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Li Gotti, Ettore. Jofre de Foixà. Vers e Regles de trobar . Modena: Società Tipografica Modenese, 1952.

JOFRE DE FOIXÀ

VERS E REGLES DE TROBAR

 

Introduzione

 

Tre distinte testimonianze contribuiscono a ricostruirci, per grandi linee, la  personalità di Jofre de Foixà: la testimonianza che ci deriva dai documenti d'archivio, specie quelli pubblicati nel 1913 da Edoardo González Hurtebise (1), che ci parlano di J. de Foixà come di un francescano, dell'ordine dei frati minori, a partire dal 1267 ; poi monaco benedettino di S. Feliu de Guixols ; e poi (1293), a Palermo, abbate del piccolo chiostro di S. Giovanni degli Eremiti. Da un altro documento, proveniente dai registri della cancelleria papale (2), e che era l'unico noto agli studiosi prima delle scoperte del González Hurtebise, sapevamo già che il Foixà era stato francescano sino al 1275: questo documento, del 1295, rimaneva tuttavia l'ultimo a darci notizia del nostro benedettino, che si pensava dovesse essere morto non molto dopo (3). Dalla testimonianza per così dire storica risalta la figura del cortigiano fedele al suo re e apprezzato per l'abilità con cui adempie agli incarichi, nonché per la considerazione della sua cultura.

La seconda testimonianzà è quella poetica, cioè la trasmissione, da parte di due codici di poesie trovadoriche, di pochi componimenti poetici attribuiti a un «monge de Foissan» non meglio specificato (4).

La terza è quella letteraria propriamente detta, cioè la conoscenza che si ebbe, a partire dalla metà del sec. XV, trasmessaci dall'ambiente della «Gaia Scienza», dell'opera del Foixà come grammatico e continuatore delle Razos de trobar del suo connazionale Raimon Vidal (5). I punti di contatto fra le tre distinte testimonianze e indipendenti l'una dall'altra, quelli che dovrebbero permettere il riferimento di esse a una personalità unica di uomo di corte, poeta e letterato della seconda metà del sec. XIII, sarebbero da una parte l'accenno del poeta, in una delle sue canzoni, all'essere stretto da «vera religio» (6) (il quale accenno, in correlazione con quello della bolla del 1295 alla «regolare osservanza», fu inteso fin da principio senza contrasto come la dichiarazione di appartenenza del Foixà, da giovane, all'ordine francescano); e dall'altra parte la dichiarazione che il Foixà adduce, fin dall'inizio delle Regles, di scrivere per comando di Giacomo II re di Sicilia (7). Queste concordanze rendono pienamente legittima (anche se in verità si può dubitare del riferimento di «vera religio» ai francescani della «stretta osservanza») la ricostruzione unitaria della personalità del Foixà, ma non mi sembra possano in alcun modo legittimare il romanzetto che gli studiosi, a cominciare dal Millot (8), crearono intorno alla figura del Nostro: l'avventura cioè del francescano che per sconveniente abbondanza di versi amorosi, perseguitato dalla maldicenza, finisce per cambiare ordine religioso, sì da trovarsi a suo agio presso i benedettini e da potere confessare con trasporto alla Vergine i suoi peccati. Questa falsa ricostruzione si è basata sulla attribuzione al Foixà della canzone Cor ai e voluntatz, che nei due mss. che la recano, e che sono quei medesimi che contengono, ben distinte e lontane, le composizioni del «monge de Foissan», è attribuita a un «Fraire menor» (9); ma che neppure per motivi stilistici si può attribuire a J. de Foixà.

Caduto dunque il romanzetto del frate dal cuore troppo tenero verso la beltà terrena (con relativa conversione), credo si dovrebbe anche dubitare sia di riferire al periodo francescano (e solo ad esso), avanti il 1275, le poche canzoni che ci restano del Nostro, sia di attribuire al Foixà l'anonimo trattatello sui generi poetici che nel ms. di Ripoll n. 129 segue le Regles de trobar (10). È documentato infatti che simili operette sono state aggiunte anche ad analoghi trattati grammaticali coevi (p. es. alle Razos di R. Vidal) (11), e che si tratta di opere scolastiche di completamento, fiorite con molta verisimiglianza nell'ambiente critico-letterario che precorse di poco o fiorì intorno alla «Gaia Scienza». Dobbiamo appunto a quest'ambiente la trasmissione di una delle più ricche raccolte di trattatelli grammaticali (nel senso più ampio della parola); la quale raccolta comprende, in redazione trecentesca, solo trattati catalani, e tra i primi quelli del Vidal e del Foixà. Alludo al codice della Biblioteca Centrale di Barcellona n. 239 (β1), che — come si vedrà più innanzi — è, a mio modo di vedere, il più autorevole per il testo delle Regles de trobar (12).

 

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Dopo queste premesse la figura del Foixà si può ricostruire come quella di un nobile cadetto catalano, che intraprende assai giovane (13) la carriera religiosa, che a poco a poco nel suo ambiente acquista merito per la sua abilità nell'assolvere gl'incarichi, e che intanto si fa conoscere per la sua cultura letteraria, attraverso la quale cerca di riallacciarsi, con altra voce e con intenti più circoscritti, alla grande tradizione aulica provenzale ormai al suo definitivo tramonto. Egli è anzi uno dei primi a sentire distante il valore di quella grande tradizione, ed è per questo che cerca con diverso spirito di adeguarvisi. Grazie alla sua abilità e alla sua eloquenza, che completano cortigianescamente (per così dire) il suo profilo di uomo pratico e intelligente dell'amministrazione e della politica, il Foixà si conquista in breve la stima di Pietro il Grande e dei suoi due figlioli: Alfonso III d'Aragona e Giacomo II di Sicilia. Sono gli anni immediatamente successivi al Vespro Siciliano, e sono anni turbinosi di lotte tra aragonesi e francesi, i giorni dell'invasione di Filippo l'Ardito e della gloriosa battaglia (per i catalani) di Portús. Il Foixà, che in siffatti tempi difficili ebbe certo a soffrire assieme ai suoi confrati, ma che d'altra parte ebbe modo di dar prova di fedeltà al suo sovrano (14), passato l'impeto della tempesta, rivevette segni tangibili, sotto forma di incarichi redditizi, della benevolenza regale. Pare, del resto, ch'egli andasse in cerca non d'inutili allori, ma di concrete seppur modeste prebende; ed è sintomatico il fatto che nell'esercizio delle sue mansioni badasse ad appoggiarsi all'autorità del sovrano per farsi rispettare: segno che non amava imporsi con la forza, ma che sapeva ben destreggiarsi. Forse un'eco scherzosa di questa sua abilità di «enguanador» è nella «cobla» scoperta e pubblicata dal Massó Torrents, anche se si tratta di breve composizione nello stile dei «plazers», varietà nota dell'«enueg» (15).

Il Foixà abile negli affari, che ci raffigurano i documenti editi dal González Hurtebise, ci rende legittime due supposizioni: la prima, che i versi che vanno nei codici di poesia provenzale sotto il nome del «monge de Foissan» appartengano al periodo nel quale il Nostro entra primieramente nelle grazie della famiglia reale appunto per i suoi meriti letterari; e che insomma questi versi, se non anteriori al 1275, cioè al passagio dello scrittore all'ordine benedettino (16), sono certo anteriori al 1284, epoca in cui egli incomincia a ricevere i primi onori. La seconda supposizione è che le Regles, per l'accenno in esse al siciliano come lingua letteraria, ma soprattutto perché corrispondono al desiderio del sovrano di ricollegarsi alla tradizione aulica dell'isola del periodo svevo, ancor di fresca data (e il Foixà quindi scrivendo si rendeva interprete, in un periodo di euforia del governo catalano in Sicilia, della politica culturale nazionalistica del suo sovrano ed amico); le Regles, dico, si possono credere scritte nella quiete del chiostro di S. Giovanni degli Eremiti a Palermo, di cui il Foixà era abbate.

Ma in Sicilia il Foixà dovette venirvi trascinato da quello spirito avventuroso che Dante rinfaccia all'«avara povertà di Catalogna». Nel 1289 l'ambasceria a Roma l'attira a scendere nell'isola in cerca di onori, che difatti ebbe da Giacomo II, poiché, com'egli stesso dice, «en trobar pensa e s'adelita grantmen». Ma tornato Giacomo in Catalogna, Jofre dovette trovarsi in difficoltà, inviso come doveva essere al partito sicilianeggiante; e perciò continuò da lontano a richiedere la protezione del sovrano, ché tale egli era ancora nominalmente per la Sicilia. La richiesta di mantenere il possesso della chiesa di Castronovo, con relativa prebenda, è un fatto di carattere politico, perché il Foixà subentrando nel possesso ad un cappellano che n'era già stato investito dal card. Gherardo Bianchi da Parma, strappava, con l'aiuto del suo re, il consenso dell'acquisizione a un prelato che non era stato amico degli aragonesi (17). Forse per difendere queste sue cariche, e forse perché scontento della torbida situazione che i veniva creando nell'isola, nonché dell'atteggiamento sempre più favorevole ai Siciliani dell'infante Federico, il Nostro dovette nel 1295 recarsi a Roma, ove compare non più col titolo di abbate di S. Giovanni degli Eremiti di Palermo, ma con quello antico di monaco della «Guixallensis diocesis» per chiedere, in virtù dei suoi meriti letterari e politici, di essere esentato da una disposizione di papa Nicolò IV, che vietava ai francescani passati ad altro ordine religioso di poter ricevere in qualsiasi modo dignità ed incarichi (18). Era stato forse in nome di questo interdetto privato delle prebende palermitane dagli antagonisti locali di Giacomo II? Non saprei affermarlo, ma non mi pare, d'altra parte, come fu opinato, che si trattasse soltanto di riconoscergli il vecchio titolo di camerario di S. Felice di Guixols. La vita del Foixà, attraverso i documenti a noi pervenuti, non è, e non poteva non essere, che una attestazione del suo «cursus honorum»: è già abbastanza se vi si ricorda la sua «litterarum scientia». Ai margini di questo «cursus», come attività non specifica, bensì come ornamento e mezzo di elevazione sociale, possiamo collocare l'attività del Foixà come poeta e come grammatico o letterato.

