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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

282,016- Lanfranc Cigala

7. ben. Curioso è che i tre manoscritti diano bien; ma questo francesismo non sarà del Cigala. Si sarà invece trovato nel modello, donde i tre codd. IKa provengono, per i testi del Cigala, direttamente (l'uno indipendentemente dall'altro). V. la nota al verso 44.
 
10. Una correzione si impone, perchè la lezione dei mss. è guasta.
 
17. fals compaingnos. Sono gli occhi e il cuore. Cfr. Uc de Saint-Circ, I, 1-3: Anc enemics q'ieu agues — Nuill temps no·m tenc tant de dan — Cum mos cors e miei huoill fan. Cfr. Cligès, 745: Je cuidoie avoir trois amis — Mon cuer et mes deus iauz ansamble.
 
18. e·ls. Vedasi questo volume a p. 169, n. 1. Quivi è data la ragione del presente leggero emendamento. Sull'associazione degli occhi e del cuore, si vedano; Mätzner, Altfranz. Lieder, p. 178; De Lollis, Sord., p. 282; Jeanroy-Salv. De Grave, Uc de S.-C., 169.
 
22. meu oill. Per la mancanza dell'articolo, v. Schultz-Gora, Altprov. Elem. 2, p. 76. Invece, al v. 29: li meu oill. Sul motivo degli occhi traditori, cfr. Gauc. Faidit, Tant ai (Parn. Occ., 107): E pus mos cors e miei huelh traït m'an; G. Figueira (Schultz-Gora, Ein Sirventes, p. 39): Ja no m'agr'obs qe mei oill trichador; Aim. de Peg., S'ieu tan (Mahn, Ged., 1213): Don miei uelh trichador; Girando lo Ros, A lei (Rayn., IV, 10): Ben an mort mi e lor — Miei oill trichador. Vedi anche al v. 38: aquetz trachors.
 
28. li meu «i miei, i miei compagni» cioè gli occhi e il cuore.
 
30. trai. I mss. hanno tras e trais. Si potrebbe anche accettare la forma di 3ª sing. ind. pres. con -s analogico, sebbene non abbia trovato diritto di cittadinanza nella lingua aulica dei trovatori. La forma tras (trahit) è ricordata dal Suchier, Denkm., p. 511. Altre forme analogiche sono ritz (ridet), cas (cadit), ma oltremodo rare.
 
31. per mon vezer. Abbiamo qui l'infinito vezer sostantivato, cioè «vista, occhi». L'imagine di amore che penetra per gli occhi nel cuore è una delle più comuni anche presso i poeti italiani del sec. XIII, tanto comune, che reputo inutile darne esempi.
 
34. qet «quieti, chetamente».
 
37. sol qe. Cfr. G. Faidit: Lo mals qu'ieu trac me fora belhs e bos — Belha domna, sol que·l pogues sofrir. Del resto, si tratta di una locuzione ben nota e frequente. Inutile, adunque, offrirne altri esempi.
 
44. La sostituzione di vos etz a eu sui parrà un po' forte; ma, a parer mio, è richiesta imperiosamente dal senso. Del resto, i tre mss. non valgono che per uno solo, in quanto provengono direttamente, per il Cigala (e anche per il Calvo), da un solo modello. Il copista di questo modello fu forse tratto a scrivere eu sui per una specie di anticipazione ideologica di quel serai eu, che segue subito dopo (v. 45).
 
49. pren mal. Com'io interpreti il passo, risulta già dalla mia traduzione. Qui dirò che ritengo che pren sia usato impersonalmente, come accade in parecchi casi. Levy, Suppl. Wb., VI, 514. In siffatto senso, prendre è usato col dativo, p. es. m'es pres (Stimming, Bertr. de Born 1, p. 241) e insieme a mal: mal l’en pren (Bertr. de Born, A tornar m'er, v. 16; Peirol, 8, 37), mal m·en pren (Peire Raim. de Tol. 5, 10), be·us n'es pres (Castia-gilos, 291, Appel, Chrest. 4, p. 30); ma nel nostro passo il poeta usa il verbo da solo, riferendosi a una generalità di persone. «Allorquando accade — dice il poeta — che si abbia tormento dall'amare, ne viene che ognuno teme di dover soffrire altrettanto». Ora, ciò accade spesso e il Cigala lo sa, ond'è fatto «temeros» come «l’altra gens».
 
