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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

281,003- Lamberti di Buvalel

Possiamo istituire, con sufficiente chiarezza, una genealogia dei mss. in grazie di alcune notevoli varianti. Se notiamo che al v. 3 tot manca in tutti i mss. salvo S e a, il quale ha però totz (mos talenz); che al v. 16 il ms. a ha la buona lezione vi, di fronte a tutti gli altri (fo) e che al v. 20 a porta di nuovo una lezione eccellente, mentre S si stacca dagli altri al v. 34; se notiamo poi che D1D2GQ vanno d'accordo generalmente, ma si dividono in due gruppi, in quanto GQ, come sempre accade, hanno lezioni peculiari (v. 25 qeu, v. 28 me sap); se notiamo, infine, che alla base dei mss. nel loro complesso sta una copia, di cui alcuni tratti (per esempio, terminazione enz 4, 14, 22, 31, 41, merces 41, ecc.) sono passati in tutti i codici, potremo proporre lo schema seguente, dal quale appare che il ms, a si contrappone ad S, che è sostenuto da D1D2GQ (1).
 
 
Ritengo che questo componimento appartenga al Buvalelli e non già a Rambaldo di Vaqueiras, come potrebbero far credere le rubriche di alcuni mss. D2, G, a (il Ricardus di Q è un errore del rubricatore, come ho già dimostrato in Canz. riccard. p. XXX, n. 1, e anche qui deve esservi accordo con G). (2) Lo Stimming, in una sua notevole recensione del mio volumetto su Rambertino Buvalelli edita, come già ho detto, nella Zeitschr., XXXIV, 224, riconosce buoni parecchi argomenti, da me avanzati, per togliere il componimento a Rambaldo di Vaqueiras. Questi argomenti sono: quattro volte l’acc. per il nom. (3) v. 14 mon pessamen, v. 22 faillimen, v. 25 valedor, v. 46 servidor; la forma nominativale in rima di merces laddove ci si aspetterebbe merce vv. 9, 18, 27, 36, 48; l'uso delle rime omonime v. 1 entremetre, v. 19 demetre, v. 28 trametre, v. 37 ametre, poscia no ridotto a n' dinanzi a vocale, v. 10 n'i, v. 22 n'es, v. 34 n'ai; la voce non provenzale letre in rima al v. 10, e la designazione di «salutz» per una forma strofica di poesia che non è quella del «saluto». Anche può valere: sivals al v. 9 usato con nessuna abilità di scrittore. Lo Stimming, dico, riconosce dunque buoni i miei argomenti, che escludono, salvo quelle delle rime omonime, un poeta del valore di Rambaldo di Vaqueiras, ma non si sente disposto ad accogliere l'attribuzione a Rambertino Buvalelli. Egli scrive (p. 225): «Wir haben es daher hier vermutlich mit dem Erzeugnis eines späteren Dichters, wahrscheinlich ebenfalls italienischer Herkunft, zu tun, welches, eben weil man den Verfasser nicht kannte, in den Handscriften bald diesem, bald jenem Dichter zugeschrieben wurde». In verità, io non vedo ragione di togliere al Buvalelli un testo che, riconosciuta errata l'attribuzione ad altro poeta, si trova sotto il suo nome in due mss. (D1; S), i quali per il loro posto nella tradizione manoscritta, hanno il diritto di far sentire la loro voce. Nelle pagine precedenti, ho avuto occasione di ricordare (p. 161-2) che il Buvalelli usa l'elisione di no dinanzi a vocale (e qui ne abbiamo tre casi, vv. 10, 22, 34); si aggiunga che letre (v. 10) è un italianismo (occorrerebbe in prov. letra o letras), per il quale ognuno è indotto a rivolgere il pensiero a un trovatore italiano, e che «Mon Restaur» (v. 29) è il senhal proprio di Rambertino. Lo Stimming nota che anche Sordello usò questo senhal; ma occorre avvertire che Sordello non si servi esattamente di Mon Restaur, sì bene di Belh Restaur (Planher vuelh, v. 43). Io mi spiego poi abbastanza ragionevolmente che il nostro testo, su cui stava il nome di Ramb[ertino, possa essere passato fra quelli di Raimb[aut o Raimb[out de Vaqueiras, anche per la maggior rinomanza di quest'ultimo poeta. Insomma, a malgrado delle objezioni dello Stimming, resto del mio avviso: che, cioè, il componimento D'un saluz, con le sue improprietà, sia del Buvalelli, poeta, che va fra i più antichi, ma non fra i migliori dei trovatori italiani.
 
1. saluz, «lettera d'amore». Così in Peire Vidal, Baros, de mon dan v. 31: Que mil salutz me venon cascun dia. Noto, però, che l'Anglade interpreta altrimenti. La forma «salutz» per indicare il componimento poetico è attestata come usata ognora con z (tz), anche nel nom. plur. e nell'ob. singolare, come nel nostro caso, in provenzale. Levy, S.-W., VII, 445 e Petit dictionn. prov.-français, p. 334. Questo, come abbiam detto, non è un vero e proprio «salutz». Su questo genere poetico, cfr. P. Meyer, Le salut d'amour dans la litt. prov. et française, in Bibl. de l'Ec. d. chartes, XXVIII, 124.
Quanto ad entremetre, cfr. Bertr. d'Alam. «Una chanzon»: Una chanzon dimeia ai talan — Q'ieu la fossa ab gai sonet cortes — E ges d'aitant no mi far' entremes.
 
