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Loporcaro, Michele. Due poesie di Guilhem de Saint Gregori (BdT. 233.2 e 233.3). "Medioevo Romanzo", XV (1990), pp. 17-60.

233,003- Guillem de Saint Gregori

1-8. I versi iniziali indicano la causa dicendi nella crudele signoria di Amore e della donna, che spregiano il servizio devoto del poeta il quale tuttavia persiste umilmente in esso. Sono versi contesti di materiale tematico e di stilemi tipici e ricorrenti: cfr. p. es. l’incipit di Folchetto di Marsiglia, IX, 1-7: «Amors merce! : no mueira tan soven!... pero, meitz mortz, vos sui hom e servire, | e·l servizis es me miltans plus bos | que de nulh autr’ aver rics guizardos»; o di Elias de Barjols, II: «Amors, que vos ai forfag». Ma già l’exemplum letterario (v. 9), adducendo il quale la voce narrante reclama il perdono, non è più in linea con tale Stimmung d’avvio. Successivamente, dopo la strofa II in lode delle bellezze della dama, il tono si fa da implorante quasi perentorio: la dama è apertamente tacciata di ingratitudine e crudeltà, con una serrata critica cui conferisce rilievo la ricercata strutturazione simmetrica, ottenuta con anafore ed antitesi.
 
5. La lezione di E (planh) banalizza l’immagine eliminando la agudeza su cui s’impernia l’intera strofa iniziale.
 
9-10. Cfr. la nota introduttiva. Per la sintassi del v. 9 cfr. le note 55 e 58.
 
11. Berengario di Tours (998-1088); cfr. la nota introduttiva.
 
13. Per l’immagine cfr. p. es. Folchetto di Marsiglia, Ben an mort mi e lor (ed. Stroński, I, 27, p. 11): «A lieis que·m fai vellar durmen».
 
15. In E in questo verso ed in altri (vv. 19, 25, 35) la rima è alterata: -ans > -an.
 
18. Il verso è reso ipermetro (+ 1) in E dall’inserzione di clars. Truans ha significato di base negativo (‘truand, vilain, misérable’, LR v 435), ma si dice anche «von den Augen der Geliebten» (‘maliziosi, malandrini’); SW VIII 506, con riferimento al nostro passo. Cfr. p. es. Peire Raimon de Toloza, No·m posc sofrir d’una leu chanso faire(BdT. 355.9, 117): «Vostr’huelh belh truan | Que tot mon cor m’an | Emblat … »
 
19. Tot è qui invariabile, usato come rafforzativo avverbiale. Per semblans è letteralmente vox media (‘nel loro aspetto’).
 
20. Si potrebbe forse integrare congetturalmente un INDE ablativo: tro que me·n mou. Enujos: uno degli aggettivi/sostantivi «anticortesi», riferiti al rivale dell’io narrante. V. p. es. un’enumerazione in BdT. 124.10, 19 ss. (Daude de Pradas, En un sonet gai e leugier): «E soi cortes tengutz pels pros, | Et enemic dels enoios. | Enoios son li lauzengier | E·ls gelos … ».
 
21-50. Le strofe III, IV, V contrappongono gli atteggiamenti del poeta e della dama, sottolineando il confronto attraverso una struttura simmetrica di anafore alternate, poste in antitesi a due a due in un distico o in due emistichi. Cfr. S. Asperti, Il trovatore Raimon Jordan visconte di Saint-Antonin, Tesi di dottorato Roma 1987, I, p. 38, che, osservando come strofe di simile struttura non ricorrano molto di frequente nella lirica provenzale, confronta questo passo di Guilhem con Raimon Jordan, Aissi cum selh qu’em poder de senhor (BdT. 401.1), vv. 33-40, con la quarta strofa di Be m’agrada la covinens sazos di Peire Vidal (I ed. Avalle) e con due luoghi di Cadenet: XV, strofa V, eXVI, str. VI (ed. J. Zemp, Bern-Frankfurt am Main-Las Vegas 1978).
 
23. Il sintetico mens de laissar è così esplicitato dall’Appel in nota: «Daß sie ihren Wert vergesse, ohne (vom ihm) zu lassen» (cfr. anche SW V 197).
 
