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Gambino, Francesca. Canzoni anonime di trovatori e "trobairitz". Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2003.

461,204- Anonyme

La dama cantata può venire identificata con una certa sicurezza nella trobairitz Guillelma de Rosers 200 (cfr. GRLMA, II/1, i 200), della quale ci resta l'inizio di un partimen con Lanfranc Cigala, Na Guillelma, maint cavalier aratge 282, 14 (1), composto forse durante la missione di quest'ultimo alla corte del conte di Provenza nel 1241 (2).
Nobile originaria di Rougiers, nel Var (cant. di Saint Maxim, arr. di Brignoles) (3), Guillelma si trova dunque ad un certo punto costretta ad abbandonare la Provenza e quindi il suo centro culturale, la corte di Raimon Berenguier V (1209-45). Il motivo dell'espatrio andrà ricercato non solo nella guerra contro gli albigesi, che nel I terzo del XIII sec. costrinse molti trovatori all'esilio in Italia, ma soprattutto nella morte di Raimon nel 1245, avvenimento che segna la fine dell'alta cultura trobadorica a Aix e a Brignoles. Si spiegherebbero così gli accenti di tristezza dell'incipit, quasi allusivi al genere del planh, che sembrano evocare il declino del mondo provenzale cortese del XIII sec (4). Sarà stato forse il suo legame con Cigala a indurla a stabilirsi a Genova ed è probabile che la decisione sia maturata soprattutto per ragioni di natura economica (vv. 9-10, 17-18) (5).
Non mi pare invece che ci siano i presupposti per condividere a proposito della datazione l'opinione di Rieger 1991, p. 239 e n. 479, secondo la quale Quan Proensa sarebbe stata senz'altro composta prima del 1265, anno in cui si colloca il sirventese Ir'e dolors s'es dins mon cor asseza Templ 439, 1, che la imiterebbe: in realtà il testo di Ricaut Bonomel sembra tenere soprattutto presenti, oltre alla canzone di Peirol, gli altri sirventesi che ad essa si ispirarono.
Senz'altro più stringente è invece il rapporto con Non es razos qu'eu dej'aver pereza 259, 1 di Jacme Mote d'Arle, il sirventese già citato composto nel 1290, che rappresenta tuttavia un termine ante quem troppo basso per aiutare a datare il componimento. Il contesto storico-economico evocato induce infatti a concludere che la stesura della canzone anonima sia avvenuta negli anni immediatamente successivi al 1245.
 
Per quanto riguarda l'autore di Quan Proensa, nulla prova che esso sia da identificare con una trobairitz. L'equivoco, dovuto all'interpretazione di empreza v. 25 come part. pass. femminile da riferire all'io lirico, risale a Chabaneau 1885, p. 105, n. 3. Commentando la vida di Lanfranc Cigala, lo studioso accenna a Guillelma de Rozers utilizzando come fonte dei dati biografici forniti su di lei proprio Quan Proensa: la dama sarebbe stata provenzale e avrebbe abitato a Genova, dove forse si era sposata. Secondo Chabaneau il pezzo sarebbe stato "composé à sa louange par une autre dame". Che autrice della canzone fosse una donna è ipotesi riproposta da Schultz [-Gora] 1888, p. 27, che include il testo nella sua antologia di trobairitz, e poi accettata da Bertoni 1915, p. 99 ("un'anonima poetessa cantava di lei") e da Branciforti 1954, p. 30, n. 47 ("un'ignota poetessa"). Sarà Bogin 1978, p. 177 ad eliminarla per prima dal corpus prescelto per la sua edizione di trovatrici, seguita in questo da Rieger 1991, pp. 235 sgg.
 
