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Loporcaro, Michele. Due poesie di Guilhem de Saint Gregori (BdT. 233.2 e 233.3). "Medioevo Romanzo", XV (1990), pp. 17-60.

233,002- Guillem de Saint Gregori

2. Aemar II di Poitiers, conte di Valentinois e di Diois (1189-1230): cfr. la nota introduttiva. La charn e l’ongla: la iunctura è nella sestina di Arnaut Daniel XVIII, 17.
 
3. Il verso è ipometro (—1) sia in Dª che in a¹. Bertoni sana il luogo ricostruendo un inz che si sarebbe corrotto in aiz in a¹ e sarebbe scomparso in Dª poiché ridondante per il senso (inz el > el). Con la soluzione qui a testo si suppone invece che la modificazione di un originale si an (san Dª può anche nascondere un si paraipotattico anziché un riflessivo pleonastico) con dialefe abbia originato la diffrazione al principio del verso. Quanto ad aiz di a¹, anziché corruzione da inz potrebbe trattarsi di aize (< ADIACENS), sinonimo difficilior di luoc, glossato in margine con quest’ultimo. La glossa penetra in testo (a¹) sostituendo infine aize (Dª). Paden stampa la lez. di a¹, intendendo aiz’ come soggetto e luec come oggetto: «ease has gained a spot in his heart, near his soul».
 
4. La corruzione onglanga a¹ non è segnalata dal Bertoni in apparato, ma solo nell’edizione completa del canzoniere, Il canzoniere di Bernart Amoros cit., p. 276.
 
5. La lez. di a¹ origina verosimilmente dall’eliminazione dello iato con dialefe testimoniato da Dª. È poco probabile quindi la sua originalità, nonostante sia messa a testo da Gouiran² e Paden. Imprecisa è poi in quest’ultima edizione la traduzione ‘dean’: più appropriatamente si sarebbe potuto rendere con ‘provost’ in quanto nel capitolo della Cattedrale di Valenza figuravano sia un decano che un prevosto, ed Eustachio (m. entro il 1220), fratello di Guglielmo I di Poitiers e zio di Aemar II, ricoprì quest’ultima carica.
 
7-8. Espressione metaforica non chiarissima che rendo, esplicitando, con una similitudine seguendo il Bertoni, p. 34 e p. 36 (che la dice «un’allegoria di cattivo gusto»). A privat: cfr. LR IV 647 «quand en secret il s’en entre (rentre)». Paden e Gouiran² hanno per privat intendendo però, rispettivamente, «stealthily (enters)» e «(s’y retire) en son particulier».
 
9. Il Bertoni intende tais come perf. forte da tanher (< TANGERE) ‘convenire, addirsi’, sul modello di dois (da DOCERE). Negli edd. successivi interpretazioni di tais meno soddisfacenti di quella del Bertoni.
 
10. Paden ha il testo di a¹ (privo di significato) con una traduzione non corrispondente («so heart and reason rush to scratch their way out by the fingernail»).
 
11. Bertoni, seguito da Paden e Gouiran², preferisce la lezione di a¹ ed espunge il pronome accusativo (l’ DªH), che anticipa proletticamente vas e non fa alcuna difficoltà.
 
12. In a¹ (Lo uas on fo mes lo c. ecc.) l’articolo iniziale sarà stato aggiunto da un copista per appianare la sintassi, producendo ipermetria. La lezione di DªH, priva di lo, è perfettamente accettabile sintatticamente ed è preferibile in quanto difficilior. Il Bertoni, seguito dal Paden, conserva l’articolo banalizzante del solo a¹ ed è così costretto a sacrificare mes, che è invece uniformemente tradito. Non è inoltre indispensabile per il senso il possessivo integrato dal Bertoni (s’arma): l’arma è qui necessariamente ‘la sua anima’. Per il significato di vas ‘bara’, che si continua anche nei dialetti occitani odierni, cfr. Bertoni, p. 34 n. 1.
 
17. Letteralmente: ‘non può mettere pelo né unghia’, vale a dire ‘non può espletare neppure le funzioni vitali elementari’.
 
