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Parducci, Amos. Miscellanea di letteratura del Medio Evo. IV. Granet, trovatore provenzale . Roma: Presso la Società, 1929

GRANET

È un altro dei trovatori che si raccolsero intorno a Carlo d' Angiò durante il suo dominio provenzale. Per quanto la sua breve produzione sia stata già per buona parte e a più riprese studiata (1), mi son proposto di raccoglierla, sia perché, contrariamente a quanto accadeva, egli fu sempre in buoni rapporti con l'Angioino —è dunque uu'eccezione da segnalare—sia perché non le nocerà, penso, l'esser sottoposta a un nuovo esame d' insieme. Siproseguono così quei contributi a nuovi studi su Carlo d'Angiò nell' opera dei trovatori, dei quali già diedi saggio con l'edizione di Bonifazio di Castellana (2).

In verità però Granet è perfettamente il rovescio della medaglia del di Castellana. Quanto quegli è aspro e battagliero, altrettanto questi è equanime e calmo, e all’alta nobilità dei natali di Bonifazio non può Granet contrapporre che la sua più umile provenienza. A questo certo, anzi, in massima parte si deve se degli antichi scrittori di cose provenzali pochi e,in generale, brevemente si son ricordati di lui (3). I documenti pure ne tacciono. Sì che tutta la luce, che è poca, sulla vita e sull'opera dobbiamo unicamente richiederla al suo canzoniere.

Il quale consta di 5 componimenti (Gr., 189) (4):

1. Comte Karle, eus voill far entenden;
2. De vos mi rancur,compaire;
3. Fin pretz e vera beutatz;
4.Pos al comte es vengut en coratge;
5.Pos anc nous valc amors, seigner Bertran.

Una canzone (3), due sirventesi (1 e 4) due tenzoni (2 e 5), che si raggruppano intorno a questi tre temi fondamentali.

a) AMORE. L’amore occupa una parte secondaria nellasua vita: come avviene di tanti altri trovatori di questo tempo (5), son gli avvenimenti politici che meglio lo muovono al canto. L' unica canz. Fis pretz (no. I) che questa categoria comprende e per la datazione della quale non si ha alcuuo elemento, è del resto una delle solite variazioni, riccamente fiorettata, su un tema ben noto (6). Ilpoeta è innamorato della migliore —Dio l'ha formata perfetta—e vuol piuttosto servire lei senza ricompensa che altra donna, per quanto rimunerato. L 'ami ella o lo respinga, le sarà sempre servo devoto.

 

b) RELAZIONI CON CARLO D’ANGIÒ. Esse appaiono sempre buone: anche, forse, nell’ abbandonare la sua corte per recarsi presso Barral del Balzo, egli conserva verso l'antico protettore contegno e forma impeccabili. Le più antiche risalgono al periodo 1250-1253. In fatti, in questo tempo, come ha dimostrato il Fabre (7), Carlo d'Angiò, a cui l'argomento dovette gradire, commetteva a Granet l’incarico, vv. 1-4, di riferire col sirventese Pos al Comte (no. II) intorno aduna tenzone svoltasi fra Sordello e Bertrando d'Alamanon (8). La tenzoneera stata iniziata dal Mantovano che domandava al Provenzale:  egli dovesse rinunciare alle fortune amorose e alla felicità di avere un'amica o alla gloria delle armi e alla cavalleria, pur continuando ad essere creduto dalla donna amata un forte guerriero, che cosa amerebbe meglio perdere o conservare? E Bertrando, contrariamente a Sordello, sceglieva la gloria e la celebrità che dànno le armi (9). La scelta di Carlo sta certo a indicare una cotale stima del trovatore, che poteva in parte essere appoggiata anche su certe sue qualità di elevatezza morale e di dignità, quali si rivelano nel sirventese Comte Karle (no. III), che fu scritto qualche anno appresso, nel 1257, e che Carlo, amalgrado di tutto, non poteva non apprezzare.