Si potrebbe pensare che l'autore della canzone fosse un provenzale che, dopo aver cercato fortuna in Italia, avesse a un certo punto deciso di tornare a casa. In effetti i testimoni delle liriche di autori genovesi sembrano ricondurre abbastanza distintamente a fonti diverse da quelle confluite nel canzoniere C. Gli oltre 30 testi composti da Lanfranc Cigala individuano una costellazione manoscritta (I, K, d, a¹) che ritorna non solo in Percivalle Doria [cfr. Felon cor ai et enic  371, 1, attestato solo in ] (6) e in Luchetto Gattilusio [cfr. Cora qu'eu fos marritz ni consiros  290, 1 (, oltre che b³, e, kappa, Sa?); D'un sirventes m'es gran volontatz preza  290, 1a (, attribuito a Lanfranc Cigala in r)], ma anche nei componimenti riconducibili in qualche modo a Genova: il sirventese di Bonifacio Calvo Ges no m'es greu, s'eu no sui re prezatz  101, 7 (I, K, , d), cui risponde il veneziano Bertolomeo Zorzi, prigioniero dei genovesi, con Mout fort me sui d'un chan meravillatz  74, 10 (I, K, d), entrambi databili al 1266; sempre di quest'ultimo, la canzone di crociata No laissarai qu'en chantar non atenda 74, 11, composta in occasione dellapartenza di Luigi IX nel 1270 (I, K, d, ro); o il sirventese On hom plus aut es pojatz  74, 12 (A, I, K, d), che menziona l'accordo di Cremona (1270) comportante il rinvio dello scambio di prigionieri fra Genova e Venezia; e infine il sirventese di Calega Panzan Ar es sazos qu'om si deu alegrar 107, 1 (), di ispirazione ghibellina e fortemente anti-francese, databile al1267-68 o al 1268 (aprile-maggio), comunque prima dell'agosto del 1268 (battaglia di Tagliacozzo), alla vigilia della discesa di Corradino.
Le uniche eccezioni sono costituite da due componimenti di Lanfranco Cigala tràditi anche da C: la canzone mariana En chantan d'aquest segle fals  282, 2 (C, oltre a I, K, , , d, e, kappa), e la canzone di crociata Si mos chans fos de joi ni de solatz  282, 23 (C oltre a I, K, , , d, e, ro), composta negli anni 1244-45, durante la preparazione della Crociata di San Luigi. Un'anomalia che si può facilmente spiegare con la storia personale del giudice trovatore: dopo essere stato ambasciatore del comune di Genova alla corte di Raimondo Berengario IV, Cigala era probabilmente entrato a fare parte dei cenacoli poetici provenzali. Di sicuro aveva avuto contatti, tra gli altri, con Bertran d'Alamanon, quattro delle 16 liriche del quale (76, 9;  76, 11;  76, 12;  76, 22) compaiono per l'appunto anche in C 266-67 (7).
 
Il fatto che in questo canzoniere compilato nella regione di Narbona le fonti delle liriche trobadoriche gravitanti intorno a Genova sembrino ignorate indebolisce l'ipotesi che l'autore di Quan Proensa fosse originario della città ligure. Altri indizi, tuttavia, contraddicono questa osservazione. La struttura metrica, ad esempio, rivela una certa propensione per le cadenze femminili in cesura (ben 3, ai vv. 1, 27 e 31) caratteristiche dei trovatori della Penisola non abbastanza "acculturati" sul piano dell'uso metrico (8). Il nostro poeta pare poco sensibile a qualsivoglia finezza prosodica: lo schema metrico della sua canzone non è esclusivo, riprende quello di una canzone di Peirol; alla mancanza di originalità si aggiungono l'anomalia della III strofa (la rima -er del distico baciato di fine cobla sostituita da -es del II e III verso), la poco elegante ripetizione di alcune rime (plazer 7, 32; gran valor tener 15, gran lauzor tener 40), le troppo sfruttate grammaticali vezer 28, vezia 29, vista 31, vei 33, vezon 34. È del resto tutta la fattura del testo a non essere raffinata: il periodare, faticoso e iterativo (e quar 5, 9; quar 11; que sai vengues 18, quan vinc sai 22), è ulteriormente appesantito da zeppe (de que·m peza 3, so·m pes 10) e immagini manieristiche come quella iniziale delle virtù in esilio guidate in Italia da Guillelma o quella degli occhi del cuore (l'huelh del cor vos vezon tot dia 34).
Potrebbe dunque trattarsi di un autore italiano, forse un genovese costretto per ragioni professionali a recarsi in Provenza (9). Dei trovatori noti originari di questa città il primo nome che viene in mente è naturalmente quello di Lanfranco Cigala, che non solo nell'estate del 1241 era impegnato nella già ricordata ambasceria in Provenza, ma trovava appunto anche il tempo di tenzonare proprio con la na Guillelma alla quale è dedicata la nostra canzone (10). Spingersi ad identificare con il Cigala l'autore di Quan Proensa è però senz'altro troppo azzardato: ben altra la statura culturale e poetica dell'uomo di legge genovese, senza contare che è storicamente improbabile per quest'ultimo un lungo soggiorno Oltralpe dopo il 1245 (11).
La Provenza non viene mai menzionata da Luchetto Gattilusio, che nelle sue liriche sembra interessarsi soprattutto agli avvenimenti politici che agitarono l'Italia alla fine del XIII sec. Si ha forse qualche chance in più di avvicinarsi alla soluzione con Percivalle Doria (1228-1264), che occupò a lungo posti di responsabilità nell'amministrazione di città provenzali (nel 1231 ad Arles, nel 1233 e nel 1237 ad Avignone) e ritornò in Provenza più volte anche negli anni successivi (12). Qualsiasi congettura, tuttavia, non è per il momento suffragata da altri elementi.
 
