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Del Monte, Alberto. Peire d'Alvernha, Liriche. Torino: Loescher-Chiantore, 1955.

323,012- Peire d'Alvernha

Questa canzone si potrebbe accostare ad Ab fina ioia per la delicatezza della situazione sentimentale, la squisitezza dei trapassi psicologici, la segreta fusione dello stile. Nella prima strofa il poeta esprime la sua condizione d’artista: urgente esigenza di cantare e insieme tormentosa cura di differenziare il proprio dall’altrui canto. Egli canta perché ama, come dirà al v. 40, ma, poiché è consapevole dell’unicitàdel suo amore, vuole esprimersi in un modo altrettanto individuale. La singolaritàdel suo sentimento èdi voler sperare pur nella penosa incertezza: un amore, il suo, fatto d’attesa fidente e pur adombrata da repentini dubbi; un’alternativa di rapide tristezze e di tenace speranza. E la singolarità del suo canto sarà nel rappresentare ciò ch’egli spera, pur se la realtà è diversa. Perciò (II) egli canta la primavera, la stagione dell’amore; ma in realtà la primavera è lontana e al poeta, pur nella gioiosa rappresentazione, sfugge un primo sospiro di malinconica nostalgia («e potesse ormai la primavera nascere con buoni auspici!»). Malgrado questa fugace impazienza, il poeta è sicuro (III) dell’avvento dell’amore, perché egli possiede le doti con cui esso si vince. Ma dopo questo momento di fiduciosa certezza, la realtà presente (IV) con la sua lunga e vana pena turba di nuovo la speranza del poeta che però subito scopre la gioia amorosa in se stesso, nel suo amore pur se inappagato, e s’abbandona al proprio sogno: venire in ginocchio ai piedi della donna, dirle una sola parola d’amore!... Ma ecco che (V) con un trapasso apparentemente brusco, in verità sapientemente graduato, come se si destasse dal proprio sogno e assumesse coscienza della realtà, il poeta si rivolge all’Amore per conoscere il suo destino. Ma si risponde da se stesso: le alternative son finite, egli del suo destino è consapevole. Malgrado le pene, egli continuerà ad amare, purché (VI) la donna, pur irritandosi dei gelosi, degli adulatori e degli altri nemici d’amore, non sia però influenzata da essi, come non lo è lui. Facciano essi ciò che vogliono, purché la donna gli sia benevola, purché egli (VII) possa purificarsi in quest’amore, dal quale nessun’altra donna può distoglierlo. Egli potrebbe disamare, solo se temesse che da quest’amore gli venisse rovina. E invece in esso egli rinviene la propria ispirazione poetica. E conclude con parole di fiduciosa aspettazione.
 
8-11. Cfr. BERNART DE VENTADORN, ed. Appel, 43, 1-4, e p. LXIX. Ma è agevole cogliere la differenza fra i due momenti poetici. Nell’immagine di Bernart:
 
Can vei la lauzeta mover
De joi alas contra·l rai,
Que s’oblid ‘e·s laissa chazer
Per la doussor c’al cor li vai,
 
domina la lodoletta, il suo batter d’ali, la sua ebbra dolcezza; in quella di Peire l’allodola è un particolare di un quadro più disteso, la luce spiovente (si noti il diverso valore grammaticale e funzionale del particolare rai in Bernart e in Peire), la foglia vibrante nel vento, il canto universo della natura. È che Bernart intende creare un’immagine di obliosa gioia cui contrapporre la propria pena delusa, mentre Peire vuol fissare un clima di pura esaltazione quasi preannuncio di quella ch’egli conquisterà al termine del proprio canto, di questo itinerario al joi attraverso la balansa, di questo raccoglimento graduale in se stesso tramite la liberazione dalle incertezze e dalle apprensioni di un amore ancora travestito d’empiricità. E infatti quella di Bernart è un’espansione di rimpianto, quella di Peire è l’espressione della sua ascesa verso l’assolutezza spirituale. Si noti l’adozione dei verbi monta per l’allodola e dissen per il raggio, quasi a contrapporre il movimento inverso dell’una e dell’altro, l’ascesa dell’uccello nella pioggia di luce, a render più ebbra di vita l’immagine; e branda per il vento: la foglia, in virtù di questo verbo, si stacca con nitidezza, in un’altra zona di movimento, che par comunicarsi anche all’allodola, pur durante la sosta. L’immagine si dilata poi in quella della primavera tutta piena del canto disteso («echeggia su e giù») e sommesso («schiude appena... gli uccelletti») degli uccelli, con un vanire dei tratti incisi e isolati dei primi quattro versi nel quadro sfumato degli ultimi quattro.
 
8. Sul valore di quan = que, cfr. STIMMING, Bertran de Born, p. 244. l’alauza o la lauza: cfr. APPEL, Prov. Lautlehre, p. 40, § 36; BERNART DE VENTADORN, ed. Appel, 70, 43; GUILHEM ADEMAR, ed. Almaquist, 9, 4.
 
