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Bertoni, Giulio. I trovatori d'Italia. Modena: Editore Cav. Umberto Orlandini, 1915.

282,020- Lanfranc Cigala

Dalla str. III risulta in modo chiaro che il «reis dels Frances» di cui è questione al v. 18, cioè Luigi IX, ha già deciso di accingersi al viaggio di Terra Santa (1244), ma non ha ancora preso la via del mare (1248). Cfr. v. 27: E pas de cors la mar, qe granz ops es. Schultz-Gora, Zeitschr., VII, 218. È lecito anche restringere questi due limiti cronologici, se si nota che, al tempo della composizione della poesia del Cigala, era già scoppiata l'opposizione dei «baroni», pei quali il trovatore italiano ha parole fiere (v. 56 sgg.). Grazie a ciò, il Lewent, Altprov. Kreuzl., p. 357 ritiene, con ragione, parmi, che il componimento sia stato scritto dopo il Novembre 1246, quando i baroni, unendosi, divennero un pericolo per la teocrazia romana e per la nuova spedizione, e prima della primavera del 1248. Da tutta l'intonazione della poesia si ha l'impressione che la partenza di Luigi IX stia per effettuarsi, onde non sarei alieno dal ritenere che il canto sia stato dettato appunto nella prima metà del 1248, allorchè i baroni, sotto le pressioni del papa, cominciavano a cedere e l'idea della crociata ormai stava trionfando. Soltanto negli ultimi d'Agosto del 1248, Luigi IX si imbarcò col grosso dell'esercito a Aigues-mortes, mentre il resto delle sue forze moveva da altri porti, specialmente da Marsiglia. Kugler, Storia delle crociate, (trad. ital. Milano, 1887), p. 469. Tre canzoni francesi si hanno sulla crociata del 1248. Sono state edite di recente dal Bédier, Les chansons de croisade, Paris, 1909, p. 235 sgg.; ma appartengono tutte a un lasso di tempo posteriore a quello, in cui fu composta la poesia del Cigala.
 
2. chantaret «piccolo canto». V. anche al v. 50: chantaretz. G. de Bornelh, Tot soavet, str. I: Tot soavet e del pas — Rien iogan — Vauc un chantaret planan. P. Raim. de Tolosa, Nom posc, vv. 13-14: farai derenan — Un non chantaret prezan.
 
3. del ven. I mss. hanno dal uen. Io ho generalmente mantenuto da per de nei nostri testi (v. 161, n. 4 e cfr., su de, Noulet e Chabaneau, Deux mss. prov., p. 166; Crescini, Man. 2, 117, n. 2); ma in questo caso la correzione in del mi pare permessa. La combinazione di da con l'articolo si verifica in antichi testi delle Basses-Alpes.
 
5. mos sabers. In questo vocabolo saber deve vedersi anche il senso di «arte del rimare» come abbiam detto nella nota al v. 6 del testo n. XXXIII, alla qual nota rimandiamo il lettore.
 
7. qe·il. Veramente ci si aspetterebbe qe lor. Si potrebbe pensare a mutare als avols in al avol (ma si noti il plur. indels gais e dels cortes, v. 8). Siccome però la sconcordanza si spiega o si può spiegare, ammettendo che l'elegante Lanfranco abbia indulto per una volta tanto a un vezzo della sintassi del popolo, così rispettiamo i manoscritti. Del resto, a p. 167 abbiamo parlato di questo passo, e colà abbiamo toccato di una non impossibile, ma improbabile, correzione in ·ls, cioè los per lor, come nel guascone, nel catalano e nel prov. occidentale. Io non credo, come pensa l'Appel, Lieder des Trob. Peire Rogier, p. 77, che nel verso e·l ris torna·ls pueys en plor di P. Rogier si abbia un los per lor. Ritengo che ·ls in torna·ls rappresenti l'accusativo; invece, los sta per lor altri casi, p. es.: con los demonis veeren aquesta anima que·ls era atorgata (Zeitschr., IV, 326) e vos lus diretz (Meyer, Rec., I, 30, 19). Nel Cigala, però, meglio vale prendere ·il come una forma sing. usata per il plurale. Vedasi per tale uso: Chabaneau, Romania, V, 373; Elsner, Personalpron., cit., p. 20.
 
16-17. d’aquels... sos. Vedasi la nota al testo XLII, 41.
 
18. reis dels Frances. Si è già detto che si tratta di Luigi IX.
 
25. zo c'a gent comenzat a cap traia. È un avvertimento che i trovatori amavano dare: non basta cominciar bene, bisogna anche finir bene. Vedasi la nota al testo XXIII, 42.
 
