I mss. si dividono in tre gruppi principali: (DªI), (CE), (Gc) più un gruppo (DcF), che va piuttosto col primo, a giudicare dai pochi versi (10-27; 19-27) che contiene (però: dei 17). Il primo gruppo è determinato da varianti importanti per la genealogia, quali: 15 (aquo), 32 (grant), 38 (negus manca, e nul, nuil), 39 (mal invece di gap). Tra Da e I c'è però: servir I (v. 41) e engrazir I (v. 45). Il secondo gruppo è determinato da varianti quali: 17 (deu), 18 (de so), 35 (Milan) ecc. Il terzo gruppo: 41 (ondrar c, onrar G invece di bontat), 48 (qen). Questi due gruppi (secondo e terzo) si congiungono grazie a varianti, di cui la più importante è gap al v. 39. Onde abbiamo (ammettendo come ipotetici, naturalmente, X, y, β, z e ritenendo provati a, b, c, e, d).
Il gruppo (DªI) contiene gravi errori (vv. 15, 32); (Gc) ha qualche cattiva lezione dovuta al copista di d (p. es. v. 41). Il gruppo migliore è (CE). Nulla di sicuro si può dire di (DcF), mail suo posto nell'albero genealogico non è importantissimo, ad ogni modo. In e figurava, come autore del componimento, Bernart De Ventadorn.
1. gai sonet leuger. Vedasi la nota al v. 8 del nostro testo n. IV.
6. pros de Proenza. E v. al v. 48 ab los pros. Chi siano, secondo me, questi «prodi», ho già detto a pp. 70-71, nel capitoletto dedicato alla biografia del nostro poeta. Aggiungo che il senso di pros resta attenuato, colla nostra locuzione, perchè si tratta di una frase fondata su un giuoco di parole. In fondo, i pros de Proenza sono i «provenzali» senza più. Scrive Aimeric de Belenoi (Suchier, Denkmäler, 326): Tuit li Proensal son fan pron — que·l menre n'a pro fag del bon. Sul giuoco di parole Proenza e pro, si veda: Bartsch, Denkm., n. a 141, 18; Tobler, Verblümter Ausdruck und Wortspiel, p. 21. Altrettanto fa Serveri con Valencia e valor. Suchier, Denkm., cit., p. 556.
17-18. La forma deu (17) dei mss. DaGI è esclusa dall'uso che il verbo (sottinteso), ha nel verso seguente: [dei] servir. La interpretazione giusta del v. 18 è stata indicata dal Mussafia, Rass. bibl. d. lett. ital., IV, 310. Soltanto, il Mussafia erra quando dice che va sottinteso deu. Egli stesso traduce «devo», onde la forma da sottintendersi è sicuramente dei. Cfr. questo vol., a p. 163. II senso di d'aizo q'ai [dei] servir è «debbo servire di ciò che ho» cioè: «debbo limitarmi a dare alcun che di quel poco che possiedo [mentre vorrei dare molto]».
20. a cels. I mss. parlano per ab cels (sels); ma l'emendamento si impone. Si tratterà di un errore di copia insinuatasi in un lontano ascendente (in X).
26. trai. Notisi l'indicativo dopo mas q(e). Il solo ms. I ha traia, cosicchè la forma originale è certo trai. Si sa che mas que vuole l'indicativo, di regola, quando ha il senso di «ma» e il soggiuntivo quando ha il senso di «dato che» (Levy, V, 32-33). Qui abbiamo il senso di «salvo che» e l'indicativo non può dirsi, a ben guardare, usato del tutto a sproposito. Però è singolare.
28 sgg. Per le allusioni contenute in questa strofa, vedasi questo vol. a p. 73.
32. e fai se·n auzir. Locuzione interessante. «Farsi udire, farsi intendere» significa attirare l'attenzione altrui. Si noti anche il senso, alquanto attenuato, di conquerir al v. 31. Il significato, in questo passo, deve avere la sfumatura di «umiliare» che si contiene già in «conquistare». Cfr. la nota al testo n. XXVI, 11.
37. ab cors. Si noti che i mss. DªI hanno al cors, come in francese. Cfr. Diez, Gram., III, 147 (la filha ab la genta faisso); Meyer-Lübke, Gram., III, § 466.
42. fenis e comenza. Ricorre spesso, presso i trovatori, il concetto che una cosa debba incominciare e finir bene e non basti, anzi, incominciarla bene. Raim. Vidal (So fo el tems, ediz. Cornicelius, v. 979 e p. 87): Segon fi vai comensamens. Vedasi su questo concetto, che trovasi generalmente espresso sotto forma proverbiale (si consultino le raccolte di proverbi provenzali del Peretz in Roman. Forschungen, II, 415 e del Cnyrim in Ausg. u. Abhandl., LXXI, nn. 322, 326-31, ecc.) una nota dello Jeanroy, Romania, XLI, 109.
45. car nom per encarzir. Allusione probabile al nome di Giovanna, che significa in ebraico: donna cui Dio è benigno. Dante, Par. XII, 80-81: «madre sua veramente Giovanna — Se interpretata vai come si dice!».
46. Na Ioana d'Est. Giovanna d'Este, prima moglie di Azzo VII, morta nel 1233. Vedasi questo volume, a p. 73.