 

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Una certa eco dell'intelligenza ambiziosa che il Foixà portava nella vita pubblica, è nell'eloquenza di cui dà prova nei versi, a cominciare dal primo della prima canzone che di lui riporta il codice più autorevole, come quella che meglio per la sua difficoltà lo rappresenta: voglio dire la «chanson glosée» Be m'a lonc temps menat a guiza d’aura, fatta sul tipo dei «versus cum auctoritate» medioevali. Questa canzone è già di per se stessa anche il migliore esempio della cultura del Foixà, perché contiene incastonati come versi finali di ogni singola strofe un verso di altro illustre compositore, vuoi di Arnaut de Maroill o di Perdigo, di Folquet de Marseilla o del limosino Gaucelm Faidit o di Pons de Capdoill; uno dei quali versi era già stato scelto come esempio da Raimon Vidal nelle sue Razos (19). Ma piuttosto che rilevare il tono didatticamente conversevole, quasi da galateo amoroso, con cui si esprime il Foixà rifacendo nei suoi versi in tono minore l'accento aulico dei modelli trobadorici; piuttosto che rilevare una certa tradizionale e feudale fraseologia religiosa che si mescola alla solita figurazione retorica dell'amante che invoca la pietà dell'amata sdegnosa ed altera (20), e che tra imagini di «ricor» e di «honransa» lascia trasparire il ragionamento della convenienza anzichè la passione o l'impulso del cuore (faui tutti questi non nuovi a chi conosce la trasformazione dell'ultima poesia provenzale), — vorrei rilevare da una parte il tono sinceramente convinto con cui il Foixà crede di continuare i grandi suoi modelli, e dall'altra il rincrescimento sincero per non vedersi, così facendo, compreso. Voglio alludere cioé alla seconda strofa della canzone Be volria, quar seria razos, in cui vediamo ritornare, dopo quella scherzosa di «enguanador» delle «coblas», l'accusa di «falhizo» rivolta al nostro monaco. Il quale è accusato di falsità perché compone «enamoratz chantars», e viceversa

 

no·s tanh selhuy chans ni trobars
cuy ten destreg vera religios.

 

C'è già adunque l'incomprensione dei contemporanei verso una maniera di poetare di cui la nuova spiritualità gotica non intende più lo spirito e gli sostituisce il ric ensenhar, il be e pro, il plaser, il solatz e il guadagno:

 

De mon trobar ven aitan bes e pros,
que per mos ditz, on a ricx ensenhars,
sont mant home gardat de far pezars,
e de plazers faire son deziros;
e gays solatz ven soven de mon chan,
e·n saup chausir hom pros sa benestansa,
et yeu n'esper lan rica benenansa
qu'hom anc melhor non gazanhet chantan.

 

Sono già assai vicini, e pubblico e poeta, a quei letterati che di lì a non molti anni si riuniranno nel concistoro della «Gaia Scienza»: il Foixà è pertanto uno degli ultimi trovatori e uno dei primi restauratori della nuova poesia. Si sente l'ultimo discendente di una grande famiglia provenzale, ma anche e soprattutto catalano; e, come analogamente avviene in Italia per Guittone e i guittoniani nei confronti della poesia della «Magna Curia», avverte la necessità, insegnando, di volgarizzare gli insegnamenti della cultura «romana» (come la chiamava il Raynouard), a cui s'erano abbeverate e da cui erano derivate le poesie liriche nazionali.

Per quel che si può credere leggendo i suoi scritti, il Foixà aveva piuttosto buone letture, anche se non tutte originali e nuove; era logico dunque che, come aveva fatto in gioventù scrivendo versi, così nella maturità, durante il servizio presso Giacomo II, si sentisse portato a fare quel che avevano fatto altri prima di lui in Italia: il divulgatore di quella che riteneva la tradizione culturale del suo paese. Per questo motivo, dirò così patriottico, che è anche in certo qual modo un avvertito bisogno di purismo linguistico, di riportare cioè il «catalanesch» (ormai diffuso nelle tre penisole e in tutte le isole mediterranee e inavvertitamente penetrato nella poesia provenzale e tendente ad assimilarsela) alle leggi della grammatica, sì da scagionarlo dall'accusa di ineleganza e di imperfezione poetica, egli scrive le Regles de trobar.

 

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È fuor di dubbio che per la composizione delle Regles il Foixà prese a modello le Razos de trobar di R. Vidal: basterebbero a provarlo le parole iniziali «Co en Ramons Vidals... veses motz dels trobadors fallir», dove si coglie, col verbo stesso fallir, usato dal Vidal, l'intenzione vera delle Razos, che è piuttosto quella di indicare come si possano evitare gli errori di parecchi anche illustri trovatori. In più di un caso le Regles si accordano piuttosto col Donat proensal, soprattutto per l'intonazione più aridamente grammaticale; e non è escluso che in Italia, e a Palermo, dove era ancor viva la tradizione della «Magna Curia», per la quale forse il Donat era stato scritto (21), egli abbià potuto conoscere anche l'operetta del Faidit, da cui derivò qualche tratto, anche se non la nomina (22). Il Foixà infatti assume, rispetto ai suoi due predecessori, il Faidit e il Vidal, una posizione nettamente definita: non è un traduttore e adattatore della «grammatica» alla lingua provenzale, come il Faidit; e non è neppure un critico letterario come il Vidal, che presuppone nel suo lettore la conoscenza ordinata della grammatica (23). Proprio a quelli che non conoscono grammatica, cioè a coloro che non sono letterati di professione (e dice il Foixà che sono la maggior parte: imperatori, re, conti, duchi, marchegi, principi, baroni, cavalieri e persino borghesi), si rivolge il nostro scrittore con la sua operetta, per aver modo di offrire loro dei consigli di retta versificazione senza propriamente far grammatica, ma senza d'altra parte ignorarla. Il Foixà vuole, in altre parole, far opera di volgarizzazione (24). Il suo trattatello quindi, pur derivando dalla lettura delle Razos de trobar del Vidal, se ne stacca decisamente nell’intenzione, nel tono, e persino nella disposizione stessa della materia che è in relazione al fine divulgativo, più puntuale e minuta (25). Non si può dire che l'esposizione risulti chiara e ordinata, specie verso la fine, dove s'ammassano le eccezioni; ma lo sforzo di combinare la materia in un certo ordine espositivo, attraverso una succesione logica di capitoletti, c'è certamente, e non è difficile avvertirlo (26).

C'è inoltre uno spirito nuovo nel libretto del Foixà, che lo avvicina alle Leys d'amors, staccandolo nettamente dal Vidal: uno spirito modernizzatore, che non si manifesta soltanto nel cambiare le citazioni o nel porre sullo stesso piano versi di autori celebri e versi di trovatori sconosciuti, che potrebbero poi essere dello stesso Foixà (27). È la visuale che cambia: scrivendo fuori di Provenza e per non provenzali, il Foixà è il primo ad adoperare il termine prohensal anzichè quello, che usano gli iberici, di lemosi, per indicare la lingua e la cultura provenzale; e inoltre è il primo a mettervi accanto il siciliano, il gallego, e soprattutto il catalano (28): «Pot despendre's de tot això, una estada d'En Jofre de Foixà en terres extrapirenenques? Qui ho sabrà mai?» (29). Significativo è il fatto che il Foixà, pur avendo inteso la differenza fra il caso retto e l’obliquo e avendo quindi indicato sia pure con considerazioni pratiche ed empiriche il giusto uso dell'«allungamento» o «abbreviamento» delle parole, poi non sembra abbia rispettato sempre il suo stesso criterio (30); ed è strano anche che egli ammetta come articolo femminile singolare solo li, laddove le Leys d'amors non considerano che la e indicano li come «antic» (II, 114) o proprio di certe parti dell'Alvernia (II, 214 e II, 122). Ma li era di uso diffuso e si è conservato a lungo in Provenza; appunto per questo lo accoglie il Foixà, che, a proposito di un caso dibattuto (crey-cre e grasi-grasic) (31), finisce con l'opporsi alla sua stessa fonte, R. Vidal, per montare in cattedra («li altrey») e per rinfacciargli che «us venç art, e longa costuma per dret es haüda tant que venç per us». Basta cioè che alcuni trovatori seguano l'uso del linguaggio della poesia contemporanea perchè gli altri, che a loro volta li imitano o li seguono, stabiliscano un «confermament de lengatge». Si tratta di un pericoloso principio che tenderebbe a regolarizzare uno stato di fatto, e che è naturale in bocca a un letterato catalano, che vuole valutare l'apporto della cultura del suo paese, pur professandosi devoto ad una disciplina grammaticale di cui non intende o fraintende lo spirito. L'importanza dell'operetta del Foixà sta quindi, secondo il mio modo di vedere, proprio nel fatto che egli ammoderna perché non sente più il valore dell'«art»; non avverte più, né per derivazione e subordinazione al latino (come il Faidit), né per innato buon gusto (come il Vidal) l'alto valore del «gyn» e della «maestria». Perciò volgarizza, adatta a diverso significato, cita a memoria, mescola ai versi di autore i propri, si dimentica di applicare qualche volta la sua stessa regola, elenca pedantescamente senza riuscire a dar ordine vero, pianifica tutto «segon entendimen e razos», che son poi il suo «entendimen» e le sue «razos» di letterato catalano ancora solto la suggestione dell'«art» dei trovatori, alla fine del sec. XIII.

 

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Le opere del Foixà hanno tutte una scarsa tradizione manoscritta, che ci riconduce facilmente a un ristretto ambiente catalano. Le poesie (eccetto le due cobbole scherzose, giunteci in una miscellanea trecentesca anch'essa catalana) ci sono venute soltanto in due codici assai noti tra quelli che comprendono poesie provenzali: C ed R (32). C può considerarsi esemplato nel primo trentennio del sec. XIV, verosimilmente in una regione occidentale della Francia meridionale (Narbona ?); R è scritto nella Francia meridionale, e dipende dallo stesso ms. da cui fu tratto C, perché di esso reca, sotto grafia differente, lezioni identiche (33). Probabilmente, come crede il Jeanroy, l'originale di C ed R era più leggibile; ma R fu copiato da uno scriba mediocre, laddove C risulta copia corretta ed anzi ipercorretta. Di questo le poesie del Foixà, che si trovano nei due predetti codici, danno conferma piena; e basterà il caso del v. 14 della canzone Be volgra fos a dimostrare come l'originale di C ed R dovesse esser poco chiaro, se entrambi i mss. sbagliano in diverse direzioni.

Ciò posto, il criterio da seguire mi era indicato dall'Appel (34), che preferisce la lezione e la grafia di C, malgrado il sospetto di qualche eventuale ipercorrezione, per ragione di tradizione, in quanto alla grafia della bassa Linguadoca ha da tempo abituato gli editori il Raynouard. Ho accettato però qualche lezione di R (forse con un po' più di larghezza di quanto non abbia fatto Appel), quando la lezione di C lasciava a desiderare, specie nella canzone Be volria, anche a costo di rinunciare all'uniformità grafica per l'apparire di qualche piccolo tassello.