Nel 1257 Carlo stava per muover guerra al Delfino Guido VII di Vienna, e le parole che Granet gli rivolge, suonano lodi e incondizionato incitamento. Ma la lode non è priva di un ricordo che a Carlo non poteva e non doveva esser molto gradito, vv. 11-2, e l'incondizionato incitamento è sorretto da ammonizione, vv. 17-8, e accompagnato pure da ironia, vv. 23-4. Ma non perciò è da porre questo sirventese fra quelli ispirati all' avversione e all' odio contro Carlo d'Angiò: il tono generale non giustifica per niente un sì fatto giudizio (10). Esagera pertanto, a parer nostro, il Fauriel, quando di esso scrive: «La satire est d'autant plus piquante qu'elle est plus indirecte et ressort des conseils donnés naïvement et de bonne foi» (11).

 

c) TENZONI CON BERTRANDO D'ALAMANON.

Da esse si rilevano anche in massima parte le sue relazioni con Sordello. Si sa che non è il caso di prendere alla lettera tutto quello che gli avversari si scagliano l’un l’altro nelle loro cobbole. Ma come un qualche fondo di verità ci deve pur essere, e poiché le relazioni col d'Alamanon erano cominciate con un atto di grande generosità da parte di Bertrando, così io penso che il primo componimento, in cui si parla di lui, sia il no. II Pos al Comte già ricordato. In esso Granet non tratta, è vero, nel modo più blando ilsuo buon protettore: vv. 8, 13-16, 21-4;ma l'accusa di mancanza di energia e di coraggio non gli era rivolta unicamente da lui: era quasi un luogo comune fra itrovatori, che parlavan di Bertrando (12). Al contrario, l'espressione «mos compaire» v. 16, che rivolge al d’Alamanon nel tempo stesso che lancia l’accusa, dice chiaro che essa sfiorava appena il labbroe non passava al cuore.

In questo sirventese appare per la prima volta anche Sordello, il quale è indubbiamente trattato meglio di Bertrando, dicendosi di lui non più di quello, vv. 9-12,ch'egli aveva reso pubblico nei suoi versi e dandogli poi, vv. 19-20,benevoli consigli.

Ciò, come s'è veduto, avveniva nel 1250-1253.

Ora, a conferma di quanto abbiamo detto delle prime relazioni fr Granet e Bertrando, dobbiamo rilevare che, pochi anni dopo, nel 1258, i due trovatori tenzonavano amichevolmente fra loro, Pos anc (no. IV), su un amore non corrisposto di Bertrando (13). Granet chiamava il suo compagno col titolo di «signore», dandogli rispettosamente del voi, e col voi Bertrando ricambiava l'«amico Granet».

Anche qui ritorna Sordello; essendo però il ricordo dovuto a Bertrando e presentandosi in maniera incidentale, v. 44, non giova a dare il lume desiderabile sui rapporti d' allora con Granet.

Ma certo non molto dopo, per cause che a noi sfuggono del tutto, le nubi devono esser sorte sull' orizzonte e le acque devono essersi intorbidate.

La tenzone De vos mi rancur (no. V) non ha in sé elementi per una datazione più o meno approssimativa (14). Essa è però troppo aspra e violenta, massime sulle labbra di Granet, del quale poi è così insinuante la minaccia, vv. 6-9,che non si riesce a ridur tutto a un mero giuoco (15). Granet conserva ancora forma rispettosa (16); ma è per forza di tradizione: non ogni vincolo di gratitudine si poteva spezzare ad un tratto. Bertrando, questa volta, al contrario, lo chiama senz' altro Granet e gli dà del tu.

Pensare che questa tenzone debba essere avvenuta in tempo anteriore alla precedeute e che fra i due si sia poi avuto un ravvicinamento, senza che in essa non sia rimasta traccia alcuna del fatto, non mi pare ammissibile. Ho detto inoltre che De vos mi rancur non dovrebbe essere di molto posteriore a Pos anc, perché Bertrando d'Alamanon, avendo subito seguito Carlo d'Angio in Italia (17), essa al massimo potrebbe protrarsi fino al 1265.

Ma c’è qualche argomento, forse, per ritenerla anteriore di qualche tempo.

Il ms. Laurenz. XLI, 42 (=P) conserva anonime alcune cobbole, che furono generalmente attribuite a Peire Bremon Ricas Novas (18). Il testo, che qualche nostra cura ha cercato di render chiaro meglio che fosse possibile, dice così (19):

[f. 64ro, col. 2].

I. Be·m meraveil d’en Sordel e de vos,
seigner Bertram, car anc sosfrist mon dan,
qe·l dams mi pres. Anc no fesist semblan,
s’eu pris onta ni dan, qe mal vos fos;
e degraz ben gardar de fallimen
ni de dan, qe ieu·us servi lialmen.
De mi n'avez e del Conte mal grat,
car non...
 
