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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

282,010- Lanfranc Cigala

2. Il primo e·us sta evidentemente per eu·us; nè mette conto insistere su questa notissima crasi. L'u di eu cade talora anche quando non segua u, p. es. e·ls (eu·ls) in Reforzat, D'un (corr. Dui) cavalier, v. 2. Cfr. poi Appel, Chrest. 4, p. XIII.
 
4. de follia «follemente». Nel Bocci (v. 2) de gran follia... parllam.
 
5. L'amor savaia è evidentemente l'amore dei sensi. Il Cigala dovè pronunciare -aia, come avviene per regola, almeno, nella lingua illustre trovadorica, a giudicare dalle rime. Può essere, questo, un tratto fornito dal limosino; ma non arriverei sino a dire che cotali rime costituiscano un serio appoggio alla teoria che riconosce nel limosino la culla della poesia o, meglio, della lingua aulica (Jeanroy-Salv. de Grave, Uc de S.-C., p. 177). Parmi che questo tratto debba essere considerato come uno degli influssi tangibili di una regione ricca di poeti sul costituirsi della lingua letteraria. Non ascriverei ad esso maggiore importanza di quanto farei, putacaso, a una forma priso (per preso) in una poesia ant. toscana. Sulla lingua dei trovatori ho avuto occasione di manifestare alcune mie idee nella Rev. d. lang. rom., LVI (1913), p. 499.
 
8. Manca una sillaba. Aggiugo: [plus], che mi pare bene accordarsi col contesto. Ovvero correggeremo: vueill [ieu]?
 
18. La traduzione dice com'io intendo questo difficile verso. Mi viene però il sospetto che esso possa essere corrotto e che er mals debba essere emendato in er mais. In tal caso, si traduca: «e non sarà mai, non accadrà mai che senta male [colui che vi ama]». L'emendamento è leggero e si sa che i ms. IKa, per ciò che concerne i testi del Cigala, provengono da un unico modello.
 
26. ben. Accetto una proposta dell'Appel, Prov. In., p. 185 e correggo et in ben.
 
29. Rispetto la lezione dei mss., ma ritengo che il Cigala abbia scritto più correttamente: Totz mos afars (v. nota I, 8). Si troverà che ho adoperato troppe parole per tradurre quest'espressione. Ma come renderla esattamente altrimenti? In Marcabru (A la fontana, ediz. Dejeanne, I, v. 14) abbiamo: Tost li fon sos afars camjatz [Dejanne traduce: «elle changea bientòt d'attitude (de contenance)]. Una tenzone di Bertran de Gordon e di Peire (Bartsch, Grundriss, 84, 1) comincia: Totz tos afars es niens (vedi anche: Canz. di Bern. Amoros, n. 341). E cfr. la nota al testo XXIII, 23.
 
31. no m'es parens ni vezina, dunque non può venirmi in aiuto. Il senso di vezina sarà qui quasi di «alleata».
 
37 sgg. La prima parte di questa strofa è oltremodo oscura. Sarò io riuscito ad interpretarla? Noto che mergut ai (v. 40) è già una correzione dell'Appel (p. 185). Credo poi che li (v. 42) si riferisca a dretz del v. 40.
 
39. Correggerei volentieri sa parenta in l'aparenta, facendo sogg. dretz. Il verbo non è attestato in provenzale, ma sì bene in ant. francese. Tobler, Prov. au vilain, p. 151: aparanter «als Verwandten behandeln».
 
 
 

NOTA SU QUALCHE PASSO DELLE RESTANTI POESIE DI LANFRANCO CIGALA

La ragione, per cui non compaiono qui tutti i testi del Cigala, è già stata indicata a p. 95 n. 3 di questo volume. Faccio seguire qualche osservazione su alcuni passi di qualche componimento non incluso nel numero delle poesie da me criticamente ricostruite e pubblicate.

Raimon Robin, eu vei qe Deus comenza. Componimento conservato in I (c. 84d), K (c. 78b) e a (p. 398) e edito dal MAHN, Ged., 616 secondo il ms. I. Non si sa sicuramente chi sia questo Raimondo Robino o Rubino, ma è probabile che si tratti di un italiano, anzi di un genovese (cfr. p. 134). Il Cigala gli dice (vv. 17-20):

                             Raimon Robin, en vos no vei guirenza
                             Si no·us metes del tot en la deviza
                             De los Frances com son cil de Proenza,
                             Pois seres sers e per chaut e per biza.

Questo testo è assai duro. Mi fermo su un solo passo, cioè sul v. 4 della str. II: e que tornetz raidelron en camiza. Tutti i mss. hanno raidelron (per errore, il Mahn ha stampato raidelren). Si tratterà di un fallo di un copista, che prese un nu- per rai-, un t per l, un n per r e un u per n, poichè a me par certo che si debba emendare: nud et nou en camiza. La locuzione nud (nut) en camiza è, d'altronde, ben conosciuta, per es. Flamenca² 6130: Ve·us m'aici a vostra guisa — Tota nudeta en camisa. Bernart de Ventadorn: Anar puosc ses vestidura — Nutz en ma camisa (Tant ai). In ant. franc. Fabliaux, IV, 107: E fu toz nuz en sa chemise (KNÖSEL, Das altfranz. Zahlwort, Erlangen, 1884, p. 48). Quanto a nou, si cfr. Peire Raim. de Tolosa: sa gran beutat son gen cors nou e clar (MAHN, Werke, I, 137). Assai frequenti sono le locuzioni nou cors prezan, nou cors gent, ecc.