Al fine di non appesantire inutilmente l'apparato, non ho indicato le varianti puramente grafiche, che son poi quelle che formano la diversità più appariscente fra C ed R; e non ho indicato la lezione degli editori, perché (tranne Appel) in genere peggiora quella dei mss. Ho aggiunto di mio la punteggiatura, e, quanto all'ordine delle composizioni poetiche, ho seguito quello alfabetico, mettendo innanzi la «chanson glosée», il pezzo di bravura, che è prima in C; e da ultimo le «coblas» scherzose (35). Per le concordanze metriche, piuttosto che del noto libretto del Maus (36), antiquato e non privo di errori, ho avuto la fortuna di poter usufruire delle considerazioni dell'amico prof. István Frank, che le ha tratte per me da un suo volume di imminente pubblicazione: in tal modo il mio elenco di concordanze è risultato più ricco e tale da confermare le simpatie culturali del nostro Jofre (37). È da tenere presente anche che lo schema di Be volgra fos è un «unicum». In conclusione: è probabile che l'originale di C ed R non ci abbia conservato tutta la produzione poetica del Foixà; ma è così scarsa la sua tradizione manoscritta, e così direttamente e immediatamente ci riconduce all'ambiente catalano provenzaleggiante, che possiamo supporre del Foixà non ci manchi gran cosa, perchè il Foixà dovette essere poeta in certe occasioni e per breve periodo della sua vita.

 

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Al Foixà poeta, anzi più precisamente al «monge de Foissan» di C ed R, il Thomas associò il Jofre de Foixà autore delle Regles de Trobar pervenuteci attraverso una distinta, eppure anch'essa unitaria, tradizione manoscritta. Questa ci riporta all'ambiente trecentesco della «Gaia Scienza», perché dei tre mss. esistenti delle Regles il primo ad esser noto alle persone colte, e fin dal sec. XV, fu quello che è anche il più notevole, ed esistette sino al 1835 (poi per più anni non se ne ebbe notizia) nella biblioteca dei Carmelitani Scalzi di Barcellona, dove aveva il n. 352 (38). Da questo codice (β1), cartaceo, della seconda metà del sec. XIV, che raccoglie i trattati catalani di grammatica e di poetica sino al tempo della «Gaia Scienza», e che fu esaminato dal marchese di Santillana, che ne diede una breve notizia nella prefazione dei suoi Proverbios (39), derivò la più antica fama del nostro Foixà. Il codice però ebbe un destino strano; nella seconda metà dell'800 parve irrimediabilmente perduto a quelli che lo cercarono (40), e si parlò anche di un incendio in cui sarebbe scomparso; fu pertanto conosciuto altraverso una copia settecentesca, alquanto scorretta, che faceva parte della biblioteca del marchese della Romana e che fu poi conservata, sin quasi al 1875, nel Ministero «de Fomento» a Madrid, donde proprio in quello stesso anno passò alla Biblioteca Nazionale (ms. n. 13405; sigla β2). Qui la studiò il Milá y Fontanals, che ne diede notizia nella Revista de archivos del 1876; e di qui la copiò, per il Meyer, A. Paz y Melía;  sì che il Meyer potè iniziare su Romania la sua serie (rimasta incompleta) delle grammatiche catalane. Da questo ms., che fu indicato con la sigla H sino al Biadene (41) e che il Massó Torrents ha ribattezzato β2, furono pubblicate per la prima volta dal Meyer, con ritocchi nella grafia e ulteriori sviste tipografiche e interpretative, le Regles de trobar (42), in quanto unicamente note attraverso quel codice.

Dal confronto del testo delle Razos de trobar, pur contenute in quel ms., con gli altri testi della stessa opera precedentemente noti, il Biadene già nel 1885 trasse la conclusione che si trattava di codice importante, contenente una redazione scorretta e tuttavia notevole, diversa da quella dell'unico altro capostipite del testo delle Razos: i due capostipiti però derivavano da un esemplare comune. Il ms. di Madrid godè quindi di molta considerazione. Fu tanta questa considerazione, che Lluis Nicolau, nel 1907 alunno della cattedra di letteratura catalana, ritenne opportuno riprodurre il testo delle Regles non già dal ms. direttamente, ma dalla stampa che ne aveva dato il Meyer, arricchendolo a caso di molti ammodernamenti grafici ed errori di trascrizione, talvolta di qualche correzione inconsapevolmente felice, fatta a lume di naso, seguendo l'uso della grafia e della lingua catalana (43). Pochi anni dopo, contemporaneamente quasi alla pubblicazione dei documenti sulla vita del Foixà da parte del González Hurtebise, il giovane J. Rubió y Balaguer dava alle stampe il tempo delle Regles, quello di un trattatello poetico e di una breve antologia di poesie catalane, che ad esso seguivano in un codice fino allora ignoto della metà del sec. XIV, il codice di Ripoll n. 129, mancante del principio e della fine (44). Il giovane editore non volle mettere a confronto il nuovo testo con quello fino allora conosciuto delle Regles, sebbene il confronto l'avesse fatto (come dichiara) per suo conto, sì da avvertire le notevoli differenze di grafia e di lezione; né si preoccupò di arricchire il suo testo con note, ma si limitò ad una edizione diplomatica abbastanza accurata. Forse il vero scopo del Rubió y Balaguer era piuttosto quello di render noto agli studiosi un ms. senza alcun dubbio interessante ai fini della conoscenza della poesia catalana degli inizi del sec. XIV. Il ms. di Ripoll (45) infatti, per la sua provenienza ed antichità, e inoltre per il fatto che comprendeva parecchi unica, specie del cappellano di Bolquera, si prestava bene ad ulteriori indagini. La diversità della lezione del testo delle Regles del ms. di Ripoll, piuttosto che esser vagliata nella sua effettiva importanza per una futura edizione critica delle Regles, era considerata come un elemento che accresceva il pregio del ms.; il quale, per la sua omogeneità di grammatica, poetica e antologia di rime, si manifestava evidentemente come una raccolta fatta ad uso di una persona o di un ristretto numero di persone. Disgraziatamente poi nel ms. mancavano le Razos de trobar di R. Vidal, che si prestassero al solito confronto; sicché a una valutazione del nuovo testo delle Regles non si venne né allora, né dopo. Delle Regles non si posseggono quindi che due edizioni, derivate, con sviste progressivamente crescenti, da β2, che è a sua volta fonte di errori; e una trascrizione diplomatica del ms. di Ripoll, che col Massó Torrents s'indica comunemente con la sigla C.

Il Rubió y Balaguer inoltre pubblicò diplomaticamente C, senza aver esaminato β1, il codice che sino allora si credeva per sempre perduto e che il Rubió y Balaguer stesso nel suo scritto riconosceva esistente e in mano di un bibliofilo residente a Madrid (46). Il codice β1 era invece un anno dopo, nel 1912, venduto dal libraio Babra di Barcellona all'Institut d'Estudis Catalans, donde è passato alla Biblioteca Central di Barcellona col n. 239.

 

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La ricomparsa di β1 ha arrecato grandi vantaggi per l'edizione delle Regles. Ha mostrato le manchevolezze dell'edizione del Meyer, causate non da negligenza (come in Nicolau), ma più spesso dallo scrupolo di ricostruire il testo attraverso la lezione errata di β2. Ha eliminato β2, fonte degli errori degli editori delle Regles, ed ha imposto il confronto con C, che, in quanto codice più antico di β1, poteva anche essere sopravvalutato. In verità l'importanza di β1, quantunque posteriore di circa mezzo secolo a C, era apparsa anche al Massó Torrents, che però salomonicamente aveva pubblicato nel suo Repertori un brano del testo secondo β1 e uno secondo C (47); ma, a parte la ripugnanza di abbandonare una redazione ormai nota, che risaliva proprio a β1, bisognava stabilire se, nonostante i suoi pregi, C fosse una redazione abbreviata dell'esemplare da cui era derivato β1, o, viceversa, β1 fosse l'ampliamento dell’esemplare da cui era derivato C. Il confronto tra β1 e C era, in sostanza, la ripetizione del confronto finale fatto dal Biadene, a proposito delle Razos di R. Vidal, tra B1 e H2, il quale ultimo altro non è se non l'esemplare da cui è derivato direttamente β1, in quanto, mutate le sigle, H = β2. Si tratta, come vide il Biadene, di due redazioni di uno stesso testo originario, qua e là leggermente modificato (48). Qualcosa di simile si può asserire anche per i codici del Donat proensal, così che se ne potrebbe derivare una specie di verità assiomatica: che tutti cotesti trattati di grammatica erano intesi dai copisti, o da chi per loro, come manuali di cui era naturale l’ammodernamento e l'adattamento alle esigenze individuali; se ne potevano cioè mutare, rabberciare, abbreviare o ampliare le parole, la maniera di esporre il presentare gli esempi, specie quelli poetici, lasciandone intatta la struttura (49); perchè quello che importava era lasciar così com'erano la disposizione generale dell'insieme e le regole. In questo, come nella ripetizione con gli opportuni adattamenti di un modello, si faceva consistere la maniera originale e mutevole di presentare quelle che erano immutabili per definizione, cioè le regole della grammatica. Perciò trattatisti e amanuensi si ponevano quasi tutti sullo stesso livello; salvo il caso che il trattatista avesse ingegno e buon gusto fuori dell'ordinario e anziché una grammatica finisse per scrivere un saggio critico con osservazioni grammaticali piene di buon senso e fresche nell’intonazione, come fece R. Vidal, o piuttosto un trattato di retorica, come farà, seppure è lecito il paragone, Dante nel suo De vulgari eloquentia.

 

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Mi corre l'obbligo di giustificare perchè ho dato, nella mia edizione del testo delle Regles, la preferenza alla redazione β1 piuttosto che alla redazione C (della cui lezione mi sono avvalso solo quando il testo di β1 era guasto o incomprensibile), e ciò nonostante C sia più provenzaleggiante nella patina linguistica, più corretto nelle citazioni dei versi e contenga un minor numero di errori di flessione di β1. Poiché il carattere dell'edizione (50) non mi consentiva di seguire il criterio dello Stengel, di stampare cioè fronte a fronte i testi di β1 e di C, oppure di spezzettare C nell'apparato, o di riunirlo tutto in fondo al volume come appendice, ho preferito (tralasciando di indicare qualche veniale spostamento o inversione di parola, e le varianti fonetiche o grafiche, che ricorrono quasi a ogni passo) istituire un ampio confronto di passi tratti dalle due redazioni per provare la derivazione di entrambe da un unico esemplare, del quale per maggior chiarezza e omogeneità di dettato mi sembra derivazione più fedele β1 che C.

 

β1

C

1) e aquel do altretal, perque s'acorden; e per aquest ne poden pendre eximpli de motz altres (II, 5)

e aquel do atrestal.

 

2) ab passat (II, 5)

ab passat temps

3) per que d'ayso te deus guardar tota hora (II, 5)

per que temps deves guardar tota hora.

4) mot certament (II, 6)

mot curosament (51)

5) apres denant (II, 6)

pus prop denant

6) En alguns motz, als devegades, (II, 6)

En los mots, a le vets,

7) cove de fer per força l'accent; enaxi co pas... (II, 6)

cove per força de far l'accent, con vis, pas ....

