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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

282,023- Lanfranc Cigala

Se il «Coms proensals» (v. 51) è veramente, come pare, Raimondo Berengario IV, (Lewent, Das altprov. Kreuzlied, p. 356), il componimento deve essere stato composto prima dell'Agosto del 1245 (morte di Raimondo) e dopo il settembre 1244 (quando si seppe essere caduta Gerusalemme, cfr. str. II). Dato (ciò che è meno probabile) che il «conte provenzale» sia Carlo d'Angiò, succeduto a Raimondo Berengario in grazia del suo matrimonio con la figlia di Raimondo (1246), il limite «ad quem» potrebbe essere spostato di alcuni anni, senza però oltrepassare il 1248 (crociata di Luigi IX, cfr. str. IV). Cfr. Schultz-Gora, Zeitschr., VII, 218; Ein Sirv. v. G. Figueira, p. 37; Lewent, op. cit., p. 355.
 
4. er di C mi pare preferibile a ieu (IKa), che abbiamo già nel v. precedente. Cfr. anche avia (v. 3). Si ha, dunque, contrasto fra la disposizione passata e presente nel poeta.
 
5. iratz. Ha qui piuttosto il senso di «afflitto».
 
14. Il Raynouard e il Mahn hanno: c’om vis jos de patz, che non significa nulla. La correzione è già del Lewent, Op. cit., p. 439.
 
15. la guerra dels dos granz coronatz. Allusione al papa Innocenzo IV e all'imperatore Federico II e ai loro gravi dissapori. Si sa che il papa, nel concilio di Lione, ai 17 luglio 1245, dopo aver dichiarato eretico Federico II, malgrado la difesa di Taddeo da Sessa, lo scomunicò. Non è improbabile che intorno a questo tempo sia stato scritto il componimento del Cigala. Anche gli elogi, che egli fa di Raimondo (vv. 51-56), si lasciano bene spiegare, se accettiamo come data il 1245, quando ormai Raimondo aveva dato prove della sua abilità come principe, mentre Carlo d'Angiò ebbe da principio gravi ostilità e difficoltà da superare, sì che l'elogio incondizionato del trovatore italiano avrebbe trovato in molti parecchia prevenzione e diffidenza. Naturalmente, questo non è che un argomento congetturale, senza nessun valore di prova; ma, nella mancanza di dati incontrovertibili per fissare, con maggiore determinatezza, la cronologia del testo, esso può essere esposto in queste poche linee di commento.
 
20. lo meillor. Ci si aspetterebbe meillur, poichè in meillurar l'u è ben fisso anche nella tonica come si desume dalle rime, da Uc Faidit e da Raimon Vidal (ha cercato di spiegarlo il Tobler, Ein Lied Bern. v. Ventadorn, in Sitzungsberichte dell'Acc. di Prussia, 1885, II, 945 per analogia). Che vi si tratti di un italianismo, forse dei copisti di I e K? Il ms. a ha bene ú. Vedansi le varianti, v. 20.
 
28. corp de Sardegna. La lezione che a me pare fra tutte migliore è corp. I codd. IK hanno cerp. Il Raynouard e il Mahn hanno stampato cerf «cervi».
 
29. Notisi la locuzione a pro de. Qui pro è usato avverbialmente. Attributivamente, invece, in Folq. de Mars. XXIII, 22: pro companhos.
 
31. Reis frances. Luigi IX. Risulta chiaramente dai vv. 31-35 che il testo fu scritto prima della crociata della primavera del 1248.
 
35. perdutz es lo dos q'es trop tarzatz. Proverbio ben noto. Cnyrim, Sprichwörter, p. 30.
 
36. Il Re inglese è Enrico III (1216-1276).
 
37. Rei Richart. Allusione a Riccardo Cuor di Leone e al suo viaggio in Terra Santa (3.ª crociata). Riccardo fu cantato da Giraut de Bornelh. Cfr. A. Kolsen, Die beiden Kreuzlieder des Trobadors Guiraut v. Bornelh, in Festschrift Adolf Tobler zum siebzigsten Geburtstage dargebracht von der «Gesellschaft f. d. Studium der neueren Sprachen», Braunschweig, 1905, p. 208. Bertoni, in Mélanges Chabaneau, p. 821, n. 5.
 
38. ab poder. Ho tradotto «con forze armate».
 
41. lor. Abbiamo qui una specie di pleonasmo, dato il Dels Alamanz del v. 41. E si tratta di un fenomeno sintattico ben noto. Tobler, Verm. Beitr., II, 78.
 
50. dals honors. Notisi da e si veda questo volume, a p. 161, n. 4.
 
