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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

437,001- Sordel

Notevole è, in questo componimento, il fatto ch'esso è munito di un ritornello o «refrain» alla fine di ogni strofa. Abbiamo dunque una «chanson à refrain», nella quale, si badi, il ritornello è sempre identico (cfr. Steffens, Die Lieder des Troveors Perrin von Angicourt, p. 137). Questa singolarità, singolarità tanto più notevole in quanto si trova in una lirica provenzale, era già stata avvertita dal Sachs, (come ha osservato il De Lollis), nell’Archiv, XV, 256. Si sa che codesti ritornelli s'ispiravano generalmente alla poesia di popolo, quando non erano addirittura desunti dalla lirica popolare. Nel caso presente, non si può dire se Sordello abbia attinto alla poesia plebea provenzale (potrebbe, a tutta prima farlo credere la forma fau, la quale, però, come vedremo, si presta ad essere altrimenti legittimata) o abbia composto egli medesimo il ritornello, il cui motivo trova numerose rispondenze nella lirica aulica occitanica (De Lollis, p. 288). Non è improbabile che Sordello abbia, dato che la prima delle alternative sia giusta, levigato e nobilitato alquanto il «refrain» popolare.
 
1. fau. Abbiamo qui una nota forma di 3.ª pers. plur. dell'ind. pres. di faire, sulla cui estensione si vedano: Meyer, Romania, IX, 193 sgg., Crescini, Man. 2, 136, n. 1; Bertoni, Ann. du Midi, XXV, 64. Ritengo che questa forma, qualora non si trovasse già nel «refrain» popolare, quale fu cantato, sia dovuta al copista medesimo di C, solo manoscritto in cui è contenuto il componimento. Altre forme in -au (per la 3.ª plur. ind. pres. di aver, estar, dar e faire e, naturalmente per la 3.ª plur. del fut. di tutti i verbi) si hanno nel citato manoscritto C (p. es. Tostemps serau mey iornal nel compon. Pus era suy di Guiraut d'Espanha, str. VI, c. 337r).
 
7. donna de plazensa. Significa «donna piacente» e ha avuto certamente torto il Mahn, Werke, II, 246 di stampare «Plazensa». Cfr. Schuttz-Gora, Zeitschr., VII, 206 e De Lollis, Sordello, p. 288. Agli esempi ricordati da questi due eruditi, se nè può aggiungere un altro ricavato da uno dei nostri testi (XXIII, 23-24): Qu'il affar De lai son tuit de plasenza. Non intendo come il De Bartholomaeis Il serv. «Li fol», ecc. p. 18 possa scrivere, a proposito di quest'ultimo passo, che «è evidente che si tratta non d'altro che del nome della città di Plasenza». Certo i giuochi di parole su nomi di città sono ben noti nell'antica lirica provenzale e non soltanto in provenzale (Tobler, Vermischte Beiträge, II, 195), ma non è qui il caso di riconoscerne uno. Amanieu de Sescas (Lex. rom., I, 501) scrive: Que·ls ditz e·ls faitz son de plazensa e Blacatz, 2: ab bels dichz de plazensa. Vedasi questo vol. a p. 72, n. 1.
 
23. deynha ha qui il senso di «vuole, accoglie, onora». Tale senso è tutt'altro che sconosciuto per il verbo denhar. Levy, II, 89. Mi basterà citare questo passo: N'Ardit, fort li dei s'amistat — Grazir, quar me denha ni·m vol — Qu'ieu jauzisc a guiza d'astruc (Mahn, Werke, III, 313). Tale senso si ha anche in due passi di Arnaut Daniel, citati opportunamente dal De Lollis, p. 289. Per il secondo di essi (per autra qui·t deing ni·t voilla XVI, 16) è certo che la traduzione del Raynouard «accueille» soddisfa di già. Il Canello traduce «che si degnerebbe d'amarti». Il Lavaud, Les poésies d'Arnaut Daniel, p. 99: «pour telle autre qui te juge digne d'elle ou qui te veuille». È da notarsi l'accoppiamento di denhar e voler assai frequente, a dir vero. Per il componimento di Bonifacio Calvo n. XVI, 72 (ediz. Pelaez) il ms. a dà la buona lezione: deinh' e vueill. Vedasi questo vol., «Nota sulle poesie di B. Calvo», XVI, 72. E cfr. Appel, Chrest. 4, n. 38.
 