8) dompney, vensa, tensa (II, 6)

domneyse vença

9) axi co plasens es aquell -sens, (II, 6)

axi con plasens, li derreyra sillaba de plasens es aquel -sens,

10) gens o sofrens. (II, 6)

genso sofrens e vens.

11) Empero d'aquestes vocals, nenguna no pert son so, sino les dites dues, ço es u e i: u pert son so axi com vensa, vayre, vostre; i pert son so axi com qui diu jes, jors, lonjana; e per aquesta raho vensa fay rima ab tensa, e nostra ab vostra, e vayre ab layre. E atressi es rima jes ab bes, e jors ab amors, e lonjana ab sertana, per que seguiras aquesta manera com ne trobaras de semblans. E devets entendre que nulls motz qui facen rima no deus tornar altra vetz en loc on fassa altra rima en lo cantar que faras, sia que tu comences lo cantar o que y respones, si donchs aquell motz no havia divers entendimentz ; e per eximpli mostri te aysi una cobla : (II, 6)

Esters d'aquestes .V. vocals, negunes no perden lur son, sino les .II. ço es assaber: u, aysi con en vença, vostra, vayre ; e i aysi con jes, jos, lonjana, per ço es rima ab vença, tença; ab vostre, nostre; ab vayre, layre; ab jes, bes; ab jors, amors; e ab lonjana, certana, e aysi faras can atrobaras d'autres. E deves entendre en la primeyra rima que negu mot qui fassa rima en tot lo cantar que faras, sia que tu comenses a far lo cantar o que respondes a cobles o autre cantar que alcus homs haya fay, si donques aquel mot no havia divers entendimens, cor adonchs lo pots pausar aytantes vets con el ha diverses entendimens; e fayten per eximpli aquesta cobla:

12) Manjan nom voyrion mes, (II, 6)

Maiman no viviria mes,

13) queu (II, 6)

quim

14) Encara potz tornar o metre en ton cantar un mot dues vetz, ab que la una vetz sia verb e l'altre nom (II, 6)

Enqueres pot posar un mot .II. vets en rima, can l'una vets es verb, l'altra vetz es noms

15) E per semblant maneyra potz usar dels autres motz quan loch sera. (II, 6)

Senblansmens pots far del autres mots quan lochs sera.

16) E aço, qui ho sap fer, es gin e maestria. (II, 6)

E aço se fay per maestria.

17) Alongar apeyl (II, 7)

Abreviar apel (52)

18) bes (II, 7)

bos

19) axi com sufrentz, amatz, grazitz, celatz, (II, 7)

aysi con grasitz, celatz (53),

20) bes la on deus pausar be, (II, 7)

bos lay un deves pausar be,

21) al miels que porem (II, 7)

als mils que sabrem (54)

22) Vianes (II, 8)

Veneysi

23) pus hom aquell mot diga en Proença o en una d’aquelles terres qui han lengatge covinent, los quals lors son pres, aquells motz pot pausar o metre en ton trobar o en ton cantar; e si ayso fas, no potz dir per axo que sia fals. E de les damunt ditz motz potz pendre eximpli per aquestz pais, va sus, (II, 8)

pus que hom aquel mot digua en Prohença o en .I. d’aqueles altres terres que han lingatge covinent e assignat a trobar, no deves dir per so que sia fals, car aqui es pausat per mot prohençals, aysi con pays, vassaus

24) saber, haver (II, 8)

saber,

25) mes en los cantars son mes prohençals que altres (II, 8)

mes en lo cantar son meses per prohençals.

26) axi com le reys ve. (II, 9)

aysi con le rius creyx, le reys menja.

27) li rey guerrejon, e aquell mot sion masculi (II, 9)

li rey guerreja.

28) los cavallers, (II, 9)

los cavales,

29) particip, nomen verbals, verbs (III)

particips, verbs, verbal.

30) Deus, angles, reys, contes, duchs, cavallers, viles, terres, Johans, Raymons, ayres, fusters, freners, (III, a)

Deus angels, homes, reys, coms, duchs, cavalers, viles, terras, Johans, Raymons, Severichs, conils (55), ayres, mars, fusters, ferres,

31) los ajustada, (III, a)

lur es ajustada,

32) l’altre nom qui so natural o accident s’alongon, (III, a)

l’autres noms qui es naturals accidens s’alonjen,

33) Deus es bos, e jotz e merceners, sants, (III, a)

Deus es bos e justs, sans,

34) no say null rey tan bon, tant car, tant plazen; (III, a)

no say nuyl rey tan plasens, tan bo;

35) nos pausen may en dues maneres, ço es saber que totstemps li nominatiu e li vocatiu singular s'alonguen, e li autre cas singular s'abreujon; (III, b)

nos pausa mes en ·IJ· maneyres, car li nominatius e li vocatius singular o plural s'acorden tostemps; li autre ·IIIJ· son d'autra semblança; le nominatiu el vocatiu singular s'alongen, e li autre cas singular s'abreujon;

36) bell m'es qu'eu xan o mal mes qu'eu faça mal, o axi co dix Gaucelms Fayditz:

Assatz crey

Que bell me fora e avinen.

Per que aquell beyll no parla de nomen qui sia masculis ne femenis, car si parlas de masculi dixeras beyls m'es le reys, o si parlas de femeni dixera bella m'es la dona; e axi matex se enten d'aquell avinen, mas per ço c'om parla generalment, nos pot allongar. (III, b)

bel m'es qu'eu xant. E aysi con dits en Guaucelms Fayditz:

Assatz crey que for'avinen.

Aquel (56) ... nom que sia masculis, car adonchs diria bels m'as le reys; ni femenis, car diria be[lla m'es] la dona, mas parla generalment; atressi se enten aquel avinen.

37) femeni, per que no pot esser allongat; (III, b)

femeni.

38) la flors venen, o son vengudas; (III, b)

les flors son vengudes;

39) Don me venon al cor plasens douçors. (III, b)

deu (57) me venon al cor plasens dançes.

40) se cove primerament de conexer e de saber (III, b 1)

se cove assaber

41) cavalca es verb, car es causa quel nom fay, ço es assaber... (III, b 1)

cavalca es verbs, e aquel bel caval son nom, e per ço es verbs aquel motz cavalca car es causa que le noms fay, so es assaber...

42) car tuyt li nom qui en plural stan denant lo verb s'abreujon, (III, b 1)

car tuyt li nom qui han plural e estan denan lo verb s'abreujon,

43) e li nom qui detras li son pausat s'alongon; cant li nom son plural e femeni, ja ay dit que en tot cas s'alongon. (III, b 1)

e li nom qui detras son pausat s'alonguon can li noms son plural. Del femeni ya t'ay dit que en tot cas s'alonguon,

44) Pus ella vol venser tota res

Qu’una venç la vences merces. (III, b 1)

Pus il vol veser totas res

Qu’una vetz la vençes merces.

45) E aycells verbs vences de sa natura vol apres son acusatiu (III, b 1)

Aquel verb vençes de sa natura vol apres si accusatiu

46) le reys ha vistz tot son enemich etots sos enemichs, (III, b 1)

le rey aunis tot son anamich (58) o tots sos enamichs

47) e encara, per eximpli, potz aço reprovar a veritat qu'en Bertrans de Lamaon dix: (III, b 1)

Encare dix en Bertran de Lamam: (59)

48) E volgra ley pus que gatlas esperves. (III, b 1)

Ans volguera pus que guatla esparves.

49) Per que acells esperviers (III, b 1)

Certes aquests motz espervers

50) Ans volgra ley pus que espervers no vol la gatla; e entre aquell espervers e aquella gatla se enten aquell verb no vol, (III, b 1)

Ans volguera pus que espervers guatla. Entre l'espervers el gatla s'enten aquest verbs no vol,

51) en cap de rima (III, b 1)

en cap d’una rima

52) pero segons entendimen vay detras, (III, b 1)

pero l’entendimen vay detras.

53) per que vol dir la paraula e s’enten axi segons raysso: (III, b 1)

per que vol dir la paraula aysi seguons raso:

54) anch no fuy galiatz; ja no fora clardatz (III, b 1)

anch no fuy gulyares, ja no fora clar tots.

55) E enaxi com as allongatz aquests noms desus dits en lo singular, enaxi los abreujasses en lo plural; e per eximpli axi com hom ditz (III, b 1)

Tot atressi los abreujaras en plural, aysi con:

56) sel cavaller fosson armat (III, b 1)

sil cavaler son armat (60)

57) E sitot sembla que aquest verb sion motz, car se cambien en les letres, certes non es mes un verbs d'aquesta natura matexa, ço es aquest verb estau, (III, b 1)

E sitot sembla aquest verb sion mot, car se camien en les letres, certes no es mas us verbs. Et d'aquesta natura es aquest verb estau,

58) tench, e mostri, e sent, esembla, (III, b 1)

mostri, tench, sembli,

59) eu me tench per pagatz, eu me sent sas, e sembla folls, e pari savis, eu jach hujatz, eu me mostri gays. (III, b 1)

eu me tench paguatz, eu me sen sas, eu sembli fols, eu pari savis, eu jach hujatz, eu me mostri gays.

60) E per ayso son aquestz verbs di vers de la natura als altres; car li autre mostron lo faytx que le nom es fayxz alcuna vetz generalment, (III, b 1)

Per ayço son aquist verb divers de la natura dels autres que le noms alcuna vetz generalmentz.

61) aquell sans e richs son accidens, e aquell reys es nom ab substancia, (III, b 1)

aquels es qui es verbs ajusta aquels sans e richs qui son accidens adaquels reys, qui es nom ab sustancia.

62) axi com ara te daray a conexer per los altres casos. (III, b 1)

aquels es qui es verbs ajusta aquels sans e richs qui son accidens adaquels reys, qui es nom ab sustancia.

62) axi com ara te daray a conexer per los altres casos. (III, b 1)

aysi con el.

63) Primerament sapies que genitiu tu conexeras.... (III, b 2)

Ara te daray a conexer los autres cas. Genetiu conexeras....

64) del seu cors plasen, (III, b 2)

del seu cors plasens, (61)

65) e sitot s'es lo cas genetius s'abreugen si s'en trau aquella preposicio de; enaxi com hom ditz la corona Deu, la merce Deu. (III, b 2)

e si es le cas genetius e s'abreuja aysi con la merce Deu, corona Deu,

66) per ço cor a tart o trobaras, (III, b 2)

e cant o trobaras

67) sino en aquestz motz de que eu t’ay dit o donat eximpli. (III, b 2)

sino en aquestz motz qu’eu t’ay exempli,

68) e li vay denant la dita preposicio de, (III, b 2)

o denan li vay,

69) can hom ditz a lo rey o al rey, o a los baros  o als baros, (III, b 3)

can hom ditz o al rey, al baros o a los baros,

70) contra raso, contra senyor, per sa valor, (III, b 4)

contra sa honor, per sa valor,

71) segons los valedors, contrals enamichs, per les honors. (III, b 4)

seguons los valedos.