51. Coms Proensals. Deve essere Raimondo Berengario IV († 9 Agosto 1245), come si è detto nelle brevi linee d'introduzione a queste note.
 
55. ses biais ... reignatz. Inutile insistere sul senso ben noto di «condursi, comportarsi» che ha qui renhar. Quanto alla locuzione ses biais, rimando al Levy, I, 145. Il senso qui dev'essere «senza stortura».
 
57. del passar. Si sa che con «passar» si alludeva al viaggio al di là del mare, cioè in Terra Santa.
 
58. pro tegna ... d'aitals guerreiadors. Notisi la locuzione pro tener de (Levy, VI, 465: «helfen gegen, schützen vor»). Crois. Alb. 4669: Que ja mais pro no·s tenga del mal. Gloss. «défendre de ou contre».
 
60. Il trovatore vuol dire che al di quà del mare vi sono nemici peggiori dei Turchi.
 
61. Apostoli. È Innocenzo IV, fiero nemico di Federico II.
 
65. Emperaire. È Federico II, al quale il trovatore ricorda, come ammonimento alla pace e al «soccorso», cioè alla difesa del Santo Sepolcro, la morte, la quale è più potente di ogni imperatore (v. 68).
 
 
 

NOTA SU QUALCHE PASSO DELLE RESTANTI POESIE DI LANFRANCO CIGALA

La ragione, per cui non compaiono qui tutti i testi del Cigala, è già stata indicata a p. 95 n. 3 di questo volume. Faccio seguire qualche osservazione su alcuni passi di qualche componimento non incluso nel numero delle poesie da me criticamente ricostruite e pubblicate.

Raimon Robin, eu vei qe Deus comenza. Componimento conservato in I (c. 84d), K (c. 78b) e a (p. 398) e edito dal MAHN, Ged., 616 secondo il ms. I. Non si sa sicuramente chi sia questo Raimondo Robino o Rubino, ma è probabile che si tratti di un italiano, anzi di un genovese (cfr. p. 134). Il Cigala gli dice (vv. 17-20):

                             Raimon Robin, en vos no vei guirenza
                             Si no·us metes del tot en la deviza
                             De los Frances com son cil de Proenza,
                             Pois seres sers e per chaut e per biza.

Questo testo è assai duro. Mi fermo su un solo passo, cioè sul v. 4 della str. II: e que tornetz raidelron en camiza. Tutti i mss. hanno raidelron (per errore, il Mahn ha stampato raidelren). Si tratterà di un fallo di un copista, che prese un nu- per rai-, un t per l, un n per r e un u per n, poichè a me par certo che si debba emendare: nud et nou en camiza. La locuzione nud (nut) en camiza è, d'altronde, ben conosciuta, per es. Flamenca² 6130: Ve·us m'aici a vostra guisa — Tota nudeta en camisa. Bernart de Ventadorn: Anar puosc ses vestidura — Nutz en ma camisa (Tant ai). In ant. franc. Fabliaux, IV, 107: E fu toz nuz en sa chemise (KNÖSEL, Das altfranz. Zahlwort, Erlangen, 1884, p. 48). Quanto a nou, si cfr. Peire Raim. de Tolosa: sa gran beutat son gen cors nou e clar (MAHN, Werke, I, 137). Assai frequenti sono le locuzioni nou cors prezan, nou cors gent, ecc.

Lantelm, qui·us onra ni·us acuoill. Testo indirizzato a un giullare chiamato Lantelm. Si legge nel solo ms. H (n. 254), in cui ci è stato tramandato con molte imperfezioni e con parecchi guasti, a sanare le quali e i quali gioveranno, parmi, le osservazioni seguenti: v. 2 ms. saenssa. Corr. scienssa, vv. 9-10: mas entre nos cenom be ioill Da bona semenza. Quel cenom non dà senso. Correggo: cern om, cioè: «tra noi, si distingue bene il loglio dalla semente buona» che è quanto dire: «siamo abituati a distinguere il male dal bene, il buono dal cattivo». V. 11 las. Si corregga: la (Per qe la meton ssai en moill), riferendosi questo la a semenza. V. 12 qar son. Corr. qan es. V. 13 Mas fort faillon Breissan part oill. Il LEVY, Suppl. Wb., IV, 183 pone dei puntolini al posto di part oill, citando questo passo. Credo che si tratti di Oill, cioè del fiume Oglio. I Bresciani rispetto ai Genovesi sono infatti part Oill, «al di là dell'Oglio». V. 29 cusdar. Emenderei in cuidar e correggerei così i vv. 25-32:

                        E ges no·s taing
                        Dir aur d'estaing
                        Ni taing donar
                             Ni far
                             Cuidar
                             [Ioglar]
                   Uei mais qe·l tegnon car,
                   Car es [d'avol] tenensa.

