1. Il futuro farai è spessissimo usato in esordi nei quali, come in quello del presente componimento, l’autore dichiara la propria volontà di comporre. Si vedano in particolare, in abbinamento con chansoneta: Pseudo-Guglielmo IX, Farai chansoneta nueva, Guilhem de Montanhagol, Leu chansoneta m’er a far ( BdT 225.6), Raimon de Miraval, Chansoneta farai, Vencut ( BdT 406.21; nella tornada, [v. 49] il componimento viene chiamato chanso), e Tal chansoneta faray ( BdT 406.41). Sono notissimi gli esordi del primo trovatore: Companho, farai un vers, Farai un vers de dreit nien, Farai un vers pos mi sonelh, Pos de chantar m’es pres talenz, v. 2 «farai un vers». Molto vicino al nostro, per l’uso del futuro e per il richiamo alla melodia, è anche l’incipit di Bernart Marti, Farai un vers ab son novelh. Altri esempi, tra i tanti, che possono fare al caso nostro sono inoltre: Bertran de Born, Un sirventes farai novel plazen ( BdT 80.42), ( 1) Peire Vidal, Per mielhs sofrir lo maltrait e l’afan ( BdT 364.33), v. 3 («Farai chanso tal qu’er leus per aprendre»; si noti che nell’invio il poeta si rivolge al proprio componimento con il sostantivo chansoneta), Falquet de Romans, Far voill un nou sirventes ( BdT 156.6), Peire Cardenal, Un sirventes novel voill comensar ( BdT 335.67). Come ha notato Ferrari ( 2) l’incipit della «complessissima canzone» di Peire si avvicina in modo particolarmente significativo a quello di Grimoart Gausmar, «Lanquan lo temps renovelha / e par la flors albespina, / ai talant d’un chant novelh», per l’accenno alla volontà di comporre un canto nuovo (e quindi, naturalmente, per il rimante novelh). Si veda anche il pur tardo Folquet de Lunel, Si quon la fuelh’el ramel, v. 5 «creys mos chans e renovelha» in rima derivativa con novelh (v. 4; e ai vv. 14-15 Folquet ha i rimanti capdella : capdelh, per i quali cf. qui nota 9-10). Per quanto riguarda il vocabolo chansoneta, si dovrà probabilmente ammettere con Nicolò Pasero che esso è più raro di chanso, e che forse si tratta di un termine tecnico che «compare spesso in tornadas». ( 3) È appena il caso di ricordare che nelle Leys d’Amors la chansoneta non è contemplata. Una sommaria ricerca, limitata però agli incipit, ha in effetti mostrato, pur nella sua ampia perfettibilità, un uso piuttosto parco del vocabolo. Oltre agli esempi già citati si possono aggiungere: Bernart de la Fon, Leu chansonet’ad entendre ( BdT 62.1), ( 4) Guiraut de Bornelh, Aital chansoneta plana ( BdT 242.4) e Leu chansonet’e vil ( BdT 242.45), oltre al già ricordato Raimbaut d’Aurenga, Una chansoneta fera ( BdT 389.40). Accanto agli incipit, che, dato il nostro contesto, sono particolarmente significativi, si veda almeno la chiusa di Marcabru, Ans que·l terminis verdei ( BdT 293.7), dove il vocabolo compare nella tornada (v. 49). Benché la chanso sia un genere poetico che si definisce a partire dal contenuto, e non dalla forma metrica, chansoneta – che designa un sottoprodotto, gerarchicamente parlando, della chanso – sembrerebbe assumere un significato retorico, specificando l’appartenenza al trobar leu del componimento così denominato. Secondo Pierre Bec ( 5) il poeta definisce chansoneta il proprio componimento quando vuole distanziarsene: «une chansoneta est (...) une chose légère, qu’on écrit sans prétention», e porta l’esempio di Guilhem de Bergueda Cansoneta leu e plana ( BdT 210.8); la chansoneta sarebbe «une pièce plus popularisante et dont les exigences techniques étaient beaucoup plus faciles à assumer» (36, nota 14). Anche Peirol ( BdT 366.20, 1-8) scrive, del resto: «M’entencion ai tot’en un vers mesa / cum valgues mais de chant qu’ieu anc fezes; / e pot esser que fora mieills apresa / chansoneta, s’ieu faire la volgues, / mas chantars torn’en leujaria». ( 6) Ma l’uso può anche essere ironico, come in Guiraut de Bornelh e, probabilmente, in Peire de Blai. ( 7) I dati in nostro possesso sembrerebbero comunque quasi in contraddizione: da una parte il futuro farai, ma con il sostantivo chanso, dall’altra chansoneta, ma con il