35-60. La strofa VI è, come dicono le Leys, «tensonada, en autra maniera dicha enterrogativa». Su questo genere, si veda Appel, Leben u. Lieder des Trob. Peire Rogier, p. 16. Al v. 55, si potrebbe, a rigore, accettare noi ria dei mss. ma dato il precedente no·t vei e data anche la facilità con cui un copista poteva leggere i per t, ci permettiamo di correggere: no·t ria.
 
 
 

NOTA SU QUALCHE PASSO DELLE RESTANTI POESIE DI LANFRANCO CIGALA

La ragione, per cui non compaiono qui tutti i testi del Cigala, è già stata indicata a p. 95 n. 3 di questo volume. Faccio seguire qualche osservazione su alcuni passi di qualche componimento non incluso nel numero delle poesie da me criticamente ricostruite e pubblicate.

Raimon Robin, eu vei qe Deus comenza. Componimento conservato in I (c. 84d), K (c. 78b) e a (p. 398) e edito dal MAHN, Ged., 616 secondo il ms. I. Non si sa sicuramente chi sia questo Raimondo Robino o Rubino, ma è probabile che si tratti di un italiano, anzi di un genovese (cfr. p. 134). Il Cigala gli dice (vv. 17-20):

                             Raimon Robin, en vos no vei guirenza
                             Si no·us metes del tot en la deviza
                             De los Frances com son cil de Proenza,
                             Pois seres sers e per chaut e per biza.

Questo testo è assai duro. Mi fermo su un solo passo, cioè sul v. 4 della str. II: e que tornetz raidelron en camiza. Tutti i mss. hanno raidelron (per errore, il Mahn ha stampato raidelren). Si tratterà di un fallo di un copista, che prese un nu- per rai-, un t per l, un n per r e un u per n, poichè a me par certo che si debba emendare: nud et nou en camiza. La locuzione nud (nut) en camiza è, d'altronde, ben conosciuta, per es. Flamenca² 6130: Ve·us m'aici a vostra guisa — Tota nudeta en camisa. Bernart de Ventadorn: Anar puosc ses vestidura — Nutz en ma camisa (Tant ai). In ant. franc. Fabliaux, IV, 107: E fu toz nuz en sa chemise (KNÖSEL, Das altfranz. Zahlwort, Erlangen, 1884, p. 48). Quanto a nou, si cfr. Peire Raim. de Tolosa: sa gran beutat son gen cors nou e clar (MAHN, Werke, I, 137). Assai frequenti sono le locuzioni nou cors prezan, nou cors gent, ecc.

Lantelm, qui·us onra ni·us acuoill. Testo indirizzato a un giullare chiamato Lantelm. Si legge nel solo ms. H (n. 254), in cui ci è stato tramandato con molte imperfezioni e con parecchi guasti, a sanare le quali e i quali gioveranno, parmi, le osservazioni seguenti: v. 2 ms. saenssa. Corr. scienssa, vv. 9-10: mas entre nos cenom be ioill Da bona semenza. Quel cenom non dà senso. Correggo: cern om, cioè: «tra noi, si distingue bene il loglio dalla semente buona» che è quanto dire: «siamo abituati a distinguere il male dal bene, il buono dal cattivo». V. 11 las. Si corregga: la (Per qe la meton ssai en moill), riferendosi questo la a semenza. V. 12 qar son. Corr. qan es. V. 13 Mas fort faillon Breissan part oill. Il LEVY, Suppl. Wb., IV, 183 pone dei puntolini al posto di part oill, citando questo passo. Credo che si tratti di Oill, cioè del fiume Oglio. I Bresciani rispetto ai Genovesi sono infatti part Oill, «al di là dell'Oglio». V. 29 cusdar. Emenderei in cuidar e correggerei così i vv. 25-32:

                        E ges no·s taing
                        Dir aur d'estaing
                        Ni taing donar
                             Ni far
                             Cuidar
                             [Ioglar]
                   Uei mais qe·l tegnon car,
                   Car es [d'avol] tenensa.