1. L'attrazione paronimica tra Proensa e proeza, sottolineata dal tessuto allitterativo del verso (perduda 1, pretz 2), non è inedita: cfr. l'itinerario reale e allegorico tracciato dalla cobla, probabilmente di Peire Cardenal, "Domna que va ves Valensa | deu enan passar Gardon; | e deu tener per Verdon | si vol intrar en Proensa" An 461, 96, dove Proensa 'terra di pregio' si confonde con proeza, come prima Valensa con 'valore'; allo stesso gioco di parole allude Guillem de Montaignagol quando lamenta che Proensa 'terra di pregio' abbia cambiato il proprio nome in quello di Falhensa ("De re mos cors no s'esfreya | mas quar so nom camget Proensa, | que falhi tan que·s desleya; | per qu'ueymais aura nom Falhensa" 225, 5, 8-11); cfr. inoltre "e cals quez aia nom de pro | de Proença l'a, per raso, | aissi con de Crist Cristias, | per que·l noms es vers e certas" AimBel 9, 17, 8-11; "per q'eu me voill ab ioi tenir | et ab los pros de Proenza | que regnan ab conoissenza | et ab bella captenenza" PGlLus 344, 3, 5-8; "pros comtessa de pretz e de Proensa, | vos iest ses par de gentil captenensa" ArnCat 27, 4, 41-42.
Per i trovatori la proeza, intesa come 'pregio della spada', è strettamente legata ad Amor e Joven.
 
2. pretz ... e valor: sul campo nozionale di questa espressione, cfr. A. H. Schutz, The Provençal Expressions Pretz e Valor, "Speculum", XIX (1944), pp. 488-93; e Margherita Spampinato, Per un esame strutturale della lingua poetica dei trovatori, "Filologia e Letteratura", XVI (1970), pp. 39-76, 42-54.
ioy, termine chiave del lessico cortese, è un prestito dal pittavino introdotto nel vocabolario trobadorico da Guglielmo IX. Qui, come altrove, coesiste accanto all'esito normale gaug 4 ( < GAUDIUM).
Lo studio complessivo della grafia di C ha permesso di concludere che il copista utilizza i segni i, j e y senza prevedere per essi una funzione ben precisa. Anche in questa canzone, comunque, si evincono alcune delle tendenze già individuate da Zufferey 1987, pp. 138-39: per rappresentare [i], y viene di preferenza utilizzato all'inizio di parola (5 ylh); quanto a [į], y lo rappresenta soprattutto come ultimo elemento di dittongo e di trittongo (25 suy, 33 vey, 35 pueys) o in iniziale assoluta (22 yeu). Per l'affricata si alternano le sole grafie i e j; -g rappresenta la palatale finale (3 dreg, 3 tug, 4 gaug); qu- rappresenta la velare sorda iniziale (quar 5, quo 28).
 
3. tengron: le virtù costrette ad abbandonare la Provenza sono il soggetto del verbo tener 'dirigersi', con accezione analoga a quelle indicata da LR 1843, V, p. 33b e SW 1924, VIII, p. 154b.
L'immagine della fuga delle virtù è particolarmente frequente in Marcabru, per cui cfr. Roncaglia 1953, p. 80; una virtù, la largueza, migra al seguito del marchese di Monferrato in Una chanso-sirventes di Falquet de Romans ("cant anet en Romania, | tenc largueza ab lui sa via" 156, 14, 41-42).
tog dreg: 'senza deviazione né soste, nel modo più spedito', per cui cfr. "me venon si tot dreg al cor ferir" PEsp 342, 3, 47; il sintagma è correlativo di lai anche in "tot dreit lai" Marcabr 293, 25, 50 (ed. Dejeanne 1909); "tot drech lai en terra grega" ElCair  133, 2, 50.
marrit, 'afflitto, triste', evoca una tristezza inconsolabile, vicina a quella del lutto: cfr. Cropp 1975, pp. 290-91. L'aggettivo appartiene al campo semantico di consiros (cfr. Cora q'eu fos marritz ni consiros LuqGat 290, 1) e, spesso retto dal verbo tener nella costruzione cui ho accennato poco sopra, si oppone a ioios ("marrit mi ten e ioios" RicBarb 421, 1, 28; "de leis, qe·m ten marrit ioios" ArnCat 27, 4, 11).
 
4. La traduzione di Rieger 1991, p. 236 ("wo in Freuden die Genueser leben") non sembra tenere conto del fatto che als genoes va sciolto a los genoes, 'presso i genovesi'.
 
