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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

006a,001=175a,001- Aicart

7. O inz infern. È una mia congettura, la quale, se non m'inganno, rischiara il passo, poichè e tot l'afar (Harl.; e toz l’afar Br.), accolto senz'altro dal Suchier, Denkm., 297 e dallo Hofmann, Rom. Forsch., I, 135, non dà alcun senso. Anche la mia interpunzione e la mia interpretazione di tutta intera la strofa differiscono da quelle del Suchier e dello Hofmann.
 
9 sgg. Girardo non risponde esattamente alla domanda posta da Aicardo. Questi non chiede soltanto se sia da preferirsi l'inferno o il paradiso; ma se dall'inferno o dal paradiso giovi vedere le pene infernali (per evitarle). La risposta del trovatore italiano elude alquanto la questione sollevata dal provenzale.
 
16. eissien. Interpreto: «dato che io non mi conduca male, dopo ciò, a bella posta, espressamente». Cfr. Raimon Jordan, ms. A, 369, 4: Mas s'ieu follei, ben o fotz escien. La voce eissien è qui usata avverbialmente (Levy, III, 165), come ha già veduto il Suchier, Denkm., p. 551. Da notarsi anche l'uso di faillir (s'ieu non faill) «sbagliare, nel senso di condursi, comportarsi male». Cfr. anche v. 19: faillir: «peccare».
 
26. no fan gaire a grazir. Si noti l'uso di faire a «essere da». Si comparino: Bertr. de Born, 39, 27: Que no fai ad amar — Rics hom per drudaria: Montanhagol 6, 15: D'aisso fan dompnas a blasmar (Levy, III, 385).
 
28. Il Suchier, p. 297 ha si en (e non s'ieu, come Hofmann, p. 135); ma il verso seguente, col suo meu, impone di accettare s'ieu, lezione di Br., anche qualora Harl. abbia veramente, del che dubito, si en.
 
38. a la pleu. Avremo qui plebem, o un deverbale di ploure cfr. (Levy, VI, 385)? Ora, «alla pioggia» o «alla plebe, alla moltitudine» cioè «esposto a tutti» accontentano entrambi; quanto al senso; ma «alla plebe» quadrerebbe assai meglio. Cfr. Peire Vidal, Anc no mori, str. VI: fan tolt son reng e destruita sa pleu. Notisi che l’e deve essere aperto e potrebbe essere che ciò fosse per influsso di labiale. Si hanno, infatti, in poeti occitanici, rime come beu: greu; deu: leu (cfr. K. Oreans, Die E-Reime im Altprov., in Arch. f. d. St. d. n. Spr., LXXXI, 326) e cotali rime meritano d'essere qui ricordate. Trovansi anche nei Disticha Catonis. Cfr. Rud. Tobler, Die altprov. Version der Dist. Cat., Berlin, 1897, p. 18 e Meyer, Romania, XXV, 360.
 
40. Erroneamente Such. e Hof. hanno qi·l mira d'espaven. Dopo mira occorre virgola, poichè d'espaven dipende da dar tan.
 
45. foc de glaz ni de neu. Cfr. Peire Vidal, Anc no mori, vv. 22-33: car de la freida neu — Nais lo cristals, don hom trai foc arden; Guionet e Pomairol (Suchier, Denkm., p. 336): Pero mult obra plus gen — Qui d'aigua trai arden — Fuec.
 
54. d'aizo ... dopt'eu. Cfr. Zorzi, ediz. Levy, n. VI, 55: Non jes qu'ieu dopti d'engan.

 

 

 

 

 

 

 

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