelle note di commento ai versi. Nella valutazione dell’errore di metrica nel secondo congedo seguo BELTRAMI, Remarques pp. 3-4, dove è operato l’accostamento di questo congedo con quello di Cortz e gestas e joi d’amor di Bertran de Born (ed. Gouiran nº 15, ed. Appel nº 10 Cortz e guerras, ed. Paden nº 2 Tortz e gerras): «Papiols, e tu vai viatz/ al Joune Rei/ diras que trop dormir no·m platz.// En Oc-e-No ama mais patz, ab fe lo crei,/ que·l frair Joans deseretatz». Si notino Papiols e Oc-e-No nella medesima sede, il simile assetto del terzo verso (diras que trop), le rime viatz:patz e la iunctura vai viatz. (
 
58. CHABANEAU, Périgord p. 234. Cfr. anche CLÉDAT, Rôle historique p. 89: «Le grand argument en faveur de Bertran de Born est l’envoi». ()
 
59. Rôle historique, p. 90. ()
 
60. J. ANGLADE, Anthologie p. 59. ()
 
61. Il ms. V, non leggendo tale strofa nel proprio antigrafo, la derivò da un manoscritto della famiglia δ (cfr. § 2.2). ()
 
62. È pertanto immetodico il procedere di coloro che tale espunzione hanno operato. Valga per tutte, a titolo di esempio, l’argomentazione dello CHABANEAU, Périgord pp. 234s: «si cet envoi [scil. t’] est, en faveur de l’opinion que je soutiens [l’attribuzione a Bertran], un argument du plus grand poids, une objection sérieuse est fournie, d’un autre côté, par le couplet adressé à la Pros comtessa Beatritz (sans doute Beatrice de Savoie, femme de Raymond Bérenger V, comte de Provence). Je crois que toute difficulté disparaîtra si l’on veut bien admettre l’hypothèse, à mon avis très-plausible, que ce couplet, lequel manque dans tous le manuscrits qui attribuent formellement la pièce à Bertran de Born, et de plus dans D, est une interpolation, ni plus ni moins que celui qui le suit dans PM, que celui qui le précède dans V, et qu’on trouve isolé et anonyme ailleurs». ()
 
63. La proposta è avanzata in BELTRAMI, Appunti p. 32, in base al contenuto della strofa. In effetti, in particolare il v. 52 — in cui si dice della contessa che essa è la migliore che al mondo si possa scegliere — ed i vv. 59s — in cui si dice di un innalzamento di rango, descritto al passato prossimo — possono ben riferirsi ad una simile occasione.
La datazione per il matrimonio è stabilita da S. Stroński, Le troubadour Elias de Barjols, Toulouse, Privat 1906, p. 87 che, commentando Bon’ aventura don Dieus (BdT. 132.6, nº IX nell’edizione), argomenta che l’invio a Tommaso I di Savoia e a sua moglie Marguerite de Génevois (vv. 46ss «Chanso, la comtessa valen/ de Savoia, on fin pretz es,/ me saluda, e·l pro marques») induce a datare la canzone al momento in cui gli ambasciatori provenzali partirono per la Savoia al fine di concludere il contratto per il matrimonio di Beatrice, figlia di Tommaso, con Raimondo Berengario V (una carta del 5 giugno 1219 stabilisce l’ammontare della dote). Il matrimonio, conclude Stroński, non sarà di molto posteriore, benché alcune fonti lo collochino nel dicembre del 1220. Cfr. anche BERGERT, Damen cit. p. 45. ()
 
64. A. KOLSEN, Sämtliche Lieder cit. vol. I, pp. 228-235, vol. II, p. 79. La forma metrica della canzone di Guiraut de Bornelh ebbe notevole fortuna: il repertorio del Frank (424.1-11) registra undici componimenti di tale struttura. Fra questi, alcuni presentano riprese puntuali di No posc sofrir (p. es. Ar me puesc ieu lauzar d’Amor di Peire Cardenal, I ed. Lavaud) o di Be·m platz: quest’ultimo è il caso di BdT. 242.52, attribuita a Guiraut de Bornelh — cfr. sopra, la nota al v. 40 — e del sirventese contro «i tre diseredati» che Sordello scrisse, secondo il Boni, cit. p. 122 alla corte di Raimondo Berengario V alla fine del 1237 o nel 1238. Che Sordello imitasse di proposito Be·m platz mi pare indubitabilmente attestato dalla ripresa di parole rima, immagini e iuncturae: p. es. si trova pascor (v. 3) in rima nell’incipit; cfr. inoltre l’inizio della strofa IV: «Be·m plai del comte mon segnor» (v. 31); ed infine, ai vv. 8-10, la ripresa di Be·m platz v. 40, citata nella nota al verso. Il 1238 costituirebbe dunque un probabile (benché alquanto ridondante) terminus ante quem per il sirventese di Guilhem de Saint Gregori. ()
 
65. Cfr. M. DE RIQUER, Los trovadores, Barcelona, Planeta 1975, vol. III, pp. 1288s. ()
 
66. Cfr. O. KLEIN, Der Troubadour Blacassetz, Wiesbaden, Ritter 1887, p. 22. ()
 
67. Ho trattato della datazione della sestina in Due poesie di Guilhem de Saint Gregori (BdT. 233.2, 233.3), «Quaderni del laboratorio di linguistica della Scuola Normale Superiore di Pisa» II (1988), pp. 226-69, ma già G. BERTONI, La «sestina» di Guilhem de Saint Gregori, «Studj Romanzi» XIII (1917), pp. 31-39, alla p. 39 la collocava «all’alba del sec. XIII». Sulla datazione della canzone cfr. BELTRAMI, Appunti. Degli altri due componimenti attribuiti a Guilhem, Nueyt e iorn ai dos mals senhors (BdT. 233.3) non è databile e la tenzone con Blacatz (233.5) non è collocabile altrimenti che entro gli ampi limiti cronologici della produzione poetica di quest’ultimo: fra gli anni Novanta del sec. XII ed il principio del quarto decennio del secolo seguente (cfr. O. SOLTAU, Die Werke des Trobadors Blacatz, «Zeitschrift für Romanische Philologie» XXIII (1899), pp. 201-48, XXIV (1900), pp. 33-60. ()
 
68. L’ipotesi, formulata dal Gröber, è accolta da Lewent, p. 331. Cfr. anche Pillet (BdT. 204a p.172). ()
 
69. In Gerra mi play quan la vei comensar (BdT. 96.6; ed. Klein, nº 6, pp. 12-14), ed in De guerra sui deziros (BdT. 96.3a; ed. G. BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, «Giornale storico della letteratura italiana» XXXVIII (1901), pp. 269-309, cfr. pp. 288-90). ()
 
70. Appunti, pp. 32s, Remarques, pp. 5-9. Anche i passi trobadorici brevemente richiamati nel seguito sono già analizzati dal Beltrami nei luoghi citati. ()
 
71. Tale frammento è databile agli anni 1220-1228; cfr. F. BRANCIFORTI, Il canzoniere di Lanfranco Cigala, Firenze, Olschki 1954, nº XXXI, pp. 26-8. ()
 
72. Cfr. G. BERTONI, I Trovatori d’Italia, Modena, Orlandini 1915, p. 577. ()
 
73. Cfr. SOLTAU, Blacatz nº X, p. 246, Zenker, Folquet de Romans nº VII, pp. 57-61, vv. 1ss. La tenzone fra Blacatz e Folquet è databile agli anni 1220-1228. ()

 

 

 

 

 

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