5. sabian: eccezionalmente bisillabo, come in "de totas gens? Que·ls privatz e·ls estrans | sabia tener amics et agradans" AimPeg 10, 48, 26-27; dello stesso autore, cfr. il bisillabismo di estia in "totz mos affars s'i destrui e·is desferma, | c'autra del mon no vuoill que m'estia ferma" AimPeg 10, 25, 39-40; per altri ess. dei dittonghi -ia (sia, deuria, atremparia, camiaria) e -ie monosillabici (vezie, sie), cfr. Oskar Schultz-Gora, Provenzalische Studien, I, Straβburg, Trübner, 1919, p. 33.
via: la strada per Genova, ma anche il cammino verso la cortesia, di cui Guillelma è il fiore: cfr. "lo Dalfins, qe sap la via | et l'obra de cortesia" GcFaid 167, 44 ~ UcBachal 449, 2, 75-76; "Gui, car non pensatz, don nais cortezia? | Guillem, ben crezatz: del cor nais la mia! | Gui, qant amavatz, aprezetz la via. | Guillem vos gabatz, q'enantz la sabia. | Gui, faillen i anatz de sai. | Guillem, li fals i son de lai" Guilh 201, 4a ~ Guion 238, 2a, 25-28; cfr. inoltre "e non sabon d'amor la drecha via" BtAlb 77, 1a, 5.
 
6. Il sintagma la Flor de cortezia non andrà appiattito all'accezione più generica (del tipo "la flor de la cortezia" BgPal 47, 10, 19; "de pretz la flor" BtAlam 76, 12, 11 ecc.), ma, con facile adnominatio (rosier 'rosaio', da cui il familiare rosière 'ragazza virtuosa'), andrà inteso come vero e proprio senhal della dama, per cui cfr. "Flor de lis" BtBornfils 81, 1a, 41; "per Flor culhir" PVilar 365, 1, 8 e "Flor de ver"  ibid., 15.
 
7. tro lai: fino a Genova.
per son plazer: 'attraverso il piacere che sa infondere', e quindi 'attraverso la sua bellezza'.  L'evoluzione semantica dal valore di 'piacere oggettivo' come 'cosa che piace (perché è bella)' a 'cosa bella', quindi 'bellezza' tout court, comincia ad essere timidamente attestata nella lirica provenzale per poi diventare accezione comune in quella italiana. Significato in parte diverso ma contesto simile in "la volontat e·l talan | que per sos plazers me guida" BertZorzi 74, 6, 10.
 
8. per ver: Schultz [-Gora] 1888 de ver.
 
9. li pron: la stessa forma compare nel partimen tra due non meglio specificati Guillem e Arnaut, Seigner Arnaut, d'un joven: "e tuit li pron pregon lai | on la meillor domna stai" 201, 5 ~ 25, 2, 39. Più comune la forma li pro, per cui cfr. "sabon li pro e li valen" BeatrDie 46, 1, 34; "vos mesprendon tug li pro" ElBarj 132, 2, 4; "e foran rich li pro valen" An 461, 6, 14 ecc.
 
10. ar reten om na: Schultz [-Gora] 1888 e Ricketts 2000 arretenon, na.
so·m pes: 'così credo', mentre è un errore tradurlo 'cosa che mi pesa' per analogia con il II emistichio del v. 3 ("de que·m peza"); lo stesso sintagma in "Donc, ma domna, vostre franc cors, so·m pes, | mas amors es flors e frugz de totz bes" RbVq 392, 30, 9-10; "mas d'aiso ai plivensa, | que anc ergueils no·s mes | en tan franc luec, so·m pes" AimBel 9, 7, vv. 16-18; "e·l resonz es nienz, so·m pes" AimPeg 10, 6 ~ AlbSist 16, 5, 41. Da notare la frequenza con cui l'espressione ricorre in Guiraut Riquier: "al comensar del vers ai | lo nombre e l'als gardat, | quar hom dei gardar, so·m pes" GrRiq 248, 1, 10; "pros femna, via torta | queretz, don seretz morta, | so·m pes, enans d'un an" Id., 15, 57; "s'ieu ja trobat non agues, | tantas de bonas razos | auch eu cort del rey n'Anfos, | qu'er saubra trobar, so·m pes" Id., 79, 4.
 
11. plus corteza: complimento stereotipato, per cui cfr. "e digas li q'a tal dompna soplei | que marves pot jurar sobre la lei | que·il meiller es del mon e·il plus cortesa" BtBorn 80, 31, 48; "quar ieu de la plus corteza" AimBel 9, 5, 22 ecc.
elha: Schultz [-Gora] 1888 ella.
 
13. ses maestria: la naturalezza era una delle qualità del canone di bellezza medioevale: cfr. "avinen ses maestria" Caden 106, 2, 50; "e tan bel, ses maestria" Cerv 434a, 65, 27; "cuynt'e plasen, simpla, ses maestria" Cerv 434a, 70, 30.
Ricketts 2000 traduce il sintagma 'sans égale'.
 
