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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

352,001- Peire de la Mula

Questo componimento è un'altra voce contro l'imperversare dei giullari maldicenti e fastidiosi o, come diceva il Da Peguilhan, «enoios e mal parlan» (Li fol e·il put, v. 4). Su questo motivo, vedasi Witthoeft, Sirventes joglaresc, pp. 30-32.
 
1. laisse. Prima pers. sing. ind. pres. in e. Per laissar de, cfr. Peire Vidal, De chantar m'era laissatz (De chantar, v. 1); Si·m laissava de chantar (364, 43). Elias Cairel, Abril ni mai, str. I: ni·m lais de chan de ioi ni de solatz(D. c. 176 d); Guilh. Rainol, Laissatz m'era de chantar (Appel, Rev. d. lang. rom., XXXIV, 34). Cfr. il nostro testo LVII, 13: d'aquel cuiar mi lais. Esempi di 1ª in -e in Appel, Chrest. 4, XXII.
 
8. Lebret. Witthoeft (p. 71) muta in lebrat (cfr. ital. lepratto e spagn. lebrato) il lobret di CR, il lebrier di A e il lobrer di D (a torto egli ha nelle varianti: lobres per D, mentre lobrer è sicuro). Per ragione del lebrier di A, il Suchier, Jahrb. N. F. II, 151 deve essersi domandato «Junge Hasen, oder junge Hunde?». Ma lebrier rappresenta una «lectio facilior», mentre gli altri mss. parlano per lobret, poichè a lobret conduce anche D, in cui si ha il facile scambio di t in r. Ora, la correzione del Witthoeft non si può dire cattiva (cfr. Douze comptes d'Albi, p. 192: lebrat), ma ha il torto di toccare troppo la lezione dei mss. In -et io vedo il suffisso diminutivo che si ha, p. es., in lobet «lupetto» (Guerre de Navarre, 2051; Levy, S.-W. IV, 416) e penso che lobret possa rappresentare un lebret (da lebre) divenuto lobret per influsso di labiale favorito da dissimilazione. Ma, data la facilità di scambio in antichi manoscritti fra e e o, preferisco prescindere dalla possibile labializzazione e penso che si possa accogliere nel testo la forma primitiva: lebret.
 
9. Lor affars. Cfr. Peirol, Ab gran ioi, str. I: Ara s'es fort toz mos affars camiaz; id. torn.: car sos affars mi plaz. Bertr. de Gordo, Totz tos afars es niens (Grundr., 84, 1); Coms de Rodes (N'Ugo) str. III: Aqest affars es toz devis. Vedasi anche il nostro testo n. XXIII, v. 23-24: Qu'il affar — De lai son tuit de plasenza. Anche qui l'enumerazione potrebbe proseguire, ma i casi raccolti basteranno.
 
11. es en mais que de ploia. Il Witthoeft (p. 75) legge con A: eissont mais (e non dà la lezione di D: eissen mais), senza dire come intenda. L'interpretazione, accettata nel testo, non è forse la sola che si possa difendere, poichè si potrebbe pensare, accogliendo eissont o eissen, a «escono, sorgono più che per effetto della pioggia» (come i funghi). Il passo, in ogni modo, presenta qualche difficoltà.

 

 

 

 

 

 

 

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