presente indicativo. L’incipit di M, d’altra parte, obbligherebbe a una dieresi quanto mai sospetta su farai, ed anche l’eventuale ipotesi che possa trattarsi, in realtà, di un fattore dinamico è debole, perché il risultato del movimento tellurico avrebbe portato, nella fattispecie, ad una lectio da considerare in realtà – pur con tutte le precauzioni del caso – difficilior, chansoneta appunto: il che ci pare antieconomico. Il fatto, poi, che al v. 37, cioè nella prima tornada, il componimento sia chiamato in entrambi i testimoni chanso, non è più che tanto significativo, o al massimo avvalora l’ipotesi della scelta di chansoneta all’inizio: svanito ormai l’effetto a sorpresa di un esordio volto a depistare lì per lì il lettore, il poeta svela la vera natura della sua opera. Abbiamo allora deciso d’intervenire congetturalmente, ricostruendo un ipotetico originale con futuro separato: d’altronde per un incipit molto simile al nostro, quello già ricordato di Falquet de Romans, Far voill un nou sirventes, Maurizio Perugi prospetta la soluzione «Far eu ai un sirventes». ( 8) I due testimoni risalirebbero, così, ad un archetipo già corrotto, che doveva più o meno suonare – è il caso di dirlo – *En est son farai chansoneta noelha, ipermetro, da un originale En est son far chansonet’ai noelha. Indipendentemente l’uno dall’altro i due copisti hanno tentato un rappezzo: quello di M sacrificando il più tecnico, e qui, s’è detto, volutamente depistante, chansoneta a chanso, con un risultato peraltro ipometro (a meno dell’improbabile dieresi di cui s’è detto); quello di C, invece, mantenendo chansoneta, ma sostituendo l’ormai ricomposto futuro con un presente indicativo. – noelha - novelh: la palatalizzazione di -ll- o di -ll è un tratto fonografologico tipico della scripta di C (ma si veda la lezione dell’indice di C riportata in apparato: noel / noell), ( 9) mentre il copista di M trascrive sempre con ll, nel caso di palatalizzazione facoltativa ( bell, novell), con lh in caso di palatalizzazione obbligatoria (cf. ad es. v. 20, apparato, ergueilh). Riteniamo che l’aggettivo non serva a qualificare la melodia, senz’altro nuova, quanto la struttura metrico-retorica tout court del pezzo di bravura, sotto tutti i profili inouïe. Come nota Ferrari, ( 10) alla quale si rinvia per alcuni significativi esempi, all’aggettivo novelh viene ben presto dato un significato tecnico che connota non tanto una «generica novità e abilità contenutistico-comparativa», quanto piuttosto la «novità della struttura formale e la complessità degli artifici retorico-versificatori impiegati». L’autore, cioè, qualificando il proprio compo-nimento come novelh, si propone di apporre una sorta di sigillo d’originalità strutturale garantita a quanto egli ha prodotto. La ricerca della novità a tutti i costi, infatti, può essere particolarmente faticosa, e condurre alla mistificazione, come testimonia ad es. Gui d’Ussel, il quale, nella prima stanza di Ben feira chanso ( BdT 194.3) insiste molto su questo tema: vv. 5-6 «per q’eu volgra motz nous ab son plasen / mas re no trob q’autra vez dit no sia», vv. 8-9 «Aqo meteis dirai d’autre semblan / q’aisi farai semblar novel mon chan». ( 11) L’annuncio fin dall’incipit, o comunque dai versi d’avvio, di tale novità, nel nostro caso coniugata con l’insistenza sulla bellezza del componimento, produce aspettativa nell’ascoltatore: aspettativa che è intensificata dall’apparente contraddizione tra la complessità dello schema, palese fin dalle prime battute, e l’appellativo chansoneta utilizzato dal trovatore. Da scartare, perché banalizzante, l’ipotesi che si tratti di una « ‹nouveauté› subjective», e cioè che l’aggettivo faccia «allusion à une nouvelle pièce que le troubadour ajoute à son répertoire». ( 12)
2. de novelh: si potrebbe anche intendere «in modo nuovo»; oppure «di cose nuove»? Normalmente, in esordi di questo tipo il poeta abbina alla propria rinascita al canto il risorgere della natura a primavera: ma l’avvio della nostra canzone non ha nulla del Natureingang.
