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Bertoni, Giulio. Il serventese di Ricaut Bonomel (1265). "Zeitschrift für romanische Philologie", 34 (1910), pp. 701-707.

439,001- Templier = Ricaut Bonomel

La lezione di a, per il v. 3, ci sembra migliore di quella di C. Accettando quest'ultima, bisognerebbe considerare crotz soggetto e intendere con il Fabre: „la croce ci abbassa, ci tradisce”. Allora il poeta parlerebbe in nome di tutti i crociati, mentre è più probabile che il serventese sia uno sfogo personale, poichè non dovevano mancare coloro che avevano fede nella guerra, pur dopo le sconfitte dell'a. 1265. Si capisce invece che al v. 8 egli estenda a tutti coloro, che erano con lui al di là del mare, il suo pensiero.
 
v. 7. Accolgo la lezione di a, perchè mi pare verisimile che dall’originale en so com si sia passati al più semplice e facile segon com.
 
v. 9. Cesarea fu conquistata il 5 marzo 1265 da Bibars, cioè „El Melik-ed-Daher”. Cfr., p. es., Röhricht, Geschichte der Kreuzzüge, Innsbruck, 1898, p. 253. Bibars, che aveva deciso di riprendare le ostilità subito dopo le scorrerie fatte con fortuna nell'anno precedente dai Templarî, aveva già minacciato più volte Cesarea. Finalmente riusci a impadronirsene. Si v. Delaville Le Roulx, Les Hospitaliers en Terre Sainte et à Chypre, Paris, 1905, p. 219.
 
v. 10. La forma Assur di C, che è pure un eccellente ms., non è dal tutto corretta, benchè compaia anche nei così detti Gesta Francorum. Ci si aspetterebbe Arsur o anche Arsuf (tra Jaffa e Cesarea). Buona e la forma di a: Alsuf, con r in l. La cittadella di Arsuf fu assediata nel Marzo 1265 e i Giovanniti, (1) che vi si trovavano, capitolarono nella seconda metà del mese seguente. Di essi, cent'ottanta furono tenuti prigionieri da Bibars. (2)
 
v. 17 sgg. La strofe III (quarta in C, seconda in a) deve precedere immediatamente, come abbiamo veduto sopra, la strofe che incomincia: No m’es semblan.
 
v. 18. Contrastar è usato indifferentemente col dativo e con l’accusativo. Tanto vale, adunque, accettare lor di C o los di a. Per es. ieu no la puesc contrastar (Jaufre) e no lur poc ges contrastar (Bartsch, Dkm. 220, 9). Cfr. Levy, Prov. S-W., I, 350.
 
v. 19. Inutile ch’io dica perchè preferisco Qu’il a Qu’els di C. Così anche al v. 40.
 
v. 20. Dall’errato carminz di a possiamo risalire a: e ar. Abbiamo intanto il nostro A-.
 
v. 24. È merito di C. Fabre (p. 15 n.) di aver riconosciuto in Melicadeser di C il Bibars. Se non che, l's, come rappresentante di ar. h, non può accontentare. Qui soccorre a, che dà califa de fer. Trovatosi dinanzi alla strana parola dell'originale, il copista di a ne cavò un califa, persuaso di cogliere nel segno. Ci ha però lasciato, in fer, l’f, che è prezioso per noi e che dobbiamo accettare. „El-Melik-ed-Daher” (el-melik ez.-zāhir, -er), quarto sultano della dinastia dei Mamelucchi baariti arrivò al potere nel 1260, assassinando il suo predecessore Kothouz. Prima di Melik o Malek-Daher (il trionfatore), s'era fatto chiamare „Malek-Caher”, principe terribile. Il Fabre nota che il nostro trovatore, dicendo che Maometto lo ,,fai obrar”, allude alla ben nota religiosità di Bibars.
 
v. 25. Siamo qui dinanzi ad uno di quei casi (cfr. v. 9 al comensar o al primier saut?), in cui è difficile decidere quale lezione sia da preferirsi, perchè i codici hanno ognuno del buono e del cattivo, e rispecchiano ognuno una tradizione manoscritta intelligente. C dà: E nous pessetz, che accontenterebbe così per il senso, come per la forma. Accettiamo la lezione di a, perchè, nel complesso, a presenta alcune varianti da preferirsi indubbiamente (p. es. v. 34).
 
v. 26. Soggetto è dunque Bibars, che s'era proposto di sterminare, potendo (s’el pot, v. 28), i Cristiani.
vv. 29-30. Interpreto, come già il Fabre, „farà una moschea del monastero o della Chiesa di S. Maria''. Il ms. a dà: el mostier, il che fa pensare a un'altra possibile traduzione: „farà professione maomettana nella Chiesa di S. M.”
 