18. Il sogg. è qui ancora bos pretz (v. 14), secondo DªH, sintagma tematico (‘ogni buona qualità’) associato al personaggio del prevosto qui come ai vv. 9 e 29. La connessione va perduta se, come fa il Paden, si segue a¹ (E.l bes fluris ‘Goodness flowers’) dove essendo bes soggetto si crea una brusca cesura sintattica. Identica sintassi nell’ed. Gouiran² — lo mostra la traduzione — ma con ben di DªH che, avverbio in quel contesto, trasferito alla lez. di a¹ diviene un obliquo fuori luogo. Gli edd. accettano di a¹ l’inserzione di miels (e miels gran’ en son oncle), che crea però lectio facilior eliminando lo iato (grana ab) conservato in DªH.
 
20. Paden e Gouiran² stampano secondo a¹ (salvo e·l neps). Il Bertoni, che segue DªH, emenda in res (nom.) l’obliquo uniformemente tradito (ren DªH, re a¹). Si dovrà invece mantenere immutata la lezione di DªH, poiché (i) a in a. prov. «is combined with a noun in the accusative case or with an adverb or adverbial locution»: cfr. F. Jensen, The Syntax of Medieval Occitan, Bhfte zur ZRPh, Bd. 208, Tübingen, Niemeyer 1986, § 652: d’aissi non a monge trusqu’en Velai (G. de Bornelh, XVII 80); qu’el mon non a avers (F. de Marselha, VI 39) ‘for in the world there are no riches’, e no·n y a negu que·s tengua per paguatz (Appel, Prov. Chrest., 107, 139); cfr. anche Jensen, § 671: i aura tans colps datz, perifrasi passiva impersonale, dove pure figura l’accusativo.
 
22. Paden e Gouiran²  stampano la lezione di a¹, meno pregnante.
 
23-24. Sintassi e senso di DªH sono da preferire, seguendo il Bertoni (cfr. sopra, n. 26). Aicom sauais a¹ (preferito da Paden e Gouiran² ), origina per aplografia da coms sauais DªH, che è lezione evidentemente difficilior: il titolo di conte di Aemar non si ricava da alcun altro luogo all’interno del testo. Facile dunque la banalizzazione coms > com da parte di un copista cui non fosse familiare il nome del conte di Valentinois.
 
27. Letteralmente «s’io entrassi sovente là dove egli entra».
 
31. Oscuro il senhal Mon Berart, congettura del Bertoni, nel quale Paden propone di leggere un’allusione a Berart de Mondisdier (o Monleydier), eroe della Chanson des Saisnes di Jean Bodel, ricordato da Bertran de Born in Volontiers fera sirventes BdT. 80.45,28. Il personaggio, per la fama che dové arridere a quella chanson, era familiare ai trovatori, che spesso ne fanno menzione anche semplicemente come Berart: cfr. la documentazione radunata da Au. Roncaglia, «Marcabruno:Al departir del brau tempier [BdT. 293,3]», Cultura Neolatina 13 (1953), pp. 5-33, alle pp. 20-22 e F. Pirot, Recherches cit., pp. 373-8. Nella sestina si tratta evidentemente di un personaggio cui si fa riferimento nel presente, e non si può escludere che esso sia apostrofato — forse ironicamente — con un senhal di sapore epico. Una formula simile per passare a nuovo argomento in principio di strofa è in Senher en coms, a blasmar di Bertran de Born (ed. Appel, nº 16, p. 38; ed. Gouiran, nº 19, p. 373), v. 41: «Mon chan vir ves n’Azemar».
 