38. puesc' aucir. Il Rochegude (Parn. Occ., cit., p. 159) ha posca ver (in sèguito, credo, a una cattiva lettura di I). Il Lewent, Altprov. Kreuzl., pp. 386, 439 propose di correggere posca ver in posc'aver e tradusse: «Denn in der Welt gibt es kein Wesen, das einen anderen in besserer Lage ertragen könnte als es selbst ist». Lo Schultz-Gora, Literaturblatt 1896, col. 292 propose, invece, ingegnosamente l'emendamento posc'aunir, avvicinandosi al vero. L'ispezione dei mss. dà la buona lezione. Quanto al senso, si veda la nostra traduzione. Il verbo aucir va preso qui, non già nel senso di «uccidere», ma, naturalmente, in quello di «danneggiare». Cfr. Sordello (ediz. De Lollis, XXXIII, 12): aucir domnas per bruit. Levy, Zeitschr., XXII, 257; Petit dictionn. prov.-français, p. 33.
 
 
 

NOTA SU QUALCHE PASSO DELLE RESTANTI POESIE DI LANFRANCO CIGALA

La ragione, per cui non compaiono qui tutti i testi del Cigala, è già stata indicata a p. 95 n. 3 di questo volume. Faccio seguire qualche osservazione su alcuni passi di qualche componimento non incluso nel numero delle poesie da me criticamente ricostruite e pubblicate.

Raimon Robin, eu vei qe Deus comenza. Componimento conservato in I (c. 84d), K (c. 78b) e a (p. 398) e edito dal MAHN, Ged., 616 secondo il ms. I. Non si sa sicuramente chi sia questo Raimondo Robino o Rubino, ma è probabile che si tratti di un italiano, anzi di un genovese (cfr. p. 134). Il Cigala gli dice (vv. 17-20):

                             Raimon Robin, en vos no vei guirenza
                             Si no·us metes del tot en la deviza
                             De los Frances com son cil de Proenza,
                             Pois seres sers e per chaut e per biza.

Questo testo è assai duro. Mi fermo su un solo passo, cioè sul v. 4 della str. II: e que tornetz raidelron en camiza. Tutti i mss. hanno raidelron (per errore, il Mahn ha stampato raidelren). Si tratterà di un fallo di un copista, che prese un nu- per rai-, un t per l, un n per r e un u per n, poichè a me par certo che si debba emendare: nud et nou en camiza. La locuzione nud (nut) en camiza è, d'altronde, ben conosciuta, per es. Flamenca² 6130: Ve·us m'aici a vostra guisa — Tota nudeta en camisa. Bernart de Ventadorn: Anar puosc ses vestidura — Nutz en ma camisa (Tant ai). In ant. franc. Fabliaux, IV, 107: E fu toz nuz en sa chemise (KNÖSEL, Das altfranz. Zahlwort, Erlangen, 1884, p. 48). Quanto a nou, si cfr. Peire Raim. de Tolosa: sa gran beutat son gen cors nou e clar (MAHN, Werke, I, 137). Assai frequenti sono le locuzioni nou cors prezan, nou cors gent, ecc.

Lantelm, qui·us onra ni·us acuoill. Testo indirizzato a un giullare chiamato Lantelm. Si legge nel solo ms. H (n. 254), in cui ci è stato tramandato con molte imperfezioni e con parecchi guasti, a sanare le quali e i quali gioveranno, parmi, le osservazioni seguenti: v. 2 ms. saenssa. Corr. scienssa, vv. 9-10: mas entre nos cenom be ioill Da bona semenza. Quel cenom non dà senso. Correggo: cern om, cioè: «tra noi, si distingue bene il loglio dalla semente buona» che è quanto dire: «siamo abituati a distinguere il male dal bene, il buono dal cattivo». V. 11 las. Si corregga: la (Per qe la meton ssai en moill), riferendosi questo la a semenza. V. 12 qar son. Corr. qan es. V. 13 Mas fort faillon Breissan part oill. Il LEVY, Suppl. Wb., IV, 183 pone dei puntolini al posto di part oill, citando questo passo. Credo che si tratti di Oill, cioè del fiume Oglio. I Bresciani rispetto ai Genovesi sono infatti part Oill, «al di là dell'Oglio». V. 29 cusdar. Emenderei in cuidar e correggerei così i vv. 25-32:

                        E ges no·s taing
                        Dir aur d'estaing
                        Ni taing donar
                             Ni far
                             Cuidar
                             [Ioglar]
                   Uei mais qe·l tegnon car,
                   Car es [d'avol] tenensa.