72) Vocatiu conexeras per ço cor [totz]temps es posatz en cas que appella, (III, b 5)

Vocatiu conexeras per apelar, car aquel noms es vocatiu a cui hom sona,

73) Ar me conselatz, senyor! (III, b 5)

Aram conseylats!

74) Donas plazents, venitz, gen, a l’amor! (III, b 5)

Donas plasens, venits gen ab honor!

75) ajudatz al senyor rey! (III, b 5)

ajudats al senyor!

76) ab, sens, senes, en denan, sobre, sots, axi, so, ab, sobre, sor, fors; axi co ab lo rey, ses valor, senes s’amor, denan mon senyor, sotz lo rey, fors lo rey. (III, b 6)

ab, ses, senes, en, davan, sobre, sots, fors. Aysi con: ab lo rey, ses valor, senes s’amor, devan mon senyor, sotz lo rey, fors lo rey.

77) E enaxi potz entendre de motz altres, per contrasemble. (III, b 6)

e aysi dels autres.

78) quals es nominatiu, genitiu ..... (III, c)

quals es genetius...

79) E aquells altres noms derrere ells abreuje (62) en lo nominatiu, per ço car hom ditz en los altres cases luy. (IV, a)

Aquels autres noms derries eyl s'abreuja el nominatiu, per ço car se muda en los autres cases, car hom ditz luy e celuy.

80) e per eximpli axi com qui diu:aquells castells es mieus o tieus o sieus; o enaxi com ab l'aver meu (o teu, o seu) ay fayta una torr. Mas en lo nominatiu plural deu hom dir li teu o li mieu o li sieu. (V)

Exempli: aquels castels ... o teus, o seus; ab l'aver meu o teu o seu. Mas en nominatiu plural pot hom dir: li tey a ... si con li teu o li mey o li sey, axi con li meu o li seu.

81) entendedor, e molts altres semblants a aquestz. (VI, a)

entendedor.

82) trasidor trasire, e motz d'altres semblants a aquestz. (VI, a)

de traysdor trasyre, de grasydor grasyre.

83) fanyedor fayeyre; e sapies que tuyt aquest nom s'alongon e s'abreujen, qual te placia, el nominatiu singular, (VI, a)

de feyedor feyeyre, de puneydor punyeyre. E sapies que tuyt aquest nom s’alongen e s’abreujen qual te playa.

84) galiayritz, transiritz, serviritz, entendeyritz. E axi matez entench que poras tots los altres semblants. (VI, a)

gualiayrits, transirits, e axi dels autres.

85) E sapies que tuyt aquest nom qui han aytal differencia entre lo nominatiu els oblichs, se podon, e en altre hora, allongar e abreujar a ton plaser en lo nominatiu singular, acceptat aquell motz coms, qui nos pot abreujar, per ço c'om no pot dir com; (VI, b)

E sapxas que tuyt aquist nom han aytal diferencia entrels nominatius els oblichs, tota hora se poden alonguar o abreujar a ton plaser lo nominatiu singular, enfora aquel mot coms, car no podes dir com;

86) axi com martirs, (VI, c)

aysi con desirs, martirs,

87) si tu hi ajustaves e, diria martirise, e serie lag e no voldrie dir re. (VI, c)

si tu y ajustaves s diries martirise, e no volria re dir.

88) enaxi com hom ditz be faytz o mal, car no porien dir bes o faytz o mals ho fayts, (VII)

aysi con be o mal, car no pores dir bes o mals.

89) axi com gayament, covinentment o saviament, que potz dir gayamentz e covinentments, (VII)

aysi con guayamen o guayamens, saviamen o saviamens,

90) en rima en un cantar, (VII)

en rima e en un cantar,

91) com son adverbi s’abreujon, enaxi com hom ditz le reys cavalca be, (VII)

can son adverbi se pauson aysi: le reys cavalca be

92) Bos d’armes e serf volenters. (VII)

Prous d’armes e sser volenter.

93) es aquela maneyra quil mostra ço quel nom fay, enaxi com... (VIII, a)

es aquela maneyra que mostra, aysi con...

94) E sapies que ell ha tres temps: (VIII, a)

E per... que li trobados han obs, el ha ·IIJ· temps,

95) amava e havia amat; sdevenidor temps es amaray, yray, faray, (VIII, a)

amava, ama, a amat; endevenidor temps es a ... (63) e (64) hauray amat

96) en aquest loch fan -en, (VIII, a)

en aquel loch fenx en -etz

97) eu crey, tu cres, (VIII, a)

eu crey, tu creses, (65)

98) longa costuma per dret es hauda tant que venç per us. (VIII, a)

longua custuma per dret es hauda, tant que veyls us, soven torna en natura.

99) atray, estray, retray. (VIII, a)

atray, retray,

100) Djñs sabtar

E p˛e ab besvesia. (66)

Es atressi que hom pusca dir en terça persona tray, (VIII, a)

dē ·IIJ· primera e en terça... (67) a tray.

101) En luy so tuyt li bon ayb c’on retray

Esters que tart promet e leu estray,

E eu no puch sofrir los mals qu’en tray. (VII, a)

En ley son tuyt ab que... retray

Esters que greu promet e leu estray,

E si eu no pusch sofrir los mals qu’en tray.

102) eu volrria, eu manjaria si havia que; ez en temps passat si eu hagues cavalcat, si eu hagues pro manjat eu fora sadoyls. (VIII, c)

eu voldria, eu manjaria; e en temps passat: si eu agues volentat;

103) eu vos prech que m'ajudetz; di al rey que caualque, (VIII, d)

eu vos prech que m’ajudets dir al rey que cavalc;

104) enaxi com hom ditz anar, (68) (VIII, e)

aysi con ausir,

105) foc encendre; (VIII, e)

fort entendre;

106) a maneyra ajustan, co: eu mich volgues mover. Enaxi eu dich... (VIII, e)

ha maneyra ajustans con en mi volgues mover (69). E enaysi dich...

107) aquesta maneyra, la qual es appellada infinitius, se pausa algunas vetz en loch de nom denant lo verb o detras. (VIII, e)

aquesta maneyra es apelada infinitius, se pausa alcuna vetz en loch de nom denan lo verb e detras,

108) ne deves dezir jausire, (IX, a)

de vos desir jausire,

109) nominatius en singular (IX, a)

nominatiu e singular

110) eu suy gallartz servire; (IX, a)

eu son servire;

111) en suy dels bons e dels mals sofrire; eu suy d’amor jausire; (IX, a)

eu suy sofrire;

112) per lonch us e per longa practica. (IX, a)

per lonch us.

113) eu jausisch, eu jausis; eu grasisch, eu grasis. (IX, c)

fenisch, fenis; eu guausisch, eu gausis; eu garisch, eu grasis.

114) fayditz, faydis; farsitz, farsis; Biatritz, Biatris; amayritz, amayris. Atressi sapies que tuyt li nom que fenexon en -ichs poden fenir en -is; e per eximpli axi com amichs, amis; enemichs, enamis; enichs, enis. (IX, e-f)

fayditz, faydis; Beatritz, Beatris; e aysi pots dir amichs, amis; enamichs, enamis.

115) avers, aders, (IX, g)

avers, plasers, aders,

116) teners, vesers, temers, (IX, g)

teners, vesers

117) pervers, (IX, g)

pausers,

118) fresquers, esters, mers. (IX, g)

fers, mers, esters.

119) scudadiers, miers, diniers, estiers; (IX, h)

saudadiers, deniers, niers, estiers;

120) (70) qu’eu t’ay donada serta. (IX, i)

que t’e donada.

 

Sulla derivazione delle redazioni β1 e C da un unico esemplare mi pare che, nel nostro caso, sia inutile spendere parole. Quale delle due diverse redazioni rappresenta meglio l'esemplare? Quella più ampliata o quella più abbreviata? Questo esemplare siamo autorizzati a immaginarcelo, volta a volta, più ampio o più breve, secondo la nostra opportunità e convenienza?

Penso anzitutto che la prudenza debba indurci a non generalizzare il caso, che è quello (giova ripeterlo) del diverso comportamento dei copisti, riduttori o amplificatori che dir si vogliano, di un testo unico originario; e che convenga limitarci ad esaminare le Regles. In esse ci risulta che, su 120 confronti che abbiamo stabilito, in circa una quarantina di casi il testo di C è più breve di quello di β1 (71), laddove solo in poco più di tredici casi si ha il fatto inverso (72): con questa differenza, che l'«ampliamento» di β1 risulta assai più naturale e coerente che l'«abbreviamento» di C, perché di solito C, quando la qualche aggiunta, la fa come glossa o come ulteriore esemplificazione della regola. A parte sono da considerare dieci casi (73), in cui le due redazioni presentano una variazione, senza ampliamento o errore individuale, due volte con mutazione di significato. Per ciò che riguarda poi gli errori, se ne notano trentatrè casi in C (74), talvolta per omissioni o errori di senso o di punteggiatura, contro sedici di β1 (75), oltre a tre casi di errori, che compaiono contemporaneamente, in diversa direzione, tanto in β1 che in C (76), e che probabilmente si debbono, come alcuni degli errori di β1, specie nei versi citati, a cattiva condizione dell'esemplare. Scendendo ai particolari, converrà anche osservare che dei sedici casi di errore di β1 rispetto a C, la metà si trova all'incirca nelle ultime due carte del ms. β1, forse per stanchezza del copista, o perché alla fine del suo lavoro egli rallentò l'attenzione; e che per la loro maggior parte i sedici errori sono dovuti a inesattezza o a incomprensione derivante da ignoranza. Pare insomma che il copista di β1 abbia voluto rispettare con una certa ingenua e scrupolosa cura il ms. che aveva sott'occhio, perché non doveva essere persona veramente colta, né addentro agli studi grammaticali; onde talune sviste. In quanto a C si avverte invece nel copista una più franca padronanza della materia, e un più deciso intervento, riducendo, trasformando e in genere abbreviando costantemente il testo; nel contempo vi è anche un maggior rispetto per la lingua provenzale e sopra tutto una maggiore esattezza nelle citazioni dei versi inseriti nel corpo delle Regles. Gli esempi sono spesso cambiati, così come talvolta cambiano i termini della enunciazione delle regole (a rischio di commettere errori); ed è C che cambia rispetto a β1, non viceversa. Mi pare possano documentarlo i confronti n. 21, 25 e 106; nel primo caso il copista di C aveva scritto la parola stessa che reca β1 (porem), e poi la sostituì con un'altra di analogo significato. All'opposto si comportò nel caso dell'esempio n. 106 (77): aveva prima scritto un esempio diverso da quello che reca β1, poi lo cancellò e passò alla lezione di β1, che doveva essere quella dell'esemplare, derivata da β1 con ingenua fedeltà. Nel caso dell'esempio n. 25 è evidente che il copista di C non capì il senso del secondo mes, rispetto a così breve distanza dal primo, e cambiò il significato; oppure, avendo capito il senso di quel mes, volle cambiar la parola per evitare gli equivoci. Se ne potrebbe dedurre (penso) che la diversità tra β1 e C sia in gran parte dovuta al copista di C, che volle mutare, copiandolo, un testo assai più affine a β1; e questo perché non mi sembra sia il caso di complicare la discendenza dei codici, immaginando intermediari perduti, essendo, dimostrato, che le opere del Foixà hanno avuto assai scarsa tradizione manoscritta.

