Chi sia colui, del quale parla il Conte di Biandrate, non sappiamo sicuramente (Zenker, F. d. R., p. 28); ma a me par lecito congetturare che il conte alluda, rivolgendosi a Falchetto, allo stesso Falchetto e che questi nella risposta lo paghi della medesima moneta. Il Conte afferma che egli conosce qualcuno che è una specie di predone, che piglia da per tutto, e gli dà il consiglio di recarsi al suo paese, perchè là dov'è sarebbe capace di indebitarsi, di impegnarsi, cioè, sino agli occhi. Risponde Falchetto che egli conosce un altro che ha impegnato, anzi chè robe, le qualità stesse dell'animo che prima aveva; onde gli viene maggiore scorno. Questo tale, s'io non mi inganno, non può essere che lo stesso Conte di Biandrate. A siffatti complimenti, fra protettore e protetto, fra un nobile signore e un poeta, siamo abituati. Ricordiamoci di Peire Vidal e del Marchese Lancia, e anche, per un certo rispetto, di Rambaldo di Vaquieras e del Marchese Malaspina.
1. tond e pela. Locuzione che deve significare: «porta via quanto più può», cioè: non si accontenta di tagliare, di tondere, ma addirittura pela, rade. Cfr. Peire Cardenal: Cobeitatz pela e ton e rauba et acuza e pren (51, 15). Zenker, F. d. R., p. 89. Levy, S.-W., VI, 19 cita il nostro passo e traduce: «rupfen, sein Geld abnehmen». Ritengo che questa espressione si riattacchi, come accade di tante altre, al linguaggio campagnolo dei contadini. Si ricordi il famoso «fabliau» intitolato Do pré tondu (Montaiglo e Raynaud, Fabl., IV, 154: «Voir, mout est cist prez bien fauchiez» — La fame li a respondu: — N'est pas fauchiez, ainz est tondu»). Quanto a pelar, esso pure è un vocabolo che si trova usato nella lingua dei campi. In Aigar e Maurin 2, v. 1332 ( puis pelas) sono detti «pelati» i picchi spogli di erbe. Giraut de Bornelh (ediz. Kolsen, I, 28) dice, servendosi d'un'allusione di questo genere: Mais vuelh pelar mon prat c'autre lo·m tonda. Infine, nella frase tond e pela o, per meglio dire, in pela ci possiamo anche chiedere se non si sia sviluppato il significato di «rubare» che troviamo in Priv. Manosque, p. 61 (Si alcus pela fais de fen. Levy, S.-W., VI, 190). Ma tondre risvegliava, come s'intende, un'altra idea; onde accanto a tondre e pelar, si disse anche tondre e raire. Vedasi nel nostro testo, n. XXIV, 27: del seu raire ni tondre.
4. Verrebbe il desiderio di correggere poira in poirai «io potrò»; ma meglio giova emendare in poira[n], o anche rispettare il ms. che dà, in ogni modo, un senso soddisfacente.
5. E Ms. pero; ma occorre al verso una sillaba di meno. Zenk propose: Doncs.
7. I vv. 7-8 e 18-19 sono computati da noi in modo diverso da quello dello Zenker (p. 89); onde lo schema strofico viene ad essere anch'esso cambiato. Ades non ha qui il senso di «sempre» ma di «subito, già», come in italiano e come anche in provenzale, allato al primo significato.
11. metre gage. Vale qui, a nostro avviso: «impegnare». Fors'anche, un'altra interpretazione sarebbe possibile: «non gli importerebbe vendersi per cinquecento marchi». Ma occorrerebbe un pronome riflesso.
17. repen. Ha qui il senso di «desistere, cessare», sviluppatosi da quello originario di «pentirsi».
22. Qi l’enqer. Qi ha il senso di lat. si quis «se alcuno, quando alcuno». Diez, Gram., III, 354; Tobler, Vermischte Beiträge, I, 99; Coulet, Montanh., p. 67. |