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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

282,025- Lanfranc Cigala

1. ris. Nessun trovatore, neppure il delicatissimo Bernart de Ventadorn, ha cantato il sorriso femminile con accenti più dolci di quelli del Cigala. Eppure, il motivo del riso della donna amata, che accende la passione nel cuore, era un tratto comune presso i poeti. Guilhem de Cabestaing, a ragion d'esempio, scrive (Lo jorn que·us vi, lez. di D, c. 192c, il qual manoscritto attribuisce il componimento a Peire del Puio [e non Poi, Bartsch, Gr. 213, 6] e legge el dor, invece di el cor) str. I: C’aissi·m paucest dompna el cor l'enveia — Ab un douz ris et ab un simpl' esgar. Nella nostra versione non sono stati resi i frequenti giuochi alliterativi e «derivativi» di parole, onde va contesta questa graziosa poesia.
 
6. alegr' e iauzen. Cfr. Bertr. d'Alam. (ediz. Salv. De Grave, p. 70): mi faitz estar alegre e iauzen. Pons de Capd., ediz. Napolski, p. 69: Deu ben esser alegres e jauzens; p. 72: Si·m ten gai e jauzen; p. 75: Son plus alegres, plus jauzen.
 
7 sgg. Si potrebbe tradurre: «se accada ch'io sia afflitto», ecc. per rendere più chiaramente, in una versione, il pensiero del poeta. È evidente, a parer mio, che con le frasi sui en cossirier e trai tal tormen il Cigala vuole alludere non già al momento in cui scrive, chè egli ha già detto di essere al sommo della gioia (fols sui de l'alegrier, v. 5), ma a un periodo di tempo, in cui, mancandogli il riso della sua donna, egli non avrebbe ragione d'essere allegro.
 
10. Q'autre ioi. Notisi la ripetizione di que dinanzi a autre ioi, mentre abbiamo già Que nel v. 7. Tale ripetizione di que non si può dire comune, ma neppure estremamente rara in ant. provenzale. Essa si spiega così: la congiunzione che apre la principal proposizione viene anticipata dinanzi alla proposizione subordinata quando questa precede, ma subito ripresa all'inizio della principale. Vedasi la n. al v. 13 del componimenio che segue (n. XXXVII).
 
11. len. Dev'essere «lento». Il poeta vuol dire che non desidera altra gioia che quella che gli deriva dal sorriso dell'amata; ma è una gioia che viene troppo «lenta» cioè dopo lunga attesa.
 
12 sgg. Non è improbabile che il Cigala abbia avuto presente una strofa di una poesia di Peire Vidal (Tan an ben dig) nella quale si leggono questi versi (27-29): Ve·us l'arc de qu'aitals colps fier — Ab un esgart demanes, — Don escut no·lh fai garensa, e si sia anche ispirato a un altro passo del medesimo Vidal (Quant om onratz, vv. 26-28): Mas l'autr'arquiers defors es plus ginhos, — Que·l fier premiers per aquel loc rescos.
 
16. I mss. hanno lun dels oils, ma il verso sarebbe ipermetro d'una sillaba. La correzione l'un oil, che quasi si impone, era già balenata all'Appel, Prov. Ined., p. 187, n. al v. 16.
 
20-22. Vedasi la nota al v. 31 del componimento precedente, per quanto si riferisce all'imagine degli occhi e del cuore. Qui l'imagine compare un poco modificata, ma nell'essenza è la stessa.
 
24. esgart. Ci si aspetterebbe, in un poeta come il Cigala, esgartz, ma la forma dell'obliquo sarà dovuta alla tirannia della rima.
 
26. L'Appel (p. 187) legge: vas me claman merce: «qu'eu art, ecc., congiunge cioè merce a claman certo tratto in inganno dalla comune locuzione clamar merce; ma a me pare che merce sia una parola già pronunciata dal cuore. Onde interpungo: claman: «merce, q'eu art», ecc.
 
27. Ades potrebbe anche avere il senso di: «immediatamente, subito, ora», senso che in prov. la voce ebbe a lato a quello più comune di «sempre»; mentre in italiano il primo significato fu ed è quello usuale. Sarebbe esagerato, però, vedere in ciò un italianismo, tanto più che la traduzione per «sempre» può benissimo essere la buona.
 
33. L'Appel (p. 187) ha: [E] dels crois si loingn' e·s depart; ma la lezione del nuovo ms. a ci permette di adottare un'altra lettura.
 
36. salutz e amistatz. I due vocaboli sono sovente accoppiati. De Lollis, Sord., 293 e Niestroy, Pistoleta, p. 21.
 