Ma appunto per questo, per il fatto cioè che in una brevissima cerchia di codici si siano potute avere tante varianti (quasi a ogni parola le varianti grafiche; e le altre — fonetiche, morfologiche e di lessico o di costrutto — assai numerose), bisognerà andar cauti nelle illazioni, sia riguardo al dare la preminenza a redazioni vuoi ampie vuoi brevi, sia nel supporre testi più ampi o più brevi preesistenti a quelli pervenutici e da cui questi ultimi sarebbero derivati. Bisogna infatti por mente alla preoccupazione della «brevitas», caratteristica nei nostri grammatici (78), i quali hanno sempre dinanzi agli occhi della mente la brevità della regola da fissare nella memoria: l'esemplificazione non aveva che un'importanza relativa. Non è quindi da meraviglarsi per quel che si constata nei, nostri due mss. delle Regles, uno dei quali, β1, indipendentemente dall essere più ampio o più breve del suo sconosciuto esemplare, risulta più chiaro, più coerente, più proporzionato che l'altro, C, che si rivela abbreviato con una certa fretta. È dunque il criterio della compattezza quello di cui ci serviamo per decidere; ma non di esso soltanto. Se noi ricordiamo il proposito di volgarizzazione per cui il Foixà ha dichiarato di scrivere il suo trattato, cioè spiegare e giustificare, non soltanto enunciare o fissare le regole della grammatica, anche per questo motivo dovremmo dare la precedenza a β1 su C. E se teniamo a mente quelle che sono le caratteristiche stilistiche dei trattati del Faidit e del Vidal, e magari di Terramagnino e ricordiamo l'immagine di dettato eloquente che ci hanno lasciato le rime del Foixà, e inoltre, nelle Regles, la difesa delle ragioni dell'«us» contro quelle dell'«art», del «catalanesch» contro il limosino, e in genere di quella corsiva e facile modernità, regolata appena, che è nelle consuetudini scrittorie dei contemporanei, dovremo (credo) considerare più genuino un testo che ha per caratteristica una certa semplicità eloquente, razionale per così dire, con quei molti attacchi a base di enaxi, ço es saber, nota que, encara sapias e simili, che non un altro testo nervoso, rapido e spicciativo. Mi si potrà obiettare che le citazioni di versi sono in genere più esatte in C che in β1; e che anche talvolta C ci dà la lezione che più si avvicina a quella stabilita dalle edizioni critiche per i singoli autori. Questo però mi sembra piuttosto una riprova della sicura cultura del copista di C, che, come lo ha indotto a operare francamente sul testo prosastico, così avrà potuto indurlo a correggere il testo poetico anche là dove non ce n'era bisogno. Perché è facilmente dimostrabile che, talune citazioni di versi fatte dal Foixà sono fatte a memoria; a meno che non si voglia proprio supporre che il Foixà abbia scientemente voluto guastarle per adattarle ad esempi delle sue regole. Voglio anche ammettere che sarà stato difficile all'autore delle Regles, quando scriveva, di trovare in Sicilia buone antologie trobadoriche; ma credo altresì che, un po' per troppa fiducia nel proprio buon ricordo e nella propria dottrina, un po' per scarsa coscienza critica, e un po' per la libertà con cui si riteneva autorizzato a manipolare siffatta materia (79), il Foixà abbia involontariamente commesso inesattezze ed errori. Inesattezze si trovano infatti nel 4°, 6° e 8° verso della strofe di Aimerich de Peguilhan citata per prima (80). Cresciuta di un verso per l'aggiunta di beli (che però serve all'esemplificazione) è una citazione poetica di Gaucelm Faidit (81). Diversa da quella edita dal Raynouard (e invece vicina a quella edita dal Rochegude) è la lezione di un altro verso dello stesso Gaucelm Faidit, che C storpia (82). Travisato è il senso del verso di Bertran de Born, attribuito (ma può essere errore del copista) a Bertran de Lamaon (sic): il travisamento però di vol guerra (o vol guera) in volguera e quindi in volgra non è errore del copista, perché è ripreso nella esemplificazione dal Foixà stesso (83). I versi che seguono, di Aimeric de Peguilhan, assai più corretti in C (ipercorretti?), recano varianti in β1 che non si trovano in nessuno dei 17 ms. di rime di Aimeric esistenti (84). All'opposto, in tre casi la lezione dei versi recata da β1 si fa preferire, sia pure per poco, a quella di C: ma il primo è il caso di quella medesima citazione poetica che è anche in R. Vidal (85); il secondo è il caso dei versi forse di Ricas Novas che son ricordati (e mal ricordati) dalla novella So fo el temps c'om era jays del medesimo R. Vidal (86); il terzo caso è quello della citazione di un verso di Folchetto di Marsiglia, autore del resto molto conosciuto (87).

In conclusione, anche per ciò che riguarda le citazioni di versi, C può costituire un valido controllo, e in certi casi può servire a suggerirci la lezione migliore; ma non ci può autorizzare indiscriminatamente a dargli la precedenza su β1, anche allorquando β1 non ci reca la lezione migliore dei codici dei poeti citati.

 

* * *

 

Debbo da ultimo fare una dichiarazione. Sono intervenuto nella distribuzione in capitoli delle varie parti delle Regles, seguendo, come il primo editore, il Meyer, la distinzione che è in β1 (e quindi in β2), ma, a differenza del Meyer, non limitandomi a numerare progressivamente (chè del resto nei codici non esiste numerazione), bensì distribuendo la materia in capitoli e paragrafi, che ho poi variamente segnato, oltreché con numeri romani e arabi, con lettere dell'alfabeto al fine di rendere quanto più possibile appariscente il processo logico ed espositivo della trattazione delle Regles. Le quali stanno in mezzo, anche per questo verso, tra il  Donat e le Razos de trobar: né troppo aridamente ordinate come il primo, né troppo variamente libere come le seconde. C'è indubbiamente nel Foixà lo sforzo di ridurre la materia in buon ordine, ma direi che non vi riesce per la sua naturale tendenza alla corsività e alla facile eloquenza. All'inizio delle Regles pertanto comincia con l’esporre ordinatamente le nove «causes» che «deven esser guardades en trobar», che corrispondono più alle cinque «causas» del «nom» del Donat che alle otto «partz» «de que totas las paraolas del mont si trason» delle Razos; ma alla fine del trattato, dopo aver parlato, bene o male, del «verb», finisce con l'affastellare la materia, perché poco chiaramente in questa parte intende il motivo delle distinzioni.

Mi spiace di non aver rispettato la numerazione del Meyer, solo per il fatto che essa era già penetrata nell'uso delle citazioni; spero tuttavia che dalla mia distribuzione possa venire il vantaggio di una disposizione più razionale della materia, e quindi una migliore lettura e valutazione delle Regles (88).

 

 

Note:

1. Cfr. E. GONZÁLEZ HURTEBISE, Jofre de Foxá (...1267-1295...), nota biográfica (in Congrés d’historia de la Corona d’Aragó, II part, Barcelona, 1913, pp. 521-535 e 1171-72). ()

2. Si tratta della bolla n. 593 di Bonifazio VIII in data 11 luglio anno primo (1295, non 1297, come stampano Nicolau e Rubió y Lluch), che si trova in Arch. Vaticano, Reg. 47 c. 135r. È stata edita da A. THOMAS in Romania, X, (1881), pp. 323-24, e poi dallo stesso in Mélanges de l’École française de Rome, Roma, 1882, vol. II, e nei Registres de Boniface VIII, Paris, 1884. Inoltre da Ll. NICOLAU, Notes sobre les «Regles de trobar» de Jofre de Foixà y sobre les poesies que li han atribuit, in Estudis Universitaris Catalans, I, 1907, 255-56; e da A. RUBIÓ Y LLUCH, Documents per l’historia de la cultura catalana mig-eval, I, 1908, pp. 12-13. Tutti l’hanno stampata con errori. ()

3. Il piccolo problema se nel «Gaufridus Fuxensis (o Foix o Fox come si legge nei docc. editi negli Acta Aragonensia del Finke) abbas», ricordato dal 1298 al 1309 e una volta chiamato anche arcidiacono di Tarragona, mandato dal suo re Giacomo II per ambascerie ed incarichi vari, debba riconoscersi il nostro poeta e grammatico è questione che conto di risolvere altrove, dopo un attento controllo e l'esame di diversi elementi di giudizio. Devo ricordare che il NICOLAU, op. cit., p. 236, conosceva già questo «Gaufridus abbas Fuxensis», ma non ardì proporne l'identificazione con Jofre de Foixà. ()

4. I codici sono, secondo le sigle del Bartsch, C (= Paris, Bibl. Nat., franç. 856) ed R (=Paris, Bibl. Nat., franç. 22543). Cfr. per i versi e la relativa bibliografia A. PILLET-H. CARSTENS, Bibliographie der Troubadours, Halle, 1933, n.º 304. ()

5. Le notizie sul Foixà che si avevano sino al 1880 furono raccolte da Paul MEYER, Traités catalans de grammaire et de poétique, IV, J. de Foxà, in Romania, IX, 1880, pp. 51-54, e poi ripetute e aggiornate (sino al 1907) dal NICOLAU, op. cit., pp. 238-39. Dal M.se di Santillana e da Don E. de Villena venne l'errore di chiamare le Regles del Foixà col titolo di Continuacion del trobar; errore che è giunto ai giorni nostri sino al Marigo (ed. del De vulgari eloquentia di Dante, Firenze, Il ediz., 1948, p. XXXIII). ()

6. Cfr. la canzone del Foixà Be volria, quar seria razos al v. 12. ()

7. Si tratta di un riferimento molto preciso, perchè Giacomo II fu re di Sicilia dal 1286 al 1291, e il Foixà, stando ai documenti editi dal González Hurtebise, in Italia non venne che a partire dal 1289. Il nostro grammatico poté dunque scrivere in Sicilia la sua opera dal febbraio del 1289 al luglio del 1291. ()

8. Histoire littéraire des Troubadours, II, Paris, 1774, pp. 224-225. Bisogna pero riconoscere che il Millot è più equilibrato assai di altri critici posteriori. ()