Il poeta allude sempre a Lantelm, a cui dice il fatto suo. Il ms., anzi che Uei mais qe·l ha uei qes. Propongo l'emendamento con assai esitazione. Vv. 42-43: Qar vos laisset qes de Cardoil L'enoi per tenenza. In questo qes, sia che lo si accetti tale quale, sia che lo si corregga in Qeus o Qeis o anche Qei, avremo «Keu», il famoso Keu, della cui indole fastidiosa parlano i romanzi cavallereschi. Keu lasciò dunque in eredità a Lantelm il «fastidio», la «noia». V. 54 ab qe dartimalec. Corr. forse aja d'Artimalec e si compari Marcabru (ediz. Dejeanne, p. 101): Del vostre bec, — N' Artimalec, — No is jauzira ja crestians. Suchier (Jahrb., XIV, 150) pensa ad Abimelech della Bibbia. Vedasi, per questo componimento: BERTONI, Due note provenzali (estr. dagli Studi mediev., vol. III), p. 31.

Ges eu no vei com hom guidar si deia. Mss.: I, c. 94a; K, c. 77d; a, p. 396; F, p. 147; Dc, c. 259a (vv. 41-50). Ediz. RAYNOUARD, Lex., I, 476; MAHN, Werke, III, 126; STENGEL, Prov. Blumenlese der Chigiana, 52; TEULIÉ-ROSSI, Anth. de Ferr., p. 60, n. 190.

5 sgg. de tan pauc non es om offendenz — Si tot o fai desapensadamenz — Que non sia malvolgutz e blasmatz ecc. Il poeta vuol dire, in questa prima strofa, che per quanto poco alcuno offenda o nuoccia ad altri, anche se ciò fa senza cattiva intenzione, ne ottiene sempre biasimo. Ora, come mai non ottiene altrettanta lode colui che giova ad altri? Perchè mai il bene non procura gratitudine in misura uguale a quel torto che è procurato dal male? Ciò, dice il Cigala, è un giuoco disuguale, è una partita impegnata a condizioni impari. Ond'egli non vede com hom guidar si deia!

Mi limiterò a riprodurre, criticamente ricostruita, la strofa III (vv. 21-30) di questo componimento dedicato a flagellare i torti e le falsità del mondo:

                   Dieus fon traitz, per que no·s taing q'om creia
                   Semblan ni ris ni salut de trachor,
                   Car denan ri e mostra far honor
                   E pois detras poing l'amic e·l guerreia;
          5       Non pot esser plus mortais faillimenz;
                   Qar de Juda qui si pendet als venz
                   Sabem per cert qe no·il fon perdonatz;
                   Mas ieu sivals meillor coven lur fatz:
                   Sol pendan si li fals qe trait m'an,
          10     Qu'ieu lur perdon mon enueg per lor dan.

[Varianti: 1 Deus F. 2 mais en salutz ni en ris de trachor F. 3 deuan a; ri in a ricavato da ti; e sul rigo in a. 5 e non es tan mortais nultz faillimenz F. 6 quadonc (qadonc a) Judas qui (qi Ka) sen p. IKa. 7 sap hora (hora sottolineato in a dal correttore del ms.) IKa; fon] son a. 8 eu F; lor F. 9 si se pendon li f. qui F; pendan in a con -an corr. su -am; trait ricavato in a da uan. 10 que I; eu lor p. m. enoi F; son dan IKa].

È da notarsi, al v. 6, l'allusione a Giuda «qui si pendet als venz». Anche nel serventese Honratz es hom (edito dal KOLSEN, Archiv, CXXIX, p. 467 e vedasi questo vol. a p. 13, n. 1), che il Kolsen non sarebbe alieno dall'attribuire al Cigala, si legge (v. 45) che Giuda al ven se·n annet pendre. Aggiungasi che Sail d'Escola nel componimento Gran esfortz fai (CHABANEAU, in Rev. d. lang. rom., S. III, T. XI, p. 218) scrive: E [car chanti d'am]or d'amia morta — Menhs ai de sen — Que non ac selh que culhic la redorta — Don fo pendutz al ven. Chabaneau pensava che vi si contenesse un'allusione a un romanzo perduto. Chissà che il poeta non alluda unicamente alla morte di Giuda? Ev. di Matteo, XXVII, 5: «Et proiectis argenteis in templo, recessit, et abiens laqueo se suspendit».

 

 

 

 

 

 

 

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