L'unico testimone di An 461, 9a è rappresentato dall'edizione Karl Bartsch del 1858. Della canzone non rimane infatti traccia né nella copia di P eseguita per Lacurne de Sainte-Palaye, il manoscritto 3097 della biblioteca dell'Arsenal di Parigi da cui Bartsch afferma di averla trascritta (ff. 12-46) ( 1), né in P stesso.
A ripubblicare il componimento ènel 1952 István Frank, che, come già Bartsch, stampa Aissi m'ave cum al enfan petit con a fronte il testo di una canzone del Minnesänger Heinrich von Morungen (1190-1222), che di certo la imita ("Mirst geschên als eime kindelîne | Daz sîn schônez bilde in eime glase ersach | Unde greif dar nâch sîn selbes schîne | Sô vil biz daz ez den spiegel gar zerbrach" MF 145, 1, vv. 1-4) ( 2). In questa e in altre sedi sarà sempre Frank a stupirsi del fatto che, nella lista completa delle poesie anonime dei trovatori in appendice al suo Grundriss, Bartsch non avesse incluso la canzone che lui stesso aveva pubblicato una quindicina di anni prima ( 3).
La circostanza è sembrata sospetta ad alcuni studiosi e in particolare a Peter Hölzle, secondo il quale il testo sarebbe un falso del grande filologo ispiratosi alla canzone di Henrich von Morungen, ipotesi perentoriamente negata da Martín de Riquer ( 4). Al momento di pubblicare l'articolo sulla sua scoperta all'Arsenal Bartsch aveva in effetti solo 26 anni, l'età forse per divertirsi a commettere una piccola "frode" creativa. Una ragazzata del genere, tuttavia, avrebbe rischiato di compromettere quella che già si preannunciava come una brillante carriera, per cui più verosimile mi sembra la spiegazione avanzata dell'ultimo studioso che si è occupato dell'argomento, Anton Touber: come altri colleghi del tempo Bartsch non era troppo accurato nell'identificare i manoscritti e più di una volta ha commesso errori e imprecisioni (cfr. Touber 2000, pp. 266-67), tanto più che in quegli anni (1853 o 1855) egli era impegnato a consultare molti codici per preparare la sua edizione di Peire Vidal, uscita nel 1857, nella quale a p. LXXXIX afferma di aver visionato i manoscritti di origine italiana proprio all'Arsenal.
Per il momento il piccolo giallo è destinato a rimanere irrisolto. Non è emerso infatti nulla dall'esame di molti dei manoscritti copiati o fatti copiare da Jean-Baptiste de la Curne de Sainte-Palaye e conservati alla biblioteca dell'Arsenal di Parigi ( 5), dove il nostro testo avrebbe potuto trovarsi in uno dei numerosi foglietti volanti inseriti in momenti diversi per aggiungere altri componimenti. Di questa canzone non si fa menzione neppure nei volumi contenenti gli indici dei nomi propri citati nei testi provenzali, dove avrebbe dovuto figurare per il "Narcisi" del v. 14 ( 6). Bisogna probabilmente arrendersi all'evidenza che quasi 150 anni separano il lavoro di Bartsch dal nostro e che molto può essere andato perduto nel corso del tempo.
Secondo István Frank l'autore potrebbe essere un trovatore italiano, comunque uno straniero, e l'imitazione del Minnesänger aiuterebbe a datare i versi provenzali alla fine del XII o all'inizio del XIII secolo ( 7). A un poeta dell'Italia settentrionale farebbero in effetti pensare le caratteristiche metriche cui ho già accennato sopra.
1. petit: è agg. spesso associato a enfan; cfr. ad esempio "enfan petit" Marcabr 293, 8, 43; "et als enfans burdes petitz" JfrRud 262, 4, 10; "Si com l'enfas, qu'es alevatz petitz" PRmTol 355, 17, 1.
L'idea che il bambino sia un essere debole e limitato viene direttamente dall'antichità. I pedagoghi antichi pensavano che l'infanzia fosse un periodo ingrato da cui bisognava uscire il più velocemente possibile. Sant'Agostino vedeva negli atti del bambino la marca del peccato originale, San Tommaso d'Aquino lo paragonava ad un folle, e altri autori lo dipingevano come un essere infermo, un piccolo animale privo di ragione e di parola (cfr. Pierre Riché - Danièle Alexandre-Bidon, L'enfance au Moyen Age, Paris, Seuil - Bibliothèque Nationale de France, 1994).