9. Cfr. PILLET-CARSlfENS, op. cit. n.º 159. La canzone Cor ai e voluntatz si trova in C a cc. 371v-72r (laddove le canzoni del «monge de Foissan» sono a cc. 345v-46v) e in R a c. 95v (e le canzoni del «monge» a cc. 78v-79r). Il primo ad attribuirla a J. de Foixà è stato Eméric DAVID (Hist. litt. de la France, XIX, 574) e dopo di lui il RAYNOUARD, che la pubblicò (Choix, IV, 469) e ancora AZAÏS, Troubad. de Béziers, p. 86; ma giustamente ne cominciò a dubitare lo CHABANEAU, Hist. gén. du Languedoc, X, 349, e senz'altro la negano al Nostro il LOWINSKY, in Zts. f. frz. Sprache u. Lit., XX, 1898, I, p. 190 e nota, e lo SCHELUDKO, in Neuph. Mitteilungen, XXXVII, 1936, nr. 1-2, pp. 38-40, che la ripubblicò e ne mise in evidenza i riferimenti con la cultura latina ecclesiastica. Solo il MASSÓ TORRENTS, in Annales du Midi, XXXVI, 1924, n. 141-42, p. 316, sospettava ancora l'attribuzione al Foixà. Tra le poesie del Foixà la enumera infatti a pp. 249-50 del suo Repertori de l'antiga literatura catalana, I, Barcelona, 1932. ()

10. A questo Tractat poetic seguono una notizia sulle «maneres de les rimes» e una piccola antologia (incompleta) di poesie: tutti testi catalani. Sono stati editi da J. RUBIÓ Y BALAGUER, (Del manuscrit 129 de Ripoll del sigle XIV, in Revista de bibliografia catalana, V, 1911, pp. 285-378) e di essi si è occupato solo il MASSÓ TORRENTS nel suo cit. Repertori, p. 319 e segg. Il ms. di Ripoll n. 129 era stato segnalato agli studiosi da R. BEER, Die Handschriften des Klosters Santa Maria de Ripoll, Vienna, 1908, vol. II, p. 112; lo si indica con la sigla C. ()

11. Cfr. MASSÓ TORRENTS, Repertori cit., pp. 328-29. Tanto la Doctrina de compondre dictats, che segue in β1 le Razos di R. Vidal, quanto il trattatello, che nel codice di Ripoll segue le Regles del Foixà, sono forse «una minsa part dels que hi hagueren; gosem a dir, però, que un fet continuat per dues vegades, que val tant com un fet repetit, ens autoritza a creure que això era un formalisme que jurats o poetes havien de seguir». In conclusione non ahbiamo motivo per crederli rispettivamente del Vidal e del Foixà. ()

12. Si veda più oltre la descrizione del ms., che, adottando le sigle del Massó Torrents, indico con β1. Esso fu conosciuto per mezzo della copia della Bibl. Naz. di Madrid, ms. n. 13405 (β2), e pertanto ne hanno fatto parola, in base a β2, il MEYER (Traités catalans de grammaire et de poétique, I, in Romania, VI, 1877, pp. 341-58), e il NICOLAU, op. cit., p. 238. ()

13. Cfr. quanto dice la bolla del 1295: «quod licet olim a pueritia tua fratrum minorum ordinem et habitum assumpsisses». Stando al GONZÁLEZ HURTEBISE, op. cit., p. 522, il nostro Foixà si incontra per la prima volta nel maggio 1267 nel convento francescano di Monzon. Se il padre del Nostro era morto prima del 1259 e dopo il 1251, evidentemente il Foixà sarà nato intorno al 1251-52 o poco dopo. ()

14. È sintomatico il fatto che nel 1285 il re concedette al Foixà il castello di Montagut e ordinò che gli si affidassero le rendite che il visconte di Turena ricavava in Cornellà; e ciò sei giorni dopo il decreto di espulsione dal regno del vescovo di Gerona e di vari abbati benedeltini e il vincolo dei loro beni. ()

15. Cfr. MASSÓ TORRENTS, in Annnles du Midi cit., pp. 316-17. Credo che la seconda «cobla», quella che ha per titolo responcio sibi facta non sia del Foixà, e che quel sibi sia un solecismo per ei. ()

16. La data del 1275 è stabilita per induzione in base a quanto del Foixà si dice nella bolla del 1295; cioè che da venti anni egli è fra i benedettini. ()

17. Cfr. GONZÁLEZ HURTEBIESE, op. cit., pag. 1172, docum. del maggio 1293. ()

18. Mi riferisco alla sopraricordata bolla dell’11 luglio 1295. Si rilevi la frase quia de te nobis tam de litterarum scientia quam honestate vite ac bonis moribus laudabile testimonium perhibetur. ()

19. Alludo al verso «Si·m destrenhez, dona, vos et Amors» di Arnaut de Maroill (cfr. Die beiden ältesten provenzalischen Grammatiken, a cura di E. Stengel, Marburg, 1878, p, 77, l. 18). ()

20. Cfr. ad es.:

Denan midons dezir, de genollos,
mas jonchas sus, esser cum fis sers cars, etc. ()

21. Si è infatti supposto che quel «Jacobus de Morra», per sollecitazione del quale il Faidit scrisse prima del 1246 la sua operetta, sia Giacomino Pugliese. Comunque la famiglia «de Morra» era notoriamente una famiglia feudale imperiale dell’Irpinia. ()

22. La definizione del «neutro» (che secondo grammatica non prende s); quella di «numero»); la maniera di riconoscere i «casi» dalle preposizioni che li accompagnano; la definizione di «avverbio» e gli esempi addotti; l'affermazione che gli avverbi che finiscono in -en possono indifferentemente finire in -ens; la definizione di linatges e il caso dei participi in -entes con relativi esempi; la definizione del «verbo» e delle sue cinque «maniere»; questi, ed altri minori, i tratti in comune tra il Donat e le Regles e in di cordanza con quanto dicono R. Vidal e Terramagnino, che, o non ne parlano, o si esprimono in modo diverso. S'aggiunga che il Foixà dovette conoscere il rimario che segue il Donat, se se ne serve per derivarne esempi, tra cui, caratteristico, quello di Bezers, nonchè la distinzione tra ers largo e stretto, cioè aperto e chiuso. ()

23. R. Vidal non si preoccupa di dare lezioni di grammatica; non insegna ai trovatori l'arte di parlare correttamente: richiama l'attenzione sulle regole di composizione adoperate dai poeti e le discute. ()

24. E così del resto intesero i posteri. Jaime de VILLANUEVA, nel suo Viaje literario a las Iglesias de España, XVIII, p. 232, parla di «Regles de trobar compuestas por R. Vidal de Besalu y esplicadas por Jofre Foxà». ()

25. Non bisogna dimenticare che il Foixà scriveva per insegnare a forestieri il retto comporre nella poesia d'arte volgare, che per definizione era ormai la provenzale. ()

26. Cfr. MEYER, op. cit., p. 53: «L’opuscule de R. Vidal n’est, il est vrai, qu'un recueil de remarques ou de preceptes isolés et assez mal groupés. Mais il s'en faut que l'écrit de J. de Foixà soit plus complet ou mieux composé. On y trouve des règles de composition littéraire, de grammaire, de versification, le tout, non pas jeté au hasard — car l'auteur annonce son plan et s'y conforme —. mais groupé selon un ordre très imparfait. Du reste, toutes ce remarques, quelles qu'elles soient, sont fort élémentaires et par conséquent peu instructives». ()

27. Tale è l'opinione del MASSÓ TORRENTS, Repertori cit., p. 328, e tale è l'opinione trasmessami per lettera dal prof. István Frank. Del mutamento delle citazioni si veda quanto si dice più oltre. Per ora mi limito a ricordare che un fatto analogo si verificà anche a proposito di trattati di rima italiani del '300: in Antonio da Tempo e in Gidino da Sommacampagna, i quali mutano gli esempi e se li inventano. Anche Terramagnino, del resto, muta gli esempi delle Razos di R. Vidal. ()

28. Anche le Leys d'amors si allontanano da R. Vidal quando egli segue l'uso limosino (II, 370, 402) e sostengono che il limosino non è più adatto di altri linguaggi alla poesia (II, 404). ()

29. Cfr. MASSÓ TORRENTS, Repertori cit., p. 328. L'accenno alle consuetudini linguistiche catalane ritorna alla fine delle Regles. ()

30. Dico «sembra», perchè c'è sempre il sospetto che le sviste siano del copista, com'è evidente per β1, il quale fa frequenti errori di flessione. Comunque fin da G. de Berguedan e da Pons de la Guardia i catalani non avvertivano bene quando si doveva «allungare» un sostantivo e quando no, e perché. Si pensi poi alle sviste di Terramagnino (cfr. FRANK, Pons, parag. 7). ()

31. Terramagnino (ediz. Meyer, in Romania, VIII, 1879, pp. 202-05) è d'accordo col Vidal nel dire che parecchi trovatori hanno sbagliato confondendo cre con crey e grasi con grasic. Le Leys invece (II, 402-04) si limitano a dire che è il limosino che distingue bene le due forme, e R. Vidal si riferisce al limosino, che considera il migliore dei dialetti provenzali. La difesa aperta del Foixà dell’«us» dei trovatori contro il Vidal resta dunque un caso isolato. ()

32. Su C ed R in generale cfr. la Bibliographie sommaire des chansonniers provençaux di A. JEANROY, Paris, 1916; e il vecchio saggio del GRÖBER, Die Liedersammlungen der Troubadours, in Romanische Studien, II (1877), pp. 337-668. In particolare, per la storia di C, cfr. A. JEANROY, Notes sur l'histoire d'un chansonnier provençal, in Mélanges E. Picot (1913), I, pp. 525-33; e per la storia di R cfr. l'articolo dello CHABANEAU, in Revue des langues romanes, XVII, p. 193. Si noti che C appartenne sino al XVII secolo ai conti di Foix e visconti di Béarn, e che contiene un componimento di Huc de Murel la cui «tornada» è indirizzata appunto al conte di Foix. ()

33. Cfr. István FRANK, La chanson de croisade du troubadour Gavaudan, in Neuph. Mitteilungen, vol. XLVII, 1946, p. 154. Sui rapporti tra C ed R a questo proposito aveva già fatto qualche considerazione il JEANROY, Poésies du troubadour Gavaudan, in Romania, XXXIV, 1905, p. 503. L'esame dei due mss. era stato fatto dal BERTONI, I trovatori d'Italia, Modena, 1915, pagg. 187 (per C) e 195 (per R). ()

34. Cfr. APPEL, Provenzalische Inedita aus Pariser Handschriften, Leipzig, 1890. ()

35. Per le «coblas» ho seguito la lezione dell'unico ms., ma ho corretto gli evidenti errori del copista. ()

36. Cfr. F. W. MAUS, Peire Cardenals Strophenbau, Marburg, 1884. ()

37. Si tratta per lo più di poeti noti all'ambiente catalano e spagnolo e in genere operanti intorno alla fine del sec. XII e agli inizi del XIII; alcuni ritornano nelle citazioni delle Regles. ()