14. solatz: si noti che, analogamente a "e·l gais solatz savis e plazentiers |...| qe deinh mon nom ab son solaz mesclar; |...| qan me dira d'aqel solatz con fo" AimBel 9, 12, 20, 35, 38 e "solaz gai, | gen rire, gent acoillir" GlTor 236, 7, 48-49, il sostantivo potrebbe qui significare 'conversazione'. Sullo sviluppo semantico di solatz, cfr. Jeanroy - Salverda De Grave 1913, p. 185 n. 28 e SW 1915, VII, pp. 772-77, con al n. 4 altri ess. del termine con il valore di 'Unterhaltung, Gespräch'.
plazent cuynhdia: 'gentilezza, amabilità', fa parte delle doti che possiede la donna amata; cfr. "per sa plazen cuyndia" Cerv 434a, 59, 50; "per sa plazent cundia" GrRiq 248, 24, 8. 
Schultz [-Gora] 1888 plazen coindia.
 
18. sai: a Genova.
 
19. fer' hom: 'farebbe', e quindi 'infliggerebbe'.
greveza: è l'unica occorrenza del termine nella lirica provenzale. Per quanto riguarda la prosa, esso compare anche in due passi tràditi da uno stesso manoscritto: la traduzione trecentesca di un testo latino ascetico pubblicato da Paola Bianchi De Vecchi (Testi ascetici in antico provenzale, Perugia, Università degli Studi di Perugia, 1984, p. 121, c. 85v 13: "La IXa rayso ha son loc en anima que sent la sua | frevolesa e la grevesa e·l perilh de las temptatios"); e la Vida del glorios Sant Frances (Ingrid Arthur, La vida del glorios Sant Frances. Version provençale de la legenda maior Sancti Francisci de Saint Bonaventure, Uppsala, Almqvist, 1955, p. 231, 11.4: "donec tanta vertut ad aquel malaute que d'aqui enant degina grevesa d'aquela enfermetat no sentic"). LR 1841, III, p. 509 n. 7 registra il lemma con il significato di 'pesanteur, gravité' e cita altri due  esempi in prosa (Eluc. de las propr.; Brev. d'amor); cfr. inoltre grevansa in Peire Cardenal ("quan vei far mal a la gen ni grevansa" 335, 24, 2; "soven a grevansa" 335, 25, 20) e in Uc de Mataplana("ni non s'o teign' a grevanssa" 454, 1, 42), mentre grevos 'gravoso' è hapax dell'ensegnamen alla dama di Garin Lo Brun, v. 105 (Regina Bruno 1996).
 
20. a: 'da', come in francese.
sofrir: con significato "passivo", 'sopportare'.
 
21. ab q[ue]: introduce una proposizione condizionale restrittiva, 'solo che'.
 
22. no: Schultz[-Gora] 1888 non.
 
23. lai: in Provenza, correlativo di sai (18, 22).
 
24. partir: 'separare'. en: 'dal bene'.
 
25. e: avversativa; la congiunzione viene quindi a svolgere una funzione non di legamento ma di stacco, di distinzione e di separazione, secondo l'uso diffuso nella lingua d'oc medievale documentato da Philippe Ménard, E initial de phrase en ancien occitan, in Mélanges Rostaing, II, pp. 691-707.
an: la forma aveva in provenzale una propria autonomia, come pare dimostrare la frequenza con cui nelle edizioni critiche viene reintegrata la -s (cfr. RmJord 404, 12, 29; BgTrob 50, 2, 36; Ponson 381, 1, 15 ecc.). Altri esempi dell'avv. an sono citati da Marshall 1969, p. 260 n. 21.
empreza: mi pare possibile riferire il termine a vos e pensare a una ripresa del concetto espresso dal v. 10 ("ar reten om na Guillelma"); il participio avrebbe in questo caso il significato di prendre, per il quale non ho tuttavia trovato altri esempi.
En preza'in vostro potere' è invece lettura di Schultz[-Gora] 1888. L'interpretazione, che ripropone la diffusa figura del prigioniero d'amore, consente di risolvere l'inverosimiglianza che nascerebbe dall'identificazione dell'autore con una trobairitz (ab vos empreza 'innamorata di voi'). L'ipotesi presenta tuttavia alcune difficoltà.  Non solo il sintagma non è attestato e il sostantivo preza, alquanto raro nella lirica provenzale, compare in sempre contesti diversi dal nostro ("e s'el torn'a la preza per aital ochaizo" UcSt-C 457, 42, 23; "de·l partida, Ioris, avetz tal preza" GgoCaban 197, 1b ~ Jori 277, 1), ma il participio empreza, lezione del manoscritto, è parola rima anche della canzone modello di Peirol ("Amors m'auci, tant s'es en mi empresa" 366, 20, 9) e del sirventese di Bernard de Rouvenac ("Amdos los reis an una cauz'empreza" 66, 2, 9), il quale appartiene alla lunga lista di testi che, come il nostro, ne imitarono lo schema metrico.
SW 1910, VI, p. 533 cita questo passo e lo ritiene poco perspicuo.
 