Il poeta allude sempre a Lantelm, a cui dice il fatto suo. Il ms., anzi che Uei mais qe·l ha uei qes. Propongo l'emendamento con assai esitazione. Vv. 42-43: Qar vos laisset qes de Cardoil L'enoi per tenenza. In questo qes, sia che lo si accetti tale quale, sia che lo si corregga in Qeus o Qeis o anche Qei, avremo «Keu», il famoso Keu, della cui indole fastidiosa parlano i romanzi cavallereschi. Keu lasciò dunque in eredità a Lantelm il «fastidio», la «noia». V. 54 ab qe dartimalec. Corr. forse aja d'Artimalec e si compari Marcabru (ediz. Dejeanne, p. 101): Del vostre bec, — N' Artimalec, — No is jauzira ja crestians. Suchier (Jahrb., XIV, 150) pensa ad Abimelech della Bibbia. Vedasi, per questo componimento: BERTONI, Due note provenzali (estr. dagli Studi mediev., vol. III), p. 31.

Ges eu no vei com hom guidar si deia. Mss.: I, c. 94a; K, c. 77d; a, p. 396; F, p. 147; Dc, c. 259a (vv. 41-50). Ediz. RAYNOUARD, Lex., I, 476; MAHN, Werke, III, 126; STENGEL, Prov. Blumenlese der Chigiana, 52; TEULIÉ-ROSSI, Anth. de Ferr., p. 60, n. 190.

5 sgg. de tan pauc non es om offendenz — Si tot o fai desapensadamenz — Que non sia malvolgutz e blasmatz ecc. Il poeta vuol dire, in questa prima strofa, che per quanto poco alcuno offenda o nuoccia ad altri, anche se ciò fa senza cattiva intenzione, ne ottiene sempre biasimo. Ora, come mai non ottiene altrettanta lode colui che giova ad altri? Perchè mai il bene non procura gratitudine in misura uguale a quel torto che è procurato dal male? Ciò, dice il Cigala, è un giuoco disuguale, è una partita impegnata a condizioni impari. Ond'egli non vede com hom guidar si deia!

Mi limiterò a riprodurre, criticamente ricostruita, la strofa III (vv. 21-30) di questo componimento dedicato a flagellare i torti e le falsità del mondo:

                   Dieus fon traitz, per que no·s taing q'om creia
                   Semblan ni ris ni salut de trachor,
                   Car denan ri e mostra far honor
                   E pois detras poing l'amic e·l guerreia;
          5       Non pot esser plus mortais faillimenz;
                   Qar de Juda qui si pendet als venz
                   Sabem per cert qe no·il fon perdonatz;
                   Mas ieu sivals meillor coven lur fatz:
                   Sol pendan si li fals qe trait m'an,
          10     Qu'ieu lur perdon mon enueg per lor dan.

[Varianti: 1 Deus F. 2 mais en salutz ni en ris de trachor F. 3 deuan a; ri in a ricavato da ti; e sul rigo in a. 5 e non es tan mortais nultz faillimenz F. 6 quadonc (qadonc a) Judas qui (qi Ka) sen p. IKa. 7 sap hora (hora sottolineato in a dal correttore del ms.) IKa; fon] son a. 8 eu F; lor F. 9 si se pendon li f. qui F; pendan in a con -an corr. su -am; trait ricavato in a da uan. 10 que I; eu lor p. m. enoi F; son dan IKa].

È da notarsi, al v. 6, l'allusione a Giuda «qui si pendet als venz». Anche nel serventese Honratz es hom (edito dal KOLSEN, Archiv, CXXIX, p. 467 e vedasi questo vol. a p. 13, n. 1), che il Kolsen non sarebbe alieno dall'attribuire al Cigala, si legge (v. 45) che Giuda al ven se·n annet pendre. Aggiungasi che Sail d'Escola nel componimento Gran esfortz fai (CHABANEAU, in Rev. d. lang. rom., S. III, T. XI, p. 218) scrive: E [car chanti d'am]or d'amia morta — Menhs ai de sen — Que non ac selh que culhic la redorta — Don fo pendutz al ven. Chabaneau pensava che vi si contenesse un'allusione a un romanzo perduto. Chissà che il poeta non alluda unicamente alla morte di Giuda? Ev. di Matteo, XXVII, 5: «Et proiectis argenteis in templo, recessit, et abiens laqueo se suspendit».

 

 

 

 

 

 

 

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