Anche in una società come quella medievale il bambino si misura rispetto alla normalità, vale a dire rispetto all'adulto. Egli appartiene alla corte dei marginali, ed è svalutato, oltre che per la bassezza, per la mancanza di ragione e per l'incapacità di esprimersi correttamente. Nella letteratura francese si trova spesso l'espressione "agir comme en enfance" per significare che l'azione è stata fatta senza riflettere e nei proverbi l'infanzia può venire associata, come qui al v. 4, alla follia (cfr. Didier Lett, "L'Enfance: aetas infirma, aetas infima", Médiévales, n. 15, Presses universitaires de Vincennes, Saint-Denis, 1988, pp. 85-95). Analogamente nella letteratura provenzale abbondano espressioni del tipo "ans es foli' et efansa, | qui d'amor a benansa" BnVent 70, 1, 21-22; "non es ges senz, mas foli'ez enfansa" GrdoRos 240, 6a, 18; "mas totz hom fai folia et enfansa | qui longuamen vol servir en perdos" AlbSist 16, 12, 22-23; "si non l'atens, tu faras gran enfansa" BtCarb 82, 14, 61 ecc.; cfr. inoltre "q'el m'enseigna de cui mi gar: | de gran fol e d'enfan petit" Marcabr 293, 8, v. 42-43; la canzone di Peire Raimon de Tolosa, Si com l'enfans q'es alevatz petit PRmTol 355, 17, dove la similitudine del bimbetto si riallaccia di nuovo al tema della follia (folamen v. 6, afollitz v. 9); "o faitz de mi tot enaissi | cum de l'enfan qu'ab un maraboti | fai hom del plor laissar e departir, | e pueis quant es tornatz en alegrier | et hom l'estrai so que·l donet e·l tol, | et el adoncs plora e fai maior dol | dos aitans plus que non fetz de premier" AimPeg 10, 50, vv. 34-40; "A ley d'efan | cuy la candela platz, | que s'art joguan, | suy trop entalentatz" ElCair 133, 1; "paubres d'aver con eu de sen, emfans" Cerv 434a, 11, 2; e il frammento citato da Frank, II, p. 215, n. 3 Aixi com dos infants petits. Una connotazione negativa di jovent, collegata a "gran follia" e "folledat", compare all'inizio del Boeci: cfr. il commento di Christoph Schwarze, Der altprovenzalische "Boeci", Münster Westfalen, Aschendorff, 1963, pp. 18-29.
Il fanciullo è assunto come paradigma di ingenuità anche nella letteratura italiana: si vedano a proposito i numerosi esempi citati da Gianfranco Contini (Alcuni appunti su Purgatorio XXVII, in Studi in onore di Angelo Monteverdi, Modena, Società tipografica editrice modenense, 1959, pp. 142-57, a p. 154 e n. 26) nei quali lo sprovveduto amante e talora l'incosciente amata vengono paragonati alla psicologia infantile: cfr., solo per citarne qualcuno, Pietro Morovelli, Donna amorosa, vv. 43-50: "Como 'l zitello | che de l'ausello va dilettando | finché l'auzide, tanto lo tira, | e poi lo mira, | forte s'adira; | ma tosto gira, | c'aisì delira e va giocando"; Bonagiunta, "A me adovene com'a lo zitello | quando lo foco davanti li pare, | che tanto li risembla chiaro e bello, | che stendive la mano per pigliare; | e lo foco lo 'ncende, e fallo fello, | ché no[n] è gioco lo foco toccare: | poi ch'è passata l'ira, alora e quello | Disïa inver' lo foco ritornare" ecc. In particolare l'immagine del bambino che finisce con il rompere lo specchio ha un puntuale riscontro in un sonetto di Chiaro Davanzati scritto in risposta a un altro di Monte Andrea (Sì come ciascun om può sua figura): "Come 'l fantin ca ne lo speglio smira, | e vede a propietà la sua figura, | sì gli abelisce, di presente gira, | parte per quel veder da sé rancura; | vole pigliare, per trarersi d'ira, | non val neiente a contastar paura; | prende lo speglio e frangelo per ira: | alora adoppia più danno e arsura" (Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario, a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965, "Collezione di opere inedite o rare" 126, p. 355).
Si legge volentieri il capitolo dedicato all'infanzia di Paterson 1993 (traduz. 1999), pp. 277-305, cheriprende l'articolo L'enfant dans la littérature occitane avant 1230, CCM, 32 (1989), pp. 233-45; l'autrice, oltre ad affermare controcorrente che a partire dal XII sec. i piccoli erano in fondo più stimati di ciò che a lungo si è ritenuto, alle pp. 284-91 osserva che nell'epica francese e provenzale, il bambino, sempre maschio, viene visto soprattutto come erede del padre. Cfr. infine Angela Giallongo, Il bambino medievale. Educazione ed infanzia nel Medioevo, Bari, Dedalo, 1990; Jens N. Faaborg, Les enfants dans la littérature française du Moyen Âge, København, Museum Tusculanum, 1997 ("Études romanes" 39) e in particolare il § Folie e sottise des enfants, pp. 299 sgg.