3. Il part. pass. di un verbo trans. con l’ausiliare aver è normalmente accordato con il complemento oggetto, ma i casi di infrazione di questa regola sono numerosissimi: ( 13) dunque entrambe le lezioni sono plausibili. – plus belha: la «più bella» potrebbe essere qui tanto la melodia quanto la donna, e l’ambiguità, del resto risolta subito nella seconda strofe, è probabilmente voluta.
7-9. Per isnelh / isnelha si è preferita la traduzione ‘munter, froh’ proposta, benché sorretta da un solo es., da AFW (IV, 1471: «Ancontre le tens novel / ai le cuer gai et inel», e si veda in particolare, qui, il v. 9), piuttosto che il ‘rapide, prompt’ di PD (che reca anche, ma dubitativamente, ‘inconstant’). Soprattutto al v. 7 isnelha può avere un connotato anche fisico: snella, dunque graziosa, come ad es. in Johan Esteve, L’autrier, el gay temps de pascor, 68 «cors yrnelh», sulla scia di Amanieu de Sescas, En aquel mes de mai, 560 «donsel’ab cors isnel!». ( 14) L’espressione cor isnelh è anche in Raimbaut d’Aurenga, Ara·m so del tot conquis, 36: «Mon cor ai eu tan isnel».
8. Si noti il parallelismo tra i vv. 8-9 e i vv. 14-15, che si trovano nella medesima posizione all’interno della strofe III: 8isnelha es ... que·m te → 14que franca m’er ... e·m tenra; 9isnelh cor n’ai → 15franc n’ai lo cor.
9-10. capdelhar: il verbo è un desostantivale (< capdelh < CAPITELLUM, cf. FEW II, 1, 257b-260b: ‘chef, commandant, seigneur, maître, patron, possesseur’), e significherebbe ‘conduire, guider, gouverner; comporter’, secondo PD e ‘besitzen, enthalten’ secondo SW. Come nota Ferrari ( 15), anche la canzone di Grimoart ha i rimanti capdelh e ( des) capdelha (vv. 30 e 32): per la studiosa si tratterebbe di rimanti «rari e grimoardiani» (p. 166). Il soggetto, al v. 9, potrebbe essere la donna, ma anche il cor appena menzionato.
10-11. Si potrebbe forse tradurre capdelh, meno pesantemente, con ‘legame’.
12. Per l’equivocazione sostantivo-verbo con il conort che chiude il verso precedente, cf. anche, ad es., i vv. 5-6 (deport : deport), 16-17 (estanc : estanc), 23-24 (aten : aten). La lezione di C è nettamente diversa, anche perché gienh < INGENIUM non ha niente a che vedere con gen aggettivo / avverbio; si potrebbe interpretare: «con ingegno faccio in modo che non si sappia chi mi conforta». – Ben me conorta di M parrebbe legarsi meglio, da un punto di vista retorico, all’apertura della strofe successiva, anche se, in realtà, la ripresa di un intero sintagma sembra realizzarsi solo tra le str. V e VI fort dezira, anche lì, peraltro, grazie alla sola testimonianza di M. Vedi anche la nota al v. 23.
13. Si affrontano qui due lezioni che potrebbero far supporre l’esistenza di un originale que dialefico. Infatti, sovrapponendo «selha qu’es fina e franca» di C a «cill que m’es fina e franca» di M, si potrebbe estrarre «cill que ˇes finaˆ e franca».
14. La lezione di M è chiaramente erronea, perché elimina franca del primo emistichio, andando così contro lo schema della canzone.