II. Jamais le Cons no·s deu ficar en vos;
a vos o dic, en Sordel e Bertram.
Ni ieu qe·us ai servit ses tot enian,
car anc del mon dan no fust rancuros.
E qi seignor vol servir lialmen
deu lo, can fail, blasmar adreizamen.
Mas ben pot far le Cons sens o foudat
qe tot li er per vos autres lausat.
 
III. Per mon seignor Barral c' a prez valen
tenc mi megeus e mon cor e mon sen,
q'el m'a estort, e az el en sai grat;
e aissi ieu prem de vos dos comiat.

v. 1. nos   3. Qel rams   4. onta mi d.   5. len g.  6. Mi... qe us   8. Il testo è nettamente interrotto, senza nessun segno e nessina raschiatura.   9. en uos dos   11. qes al   13. seigner   17. seigner Baral   18. megeus mon   20. E ais prem

 

I. Ben mi maraviglio del signor Sordello e di voi, signor Bertrando, perché mai tolleraste il mio danno, ché il danno mi prese. Mai non faceste sembiante, s'io presi onta e danno, che malevi fosse; e dovreste ben proteggermi da follo e da danno, ché io vi servii lealmente. Di me e del Conte avete cattiva riconoscenza, perché non ...

II. Giammai il Conte non si deve intrometter fra voi; a voi lo dico, signor Sordello e Bertrando. Né io cbe vi ho servito senza inganno, perché non foste mai dolenti del mio danno. E chi vuol servire lealmente signore, deve biasimarlo acconciamente, quando erra. Ma ben il Conte può far senno o follia,che tutto da voi altri gli sarà lodato.

III. Per il mio signore Barral, che ha pregio valente, tengo me medesimo e il mio cuore e il mio senno, che egli mi ha salvato, e a lui ne son grato; e così prendo congedo da voi due.

 

L'attribuzione era fondata, in particolar modo, sui personaggi, di cui vi si discorre, essendo essi stati conosciuti dal Ricas Novas, e i sentimenti espressi, ad es., a riguardo di Sordello,erano pur quelli che ricorrono in versi realmente scritti da Peire Bremon. Si disse anche che queste cobbole spiegherebbero un passo del Mantovano nel celebre duello (V, 10), dove è detto che il conte di Provenza a partit de si Ricas Novas (20). Ma questo argomento mi sembra da escludere, perché in esse è detto che Bertrando e Sordello hanno sofferto il danno del trovatore e non che il Conte lo ha allontanato. A giudicar dai vv. 7-8 —quest' ultimo però quasi frammentario —e dal v. 9, le relazioni fra il Conte e il trovatore, all’opposto, appaiono buone.

Il Torraca, Giorn. Dantesco, IV, 19 e n. 1, aveva già messo innanzi l’ipotesi che potesse invece pensarsi a Granet. Prima di tutto, non sembrava convenire al carattere del Ricas Novas l'affermazione di servitù fatta al v. 6 e ripetuta al v. 11. Poi Sordello e Bertrando eran due trovatori, che anche Granet conosceva molto bene. In fine, l’eco di III, 2-8 risonava «abbastanza distintamente » nei versi 13-16 delle cobbole.

Indubbiamente i rapporti istituiti dànno da pensare, ed è un'attribuzione che, anche a parer nostro, ha molte più probabilità dell'altra. Se così è, queste cobbole, allo stato attuale delle nostre conoscenze, rappresentano la parola di congedo, che Granet rivolge a Bertrando e a Sordello; e son, per conseguenza, posteriori a De vos mi rancur, rimanendo sempre di qua dal 1265. Se così è, aggiungo ancora, l'affermazione che Granet sia un  intimo di Bertrando (21), è alquanto da modificare. Non c'è poi nessuno ostacolo ad ammettere che Granet, come altri trovatori, si sia recato presso Barral del Balzo. L'essere egli da tempo fautore di Carlo d'Angiò (22) giustificherebbe anzi la buona disposizione del trovatore verso di lui, anche in questa circostanza.

Quale sia il «danno» v. 3, sofferto non saprei dire. Forse che Granet non era stato da loro raccomandato come e quanto conveniva a Carlo d'Angiò, il quale non era troppo «largo» III, 12?