11. branda·l biza: cfr. GUILHEM ADEMAR, ed. Almaquist, 13, 2: branda·ls brueils l’aura.
 
12. Non è dunque primavera: il poeta la loda e si augura ch’essa venga: è perciò la lode della bella stagione durante la brutta. Per bona usato avverbialmente, cfr. LEVY, Pet. Dict., s. v. bon. ZENKER: süss, wie nur je eine wurde.
 
16. bruelh’e nays: è un hysteron proteron; cfr. GIRAUT DE BORNELH, ed. Kolsen, 17, 63.
 
17-21. Cfr. BERNARDO DI CHIARAVALLE, De humilitate, P. L., 182, 941 ss., e 159, 665 ss.
 
20. Cfr. PEIRE RAIMON, ed. Cavaliere, 6, 36; 9, 51; 14, 30.
respos = conversazione; cfr. SW, s. v. e ARNAUT CATALAN, ed. Blasi, p. 26, v. 12.
 
21-23. Cfr. CERCAMON, ed. Jeanroy, 1, 6-8.
 
23. ZENKER: non.
 
25. Piza è nella lirica provenzale sinonimo di ricchezza: cfr. BERNART DE VENTADORN, ed. Appel, 44, 23; CERVERI DE GIRONA, ed. Riquer, 43, 24; RAIMBAUT D'AURENGA, ed. Pattison, 3, 32.
 
27. ZENKER: vengues aclis; che però è lezione isolata di R. Cfr. PEIRE RAIMON, ed. Cavaliere, 2, 18: de ginols vers lieys venir (e cfr. 15-31) e cfr. STOESSEL, Die Bilder u. Vergleiche, p. 65.
 
28. ZENKER: e·m disses. Ma, a parte la forzatura logica, pare piùcoerente sentimentalmente che il poeta aspiri a poter parlare del suo amore alla donna col consenso diquesta che non a ricevere una aperta corrispondenza. Che egli si auguri che la donna gli parli d’amore è banale; che egli si auguri di venire in ginocchio da lei per ascoltarne parole d’amore, è peggio che banale.
 
30. Per l’imperfetto di una proposizione condizionale, cfr. STIMMING, Bertran de Born, 14, 17; inoltre: AIMERIC DE BELENOI, ed. Dumitrescu, 11, 1; FOLQUET DE MARSEILLA, ed. Stroński, 11, 41; GIRAUT D'ESPANHA, ed. Hoby, 3, 45-47; GUILHEM MONTANHAGOL, ed. Coulet, 8, 9; ecc.
 
32. deviza = destino. Cfr. SW, s. v. devizar = bestimmen.
 
33. e: con valore avversativo.
 
33-35. ZENKER rende interrogativa la frase; il che, oltre che superfluo, appare inesatto per la presenza del futuro.
 
36-42. Strofa inintelligibile allo ZENKER che così la dava e traduceva: Ab sol qu’enaissi no·m’esfer,— non reblan gelos ni savais; — que ja nulh dan, si be·s n’irais, — no·l pretz ecc. = Wenn sie mich nur nicht so (ma nessun ms. dà enaissi) von sich scheucht, fürchte ich weder eifersuchtige noch schlechte Menschen; den fürwahr, keinen Schaden, den ich erleide, achte ich auch nur ein Lüftchen ( ? !) wert, wenn sie auch darüber zürnt (ma che significa?); ecc. Io intendo: purché essa non si curi dei gelosi o dei villani — quanto a me essi non mi distolgono dall’amare; — perchè, anche se ella s’irriti di essi (cioè: anche se gelosi e villani possano procurarle irritazione, purché non la facciano mutare, così come non fanno mutare me), non valuto una mica qualunque danno. Per esferar = far indietreggiare, allontanare, cfr. SW, s. v. e GIRAUT DE BORNELH, ed. Kolsen, 41, 41.
 
42. sia a mos pros: ZENKER = wohl will. Meglio: giovi, soccorra; cfr. FLAMENCA, ed. Lewent, 5432.
 
43. mos cors: cfr. nota a III, 42. Ma non potrebbe intendersi (cors — cuore) : il mio cuore si purifichi?
 
45. si: con valore limitativo: solo nel caso che. Per si con l’ind. imperf., dipendente da una proposizione col pres., cfr. FOLQUET DE MARSEILLA, ed. Stroński, 5, 53.
 
50. cofes: ZENKER = devoto. LEVY, Pet. Dict., dà questo significato dubbiosamente. Per cofes = debitore, cfr. SW, s. v. Lo stesso significato par avere in GUILHEM PEIRE DE CAZALS, ed. Mouzat, 3, 11. In ogni modo l’adozione di termini quali cofes e orazos largiscono un carattere sacrale all’ascesi amorosa del poeta.

 

 

 

 

 

 

 

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