2. que a. Da notarsi, trattandosi di Rambertino, lo jato fra e e a.
 
3. Cfr. Sordello, ediz. De Lollis, XXXVI, 3: Vos manda sel ses cor galiador.
 
19-20. Non ho nessun dubbio circa l'opportunità di accogliere la lezione di a: Per nulz mesfaitz, so·il puos plevir. Con questa lezione si raddrizza felicemente un passo, ch'era stato dato sempre così:
 
                            No·m poiria midonz demetre
                            Nulz mesfaitz e si·ll puos plevir
 
e che presentava demetre in un'accezione nuova e sospetta. Il Raynouard aveva tradotto «imputer» e tal senso era passato in Levy, Petit dict., p. 110. Io avevo pensato a «scusare». Jeanroy, Ann. du Midi, XXI, 372 non era contento nè dell'una, nè dell'altra traduzione. Preferiva, però, quella del Raynouard che trovava «au moins, mieux d'accord avec le contexte». Ora, possiamo senz'altro dare a «demetre» il suo senso naturale di «trascurare» (Levy, S.-W. s.v.) di «mettere da banda». Vedasi anche: Bertoni, Giorn. stor. d. lett. ital., LVII, 449.
 
23. trai. Qui è la 1.ª pers. sing. dell'ind. pres. Si sa che trai è attestato, come tale, accanto a trac e a trau. Per la locuzione, Levy, Petit dict., p. 203. Ricordo qui: Guilh. Augier 9, 9: E trac ne vos a guiren. Levy, S.-W., s. «guiren».
 
26. cors. Stimming, Zeitschr. cit. p. 228 intende: cuore, ma io credo che qui si tratti della designazione di persona. Manca, però, il possessivo.
 
34. n'ai temor. Casini, Rime, p. 9 traduce: «n'ho timore»; ma n' sta qui per no; dunque: non ho. Un caso di elisione di no nota il Levy, Lit., VII, 504 in P. Bremon (n'es); ma il ms. A ha forse la lezione primitiva.
 
41. merce e chausimen. Sono due vocaboli, che compaiono spesso insieme. Il termine chausimen ha infatti non di rado il senso di «pietà, misericordia», il che spiega la possibilità che ha di accoppiarsi con merce. Cfr. Peire Vidal, Tant ai, str. I: E causimenz ni merces no m'enanza ; str. III: Madomna a mort merce e causimen; P. Vidal, Estat ai, vv. 34-35: Vostr' amistat me do — Chauzimens e merces; Bertr. d'Alam. (Salv. de Gr., p. 131): Car non mi val merces ni chauzimenz; Albertet, Ab ioi, str. III: Donna, merces e causimenz. Arn. de Mar. La franca, str. I: E si per mi vos venz — Merces e cauzimenz. Pons de Capd., Tant mi, v. 11: Humilitatz, merces e chausimenz. Qui importa specialmente richiamare questi versi di Peire Vidal, Tart mi veiran, 23-24: E prenda·us en merces e chauzimens — Pos en vos es mos cors e mos talens. L'enumerazione di passi analoghi potrebbe continuare a lungo.
 
43-44. All'imagine dello specchio ricorrono, e in diverse maniere, i trovatori. De Lollis, Sord., p. 280. E vedi la nota al v. 6 del nostro testo n. VIII.
 
 
 
Note:
1) x: 1, 4, 14, 22, 31, 41; h di fronte ad y è determinato da lezioni quali penria: prendria (v. 8), de: per (v. 13) e fo (comune a (i), f, g), mentre ebbe vi (v. 16). Cfr. anche i vv. 29 (restor), 33 (cal), 35 (ies). Altrettanto può dirsi per il v. 20: per in y, ma non in h (quindi non in S, non in D1D2 e non in GQ), h' determinato da la, lail (v. 11). (i): v. 1 mentremetre; v. 10 no i e vv. 15 e 34; g di fronte a f determinato da casi come 24 (seu), 28 (me sap). Al v. 10 no i dev'essere una ricostruzione di i e noil di g. ()
 
2) Anzi, vi sono ragioni per credere che nella «fonte» di G e Q il componimento fosse attribuito a Ramb. d'Aurenga. Si veda, su ciò, quanto ho detto nel mio Ramb. Buvalelli, pp. 20-22. ()
 
3) Lo Stimming dice veramente «sei» volte, perchè, accettando la lettura prend'al al v. 42, prende chausimen del v. 41 come soggetto (ma ora io leggo prenda·l e chausimen diventa accusativo) e conta fra i nominativi amador al v. 16 (secondo la lezione del verso data da D1D2GQS, quella da me primamente accettata). Ma non dubito che buona sia la lezione di a: Ni no vi anc nul amador, e allora amador trovasi appunto all'accusativo. ()

 

 

 

 

 

 

 

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