Lantelm, qui·us onra ni·us acuoill. Testo indirizzato a un giullare chiamato Lantelm. Si legge nel solo ms. H (n. 254), in cui ci è stato tramandato con molte imperfezioni e con parecchi guasti, a sanare le quali e i quali gioveranno, parmi, le osservazioni seguenti: v. 2 ms. saenssa. Corr. scienssa, vv. 9-10: mas entre nos cenom be ioill Da bona semenza. Quel cenom non dà senso. Correggo: cern om, cioè: «tra noi, si distingue bene il loglio dalla semente buona» che è quanto dire: «siamo abituati a distinguere il male dal bene, il buono dal cattivo». V. 11 las. Si corregga: la (Per qe la meton ssai en moill), riferendosi questo la a semenza. V. 12 qar son. Corr. qan es. V. 13 Mas fort faillon Breissan part oill. Il LEVY, Suppl. Wb., IV, 183 pone dei puntolini al posto di part oill, citando questo passo. Credo che si tratti di Oill, cioè del fiume Oglio. I Bresciani rispetto ai Genovesi sono infatti part Oill, «al di là dell'Oglio». V. 29 cusdar. Emenderei in cuidar e correggerei così i vv. 25-32:

                        E ges no·s taing
                        Dir aur d'estaing
                        Ni taing donar
                             Ni far
                             Cuidar
                             [Ioglar]
                   Uei mais qe·l tegnon car,
                   Car es [d'avol] tenensa.

Il poeta allude sempre a Lantelm, a cui dice il fatto suo. Il ms., anzi che Uei mais qe·l ha uei qes. Propongo l'emendamento con assai esitazione. Vv. 42-43: Qar vos laisset qes de Cardoil L'enoi per tenenza. In questo qes, sia che lo si accetti tale quale, sia che lo si corregga in Qeus o Qeis o anche Qei, avremo «Keu», il famoso Keu, della cui indole fastidiosa parlano i romanzi cavallereschi. Keu lasciò dunque in eredità a Lantelm il «fastidio», la «noia». V. 54 ab qe dartimalec. Corr. forse aja d'Artimalec e si compari Marcabru (ediz. Dejeanne, p. 101): Del vostre bec, — N' Artimalec, — No is jauzira ja crestians. Suchier (Jahrb., XIV, 150) pensa ad Abimelech della Bibbia. Vedasi, per questo componimento: BERTONI, Due note provenzali (estr. dagli Studi mediev., vol. III), p. 31.

Ges eu no vei com hom guidar si deia. Mss.: I, c. 94a; K, c. 77d; a, p. 396; F, p. 147; Dc, c. 259a (vv. 41-50). Ediz. RAYNOUARD, Lex., I, 476; MAHN, Werke, III, 126; STENGEL, Prov. Blumenlese der Chigiana, 52; TEULIÉ-ROSSI, Anth. de Ferr., p. 60, n. 190.

5 sgg. de tan pauc non es om offendenz — Si tot o fai desapensadamenz — Que non sia malvolgutz e blasmatz ecc. Il poeta vuol dire, in questa prima strofa, che per quanto poco alcuno offenda o nuoccia ad altri, anche se ciò fa senza cattiva intenzione, ne ottiene sempre biasimo. Ora, come mai non ottiene altrettanta lode colui che giova ad altri? Perchè mai il bene non procura gratitudine in misura uguale a quel torto che è procurato dal male? Ciò, dice il Cigala, è un giuoco disuguale, è una partita impegnata a condizioni impari. Ond'egli non vede com hom guidar si deia!

Mi limiterò a riprodurre, criticamente ricostruita, la strofa III (vv. 21-30) di questo componimento dedicato a flagellare i torti e le falsità del mondo:

                   Dieus fon traitz, per que no·s taing q'om creia
                   Semblan ni ris ni salut de trachor,
                   Car denan ri e mostra far honor
                   E pois detras poing l'amic e·l guerreia;
          5       Non pot esser plus mortais faillimenz;
                   Qar de Juda qui si pendet als venz
                   Sabem per cert qe no·il fon perdonatz;
                   Mas ieu sivals meillor coven lur fatz:
                   Sol pendan si li fals qe trait m'an,
          10     Qu'ieu lur perdon mon enueg per lor dan.

[Varianti: 1 Deus F. 2 mais en salutz ni en ris de trachor F. 3 deuan a; ri in a ricavato da ti; e sul rigo in a. 5 e non es tan mortais nultz faillimenz F. 6 quadonc (qadonc a) Judas qui (qi Ka) sen p. IKa. 7 sap hora (hora sottolineato in a dal correttore del ms.) IKa; fon] son a. 8 eu F; lor F. 9 si se pendon li f. qui F; pendan in a con -an corr. su -am; trait ricavato in a da uan. 10 que I; eu lor p. m. enoi F; son dan IKa].

È da notarsi, al v. 6, l'allusione a Giuda «qui si pendet als venz». Anche nel serventese Honratz es hom (edito dal KOLSEN, Archiv, CXXIX, p. 467 e vedasi questo vol. a p. 13, n. 1), che il Kolsen non sarebbe alieno dall'attribuire al Cigala, si legge (v. 45) che Giuda al ven se·n annet pendre. Aggiungasi che Sail d'Escola nel componimento Gran esfortz fai (CHABANEAU, in Rev. d. lang. rom., S. III, T. XI, p. 218) scrive: E [car chanti d'am]or d'amia morta — Menhs ai de sen — Que non ac selh que culhic la redorta — Don fo pendutz al ven. Chabaneau pensava che vi si contenesse un'allusione a un romanzo perduto. Chissà che il poeta non alluda unicamente alla morte di Giuda? Ev. di Matteo, XXVII, 5: «Et proiectis argenteis in templo, recessit, et abiens laqueo se suspendit».

 

 

 

 

 

 

 

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