v. 34. Inutile dire che i trovatori chiamavano l'Italia unicamente Lombardia. La lezione di a è, in ogni senso, preferibile a C, che dà Arles anzichè Carle. È noto quanto largamente Clemente IV aiutava Carlo d'Angiò con danaro. Il 30 Marzo 1265 il cardinale Simone del titolo di S. Cecilia era stato incaricato di dare un sussidio all'angioino tratto dalle decime raccolte dai Cistercensi e dai Templari (Potthast, Reg. Pont. Rom., II, 1546). È naturale che il poeta rivolga il pensiero alla guerra fra Manfredi e Carlo in Italia. Ecco perchè. Distrutta Cesarea e Arsuf, Bibars aveva inviato a Manfredi le notizie delle vittorie riportate. Il papa era tutto intento alla fortuna delle armi angioine contro i „Lombardi”. Così il poeta chiama i sostenitori degli ultimi Hohenstaufen. Il papa proteggeva insomma i Francesi e Provenzali in Italia e il trovatore pare lo accusi di abbandonarli in Terra Santa, anzi di pretendere denaro dai Templarî e dai crociati in genere. Due lettere di Clemente IV dell'anno 1265 (Delaville Le Roulx, Cart. des Hospit., IV, 3128 e 3173) giovano a meglio intendere i lagni del nostro poeta, il quale non doveva dimenticare che già i Templari s'erano rifiutati di sostenere Urbano IV contro Manfredi (1264). Clemente scriveva il 19 Marzo 1265 al cardinale Simone: „decimas omnium proventuum ecclesiasticorum in regno Francie et quibusdam aliis terris pro expeditione negotii regni Sicilie sub certa forma [Urbanus pp.] mandavit colligi et dilecto filio nobili viro Carolo, Andegavie ac Provincie comiti, ad prosecutionem ejusdem negotii assignari”. Si veda anche una lettera del 7 Marzo in Jordan, Les registres de Clément IV, Paris, 1893, p. 59.
La parola largueza di a (v. 38) è stata suggerita al copista dal v. 33. Nei vv. 38-9 il poeta pare biasimare quelli, che, ottenuto il permesso del legato, (3) mostravansi disposti ad abbandonare la Terra Santa per andare a ingrossare le fila di Carlo d'Angiò. — Al v. 40, perdon potrebbe anche essere 3ª pers. pl. ind. pres. di perdre („Vendono dio e lo perdono per danaro”).
 
v. 41. Alexandria va qui intesa in senso largo. (4) Bibars celebrava le sue vittorie ed era entrato il 29 Maggio nel Cairo con gran pompa (Röhricht, p. 253). È naturale che il poeta paragoni le due guerre d'Italia e di Terra Santa. Sai e nos (v. 43) sono i vocaboli che ci si aspetta di fronte a lai e uos del ms. C. Il nostro Ricaut, che era in Terra Santa (scriveva forse in Accone), allude com'è naturale, ai Francesi, che hanno passato il mare.
 
v. 44. donatz per aver allude alle vendite, come schiavi, dei prigionieri di Arsuf.

 

Questo serventese, uno dei più arditi e violenti, che si possano citare sulle guerre di Gerusalemme, vibra talmente della commozione del poeta, che non è possibile ritenerlo composto troppo tempo dopo gli avvenimenti. Possiamo ascriverlo, senza tema di andar molto errati, al Maggio o al Giugno del 1265. (5)
Lo schema metrico è quello del serventese di Austor d'Aurillac scritto il 1250. Deriva da una canzone di Peirol (M'entencio ai tot' en un vers mesa) (6) e fu usato da parecchi poeti, tra i quali Bertran d'Alamanon (7) e Luchetto Gattilusio. (8)

 

 

Note:

1. „Bandocdar (Bibars) assega le chastel d'Arsur que li Hospital tenoit” Est. d'Eracles, cap. VI (1265). ()

2. Altri furono venduti come schiavi. Si capisce così l'interrogazione di Ricaut (v. 11): qual via an preza-Tan cavalier, ecc. ()

3. Piuttosto che al legato dei Templarî (colui che sostituiva in Oriente il Maestro, quando questi si assentava, cfr. De Curzon, La Règle du Temple, Paris, 1886, p. 82, nº 92), si alluderà qui al legato del Papa. ()

4. Alessandria sta per l’Egitto intero. Cfr. Jeanroy, Op. cit., p. 84. ()

5. K. Lewent, Das altprovenzalische Kreuzlied, in Roman. Forsch., XXI, 327 ascrive al 1265 il nostro componimento, ch'egli non esamina. Fa però, in nota, alcune osservazioni degne di rilievo, alle quali rimandiamo. Anche H. Finke, Papsttum und Untergang des Templerordens, I, Münster, 1907, p. 13 da al nostro teste la data 1265. Cfr. anche Röhricht, Gesch. d. Königreichs Jerusalem, p. 928. ()

6. Jeanroy, Op. cit., p. 87. E già prima, Meyer, Hist. litt. de la Fr., XXX, 69. ()

7. Salverda de Grave, Bertr. d’Alam., Toulouse, 1902, p. 64. ()

8. Bertoni, I trovat. minori di Genova, Dresden, 1903, p. 28. ()

 

 

 

 

 

 

 

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