Granet era, in origine, un povero galoppino, nativo sicuramente della Provenza (23), che Bertrando d'Alamanon, provenzale, aveva levato dal nulla, innalzandolo all'arte del giullare V, 14 e 29-30. Anche il nome ci riporta alla sua umile origine (24). Eppure egli non è uno dei soliti sollecitatori e piaggiatori di grandi: chiede, è vero, ma con dignità, cfr. specialmente III, 11-13. E ha cura di metter bene in evidenza la nobiltà della sua missione III, 2-8; è superbo della fierezza dei suoi versi V, 39, e sa dire ai potenti, che pur gli sono amici e lo proteggono, tutta la verità III, 11-2,17-8, 23-4 (25). Se esprime franco e netto il desiderio di tenersi lontano dalla mischia III, 42, non gli se ne vorrà poi fare un gran torto.

La natura gli aveva dato qualche felice disposizione a compor versi; per lo meno tanto quanto non pochi suoi confratelli. Parlando d'amore, ha espressioni sufficientemente efficaci, se pure non del tutto fresche e odorose IV, 22.Così con colori assai vivi rappresenta la vita di guerra, e si sforza di riprodurre nel suono delle parole l'ardore e il furore della battaglia III, 21-2e 35-41 (26).

Se anche esista una differenza veramente sostanziale fra la poesia dei giullari e quella dei trovatori (27), Granet non offrirebbe elementi per meglio determinarla. Tutt'al più si potrebbe trattare di qualche accenno quasi  impercettibîle (28).

Fiorì, come s'è veduto, più particolarmente dal 1250al 1260. Nulla sappiamo intorno alla sua morte e nulla possiamo congetturare: quello che sembracerto è che egli non segui in Italia Carlo d'Angiò (29).

Quanto alla sua nascita, è dato fare un'ipotesi abbastanza plausibile. Nella tenzone Pos anc (no. IV), v. 39, egli tratta il d'Alamanon di «vecchio»e su questa condizione insiste nel v. sg.: Bertrando doveva allora, presumibilmente, avere oltrepassato di non molto la cinquantina (30). Il d'Alamanon, rispondendo, rnentre non cerca affatto di allontanare da sé tale qualifica, non la ritorce neppure per niente su Granet, che chiama anzi con l'appellativo di «amico» v. 42. Il che significa che Granet, in quel tempo (1258), non era vecchio. E poiché lo troviamo già in relazione con Bertrando da qualcheanno (1250-1253), non sarà ardito l'ammettere che egli fosse allora in quell' età, che oscilla frala piena giovinezza e la prima virilità. Si può pertanto, con verisimiglianza, collocare la sua data di nascita nella terza decade del sec. XIII.

 