34. Stampo come Paden e Gouiran². Incomprensibile, così come si legge a testo, la soluzione del Bertoni, probabilmente viziata da un refuso. La traduzione — «e mi ricordo bene (della bontà) di suo padre e di suo zio» — garantisce che i due sostantivi sono al singolare (dunque non sos oncle ‘i suoi zii’, nom.), e la citazione di S. Stroński, Le troubadour Elias de Barjols, Toulouse, Privat 1906, pp. 74s., mostra, come si vedrà, che egli ritiene trattarsi di due nominativi. Nominativo singolare, dunque. Ma a testo sta e son pair’ e sos oncle. L’unica possibile interpretazione — benché macchinosa — di tale condotta editoriale è che un refuso abbia modificato un inteso e sos pair’ e sos oncle in cui, in rima, si avrebbe irregolarmente un nom. sing. senza marca flessionale per il nom. oncles < AVUNCULUS. Che un errore abbia mutato il secondo son in sos è escluso dal fatto che la lezione di a¹, che metto a testo (coll’unica differenza, puramente grafica, rispetto ad a¹ della discrezione di paire) è lì citata in apparato, nonché da un parallelo addotto dal Bertoni stesso (p. 36): «Al v. 34 è da notarsi membra che non ha la solita costruzione genitivale. Citerò, per appoggiare questa costruzione: Bertr. [sic] de Ventadorn 70,6: Mantas vetz m’es pueis membrat / L’amor[s], ecc. Cfr. Raynouard, LR, IV,184; Stroński, Elias de Barjols, pp. 74-75». Bertoni riprende l’integrazione della desinenza di nomin. (che non è nel LR) dalla citata edizione di Stroński in cui, discutendo i vv. 25 s. di Amors ben m’avetz tengut (BdT. 132.1), si dedicano alcune dense pagine (pp. 71-5) ai costrutti sintattici dei verbi di ricordare e di dimenticare. Per dessovenir e oblidar Stroński discute, considerandole le sole legittime, le tre costruzioni alcus se dessove d’alcuna re, me dessove d’alcuna re (rispettivamente, costrutto person. rifl. ed impers. con de + obl. della cosa dimenticata) e alcuna res me dessove (con la cosa dimenticata in nom.). Al contrario sovenir, egli argomenta, «n’a, en général, qu’une seule construction, l’impersonnelle: me sove d’alcuna re» (p. 74). Vengono dunque criticati i passi con costruzione riflessiva citati nel glossario del Manualetto²  del Crescini, e di essi è fornita una diversa interpretazione. Accanto all’impersonale egli ritiene unico altro costrutto legittimo — benché decisamente più raro — quello ricorrente in Uc Brunet, BdT. 450.2, str. VI (Ara·m nafron li sospir): «Be·m deuria sovenir | So qu’ill me dis en rizen», a proposito del quale commenta: «on se demande si so y est sujet: so·m deu sovenir, so·m sove, d’après les constructions analogues de dessovenir et d’oblidar, ou régime: ieu me deu sovenir so, ieu me sove so».
Stroński non considera una terza possibilità (cui nulla si oppone, morfologicamente, non esistendo distinzione di forme per il pron. neutro), che cioè il costrutto sia impersonale e so sia non nominativo ma obliquo. Egli legge in accordo con tale sua interpretazione i versi su ricordati di Bernart de Ventadorn: «Pour membrar R[aynouard] IV, 184, II a un cas de la construction alcuna res membra ad alcu dans son exemple n. 7: Mantas vetz m’es pueis membrat / L’amor[s]...» (p. 74s.). Ma per far questo ha bisogno di integrare una desinenza di nomin. attestata in un unico testimone, come risulta dall’apparato dell’edizione Appel (nº 6). Qui figura a testo l’altra lezione, tradita da ABDQE, «manhtas vetz m’es pois membrat | de so que·m fetz al comjat» (così anche l’ed. S. G. Nichols Jr. et al., Chapel Hill (N. C.) 1965, p. 57). Ma per il v. 54 la lezione L’amor que·m fetz al comjat GMORSif (S Launor, a Lamors, con regolarizzazione sintattica del copista), da un lato è partitaria secondo lo stemma dell’Appel, e d’altro canto è maggiormente pregnante quanto al senso. Difficile supporre un’identica innovazione poligenetica, risultante in una struttura sintattica difficilior, a fronte di una lezione piana come quella di ABDQE che, pertanto, ha scarsa probabilità di essere originale. Il Raynouard (LR, IV 184), riportando questo passo s.v. membrar, accreditava la variante L’amor, e considerava legittima la struttura sintattica, con la cosa ricordata all’obliquo. Il passo della sestina, dove l’obliquo oncle è inoltre garantito dalla rima, conferma tale legittimità e i due luoghi, appoggiandosi a vicenda, permettono di aggiungere questa alle due costruzioni di (re)membrar registrate da F. Jensen, Syntax cit. § 657: me membra d’un mati, Guglielmo IX, X, 19 (impers. con de + obl.) e el remembrara·ls oblitz, Guiraut de Bornelh 60,52 (trans). La struttura sintattica sin qui discussa può essere accostata a quelle con accusativo in dipendenza da predicati passivo-impersonali, ben attestate in basso latino: cum factum fuerit missam, fit cathecisin, olivam cum plantatur et legitur: cfr. F. Brambilla Ageno, Il verbo nell’italiano antico, Milano-Napoli, Ricciardi 1964, pp.159s.
 