34-36. L'interpunzione del De Lollis non accontenta. La locuzione de que m'es gen va posta tra due virgole, poichè si tratta d'una proposizione incidentale, come ha già visto il Mussafia, Sitzungsberichte cit., CXXXIV, 9, p. 18.
 
37. far o desfaire. Cfr. F. de Rom., XIII, 34: Vos me podez faz e desfar; Blacatz, X, 20-22 (ediz. Soltau, Zeitschr., XXIII, 246: Q'ela·m pot desfaire — E se·s vol, refaire — Qe de prez es maire). Soltau, XXIV, 57.
 
 
 
NOTA SULLE POESIE DI SORDELLO
 
Faccio seguire qualche osservazione ad alcuni altri testi di Sordello, quali sono stati ricostruiti dal De Lollis. Non insisto molto sui passi esaminati dal Mussafia («Sitzungsberichte» di Vienna, CXXXIV, Abh. IX), dallo Schultz-Gora (Zeitschr., XXI, 245-259) e dal Levy (Zeitschr., XXII, 251-258).
 
I, 6. La correzione del Mussafia De la galta no ll’ en fezez, ecc., con la soppressione di que, è accettabilissima; nè vale punto a scuoterla la debole obbiezione del GUARNERIO, Giorn. stor. della lett. ital., XXVIII, 399. Del resto, quasi tutte le proposte di emendamenti ai testi, fatti dal Guarnerio, valoroso cultore della dialettologia italiana, in questa sua recensione, sono inaccettabili.
 
II, 5. Il ms. ha non di fo de mort e il D. L. sopprime, per la misura, il di e ha ragione. Può essere, certo, che il di stia per li e sia un errore di copia, come, a quanto pare, pensa il D. L., p. 259; ma potrebbe trattarsi anche qui di un italianismo dovuto a un amanuense: non di sarà nondi (nonde) cioè: «non inde». Si legga, perciò, sopprimendo di, no·n o no'n.
II, 8 pois noi [v]e sanc. Credo che, nel ms., e (che il D. L. corregge in [v]e) sia un italianismo di un copista per a. Al v. 6, sel qe·l penchenet deve essere colui che inferse il colpo. Cfr. LEVY, Zeitschr. XXII, 251.
 
IV, 26-30:
 
                            Dison encar, si bel desplatç:
                            «Beu sire, per qe vos conortatç?»
                            Al conort del salvagie
                            Li coms qi gia fon ducs clamas,
                            Mas non es entier[s] lo comtatç.
 
Ben a ragione, lo SCHULTZ-GORA, Zeitschr., XXI, 248 e il LEVY, Zeitschr., XXII, 252 hanno chiesta una nota a questi versi. Il primo propone di leggere: «Beu sire, per qe vos conortatç Al conort del salvagie?», ma riconosce che il v. seguente rimane campato in aria. Credo che si possa accogliere l'interpunzione del De Lollis. Li coms (meglio: Lo coms) è naturalmente soggetto ed è lui che ha il conort del salvagie, che si rallegra cioè quando avrebbe ragione d'essere triste, come l'«uomo selvaggio» che canta e ride in tempo di pioggia. Il «coms» si rallegra sebbene il suo «comtatç» non sia «entier[s]». Sulla espressione conort del salvagie, oltre alla nota del De Lollis e alle linee dello Schultz-Gora (p. 249), rimando a un mio studiolo, in cui ho tentata la soluzione del problema: Servâdzo, in Étrennes helvétiennes offertes à M. H. Schuchardt, Zurich, 1913, p. 34. Cfr. anche JEANROY, Romania, XLIII, 458.
IV, 36 per que n'es seçatç. La voce sezat si trova anche nel Documentum honoris (v. 309). Vedasi ora LEVY, Suppl.-Wb. VII, 639.
IV, 41 lo desonor. Pare impossibile anche a me, come al LEVY, Zeitschr. XXII, 252, ammettere che Sordello abbia potuto adoperare un masch. desonor. Ritengo che il lo, per la, sia dovuto al copista italiano di T che scrisse anche mon dolor, invece di ma dolor nel comp. Ben farai di Peire Bremon Ricas Novas (v. 48). APPEL, Prov. Ined., p. 216. Vedasi questo vol. a p. 196.
 