Note

1. I ni. I, IV e V hanno avuto anche un' edizione critica, come si vede a suo luogo. ()
2. Cfr. Romania, XLVI , 478 sgg. Quanto al metodo dell’ ed. mi limito a rilevare che, sotto la tirannia della rima, talvolta anche Granet, come altri trovadori, massime di questo tempo, offende la declinazione: III, 7 e 37 e V, 39. Ma, fuori di rima, restituimmo la buona lezione, ché nella lingua letteraria la regola era generalmente seguita: cfr. però in contrario n. a III, 37. Alcuni di questi errori, anzi che all'amanuense, si dovranno, forse, al trovatore; ma per determinare mancano elementi decisivi di giudizio. Nell'ondeggiamento della forma del nom. e del voc. con o senza -s dei nomi propri, potendo l' uso di volta in volta esser diverso e per più d’una ragione, ci è sembrato meglio non regolarizzare.()
3. Ricordano poco più che il nome: CRESCIMBENI, Giunta al Nostradama in Istoria della volgar poesia, II, Venezia, 1730, pp. 189-190; BARBIERI, Dell’origine della poesia rimata, Modena, 1790, p. 133; CHABANEAU, Les biographies des troubadours, Toulouse, 1875, p. 146. Più a lungo ne parlano: MILLOT, II, 133-7; Hist. littér. de la France [È. D.], XIX, 517-521; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, Toulouse, 1902, pp. 113-122. Altri, che ne han trattato in singoli casi, saranno ricordati ciascuno a suo luogo.()
4. Il BARTSCH glie ne assegna veramente 6; ma il no. 6 Seigner, per queus è tutta una cosa col no. 2; cfr. p. 26. L'Hist. littér., XIX, 518 gli attribuisce solo 4 componimenti, ché riferisce di una sola tenzone con Bertrando d' Alamanon.(↑)
5. Cfr. il mioBonifazio di Castellana cit., p. 491.()
6. Cfr. DIEZ, Die Poesie der Troubadours, Leipzig, 1883, p. 119; ANGLADE, Les Troubadours, Paris, 1908, p. 74 sgg.; PÄTZOLD, Die Eigentümlichkeiten einiger hervorragender Trobadors in Minneliede, Marburg, 1897, p. 125 sgg.()
7. Guida de Rodez ... in Annales du Midi, XXIV, 336 sgg. Il FABREha facilmente ragione della data del 1241proposta dal DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello di Goito, Halle, 1894, pp. 32-3, unicamente perché ritenuto scritto nelle stesse circostanze del nostro no. IV Pos anc, e fatta risalire al 1235 dal SALVERDA DE GRAVE, op. cit., pp. 121-2 (vedi qui riferite le opinioni di altri studiosi, che si occuparono della questione). Perché i nuovi documenti, cbe egli ba prodotto nel suo interessante studio, dimostrano che Guida di Rodez, †verso 1270, fu chiamata contessa anche dopo il suo matrimonio, non col non titolato, ma col barone Pons de Montlaur, il quale, in ogni caso, avvenne nel 1226, e non nel 1235, e che Jean de Valery, v. 21, di cui si aveva notizia fino al 1250, viveva ancorain Francia nel 1263 (p. 337). A dir vero, non tutti gli argomenti che tendono a riportare la tenzone Bertrans, lo joyalla data 1250-1253, convincono nello stesso modo. Ma l’accenno al Valery, «qu'ab pretz d'armas s' enansa» (v. 55) deve bene essere posteriore al suo ritorno in Francia dalla spedizione d'oltremare (1250),in cui it «preudome», come lo chiama così spesso il Joinville,si era tanto distinto (p. 336).
Se non che giova fare un'altra osservazione a proposito delle due date 1235 e  1241. Il «conte» v. 1, al quale il trovatore si rivolge, è ono Carlo d' Angiò? Ma allora bisognerà discendere per lo meno all'anno del suo rnatrimonio con Beatrice, che è il 1246. Ora, per quanto si sa, Granet è stato solo in relazione con l’Angioino e non con Berengario († 19 agosto 1245). Al quale poi, che fu conte di Tolosa, marchesedi Provenza, duca di Narbona (cfr. TORRACAin Giorn. Dantesco, IV, 18), con tutta probabilità nonavrebbe accennato col solo titolo di «conte».()
8. Il TORRACA, prima, Giorn. Dantesco, IV, 20 (cfr. anche VII, 2) e il SALVERDA DE GRAVE poi, op. cit., pp. 121-2 hanno già ben venduto che con questi versi Granet non provoca affatto a tenzone né Sordello né il suo avversario, come pensava il DE LOLLIS, op. cit. pp. 32 e 86. L’Hist. littér., XIX, 519 osserva a questo proposito: «Carlo d'Angiò, nei primi tempi delsuo soggiorno in Provenza, volendo respingere l’accusa che i trovatori gli facevano di disdegnare i piaceri dello spirito, gli eccitava a far versi gli uni contro gli altri, temendo meno apparentemente questa specie di lotte che le satire spesso meritate, di cui sarebbe stato l’oggetto».()
