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Bertoni, Giulio. Un nuovo trovatore italiano: Girado Cavallazzi. "Romania", 43 (1914), pp. 587-593.

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Qualche passo di questo testo richiede alcuna breve discussione. — V. 7. I due mss. hanno: E toz (tot B) l'afar, accettato dal Suchier e dallo Hofmann; ma io non vedo che cosa il verso significhi. Una correzione mi pare indispensabile, e che in afar si nasconda un infer o infern, è cosa che sembrami risultare dal contesto. Ond'io mi sono risoluto a emendare: O inz infer(n), ammettendo che un amanuense, tratto in inganno da afars, che segue subito dopo, abbia male interpretato il modello. Era allora abbastanza facile, scambiato infer(n) per afar, leggere in O inz un E toz. Non mi nascondo che la mia proposta è ardita; ma un emendamento mi pare necessario, come dico, e per ora non ne trovo uno migliore. Forse qualche altro provenzalista sarà più fortunato, cioè più acuto, di me (1). — V. 28. La lettura e l'interpretazione del Suchier (mais si en serf) non vanno. Il poeta parla in prima persona, come è mostrato da e·l meu del v. 29, ma s'intende che la sua argomentazione ha un carattere generale e si riferisce a tutti gli uomini. — V. 38. La voce pleu è di colore oscuro. Il senso del passo è secondo me, il seguente: «come vedo dipinto e scritto in pubblico», cioè in pitture, con iscrizioni, esposte alla gente sui muri o in tabernacoli. Nella Vita di Santa Enimia (v. 872) si ha: Vengro lai les gens a gran pleu (e lo Chabaneau pensava a un sostantivo verbale da pleure per ploure, come chi dicesse «le genti vi piovevano», Rev. d. lang. rom., VII, 74) (2), ma in Peire Vidal (Levy, Suppl. Wb. VI, 385) si legge: L'an tout san regn' e destruita sa pleu, e qui par bene si abbia un plebe (3). Non è improbabile che in Santa Enimia e nella poesia di Peire Vidal si tratti di due voci distinte. Nella nostra tenzone, a la pleu (notisi che pleu rima con Deu, breu, ecc.) potrebbe certo significare «alla pioggia» cioè «esposto al pubblico», ma anche il senso di «plebe, moltitudine» non disconviene. Tutt'altro, anzi. — Vv. 39-40. L'interpunzione del Suchier e dello Hofmann:

                            Greu pot nuls iois dar tan d'esbaudimen,
                            Qon dona infernz, qil mira d'espaven

mi mostra che il passo non è stato ben compreso, poichè d'espaven dipende certamente da dar tan. Ne viene che qil mira va chiuso fra due virgole, come una proposizione incidentale. — V. 55. In A il verso è guasto. Per fortuna, la buona lezione, come accade anche per il v. 42, è data da B. — Ho tenuto, per ultimo, i vv. 33-34, che presentano un duro problema. Due soluzioni mi si presentano: l'una, accettata nella mia ricostruzione, fa che autretal sia preceduto da un d(e) e che qe (v. 34) si riferisca a eu, come se si dicesse «io, che ne prendo esempio per evitare il male»; l'altra, fermo restando l'emendamento d'autretal, porterebbe a mutare e qen di A in en qe·m (B ha: in qem) e se ne avrebbe il senso: «in cui (cioè nell'inferno) mi specchio per evitare il male » (virgola dopo aurai). La correzione di autretal (altretal B) in d'autretal è stata da me proposta per avere un senso da un verso, che altrimenti non significa nulla (intendo che l'inferno abbia la forza, una volta che lo si contempli, di allontanare dai peccati che lo procurano. Ma, anche così, sono tutt'altro che sicuro d'aver trovato la vera lezione e il giusto significato dell'arduo passo. I manoscritti paionmi a questo punto certamente guasti.

 

I due mss. sono, come ho detto, strettamente imparentati e mostrano di risalire entrambi a un modello già guasto (v. 7) o, tutt'al più a due modelli d'una sorprendente somiglianza (4).

Molto importante è conoscere, per intero, il nome di Girard, cioè: Girard Cavalaz. Mi pare di dover identificare questo nuovo trovatore con quel Girardo Cavallazzi di Novara, che fu console di giustizia in patria nel 1247 e che compare in documenti novaresi degli anni 1225, 1227, 1230, investito sempre di importanti ufficî (5). I «Cavallazzi» ebbero molta parte negli avvenimenti politici novaresi del sec. XIII e furono a centro di tutta una fazione che si oppose a quella dei Brusati. Gli Ann. Placentini Gibellini (M. G. H. Script. XVIII, 558) narrano, agli 8 Dicembre 1274, che «domnus Torellus Torniellus et pars sua, orta discordia inter Cavalatios et Bruxatos Novariae, cum sua parte intravit in civitatem Noyariae». Aycard del Fossat, di cui si aveva un solo componimento, potè incontrarsi col Cavallazzi a Novara, poichè tutto porta a credere ch'egli sia stato uno dei provenzali che scesero in Italia nel sec. XIII. Cantò infatti Carlo d’Angiò e Corradino, dei quali preannunziò la guerra (6):

                            Car Conratz ven qu'es mogutz d'Alamagna,
                            E voi cobrar, ses libel dat ni pres,
                            So qu'a conguis Carles sobre·ls Poilles
                                               (Rayn., IV, 230)

e il suo serventese dovè essere composto nell'a. 1267. La tenzone fra Aycard e Girard cade adunque, con tutta verisimiglianza, intorno alla metà del sec. XIII.

 

 

Note:

1. Nel medesimo verso 7, il ms. A ha sag (B: sai). Si potrebbe pensare a hom sag’ apren; ma poichè nel ms. abbiamo veg (27) e poichè sai (qui, nel nostro mondo reale) è eccellente, quanto al senso, scelgo la lezione di B. ()

2. Peire de la Mula, parlando della moltitudine dei giullari, dice che ve ne sono «mais que de ploia». Witthoeft, Sirv. joglaresc, p. 71. ()

3. Anglade, P. Vidal, p. 187. Vi sono difficoltà per la qualità dell'e. Insomma, non mi pronuncio. ()

4. La tenzone nostra, o, meglio, il nostro «partimen», fu riassunto, di sulla stampa del Suchier, dal Selbach, Streitgedicht, p. 76, Per la metrica, Maus, P. Card. Stroph., 535. ()

5. G. Garone, I Reggitori di Novara, Novara, 1865, pp. 60, 61, 63. Un Girardo visse anche un secolo prima (p. 45). ()

6. Merkel, Opinione dei contemporanei sull’impresa ital. di Carlo I d’Angiò, p. 322. ()

 

 

 

 

 

 

 

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