15-16-17. L’interpretazione, e dunque la traduzione, di questi versi è tutt’altro che chiara. Estancar ha un ventaglio piuttosto vasto di significati: al v. 15 si potrebbe anche tradurre ‘non si ferma’, sulla scorta, ad es., di Gavaudan, A la plus longa nuech de l’an, 6 (ed. Guida, 397): «pus lo firmamens s’estanca». Per i vv. 16 e 17 ci si è basati su Guiraut de Bornelh, Quant la brun’aura s’eslucha, 3 (ed. Sharman, 159): «era se de ioi m’estanc», tradotto ‘if I resist joy now’. Secondo il FEW XII, 231a-236b (< *STANTICARE) il verbo avrebbe cinque significati principali: ‘den Ablauf einer Flüssigkeit verhindern’; ‘anhalten, aufhalten, hindern’; ‘ermüden’; ‘aufhören, aufhören machen, lindern’; ‘löschen’. Nel SW si trova anche ‘schliessen, versperren, verriegeln’, ‘wasserdicht machen’, ‘(Hunger) stillen, (Fiamme) löschen’, ‘behalten, bewahren’, ‘(Wein) aufbewahren, lagern lassen’, ‘Halt machen, sich aufhalten, bleiben’, ‘fest sitzen, befestigt sein, sich befinden’ e ‘für sich behalten’, che è stato scelto per la traduzione del v. 17.
16. M infrange ancora lo schema; ma in rima si recupera estanc di questo testimone contro listanc di C, incongruo dal punto di vista strutturale, oltre che, così almeno ci sembra, linguisticamente incomprensibile. Lo stesso rimante è in Raimon de Miraval ( BdT 406.3), anche lì in rima con franc: si tratta del v. 3 «ans l’ai ferm et estanc» (sott. cor!) di Aissi·m te amors franc; l’editore, relegando la canzone, forse non senza una certa frettolosità, tra i testi dubbi del trovatore, non fornisce traduzione. ( 16) Estanc può essere sostantivo o aggettivo, e significare ad es. ‘Hemmung, Stillung’, ‘Aufenthalt’, ‘Stütze, Pfosten, Pfahl, Pfeiler’, ‘Halt’, ‘Austrennung’, ‘stillstehend’, ‘wasserdicht, ge-quellt’, ‘erschöpft’ ( SW), ‘stable, solide’, ‘à l’épreuve de l’eau, combugé’, ‘épuisé, faible’ ( PD). Il verso si potrebbe anche tradurre: ‘a tal punto resiste all’amore quando sono debole’.
17. Va salvaguardata la dialefe dopo que, eliminata, invece, da M: cf. v. 36. – Si noti che la chiusa del verso («que alhors m’enten») si ripete, pressoché identica, nel verso successivo. Si vedano, a questo proposito, anche i vv. 25-26, 27-28 e, un po’ meno rigorosamente, 35-36.
18. Erroneo l’aten di C, che rompe lo schema. – per vas on que cf. Jensen, Syntaxe de l’ancien occitan, § 347.
19. esbranca: apparentemente lo schema non è qui rispettato pienamente, perché esbranca rima con branca; ma si vedano anche i vv. 31-32 dove emprenga rima con prenga. D’altra parte in nessuno dei due casi sembrano esserci gli estremi per un intervento normalizzatore. Si tenga presente, d’altronde, che la prefissazione all’interno di un sistema a rims derivatius è prevista, e non condannata, secondo quanto afferma la seppur tarda regolamentazione delle Leys d’Amors: «Adjectios aytals rims no red vicios» (ed. Anglade, II, 113). Al limite, però, si potrebbe intendere il caso di esbranca / branca come compozitio, perché il significato dei due verbi sarebbe opposto: questo procedimento, sì, renderebbe vitio il rims derivatius. Quanto al significato di esbrancar, PD riporta anche ‘ébrancher’, oltre ad ‘arracher’, mentre SW III, 134 ha ‘losreissen’: l’unico esempio è la canzone di Guiraut de Bornelh Quant la brun’aura s’eslucha (BdT 242.59), il cui v. 34 suona «que no·l rompa ni l’esbranc»: è il cuore che scongiura il poeta a non strapparlo dall’amore della donna. L’interpretazione «georgica» che si è proposta sembrerebbe in sintonia con l’immagine arborea del v. 20 e, in parte, del v. 21.