34-36. Restando non identificato Mon Berart, nulla si può dire sui suoi due parenti qui menzionati, né sui pericoli ai quali dovrebbe prontamente reagire.
 
35. Il Bertoni legge erroneamente in a¹ bom dretz, riportato in apparato, e stampa bon dreit. Si tratta invece dell’ennesima ricorrenza del medesimo sintagma tematico.
 
37-39. L’integrazione di Bertoni, che qui mantengo, è correttamente indicativa, fondandosi sulla struttura del congedo della sestina arnaldiana, dove figurano in rima i mots-refrains e, c, a (replicanti nell’ordine le ultime tre rime dell’ultima strofa) preceduti rispettivamente, all’interno del verso, da b, d, f (corrispondenti alle prime tre rime dell’ultima strofa). Sbagliano quindi Paden e Gouiran² a stampare secondo a¹ per oncle e per ongla, ed è incomprensibile la critica rivolta dal Gouiran al Bertoni: «La reconstitution de G. Bertoni, reprise par W. Paden: Sirventes faz per oncle e per ongla [...] a le tort de ne pas correspondre à la forme normale de la tornada, qui devrait reprendre les trois dernières rimes de la str. VI: oncle, arma, intra [giusta la descrizione, che corrisponde però alla soluzione di Bertoni, e non già a quella di Gouiran: quest’ultimo segue in realtà Paden, che si discosta dal Bertoni] et non intervertir oncle etongla, comme c’est le cas dans le ms.».
È curioso constatare come l’inversione delle due parole rima in a¹ ricalchi l’analoga lezione erronea d’oncle e d’ongla offerta, per il primo verso del congedo della sestina d’Arnaldo, da ABHIKN² U(Qc). Ma è certo pura coincidenza, tanto più che qui a (p. 106) legge d’ongla e d’oncle, come CEGMcRSSg, lezione messa a testo da tutti gli editori, se si tralasciano le sviste del Mussafia e del Bartsch rilevate da U. A. Canello, La vita e le opere del trovatore Arnaldo Daniello, Halle (Saale), Niemeyer 1883, p. 264s. (corretta, quest’ultima, nell’ed. della Chrest. provençale a cura del Koschwitz, Marburg 19046). La forma della tornata arnaldiana, che Bertolome Zorzi riprenderà senza alterazioni (ed. Levy, p. 69), sarà stata certo rispettata anche da Guilhem de Saint Gregori. Le rime della tornata ripetono le ultime tre della VI str. anche in Quan pes qui suy, fuy so que.m franh (BdT. 376.2, Frank 864.2) di Pons Fabre d’Uzes, ed. C. Appel, Provenzalische Inedita aus Pariser Handschriften, Leipzig, Fues 1890, pp. 254-6, dove però mancano le parole-rima in rima interna ad eccezione di pert (e) nell’ultimo verso, ed inoltre l’ultima strofa termina con le rime c, d, a, a causa del disordine metrico di questa «pseudosestina» in octosyllabes. La retrogradatio cruciata vi è applicata nella str. II (I abcdef > II faebdc), ma nelle successive non esiste altra legge di variazione al di fuori del passaggio 6ª > 1ª (e, con l’eccezione della str. IV, 1ª > 2ª), avvenendo le altre permutazioni in modo casuale: III cfaebd > IV daecfb > V bdafce > VI ebfcda. Inaccurata quindi la descrizione di F. M. Chambers, An Introduction to Old Provençal Versification, Philadelphia, American Philosophical Society 1985, p. 123: «Pons Fabre borrowed the underlying principle of the sestina, but with a different meter (isometric masculine octosyllables) and of course different end-words», mentre ad A. Jenni, La sestina lirica cit.,p. 33 («è qualcosa di intermedio fra la sestina e una semplice canzone a rime equivoche [...] con troppi riferimenti alla forma della sestina perché si debbano considerare come base piuttosto quelle che questa») opporrei che l’applicazione alla II strofa della retrogradatio cruciata, il proseguire delle permutazioni, ma senza regola, per le strofe successive e l’asimmetria rimica del congedo fanno piuttosto pensare ad una sestina variata nel verso e mal strutturata.
La consecuzione delle rime nella tornata si svincola dallo schema arnaldiano nella sestina di Dante e Petrarca (cfr. Toja, ed. Arnaut Daniel, cit., p. 382).

 

 

 

 

 

 

 

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