38. Cfr. VILLANUEVA, Viaje literario cit., XVIII, pp. 229-231. Il ms. β1, cartaceo, recante la filigrana «monte» (cfr. BRIQUET, Les filigranes, III, n.º 11668, del 1358), comprende 184 fogli di mm. 284x209 ciascuno, in doppia colonna (eccetto il Diccionari di G. March); le Regles occupano le cc. 12r-23r. ()

39. Cfr. Obras de don Iñigo Lopez de Mendoza, marques de Santillana... compiladas e illustradas... por D. José AMADOR DE LOS RIOS, Madrid, 1852, p. 28. Il marchese di Santillana ripeleva quanto aveva scritto il contemporaneo don Enrico DE VILLENA nella sua Arte de trobar o Gaya Sciencia. ()

40. Cioè un po' tutti gli sludiosi del Foixà: cfr. Romania, II, 348; VI, 341-42; IX, 52; il NICOLAU, op. cit., pag. 238, parlò anzi di incendio nella notte del 25 luglio 1835. Il RUBIÓ Y BALAGUER, op. cit., p. 287, disse per primo che il codice che si credeva distrutto si trovava in possesso di un bibliofilo residente a Madrid; e il MASSÓ TORRENTS, Repertori cit., p. 327, ne pubblicò qualche brano scorrettamente. ()

41. Cfr. L. BIADENE, «Las Razos de trobar» e «Lo Donatz proensals» secondo la lezione del ms. Landau, in Studi di filologia romanza, I, 1885, pp. 335-402. ()

42. Romania, IX, 1880, p. 51-70. Il ms. β2 comprende 224 fogli non numerati di mm. 374x275 ciascuno in doppia colonna; le Regles occupano 12 fogli. Se ne veda la descrizione fatta da J. DOMÍNGUEZ BORDONA nel suo catalogo dei mss. catalani della Bibl. Naz. di Madrid (Madrid, 1931). ()

43. Cfr. le Notes cit., e particolarmente da p. 239 a p. 252. ()

44. Il codice di Ripoll n. 129, cartaceo, di filigrana imprecisabile, in cui le Regles sono comprese in 7 fogli di mm. 230x160, e cioè da c. 19 a c. 25 — 5 fogli (cc. 26-30) comprendono il Tractat poetic e l'antologia — è una miscellanea di frammenti di diversi mss., latini per la maggior parte, di poco valore e di breve estensione, eccetto la copia della Palma di S. Agostino; e pertanto reca nella legatura il titolo di Documentos de varias materias escolasticas y la Palma de S. Agustín. Per la descrizione si veda lo scritto citato dal RUBIÓ Y BALAGUER e il Repertori cit. del MASSÓ TORRENTS (p. 27). Devo aggiungere, per la datazione del ms., che lo stesso Rubió y Balaguer mi comunica essere oggi convinto che l'infante don Pietro, ricordato nelle poesie, è, non già come credette allora (op. cit., p. 291), il figlio di Giacomo I, bensì Pietro, figlio di Giacomo II, che fu poeta e protettore di poeti e del concistoro della «Gaia Scienza»; il che abbassa la datazione del codice. Si noti infine che il Nicolau (op. cit., p. 238) conosceva l'esistenza del ms. di Ripoll 129, ma non potè esaminarlo e lo dichiarò «recondit ... y invisible». Del cod. s'è occupato pure A. JEANROY, nel vol. XXXVIII della Hist. litt. de la France (1941). ()

45. Per ms. o testo di Ripoll intendo il testo delle Regles, il trattatello e l'antologia poetica, che costituiscono nella miscellanea del codice un tutto organico, scritto dalla stessa mano. ()

46. RUBIÓ Y BALAGUER, op. cit., p. 287. A giustificazione del R. y B. debbo però ripetere che con la sua pubblicazione egli si preoccupava di far conoscere agli studiosi il trattatello e l’antologia poetica sconosciuti del ms. di Ripoll, piuttosto che le Regles, già abbastanza note. Non si pose dunque il problema del testo delle Regles. ()

47. Cfr. Repertori cit., pp. 327-28. ()

48. Cfr. BIADENE, op. cit., p. 350. ()

49. Si tenga presente del resto la definizione dantesca della grammatica: «grammatica nichil aliud est quam quaedam inalterabili locutionis idemptitas diversis temporibus atque locis». (De vulg. eloq. I, IX, II). Si potrebbe aggiungere che identiche erano le regole e diversi gli esempi. ()

50. Non ho segnato nell'apparato gli errori degli editori e di β2, salvo casi eccezionali, per mostrare il perché di qualche svista che ha l'apparenza del contrario. Ho indicato invece gli errori di copia di β1 (p. es. -or- ,-ir anzichè -or-, -ors; poden per pot e simili) dovuti per lo più a incomprensione di copista che non intendeva grammatica. Avverto anche che nell'apparato indico spesso β1 con Ms., poichè è il testo di β1 quello che seguo. ()

51. Nel cod. cŏsamēt. ()

52. Errore per attrazione di un s'abreujon precedente. ()

53. Ma riprende appresso sofren. ()

54. Prima aveva scritto porem; poi cancellò e aggiunse, di seguito, sabrem. ()

55. Conils è aggiunto nell'interlineo. ()

56. Mancano alcune lettere, perchè il margine esterno del foglio è lacero. ()

57. Il ms. dice . ()

58. Aveva scritto amich, poi aggiunse na nell’interlineo. ()

59. Veramente non si legge bene: Lamam o Lamams. ()

60. Ma un esempio di indicativo presente era stato già fatto. ()

61. L’esempio doveva essere proprio plasen (senza s). ()

62. Doveva essere s'abreujen, ma s era appunto la lettera precedente ed en la sillaba seguente, sicchè il copista dimenticò di scriverle. ()

63. Il margine della carta è lacero: forse diceva amaray. ()

64. Dopo il segno d'abbreviazione della e c'è una a cancellata: il copista aveva dimenticato probabilmente che la parola doveva cominciare non per a ma per h. ()

65. Prima di tu creses aveva scritto due parole (tu e altra illeggibile), che poi cancellò. ()

66. Rinunzio, in questo caso, a sciogliere le abbreviature. ()

67. Leggerei: persona. ()

68. Le parole con en mi volgues mover sono scritte nell'interlineo sulle parole cancellate: si vos ab ... dar mi ·j· caval. ()

69. L'ultimo paragrafo di β1 non si trova in C. Si tratta di una colonna e sei righi di scrittura, in cui si parla di errori commesi particolarmente in Catalogna da trovatori che credono di far ciò per gallart parlar o per tal que mellors venga a llurs rimes. ()

70. Ma ausir è ripreso poco oltre. ()

71. Si vedano gli esempi nn. 1, 6, 8, 15, 16, 24, 33, 34, 37, 38, 40, 47, 50, 53, 55, 58, 62, 65, 70, 71, 73, 75, 77, 81, 84, 85, 86, 88, 89, 90, 93, 99, 102, 110, 111, 112, 114, 116, 120. ()

72. Si vedano gli esempi nn. 2, 7, 9, 10, 11, 26 (ma l'esempio è anche cambiato), 30, 35, 41, 61, 79, 82 (un esempio in più, ma un periodo in meno), 83 (id.), 94, 113, 115. ()

73. Si vedano i nn. 3, 14, 42, 49, 63, 66, 72, 74 (con mutazione di significato), 91, 109. ()

74. Si vedano i nn. 4, 5, 17, 18, 19, 20, 22, 27, 28, 29, 32, 36 (il testo poetico sembra ipercorretto), 39, 43, 46, 51, 52 (è omessa una parola), 54, 56, 57, 60, 64, 67 (omessa una parola), 68 (omesse 3 parole), 69 (omessa una parola), 78 (omessa una parola), 85 (omessa una parola e un periodo), 87, 95, 97, 98, 107 (omessa una parola, un'altra mal letta), 117. ()

75. Si vedano i nn. 13 (facile errore di lettura), 23 (id.), 31, 44 (per attrazione di parola seguente), 45, 48, 59, 76 (ripetizione), 96 (errore di lettura), 101, 103 (facile errore di lettura), 104 (id.), 105 (id.), 108 (id.), 118 (id.), 119 (id.). ()

76. Si vedano i nn. 70, 80, 100 (testo gusto dell'esemplare). ()

77. Nel caso dell'esempio n. 46 è chiaro che C aveva letto male amich, e poi corresse in anamich. ()

78. Si ricordino le parole di R. Vidal sul principio delle Razos: «Pero s'ieu i alongi en causas que porria plus breumeus dir, no·us en deves maravellar, car eu vei et conosc que mant saber en son tornat en error et en tenso, quar erant tant breumens dig. Per qu'ieu alongarai en tal luec que parria plus breumenz hom dir... ». In queste parole c'è, attraverso la retorica medievale, una lontana eco dell'oraziano «brevis esse laboro». ()

79. Anche i 22 esempi poetici addotti da R. Vidal non presentano varianti corrispondenti a quelle di un codice solo, bensì singolarmente a più codici. Se ne è dedotto che il Vidal traeva le sue citazioni da più raccolte poetiche, o da qualche raccolta perduta. Il caso del Foixà mi sembra però induca anche per questo rispetto a supporre meno codici perduti e più errori o difetti di memoria. ()

80. Cfr. Regles, paragr. I della presente edizione. ()

81. Cfr. Regles, paragr. III, b. ()

82. Cfr. Regles, ibidem. ()

83. Cfr. Regles, paragr. III, 1. ()

84. Cfr. Regles, paragr. VIII, a. ()

85. Cfr. Regles, paragr. III, 5. ()

86. Cfr. Regles, paragr. VII. ()

87. Cfr. Regles, paragr. III, 1. Non ci sono altri casi controllabili, perchè gli altri versi citati nelle Regles sono anonimi e d'altronde sconosciuti; forse (come ho detto) sono dello stesso Foixà. ()

88. Desidero far pervenire il mio vivo ringraziamento a quanti mi hanno aiutato nel mio lavoro, e in primo luogo a don Pedro Bohigas, a mossen A. Griera, al caro amico prof. István Frank e al prof. A. Monteverdi, che ha voluto accogliere il mio volumetto nella sua collezione. All'amico prof. Martín de Riquer, al gen. Ll. Fauraudo de St. Germain, ai proff. J. Rubió y Balaguer, J. E. Martínez Ferrando, J. Carreras Artau e F. Pieper vada la mia riconoscenza per i consigli e i libri che hanno voluto inviarmi. E viva gratitudine debbo anche all'opera della prof. M. Sánchez Reguiera e della mia brava assistente dott. A. Bartolini, che tanto hanno contribuito a facilitare questi miei studi. ()

 

 

 

 

 

 

 

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