VI, 27 Nis pliu en lui: ges no ve be ni au. Verso difficile. Propongo, in via provvisoria, di correggere ges in qe: «o si fida in lui, che non vede nè ode il bene». Forse un copista scrisse qes invece di qe (adoprando erroneamente la forma qes dinanzi a consonante) e un altro copista ne ricavò un ges. Ciò non è impossibile, ma però alquanto improbabile. Al v. 10, il ms. D porta, per essere esatti: dels cortes (non descortes) e al v. 11 ha uestra (A: uistra); al v. 17: Quill. Al v. 21 D legge: sgon (non segon); al v. 23, D ha: nol garia (A: ja nol garra). La lezione tan del v. 24 non appartiene ad A, ma a D.
 
VII, 7 leggi: qui qe·l retraja. Al v. 5, il ms. D ha faz (A: faich) e al v. 12 dreiz (dreich), e 14 faiz. V. 18 Il secondo autre manca in D. V. 22 guiardon D. 25 affachar D. V. 29 no crei D. 30 Ves D. 40 al re D. 43 la faig adaut D. 45 Leggi: Mas el non tem vergoigna ni s'esmaja; chè tale parmi dover essere, con lo SCHULTZ-GORA, Zeitschr. XXI, 250, l'interpunzione del passo. In D si hanno cinque linee bianche dopo l'ultima strofa.
 
X, 4 Pero el miez totz temps volri' estar. Credo anch'io, con il Mussafia (p. 3), che el miez sia «in illo medio», ma non penso che il poeta voglia dire ch'egli intende «nur eine Strecke Weges die Kreuzfahrer begleiten». Qui non deve esserci questione di viaggi, nè di una parte di viaggio in Terra santa. Sordello non vuol muoversi; ma dichiara che, se non avesse paura del mare, accompagnerebbe i crociati. Sta dunque «nel mezzo», fra un'opinione e l'altra.
X, 10 Si tot lai gen sui nuiritz. Vi si deve nascondere un'allusione ad amar ricavato, per via di bisticcio, da la mar del v. precedente. Vedasi la nota al testo XXVII, 20.
X, 14-16:
 
                            Q'eu tem tant fort la mar, qan mals temps es,
                            Q'oltra non posc passar, per re zom pes,
                            El coms non deu voler qu'eu mora ges.
 
Il Mussafia (p. 3) ha giustamente interpunto il v. Q'oltra non posc passar per re, zom pes. Non si capisce come il GUARNERIO, Giorn. stor. cit., p. 387, n. 1 possa obbiettare: «a me pare poco naturale, perchè in tal caso il «per re sarebbe andato altrimenti collocato». Qualsiasi provenzalista accoglierà la proposta del Mussafia.
X, 27. Realmente salvamen non va ed ha ragione lo SCHULTZ-GORA, Zeitschr., XXI, 251, di notare che c'è presso che contradizione nella strofa. Egli propone perdemen e per quanto la correzione appaia forte, bisognerà rassegnarsi e accettarla.
 