26. apres: come spesso in casi simili, rimane l'incertezza se sia preferibile optare per la traduzione "(per il valore) che ho da voi imparato" o "(per il valore) che ho su di voi sentito".
 
27. mas: con funzione, più che di particella avversativa, di congiunzione coordinante che amplifica e arricchisce il significato della frase precedente (cfr. Guida 2002, p. 172 n. 25).
enveya: sinonimo di dezir come in "ni l'enveia, ni·l dezir ni·l talen" Clara And 115, 1, 12; "vostre bel cors d'enveia m'ausiria" AimBel 9, 8, 26; "gran enveia ai que midons veia" GrEsp 244, 2, 14.
 
28. vezer: è il primo elemento del polyptoton e della figura etimologica con il verbo vezer che informa l'ultima cobla e le due tornadas (vezia 29, vista 31, vey 33, vezon 34, veyria 38, vezer 39).           
pogues: il congiuntivo imperfetto in dipendenza di un verbo al presente è attestato altrove (cfr. Jensen 1986, § 881), anche se l'indicativo imperfettodella protasi (vezia 29) in luogo del presente che ci si aspetterebbe suscita il sospetto che a sconvolgere la consecutio temporum siano soprattutto le esigenze di rima.
quo: Schultz [-Gora] 1888 com.
 
30. murria: la chiusura della -o- pretonica in -u- è attestata da vari manoscritti (cfr. Zufferey 1987, che però in C attesta solo l'alternanza u / ou) e non va corretta.
Schultz [-Gora] 1888 morria.
deziran: 'di desiderio'.
 
31. huelhs: nel manoscritto C la dittongazione di o aperta è rappresentata esclusivamente da ue, per cui cfr. Zufferey 1987, pp. 136-37.
 
33. cum: circostanziale (<QUŌMŎDŎ).
Schultz [-Gora] 1888 com.
 
34. uelh del cor: il poeta può contemplare l'amata con gli occhi del cuore, nel pensiero, analogamente a "c'ab los huoills del cor vos remire" GcFaid 167, 68, 17; ma il motivo del vedere con il cuore è già in "Domna, si no·us vezon mei olh, | be sapchatz que mos cors vos ve" BnVent 70, 41-42;e poi "dels huelhs no vey lieys cui de cor remire" AimPeg 10, 20, 41 ecc.
L'espressione, che pare avere origine nell'epistola paolina Ad Ephesios 1, 18 "illuminatos oculos cordis vestri", ha avuto grande fortuna nell'allegoresi biblica e da qui si è diffusa nelle diverse letterature medioevali: cfr. da ultimo Squillacioti 1999, p. 365 n. 36, con altra bibliografia. Per la letteratura provenzale, particolarmente utile è Oskar Schultz-Gora, "Augen des Herzen" im Provenzalischen und Altfranzösischen, ZrPh, XXIX (1905), pp. 337-40.
L'immagine sviluppa due motivi che appartengono alla costellazione del cuore di varie letterature: quello della corsia preferenziale occhi-cuore tipica dell'innamoramento e quello del cuore presso la donna amata. In quest'ultimo motivo, in particolare, spesso si innesta la netta distinzione tra il qui (sai), che è il punto di osservazione dell'io, e il lì (lai), dove risiede la destinataria: il cuore dell'amante è presso madonna, e se ogni tanto torna dal proprietario è solo per tessergli le lodi di lei. Anche nel nostro passo, quindi, l'immagine non sarà solo una metafora per figurare la capacità di ricordare e sognare del poeta, ma anche un'allusione al fatto che il cuore, rimasto accanto all'amata, ha un posto privilegiato per contemplarla.
Nella lirica francese lo stesso sintagma torna in Thibaut de Champagne, Douce dame, tout autre pensement ("Pour ce voi bien que garison n'atent, | qui m'assoage, | fors seul de vos remirer | des euz du cuer en penser" R 315 e n. 240, 22 di Linker 1979, vv. 6-9; ed. A. Wallensköld, Les chansons de Thibaut de Champagne, Roi de Navarre, Paris, Champion, 1915, p. 31); nella letteratura italiana Ghismonda, prima di suicidarsi, apostrofa il cuore dell'amato fatto racchiudere in una coppa d'oro dal padre Tancredi: "Ahi! dolcissimo albergo di tutti i miei piaceri, maladetta sia la crudeltà di colui che con gli occhi della fronte or mi ti fa vedere! Assai m'era con quegli della mente riguardati a ciascuna ora" (Giovanni Boccaccio, Decameron, edizione critica secondo l'autografo Hamiltoniano a c. di Vittore Branca, Firenze, Accademia della Crusca, 1976, IV 1.51, p. 274). Per approfondire l'argomento, cfr. Capitoli per una storia del cuore. Saggi sulla lirica romanza, a c. di Francesco Bruni, Palermo, Sellerio, 1988; per il tema del poeta che contempla nel proprio cuore l'immagine della donna, cfr. gli ess. provenzali di Poli 1997, pp. 212-13 e Margherita Spampinato Beretta, Il percorso occhi-cuore nei trovatori provenzali e nei rimatori siciliani, "Messana", n.s. 8 (1991), pp. 187-221, 198-99; per la letteratura italiana, cfr. invece Franco Mancini, La figura nel cuore fra cortesia e mistica. Dai siciliani allo Stilnuovo, Perugia, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988 ("Università degli Studi di Perugia. Studi e testi dell'area romanza e slava" 4).
 