20. M infrange ancora una volta la struttura metrico-retorica.
21. fi: ‘fin, borne, limite’, oppure ‘accord, paix’ (PD). Nella traduzione si è cercato di rendere, con ‘propaggini’, la prima serie di significati.
23. Si veda l’introduzione circa l’eventualità di mettere a testo, qui, la lezione di M per motivi ritmici. Si tenga conto anche che si recupererebbe l’intera espressione cors blanc, e non il semplice aggettivo, com’è in C: quello di riprendere dei sintagmi sembra un modo di procedere tipico di M (vedi vv. 12-13 e 30-31), ma non è facile dire se ciò riproduca la situazione dell’originale.
24. Nella traduzione abbiamo inteso atenda come prima pers. sing.: potrebbe, però, anche essere una terza persona, e quindi il significato sarebbe: ‘una tale attesa che non mi piace che altri attenda’ (voglio, cioè, essere l’unico a fruire di una tale attesa). Tale interpretazione ci sembra senz’altro avallata dal copista di M.
29. L’amante conosce le virtù terapeuticamente benefiche dell’amore soddisfatto per averle già provate: da una parte, dunque, egli soffre per la loro attuale assenza, dall’altra è però pieno di speranzoso desiderio di poterle riprovare.
30. Il fort di M anticipa precisamente il verso successivo, che apre la strofe VI: ma si veda la nota al v. 12.
32. C stravolge lo schema della canzone.
33-35. Il verbo estendre (< EXTENDERE, cf. FEW III, 325b-327a), usato come riflessivo, può significare ‘tomber mort, sich todt ausstrecken’ (cf. PD e SW), ed anche semplicemente ‘sich recken, sich strecken’ (cf. AFW), che è il significato che abbiamo usato per il verso 35.
34. mas ionchas vos estenc: il sintagma, con lo stesso verbo, ma dove il termine di riferimento è Dio, si trova nell’anonima Damrideu / aor eu al v. 102: «mas mas juntas t’esten». ( 17)
36. Lo stesso sintagma del v. 17, que alhor, propone anche qui la dialefe dopo que, questa volta conservata anche da M.
41-42. Evidentemente pasticciata la lezione di M. Il significato del v. 41 è: ‘vale la pena di sopportare l’affanno, vista l’entità della promessa fattami’. ( 18)
Postilla 2010
A dieci anni di distanza avrei senz’altro potuto riscrivere l’articolo in modo diverso, e intervenire anche, qua e là, nella sostanza. Ma ho preferito solo aggiungere un paio di aggiornamenti bibliografici e correggere qualche errore di battitura, perché, come è stato scritto, «ci mancherebbe altro che si dovesse rifare la propria vita». Aggiungo qui di séguito solo pochissime annotazioni a proposito dell’ultimo intevento sulla canzone di Peire de Blai (o Brau), che è recentissimo: si tratta di Giuseppe Tavani: En est son fas chansoneta novelha (BdT 328.1), in Lecturae tropatorum, 3 (2010), www.lt.unina.it/. È del resto un ottimo articolo, nel quale lo studioso, migliorando notevolmente il suo intervento citato qui alla nota 48, ripubblica l’edizione del testo preceduta da un’ampia introduzione e accompagnato da un commento puntuale.
v. 1: Tavani ha ben ragione di definire bizzarra la mia soluzione di proporre un futuro separato nel quale tra l’infinito e il presente indicativo del verbo aver ci sia un sostantivo (far chansonet’ai): in effetti un simile infinito fratto non è attestato. Tavani opta per C, e forse oggi opterei più prudentemente anch’io per la stessa soluzione; che però, pur essendo certo economica, rimane, a mio modo di vedere, non del tutto soddisfacente. Tavani scrive a p. 26: «né d’altra parte si vede per quale motivo non si debba accettare che l’autore abbia potuto preferire un presente indicativo fas (...), dal momento che, a differenza degli incipit con farai, Peire non si propone di attuare il suo proposito ‘dopo’, dalla seconda strofa in poi, ma lo mette immediatamente in pratica, fin dai primi due versi». Non sono del tutto d’accordo: non mi pare che la novità debba essere ricercata, se espressa dal futuro, necessariamente a partire dalla seconda strofe.