25. La caduta della clausola relativa produce ipometria in E.
 
27. Qui e al v. 38 gays, come oltre prezans (v. 38, v. 51) in riferimento alla donna ed ai suoi atteggiamenti, è in accezione negativa: i due aggettivi convergono con braus (v. 29, v. 47: ‘dur’ LR I 253), in un medesimo campo di significato. Il LR III 446 registra per gai la sola accezione positiva ‘gai, joyeux, riant’, ma cfr. SW IV 13: ‘fröhlich’ ma anche ‘übermüthig’. Per prezans l’accezione negativa (‘anmassend, arrogant’), riportata dubitativamente dal SW VI 533 accanto a quella normale di ‘lobenswerth, geschätzt’ ecc., è garantita dal passo di Daude de Pradas, Quatre Vertutz Cardenals, 1277 (ed. Stickney, Firenze 1879) ivi citato, in cui «No·t fazas ardit ne prezans» rende «Non eris audax nec arrogans» del modello latino. A documentare questa seconda accezione si potrebbe forse aggiungere un passo del Jaufré (ed. Breuer, Göttingen 1925, v. 3087 = Appel, Prov. Chrest. 3,71): «E a i domnas ben enseinadas, | gent parlantz e acostumadas | de gent acuillir e d’onrar | e de totas proesas far. | Tan an lor cors presantz e gais | que cascuna dis que val mais | de l’autra e·s ten per plus bella». Alla luce dei due versi seguenti mi pare che prezan al v. 3087 non possa intendersi ‘tüchtig, trefflich’ (le uniche glosse offerte dall’Appel, p. 292), e gli si debba invece attribuire una connotazione differente (non ‘eccellente’ ma ‘compiaciuto’, se non addirittura ‘arrogante’). Nella lirica provenzale quest’aggettivo, in riferimento alla donna, ricorre all’interno di iuncturae formulari sempre in contesto laudativo: cfr. Raimbaut de Vaqueiras, Ges, si tot ma don’ et amors (ed. Linskill VIII, 19 s.): «s’ieu trobes dona benestan, | avinen e cueind’ e prezan»; Folchetto di Marsiglia (ed. Stroński XV, 37s.): «mas de bona dona prezan | say ...».
 
31. Il cong. imperf. fezes è con tutta probabilità usato in funzione di condizionale (cfr. Jensen, Syntax cit., § 833), costituendo l’apodosi relativa alla protasi ai vv. 33 s. Così mi pare da intendere il passo, nel quale la voce narrante, dopo aver rivolto esortazioni all’amata (strofe III), dipinge un quadro ipotetico a sé favorevole. Meno probabile è una sua accezione ottativa: ‘E volesse il cielo che lei mi soccorresse ecc.’.
 
34. Il verso è ipometro in E (— 1), dove per aplografia donors si è corrotto in dos guastando la rima.
 
41-2. Per zeugma sintattico, certo favorito dalla struttura simmetrica della strofa, è estesa ai tre verbi seguenti la costruzione di rire. La traduzione è forzatamente approssimativa: in realtà «del mieu vellar» costituisce una determinazione casuale, e non temporale, non diversamente che «dels mieus plors».
 
48. Ipermetria in E. Appel stampa s’orguelh, ma il Levy (SW V 520) osserva che sarebbe questa l’unica attestazione di orgolhir in a. prov. (mentre in lingua d’oïlesistono, egualmente ben attestate, entrambe le forme, orgoillier e orgoillir, Tobler-Lommatzsch VI 1259-1261). Seguo la proposta del Levy, considerando la voce III pers. da orgolhar (dunque s’orguelh’ con elisione).
 
49. Enansar è letter. ‘far avanzare’ e trasl. ‘arricchire’ (SW s.v.). La voce di destardar qui ricorrente è chiosata con «schädigen» in SW II 167.
 
50. Seguo l’Appel, che stampa comtan. Egli propone però in apparato, sia pur dubitativamente, una non necessaria emendazione cantan: ma il verbo contar è normale in riferimento all’attività del poeta (cfr. p. es. Giraut de Bornelh: «Si com m’avetz auzit comtar», ed. A. Kolsen, Halle (Saale) 1910, n. LII, 48; o ancora, sempre in Giraut, IV, 35: «Tan be·m sap lo cor comtar | La beltat el pretz sobrer», dove si finge sia il cuore a ‘cantare’ il pregio della donna: ma si tratta pur sempre di descrizione dell’ispirazione poetica). En chanta(r)s di E ha lo stesso senso, mentre la lezione di C en comtans, se la si deve considerare dotata di significato, potrebbe forse doversi alla reinterpretazione del passo da parte di un copista, che l’avrebbe inteso alla stregua di una metafora numeraria. Al ‘pregio’ della donna sarebbe attribuito un valore economico, come ad esempio nell’envoi di Er vei vermeills, vertz, blaus, blancs, gruocs di Arnaut Daniel (XIII,44): «c’Arnautz non sap comtar sas grans ricors», metaforico per ‘esaltare le sue bellezze’.

 

 

 

 

 

 

 

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