40. baingner' ab gran solatz. Qui «banhar» ha il senso di «gioire» («se delecter» Levy, Petit dictionn. prov.-français, p. 40). Cfr. elh a bon lau e pretz.... Quar en donar se sojorna e·s banha, (v. questo vol. a p. 27). Peire Vidal, Ges pel temps, v. 69: On malvestatz se sojorna e·s banha e Id. (Neus ni gels), vv. 57-58: Ar ai conquisi sojorn e·m banh — E Mauta, on sui albergatz («mi compiaccio in Malta, ecc.» Anglade, p. 442 ha e banh; ma vedasi ora la giusta osservazione dello Jeanroy in Romania, XLIII, 442). Pons de Capd., ediz. Napolski, p. 79: Fos lai, on si sojorn' e·s banha; Bern. de Rouvenac, ediz. Bosdorff, p. 50: Quar en valor se banha. Qui il senso è un po' diverso.
 
41. ses regart. Intendo: «senza preoccupazione, senza preoccuparmene, senza timore», ma forse potrebbe stare anche il senso di «certo, per vero» che la locuzione ha in a. prov. Levy, VII, 165.
 
55. Se si volesse accettare moria dei mss., bisognerebbe leggere moria.
 
65-66. Notisi o che si riferisce a la re. L'Appel (p. 185) mette invece punto e virgola dopo qerer, ma sabrai qerer resta allora troppo campato in aria.
 
 
 

NOTA SU QUALCHE PASSO DELLE RESTANTI POESIE DI LANFRANCO CIGALA

La ragione, per cui non compaiono qui tutti i testi del Cigala, è già stata indicata a p. 95 n. 3 di questo volume. Faccio seguire qualche osservazione su alcuni passi di qualche componimento non incluso nel numero delle poesie da me criticamente ricostruite e pubblicate.

Raimon Robin, eu vei qe Deus comenza. Componimento conservato in I (c. 84d), K (c. 78b) e a (p. 398) e edito dal MAHN, Ged., 616 secondo il ms. I. Non si sa sicuramente chi sia questo Raimondo Robino o Rubino, ma è probabile che si tratti di un italiano, anzi di un genovese (cfr. p. 134). Il Cigala gli dice (vv. 17-20):

                             Raimon Robin, en vos no vei guirenza
                             Si no·us metes del tot en la deviza
                             De los Frances com son cil de Proenza,
                             Pois seres sers e per chaut e per biza.

Questo testo è assai duro. Mi fermo su un solo passo, cioè sul v. 4 della str. II: e que tornetz raidelron en camiza. Tutti i mss. hanno raidelron (per errore, il Mahn ha stampato raidelren). Si tratterà di un fallo di un copista, che prese un nu- per rai-, un t per l, un n per r e un u per n, poichè a me par certo che si debba emendare: nud et nou en camiza. La locuzione nud (nut) en camiza è, d'altronde, ben conosciuta, per es. Flamenca² 6130: Ve·us m'aici a vostra guisa — Tota nudeta en camisa. Bernart de Ventadorn: Anar puosc ses vestidura — Nutz en ma camisa (Tant ai). In ant. franc. Fabliaux, IV, 107: E fu toz nuz en sa chemise (KNÖSEL, Das altfranz. Zahlwort, Erlangen, 1884, p. 48). Quanto a nou, si cfr. Peire Raim. de Tolosa: sa gran beutat son gen cors nou e clar (MAHN, Werke, I, 137). Assai frequenti sono le locuzioni nou cors prezan, nou cors gent, ecc.

Lantelm, qui·us onra ni·us acuoill. Testo indirizzato a un giullare chiamato Lantelm. Si legge nel solo ms. H (n. 254), in cui ci è stato tramandato con molte imperfezioni e con parecchi guasti, a sanare le quali e i quali gioveranno, parmi, le osservazioni seguenti: v. 2 ms. saenssa. Corr. scienssa, vv. 9-10: mas entre nos cenom be ioill Da bona semenza. Quel cenom non dà senso. Correggo: cern om, cioè: «tra noi, si distingue bene il loglio dalla semente buona» che è quanto dire: «siamo abituati a distinguere il male dal bene, il buono dal cattivo». V. 11 las. Si corregga: la (Per qe la meton ssai en moill), riferendosi questo la a semenza. V. 12 qar son. Corr. qan es. V. 13 Mas fort faillon Breissan part oill. Il LEVY, Suppl. Wb., IV, 183 pone dei puntolini al posto di part oill, citando questo passo. Credo che si tratti di Oill, cioè del fiume Oglio. I Bresciani rispetto ai Genovesi sono infatti part Oill, «al di là dell'Oglio». V. 29 cusdar. Emenderei in cuidar e correggerei così i vv. 25-32:

                        E ges no·s taing
                        Dir aur d'estaing
                        Ni taing donar
                             Ni far
                             Cuidar
                             [Ioglar]
                   Uei mais qe·l tegnon car,
                   Car es [d'avol] tenensa.