35. gitar a non-chaler: la stessa perifrasi in "per lieys qui m'a gitat a non caler" Peirol 366, 21, 24; "mas issi·m sui a nonchaler gitaz" RmSal 409, 5, 3; "e Dieus que·ns giet a nonchaler" GrRiq 248, 17, 36 ecc.; cfr. inoltre con diversa preposizione "si ela·m get en nonchaler" ArnTint 34, 1, 42; "tost, ab que·m get de nonchaler" ArnTint 34, 1, 52. Di solito è più frequente l'utilizzo del verbo tornar, per cui cfr. tra tutti "Amors m'a mes en soan | e tornat a no-chaler" BnVent 70, 45, 22-23; con il verbo metre, cfr. "lialtat sol mot mantener | e falsedat tostems blasmar, | mas al Tornel la·i vim laissar | e del tot metr'en non chaler" Torcaf 443, 4, 31-34 ecc.; con il verbo tener, "Ancse m'avetz tengut a nonchaler" RmSal 409, 1, 1 ecc.; con il verbo pauzar, "Mas si·m pauzatz a non-chaler" AimBel 9, 16, 15.Per il contesto (il poeta non può dimenticare la donna amata e non è quest'ultima che lo ignora), cfr. infine "si·l belh semblant que·m soliatz aver | de clar que fo, dona, tornatz en vaire, | quar conoissetz qu'ieu no m'en puesc estraire, | mielhs me fora ja no·us pogues vezer; | quar ges pauzar no·us puesc a non chaler: | tals es l'envey'e·l dezir que m'en ve" BgPal, 47, 4, 9-14.
Simile espressione con lo stesso significato è gitar a noncura:"quar gitatz es a noncura" PAlv 323, 7, 27 ecc. Una creazione di trovatori più o meno tardi è sia noncalensa ("e ges non l'er tornaz e nonchalenza" PGLus 344, 1, 31 ecc.), che nonchalemen ("flac, ni volpill, plen de nonchalemen" Gran 189, 4, 14).Su questo e su altri composti di formazione simile, cfr. W. Rothwell, Remarques sur la préfixation négative en ancien provençal, in Actes du VIème Congrès international de langue et littérature d’oc et d’études franco-provençales, Montpellier Septembre 1970, 2 voll., Nimes, Centre d’estudis occitans - Revue des langues romanes, 1971, II, pp. 443-51.
 
36. auzi: cfr. apres 26.
captener: 'comportare'.
 
37 podia: la protasi del periodo ipotetico può anche essere espressa dall'imperfetto indicativo in luogo del normale congiuntivo (e cfr. anche il v. 29).
 
38. vostre gen cors plazen: la stessa formula in "ni aus vezer vostre gen cors plazen" MoMont 305, 1, 40; "e sa valor, e son gen cors plazen" RambBuv 281, 1, 27.
veyria: per il significato di 'contemplare, vagheggiare, venerare', cfr. Guida 2002, p. 151 n. 2.
 
39. van lai vezer: i verbi di movimento possono essere costruiti con un infinito apreposizionale ad indicare scopo o intenzione (Jensen 1986, § 491). Anche questo caso conferma l'osservazione di Guida 1983, p. 126: nella poesia in lingua d'oc i membri della locuzione anar + infinito sono il più delle volte separati da altri elementi lessicali. Nel nostro corpus la tendenza è confermata da XI, 8.
 
40. faitz pretz de vos e gran lauzor tener: letteralmente 'vi fate molto apprezzare e lodare'.
 