XI, 7 no lo 'n deuria. Il ms. ha nolon dorria. Certamente, lo 'n lascia sospeso lo studioso (SCHULTZ-GORA, Zeitschr., XXI, 251 propone non lo deuria). Propongo con molta esitazione: non o deuria, ovvero: no m'o deuria (o è meglio a suo posto; ma anche lo può stare). Il LEVY, Zeitschr., XXII, 255 accetterebbe la lezione del ms. no lo·n). S'intende che l'emendamento di dorria in deuria (o douria per influsso di «dovere», poichè il testo è unicamente in P, ms. pieno di italianismi) è sicuro.
XI, 11. Mais fol[s] es e ennojos e es plens de follia. Fol[s] e follia sorprendono alquanto, perchè sono una brutta tautologia. Il LEVY, Zeitschr. XXII, 255 si domanda: «Ist für follia ein anderes Wort einzusetzen?» Il pensiero corre a falsia.
 
XII, 12. Qe cor no pot far boca ver dicen. Verso oscuro, che interpreterei così: «il cuore (cor o cor[s]) non può fare che la bocca dica il vero», in quanto il cuore [dei baroni] è menzognero. Abbiamo forse un'allusione molto vaga e oscura, per via di contrapposto, al biblico: «la bocca parla dell'abbondanza del cuore». I versi seguenti confermano, pare a me, questa interpretazione.
 
XV, 23 quel paucs el trops, l’uns e l'autre pejura (ms. pegura). La proposta del Mussafia (p. 4) di leggere que·l paucs e·l trops l’un e l'outre pejura deve essere accolta. Ha certamente torto il GUARNERIO, Giorn. stor. cit., p. 399 di opporsi a una si evidente correzione.
 
XXI, 20 tenc chascun en men. La correzione del Mussafia en nien (a nïen) deve essere accolta. A torto, senza alcun dubbio, la combatte il GUARNERIO, Giorn. stor. cit., p. 400.
 
XXV, 19-21:
                            Per queus prec, bels cors plazentiers,
                            Qe pauc ni gaire ni mija
                            Don fassatz de re queus dija.
 
La proposta del Mussafia (p. 16) di correggere Don in Non (v. 21) è eccellente. Il lungo discorso del GUARNERIO, Giorn. stor., p. 400 per combatterla, è, mi dispiace doverlo dire, un equivoco.
 
XXVII, 33 m'a legor. Il Mussafia ha proposto giustamente m'alegor; nè si capisce come mai il Guarnerio (p. 400) possa tentare una difesa della interpretazione troppo forzata del De Lollis.
 
XXXIV, 43. Q'eu nos sial mercejar. Il De Lollis vede, a torto, in mercejar una riduzione di mercejaire. È strano che il GUARNERIO, Giorn. stor., p. 400 lo segua per questa via, dopo che il Mussafia (p. 18) ha proposto l'evidente correzione: no·s (= no·us) si' al mercejar. Il Guarnerio aggiunge che siffatta costruzione riesce ostica; ma essa è, per contro, la vera costruzione, propria dell'ant. prov. e francese.
 
XL, 457. Non è ben chiaro se il ms. abbia maior o non piuttosto maier. 510 Q[ue]. 625 borges è scritto sul rigo. 1083 Il ms. ha esgard. 1233-1286 Leggere, accettando una trasposizione segnalata nel ms.:
 
                            Qu'om pot tal re perdr' az un lanz
                            Que no·s restaura entre cent anz;
                            E pretz de dopna no·s restaura
                            Perdutz, de blanca ni de saura.
 
Il ms. ha E pretz nel penultimo di questi quattro versi (non Car pretz). Notisi, infine, che al v. 1226 il ms. ha Querietamenz (da correggersi, naturalmente, in Que netamenz).
Er encontra·l temps de mai (BERTONI, Giorn. stor. d. lett. ital., XXXVIII, 286). V. 16 viure. Vv. 23-24. Correggerei non soltanto: on peigz en trac, mos maltragz m'es conortz (cfr. Zeitschr., XXVI, 386), ma anche, al v. 23, am (ms. a) totz bos aibs. Nel comp. di Blacasset (Giorn. cit., p. 29), v. 30 totz ovvero: tost; v. 48 forse, invece di format, come ha il ms., bisognerà leggere, con una lieve correzione: fermat.

 

 

 

 

 

 

 

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