Il poeta allude sempre a Lantelm, a cui dice il fatto suo. Il ms., anzi che Uei mais qe·l ha uei qes. Propongo l'emendamento con assai esitazione. Vv. 42-43: Qar vos laisset qes de Cardoil L'enoi per tenenza. In questo qes, sia che lo si accetti tale quale, sia che lo si corregga in Qeus o Qeis o anche Qei, avremo «Keu», il famoso Keu, della cui indole fastidiosa parlano i romanzi cavallereschi. Keu lasciò dunque in eredità a Lantelm il «fastidio», la «noia». V. 54 ab qe dartimalec. Corr. forse aja d'Artimalec e si compari Marcabru (ediz. Dejeanne, p. 101): Del vostre bec, — N' Artimalec, — No is jauzira ja crestians. Suchier (Jahrb., XIV, 150) pensa ad Abimelech della Bibbia. Vedasi, per questo componimento: BERTONI, Due note provenzali (estr. dagli Studi mediev., vol. III), p. 31.

Ges eu no vei com hom guidar si deia. Mss.: I, c. 94a; K, c. 77d; a, p. 396; F, p. 147; Dc, c. 259a (vv. 41-50). Ediz. RAYNOUARD, Lex., I, 476; MAHN, Werke, III, 126; STENGEL, Prov. Blumenlese der Chigiana, 52; TEULIÉ-ROSSI, Anth. de Ferr., p. 60, n. 190.

5 sgg. de tan pauc non es om offendenz — Si tot o fai desapensadamenz — Que non sia malvolgutz e blasmatz ecc. Il poeta vuol dire, in questa prima strofa, che per quanto poco alcuno offenda o nuoccia ad altri, anche se ciò fa senza cattiva intenzione, ne ottiene sempre biasimo. Ora, come mai non ottiene altrettanta lode colui che giova ad altri? Perchè mai il bene non procura gratitudine in misura uguale a quel torto che è procurato dal male? Ciò, dice il Cigala, è un giuoco disuguale, è una partita impegnata a condizioni impari. Ond'egli non vede com hom guidar si deia!

Mi limiterò a riprodurre, criticamente ricostruita, la strofa III (vv. 21-30) di questo componimento dedicato a flagellare i torti e le falsità del mondo:

                   Dieus fon traitz, per que no·s taing q'om creia
                   Semblan ni ris ni salut de trachor,
                   Car denan ri e mostra far honor
                   E pois detras poing l'amic e·l guerreia;
          5       Non pot esser plus mortais faillimenz;
                   Qar de Juda qui si pendet als venz
                   Sabem per cert qe no·il fon perdonatz;
                   Mas ieu sivals meillor coven lur fatz:
                   Sol pendan si li fals qe trait m'an,
          10     Qu'ieu lur perdon mon enueg per lor dan.

[Varianti: 1 Deus F. 2 mais en salutz ni en ris de trachor F. 3 deuan a; ri in a ricavato da ti; e sul rigo in a. 5 e non es tan mortais nultz faillimenz F. 6 quadonc (qadonc a) Judas qui (qi Ka) sen p. IKa. 7 sap hora (hora sottolineato in a dal correttore del ms.) IKa; fon] son a. 8 eu F; lor F. 9 si se pendon li f. qui F; pendan in a con -an corr. su -am; trait ricavato in a da uan. 10 que I; eu lor p. m. enoi F; son dan IKa].

È da notarsi, al v. 6, l'allusione a Giuda «qui si pendet als venz». Anche nel serventese Honratz es hom (edito dal KOLSEN, Archiv, CXXIX, p. 467 e vedasi questo vol. a p. 13, n. 1), che il Kolsen non sarebbe alieno dall'attribuire al Cigala, si legge (v. 45) che Giuda al ven se·n annet pendre. Aggiungasi che Sail d'Escola nel componimento Gran esfortz fai (CHABANEAU, in Rev. d. lang. rom., S. III, T. XI, p. 218) scrive: E [car chanti d'am]or d'amia morta — Menhs ai de sen — Que non ac selh que culhic la redorta — Don fo pendutz al ven. Chabaneau pensava che vi si contenesse un'allusione a un romanzo perduto. Chissà che il poeta non alluda unicamente alla morte di Giuda? Ev. di Matteo, XXVII, 5: «Et proiectis argenteis in templo, recessit, et abiens laqueo se suspendit».

 

 

 

 

 

 

 

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