2. espelh: riguardo all'immagine dello specchio, cfr. Jean Frappier, Variations sur le thème du miroir de Bernard de Ventadour à Maurice Scève, "Cahiers de l'Association Internationale des Études Françaises", 11 (1959), pp. 134-158, poi in Id., Histoire, mythe et symboles. Ètudes de littérature française, Genève, Droz, 1976, pp. 149-67.
5. plorar son damnatge: il sintagma è piuttosto forte e connota la perdita di una persona cara; compare infatti anche in due plahns, "Quascus plor'e planh son dampnatge" GlAug 205, 2, 1 e "Quascus planh le sieu damnatge | e sa greu dolor" RmGauc 401, 7.
6. enriquit: 'arricchito, nobilitato', e quindi 'inorgoglito, reso più felice', per cui cfr. Cropp 1975, pp. 93, 144-45 e la nota a V, 40.
7. bels semblans: il sintagma, qui quasi sinonimo di belas faissos 22, è un tecnicismo cortese e indica la buona disposizione manifestata dalla donna nei confronti del poeta innamorato; altri ess. in V, 49-50 e n. e SW 1915, VII, p. 542 n. 9.
partit: 'allontanato'; il verbo partir indica generalmente l'abbandono dei sentimenti amorosi da parte del poeta o dell'amata.
8. lauzengier: per questo termine-chiave della lirica trobadorica, cfr. la nota di Guida 1983, pp. 191-92 n. 32.
vilanatge: è la negazione dell'ideale cortese, dei principi morali e sociali alla base della fin'amor.
10. drudaria: derivato da drut 'amante', il sostantivo designa l'amore sensuale.
13. per: causale, la colpa è degli occhi, che hanno mostrato la donna al poeta (Sansone 1986).
14. Il mito di Narciso nella letteratura occitanica è utilizzato per primo da Bernart de Ventadorn ("Miralhs, pus me mirei en te, | m'an mort li sospir de preon, | c'aissi·m perdei com perdet se | lo bels Narcisus en la fon" BnVent 70, 43, 21-24) e ripreso poi, tra gli altri, da Peirol ("segon l'afan folley saviamen. | Mal o ai dig, ans folley follamen, | quar anc Narcis, qu'amet l'ombra de se, | si be·s mori, no fo plus fols de me. | Atressi·m muer entre·ls loncs deziriers | qi·m fan soven sospirar e doler | per lieys qui m'a gitat a non-caler | e luenh d'esper m'a mes estranhamen, | qu'esquivat m'a son privat parlamen" Peirol 366, 21, 18-26); esso è accostato all'immagine del bambino in Mazzeo di Ricco "Ben mi menò follia | di fantin veramente, | che crede fermamente | pigliar lo sol ne l'agua splendïente".
Su questo eroe emblematico della morte d'amore, cfr. inoltre Marie-Noëlle Toury, Mort et fin'amor dans la poésie d'oc et d'oïl aux 12e et 13e siècles, Paris, Champion, 2001, pp. 283-95, con altri ess. e un'analisi dell'evoluzione del tema.
cler: all'interno di una serie in -ier (vv. 9, 11, 15) la rima non è da considerare imperfetta, essendo clier forma ugualmente ammissibile: clier, per esempio, va probabilmente letto in ArnDan 29, 11, 5, per cui cfr. Perugi 1978, II, p. 157 n. 5.
15. tot entier: cfr. GsBPuic 173, 15, 7r e GlpCaz 227, 5, 33r.
16. fol'amor: è quello che eccede i limiti della mezura, analogamente a "que·l rey David e Samson fon - traitz, | e Salomon e trops, segon c'om - ditz, | per fol'amor fon lor valor - delida" GrRiq 248, 14 ~ Envej 141, 1, 29-31 e "c'ab fol'amor deu totz hom - mescabar" ibid., 35.