v. 8: l’integrazione proposta da Tavani [·l cor] mi pare ottima.
vv. 9-10: non capisco la frase «Gresti su M; ma non segnala in apparato la divergenza»; di fatto il mio testo è su C, e in apparato segnalo tanto l’articolo superfuo e l’omissione di n’ai in M, quanto il si per mi in C. Di fatto qui testo e apparato miei e di Tavani mi paiono identici.
Note:
(1) Il componimento, tradito da CER, sarebbe, in realtà, di Bertran de Born lo Fills, e non compare né nell’edizione Appel, né nell’edizione Gouiran. (↑)
(2) Ferrari, Rima derivativa e critica testuale, 168. (↑)
(3) Guglielmo IX, Poesie, edizione critica a cura di N. Pasero, Modena, Mucchi, 1973, 302. (↑)
(4) Se ne veda l’edizione in Bernart de Ventadorn, Seine Lieder mit Einleitung und Glossar, herausgegeben von Carl Appel, Halle, Niemeyer, 1915, 301. (↑)
(5) P. Bec, Le problème des genres chez les premiers troubadours, Cahiers de Civilisation Médiévale 25 (1982), 31-47, 36. (↑)
(6) Cf. Peirol, Troubadour of Auvergne, by S. C. Aston, Cambridge, Cambridge University Press, 1953, 113. (↑)
(7) Secondo Ruth V. Sharman, The «Canzos» and «Sirventes» of the Troubadour Giraut de Borneil: a Critical Edition, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, la canzone BdT 242.4 «is a parody of trobar leu» (194), mentre nella canzone BdT 242.45 (la seconda da noi citata) «Giraut may be using the word Leu [e dunque, ci permettiamo di glossare, anche chansoneta] in an ironical sense: Leu chansonet’, with its subtle sequence of ideas and two simultaneous planes of thought, moral and artistic, is anything but an ‹easy› poem» (287). (↑)
(8) Si vedano i Prolegomeni all’edizione di Arnaut Daniel, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, 541. (↑)
(9) Cf. Zufferey, Recherches linguistiques, 136-137 e 148-149. (↑)
(10) Ferrari, Rima derivativa e critica testuale, 166-167. (↑)
(11) M.-R. Jung, «Ben feira chanso» (PC 194,3), Studia occitanica in memoriam Paul Remy, edited by H.-E. Keller, Kalamazoo, vol. I, Medieval Institute Publications, Western Michigan University, 1986, 101-108. (↑)
(12) Bec, Le problème, 35, che fa riferimento in generale a questo tipo di incipit. (↑)
(13) Frede Jensen, Syntaxe de l’ancien occitan, Tübingen, Niemeyer, 1996, §529. (↑)
(14) Si veda Sergio Vatteroni, Le poesie del trovatore Johan Esteve, Pisa, Pacini, 1986, 61, nonché Giuseppe E. Sansone, Testi didattico-cortesi di Provenza, Bari, Adriatica, 1977, 252. (↑)
(15) Ferrari, Rima derivativa e critica del testo, 169. (↑)
(16) Si veda Les poésies du troubadour Raimon de Miraval, éditées par Leslie T. Topsfield, Paris, Nizet, 1971, 351. (↑)
(17) Cf. Edmund Stengel, Die zwei provenzalischen Gedichte, das Glaubensund das Beichtsbekenntnis der Paris Hs fonds lat. 11312, ZrP 10 (1886), 153-159. Il verso citato è a p. 157. (↑)
(18) Solo a bozze già corrette si è venuti a conoscenza dell’intervento di Giuseppe Tavani «Capfinida per bordos». Peire de Blai e la sua «chansoneta no-velha» (BdT 328,1), Critica del testo 2/2 (1999), 555-564. Non si può qui entrare nel merito delle cospicue differenze, anche d’impostazione, dei due contributi. (↑)
|