Note

(1) Per la razo del partimen, nel quale si discute se debba essere più lodato il cavaliere che torna a servire alcuni suoi pari in difficoltà, oppure quello che non si lascia distogliere da nulla pur di raggiungere la propria dama e mantenere la promessa data, cfr. Jean Boutière - A. H. Schutz, Biographies des troubadours. Textes provençaux des XIIIe et XIVe siècles, Paris, Nizet ("Les classiques d’oc"), 1973, pp. 572 sgg. Il partimen è stato pubblicato da Branciforti 1954, pp. 172-80 e da Rieger 1991, pp. 224-35. ()

(2) Lanfranco era intermediario del trattato di protezione tra Genova e il conte di Provenza stipulato il 22 luglio 1241, per cui cfr. Branciforti 1954, p. 19. Vero è che il partimen con l'uomo di legge genovese potrebbe in linea di principio venire collocato anche durante il soggiorno a Genova di Guillelma, tra il 1245 e il 1257-58, anno della morte del trovatore genovese. Per Genova propende Schultz-[Gora] 1888, p. 16. ()

(3) Nella rubrica prima della tenzone con Lanfranc: "Roziers". Inizialmente O. Schultz[-Gora], Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, ZRPh, VII (1883), pp. 177-235, p. 219, n. 1, aveva pensato di poter far risalire "Guillelma de Rosas" alla famiglia genovese "Roza", ma poco tempo dopo (cfr. Schultz[-Gora] 1888, p. 27), egli opta a sua volta per una località geografica. Altre località proposte sono state Rosière vicino Largentière nell'Ardèche, a circa 20 miglia da Montélimar (Schultz[-Gora] 1888); Roziers vicino a Millau, nel dipartimento di Lozère (Bogin 1978); Roser de Saint-Gilles nel Dipartimento di Gard (Rieger 1991). Bogin 1978, p. 178, pensa a Rougiers, ma l'argomento che lì vicino, a Monaco, Cigala sarebbe stato ucciso nel 1258 non è stringente, visto che la notizia risale a Jehan de Nostredame, Les vies des plus célèbres et anciens poètes provensaux qui ont floury du temps des Comtes de Provence, Lyon, Marsilii, 1575, p. 83 (nouvelle edition préparée par Camille Chabaneau et Joseph Anglade, Paris, Champion, 1913; rist. Genève, Slatkine, 1970) e viene rifiutata da Branciforti 1954, p. 20. In realtà una scorsa a Ernest Nègre, Toponymie générale de la France, 3 voll., Genève, Droz, 1990-91, vol. II, nn. 23486 e 23493-502 rivela che i luoghi che derivano il proprio nome da rosière 'terreno coperto di rose' o rosier 'arbusto di rose' sono numerosissimi. Sarà solo la vicinanza di Rougiers alla corte di Brignoles a far propendere per quest'ultima soluzione. ()

(4) Cfr. Rieger 1991, p. 238. ()

(5) Mentre non ha alcun fondamento l'ipotesi che fosse andata sposa a un genovese come sostengono Chabaneau 1885, p. 105, n. 3 e Bertoni 1915, p. 99. A rivendicare lo status di trobairitz professionista di Guillelma è invece Rieger 1991, pp. 234-36. ()

(6) Lo scambio dicoblas con Felip de Valenza Per aquest cors, del teu trip  371, 2 ~ 149a, 1 è invece tràdito dal manoscritto di Milano, Ambros., R.105. sup., f. 169. ()

(7) Il trovatore figura infatti tra i testimoni del trattato rogato ad Aix il 22 luglio 1241, per cui cfr. Branciforti 1954, p. 19 n. 18. ()

(8) Cfr. Pietro G. Beltrami, Endecasillabo, décasyllabe, e altro, in RLI, VIII.3 (1990), pp. 465-513 e Billy 2000, p. 600. ()

(9) Non pertinente sembra l'osservazione di Schultz[-Gora] 1888, p. 15, n. 3, secondo il quale un argomento per l'origine italiana di  questo testo sarebbe fornito dall'ampio significato attribuito al concetto geografico di Provenza, che in Italia veniva esteso a tutta l'area di influenza della cultura trobadorica d'oltralpe. Genovese è l'autore anche per Rieger 1991, p. 238. ()

(10) Nelle tenzoni con Simon Doria Car es tant conoissenz, vos voil 436, 1 ~ 282, 1 e Segn'en Lanfranc, car es sobresabenz 436, 4 ~ 282, 21a, inoltre, la donna chiamata a giudicare è Na Flors-de-lis (cfr. nella prima i vv. 55 e 61; nella seconda il v. 65), un senhal floreale simile a quello del v. 6 della nostra canzone. ()

(11) Ad identificare l'autore di An 461, 204 con lo stesso Lanfranc Cigala propende invece Gourc 1994, p. 105, che tuttavia non fornisce alcuna spiegazione in proposito. ()

(12) Cfr. Giulio Bertoni, I trovatori minori di Genova. Introduzione, testo, note e glossario, Dresden, Niemeyer, 1903 ("Gesellschaft für romanische Literatur" 3), pp. XI-XVIII. A chiamare in causa Percivalle Doria è già A. Rieger 1991, p. 238. ()

 

 

 

 

 

 

 

 

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