9. Bertrans, lo joy de dompnas e d'amia: ed. DE LOLLIS, op. cit., no. XIX; ed. SALVERDA DE GRAVE, op. cit., no. XIII. Il SALVERDA DE GRAVE,per mera svista, afferma, p. 121,che questo componimento si riferisce invece alla tenzone Doas domnas: ed. DE LOLLIS, no. XXVIII; ed. SALVERDA DEGRAVE, no. XIV. Cfr. inoltre SELBACH, Das Streitgedicht in der altprov. Lirik ..., Marburg, 1886, p. 48 S95 e ZENKER, Die provenzalische Tenzone, Leipzig, 1888, p. 51.()
10. Cfr. anche MERKEL, L'opinione dei contemporanei sull’impresa italiana di Carlo I d'Angiò in Mem. dell’ Acc dei Lincei, s. IV, vol. IV, P. I, p. 310.()
11. II, 210. Più temperata, per quanto non del tutto corrispondente al nostro modo d'intendere, è l’Hist. littér., XIX, 517 e 519.()
12. SALVERDA DE GRAVE, op. cit., pp.157-8.()
13. SELBACH, Das Streitgedichtecit., p. 62 S120. Il KNOBLOCH, Die Streitgedichte im provenzalischen und altfranzösischen,Breslau,1886, p. 19, la ricorda a proposito degli avvenimenti politici, cui accenna particolarmente con la menzione dell' Anticristo, v. 5 sgg.()
14. Cfr. anche SALVERDA DE GRAVE, op. cit. p. 119.()
15. Il carattere personale è rilevato anche dal SELBACH, op. cit., p. 54 S101.()
16. Dà del voi e chiama Bertrando con l’appellativo di «signore».()
17. SALVERDA DE GRAVE, op. cit., pp. 166-7.()
18. SCHULTZ-GORA in Zeit., VII, 211 e in Arch., 93, 128 n. I; DE LOLLIS, op. cit., p. 47 n.; G: BERTONI e A. JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle in Annales du Midi, XXVIII, p. 8, n. I dell’estratto.()
19. La riproduzione di P è pubblicata in Archiv, XLIX-L, per opera dello STENGEL; ma il nostro testo fu accuratamente riveduto sul ms. Metrica: a10 b10 b10 a10 c10 c10 d10 d10; cfr. MAUS, op. cit., p. 116, no. 535, 10 (agg.). Le strofe sono unissonans. È dovuto certo al trovatore l’anacoluto del vv. 11-12.()
20. Un duel cit., p. 8, n. I dell’estratto.()
21. SALVERDA DE GRAVE, op. cit., p. 163.()
22. STERNFELD, Karl von Anjou als Graf der Provence, Berlin, 1888, p. 75.()
23. Cfr. anche V, 38 n. Tale lo dicono il MILLOT, II,133 e l'Hist. littér., XIX,518 che lo vorrebbe nato probabilmente a Aix o a Marsiglia, «car on voit dans ses ouvrages qu'il habita ici, de ce côté (say)». Ma se il passo cui allude, è IV, 17, l'interpretazione è errata. In ogni caso, non si ha nessun documento in proposito.()
24. È noto che in Provenza il diminutivo in -et designa spesso la povertà e la condizione inferiore di famiglia di chi lo porta: cfr. FABRE, Guida de Rodez cit., p. 118, n. 3 dell' estratto.()
25. L'Hist. littér., XIX, 521, certo per tale libertà, giudicava questa poesia «curieuse pour l'esprit du règne de Charles d'Anjou, et pour laconnaissance du droit public de la Provence». Al DIEZ, Die Poesie cit.,p. 152, i vv. 1-8 permettevano diaffermare come gli autori di sirventesi si davano, fra l'altro, l'aria di censori della morale pubblica.()
26. Cfr. anche sul valore della sua poesia Hist. littér., XIX, 521; DIEZ, Leben u. Werke2, Leipzig, 1882, 582 e FAURIEL, II, 209.()
27. Sulle accuse che più comunemente si lanciano ai giullari, cfr. WITTHOEFT, «Sirventes joglaresc», Marburg, 1891, p. 8 sgg.()
28. Il SALVERDA DE GRAVE,op. cit., p.122, ritiene che provino sicuramente la sua condizione di giullare, III, 3-4 e V, 3.()
29. Almeno non figura nella Tablegénérale alphabétique par noms de famille des personnages français mentionnés dans les registres angevins comme ayant passé dans le royaume de Sicile sous le règne de Charles Istin P. DURRIEU, Les archives angevines de Naples, Paris, 1886, II, 267 sgg. Nessun serio argomento ha l'Hist. littér., XIX, 521 per «placer sa mort vers l'an 1266». Sui trovatori che seguirono Carlo d'Angiò in Italia, cfr. BERTONI, Itrovatori d' Italia, Modena, 1915, p. 29 sgg. e Di un poeta francese in Italia alla corte di Carlo d'Angiò (Perrin d’Angicourt) in Studi di filol. moderna, V, 353 sgg.()
30. SALVERDA DE GRAVE, op. cit., pp. 154-5.()

 

 

 

 

 

 

 

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