Il poeta allude sempre a Lantelm, a cui dice il fatto suo. Il ms., anzi che Uei mais qe·l ha uei qes. Propongo l'emendamento con assai esitazione. Vv. 42-43: Qar vos laisset qes de Cardoil L'enoi per tenenza. In questo qes, sia che lo si accetti tale quale, sia che lo si corregga in Qeus o Qeis o anche Qei, avremo «Keu», il famoso Keu, della cui indole fastidiosa parlano i romanzi cavallereschi. Keu lasciò dunque in eredità a Lantelm il «fastidio», la «noia». V. 54 ab qe dartimalec. Corr. forse aja d'Artimalec e si compari Marcabru (ediz. Dejeanne, p. 101): Del vostre bec, — N' Artimalec, — No is jauzira ja crestians. Suchier (Jahrb., XIV, 150) pensa ad Abimelech della Bibbia. Vedasi, per questo componimento: BERTONI, Due note provenzali (estr. dagli Studi mediev., vol. III), p. 31.

Ges eu no vei com hom guidar si deia. Mss.: I, c. 94a; K, c. 77d; a, p. 396; F, p. 147; Dc, c. 259a (vv. 41-50). Ediz. RAYNOUARD, Lex., I, 476; MAHN, Werke, III, 126; STENGEL, Prov. Blumenlese der Chigiana, 52; TEULIÉ-ROSSI, Anth. de Ferr., p. 60, n. 190.

5 sgg. de tan pauc non es om offendenz — Si tot o fai desapensadamenz — Que non sia malvolgutz e blasmatz ecc. Il poeta vuol dire, in questa prima strofa, che per quanto poco alcuno offenda o nuoccia ad altri, anche se ciò fa senza cattiva intenzione, ne ottiene sempre biasimo. Ora, come mai non ottiene altrettanta lode colui che giova ad altri? Perchè mai il bene non procura gratitudine in misura uguale a quel torto che è procurato dal male? Ciò, dice il Cigala, è un giuoco disuguale, è una partita impegnata a condizioni impari. Ond'egli non vede com hom guidar si deia!

Mi limiterò a riprodurre, criticamente ricostruita, la strofa III (vv. 21-30) di questo componimento dedicato a flagellare i torti e le falsità del mondo:

                   Dieus fon traitz, per que no·s taing q'om creia
                   Semblan ni ris ni salut de trachor,
                   Car denan ri e mostra far honor
                   E pois detras poing l'amic e·l guerreia;
          5       Non pot esser plus mortais faillimenz;
                   Qar de Juda qui si pendet als venz
                   Sabem per cert qe no·il fon perdonatz;
                   Mas ieu sivals meillor coven lur fatz:
                   Sol pendan si li fals qe trait m'an,
          10     Qu'ieu lur perdon mon enueg per lor dan.

[Varianti: 1 Deus F. 2 mais en salutz ni en ris de trachor F. 3 deuan a; ri in a ricavato da ti; e sul rigo in a. 5 e non es tan mortais nultz faillimenz F. 6 quadonc (qadonc a) Judas qui (qi Ka) sen p. IKa. 7 sap hora (hora sottolineato in a dal correttore del ms.) IKa; fon] son a. 8 eu F; lor F. 9 si se pendon li f. qui F; pendan in a con -an corr. su -am; trait ricavato in a da uan. 10 que I; eu lor p. m. enoi F; son dan IKa].

È da notarsi, al v. 6, l'allusione a Giuda «qui si pendet als venz». Anche nel serventese Honratz es hom (edito dal KOLSEN, Archiv, CXXIX, p. 467 e vedasi questo vol. a p. 13, n. 1), che il Kolsen non sarebbe alieno dall'attribuire al Cigala, si legge (v. 45) che Giuda al ven se·n annet pendre. Aggiungasi che Sail d'Escola nel componimento Gran esfortz fai (CHABANEAU, in Rev. d. lang. rom., S. III, T. XI, p. 218) scrive: E [car chanti d'am]or d'amia morta — Menhs ai de sen — Que non ac selh que culhic la redorta — Don fo pendutz al ven. Chabaneau pensava che vi si contenesse un'allusione a un romanzo perduto. Chissà che il poeta non alluda unicamente alla morte di Giuda? Ev. di Matteo, XXVII, 5: «Et proiectis argenteis in templo, recessit, et abiens laqueo se suspendit».

 

 

 

 

 

 

 

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