18. fals lauzengier: ho espunto la -s perché al v. 8 il sost. è declinato regolarmente ed è forse la vicinanza dell'agg. fals a indurre in errore il copista. La declinazione di lauzengier(s), tuttavia, sembra irregolare anche in Arnaut Daniel e in altri trovatori: cfr. la tradizione manoscritta di ArnDan 29, 2, 36; Id., 29, 8, 15 [riedita in Maurizio Perugi, Variantes de tradition et variantes d'auteur dans la chanson XII (BdT 29, 8) d'Arnaut Daniel, in Actes du Colloque: La Poésie de langue d'oc des troubadours à Mistral (17-19 décembre 1998), La France latine, n.s. 129 (1999), pp. 115-50]; Id., 29, 18, 38.
19. enojos: qui sinonimo di lauzengiers 18, i maldicenti che cercano con le loro menzogne di ostacolare il rapporto amoroso. Cfr. "li lauzengier e li enojos | m'enojan molt e li janglos" MoMont 305, 5, 15-16; enojos qualifica inoltre come aggettivo il sostantivo lausengier in "ja pelz enojos lausengiers" GlSt-Did 234, 7, 29 e "que lausengier fals, enoios, fradel" BtBorn 80, 34, 12.
20. jauzida: 'piacere, godimento, possesso'.
22. faissos: 'fattezze, figura, aspetto' e, quindi, anche 'volto'.
23. aisso·m ten en esperansa joios: Frank 1952.
24. que nostr'amors sia per be fenida: letteralmente 'che il nostro amore sia terminato dal bene, dalla felicità'.
26. de joi blos: stesso sintagma in "de Ioi desemparatz e blos" GrBorn 242, 5, 35; "remazutz sui sols e de tot joi blos" RmJord 404, 10, 47; "eu no·n son tan de ioi blos" GlTor 236, 2, 93 ecc.
Note
(1) Il manoscritto 3097 è una miscellanea di copie di vari manoscritti eseguita nel 1739. (↑)
(2) Des Minnesangs Frühling, nach Karl Lachmann, Moriz Haupt und Friedrich Vogt, neu bearbeitet von Carl von Kraus, Zürich, Hirzel, 1950, p. 475. Per la bibliografia sull'argomento, cfr. Hölzle 1974, pp. 448-51, che cita tra gli altri Emil Benezé, Das Traummotiv in der mittelhochdeutschen Dichtung bis 1250 und in alten deutschen Volksliedern, Halle, Niemeyer, 1897 ("Sagen- und litterarhistorische Untersuchungen" 1), p. 19. (↑)
(3) Cfr. Frank, I, § 43 bis, p. XXVII e Bartsch 1872, pp. 99-203. Non mi pare invece significativo che, recensendo la descrizione di P pubblicata da Grüzmacher nell'ASNS, XXXIII (1863), pp. 299-312, Bartsch non segnali l'assenza di An 461, 9a: egli infatti afferma di avere copiato il testo dal manoscritto 3097 della biblioteca dell'Arsenal di Parigi, il quale, pur essendo una copia di P, poteva contenere un testo in più rispetto al modello. (↑)
(4) Cfr. Hölzle 1974, pp. 447-67 e Riquer 1983, III, p. 1705. (↑)
(5) Alle copie parziali di canzonieri provenzali, già sfogliate a suo tempo da Hölzle [si tratta dei manoscritti 3091 (copia parziale del ms. C), 3092 (di S), 3093 (di I), 3094 (di E, R), 3095 (di R), 3096 (di M, K e D), 3097 (di U, Q, F, O, L, H e, come già detto, P), 3098 (di T, A, b, G e di nuovo b); ho inoltre scorso il ms. 3126 ("Recueil de pièces de vers de poëtes provençaux", altra copia di C ed E)], ho aggiunto la visione delle copie di canzonieri francesi [i manoscritti 3101 e 3102 ("Anciennes chansons françoises avant 1300", copie dei mss. Città del Vaticano, Bibl. Ap. Vat. reg. 1490 e reg. 1522); e i manoscritti 3303, 3304, 3305, 3306 ("Recueil de poètes françois avant l'an 1300", copie di Parigi, Bibl. Nat. f.fr. 846; ibid., n.acq. fr. 1050; ibid., f.fr. 12615; ibid., f.fr. 1050)] e del Breviari d'Amor di Matfre Ermengaud, il ms. 3309, copia dei mss. Parigi, Bibl. Nat. 858 e 1601. (↑)
(6) Il ms. 3285 (tavola dei nomi propri delle traduzioni provenzali con relative analisi letterarie, mss. 3281, 3282, 3283, 3284), dove dovrebbe comparire alle cc. 158v-159r; e i mss. 3099 (lettere A-I)-3100 (L-Z). (↑)
(7) Cfr. Frank 1952, p. XIII. Nel suo studio Hölzle 1974, pp. 452-55 propende per una datazione ancora più tardiva. (↑)
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