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Gambino, Francesca. Canzoni anonime di trovatori e "trobairitz". Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2003.

461,008a- Anonyme

Trascritta da una mano posteriore in una carta lasciata bianca tra il corpus di Peire Cardenal e quello di Bertran de Born, Axi com cell è sfuggita a lungo all'attenzione degli studiosi certo per il fatto che il suo incipit non risulta evidenziato dal capolettera filigranato che di solito in M segnala l'inizio di un nuovo testo. A mimetizzare l'interpolazione ha poi contribuito non solo l'anonimato e la forma metrica decasillabica del testo che precede la canzone, Totz le mons es vestitz et abrazatz di Peire Cardenal 335, 62, ma lo stesso copista si è visibilmente sforzato di imitare il modulo della scrittura del resto del codice, opera di una sola mano operante a Napoli tra il XIII e il XIV sec. (1)
La canzone non risulta in effetti registrata né nell'indice del manoscritto contenuto nel codice della biblioteca Vaticana 3205, copia di M, né nella descrizione dello stesso curata da Grüzmacher (2). Nessuna sorpresa suscita quindi l'assenza di An 461, 8a in Bartsch 1872. Sembra che sia stato Klein 1887, pp. 23-24 a notarne per primo l'esistenza e a darne un'edizione diplomatica alquanto scorretta.
Axi com cell andrà comunque esclusa dal corpus trobadorico, perché, più che al XIV sec., il componimento sembra appartenere al secolo successivo (3). Una volta scartate eventuali ragioni paleografiche falsate dal tentativo dell'interpolatore di imitare con intento antichizzante la piccola gotica regolare del manoscritto, a posticipare la data di composizione concorrono da un lato le ragioni storiche menzionate da Zufferey, secondo il quale il testo sarebbe addirittura posteriore al 1442 (anno in cui il regno di Napoli passa dagli Angioini agli Aragonesi), dall'altro ragioni linguistiche e stilistiche.
La lingua, a base provenzale ma intrisa di catalanismi, appare vicina a quella, a base catalana con numerosi provenzalismi, caratteristica di Ramon Llull o degli autori di poesia profana del XIV sec. e dei primi decenni del XV (Jacme, Pere March, Gilabert de Proscita, Andreu Febrer ecc.) (4). Allo stesso periodo riconducono sia la retorica un po' greve, sia le immagini manieristiche e barocche (i particolari del naufragio, la donna invocata al capezzale dell'innamorato; il poeta che arriva persino ad auspicare la morte dell'amata).
A questo proposito è degna di rilievo la circostanza che nel XV sec., sotto la dominazione aragonese, il manoscritto M era a Napoli nelle mani di un poeta di origine catalana, Benedetto Gareth detto il Cariteo (morto nel 1514). Come ho appena ricordato, all'inizio del XV sec. in Catalogna la lirica e la lingua provenzale costituivano la norma. Catalani erano stati alcuni famosi trovatori antichi (Guilhem de Berguedan, Guilhem de Cabestanh, Huguet de Metaplana, Ramon Vidal de Besalù, Cerverí de Girona, Jaume II), e ancora agli albori del Quattrocento Andreu Febrer scriveva le sue poesie in lingua "limosina" (pur con alcuni catalanismi e una sintassi ormai catalana), mentre Jordi de Sant Jordi, le cui composizioni si situano tra il 1416 e il 1424, operava una singolare mescolanza di occitano e catalano. Il Cariteo apparteneva quindi a una tradizione letteraria abituata da sempre ad usare un altro idioma per l'espressione lirica. Il fatto che, venendo in Italia, egli abbia scelto la "novità" rappresentata da Petrarca e dai petrarchisti, sostituendo al provenzale l'italiano, per lui una lingua di "laboratorio", una lingua "artificiale" frutto di studio e di cultura (5), non esclude che, una volta entrato in possesso di M, egli possa essere stato tentato di fare un esperimento poetico "a tavolino" anche con la lingua dei trovatori, di cui per formazione culturale ne aveva certo una qualche conoscenza (6).
Se non proprio l'autore, il Cariteo potrebbe comunque essere il trascrittore di Axi com cell, anche se un'eventuale perizia paleografica con alcuni componimenti autografi sarebbe con ogni probabilità poco produttiva, vista la diversità delle scritture e del ductus (7).
Secondo Lamur 1987 l'analogia tra i primi 8 versi di An 461, 8a e una cobla d'Ausias March rappresenterebbe un indizio della diffusione della canzone anonima in zona catalana: "Axí com cell   qui·s veu prop de la mort, | corrent mal temps,    perillant en la mar, | e veu lo lloch   on se pot restaurar | e no hy ateny    per sa malvada sort, | ne pren a me,    qui vaig afanys passant, | e veig a vós   bastant mos mals delir. | Desesperat   de mos desigs complir, | iré pel món    vostr'ergull recitant" (8). Mi pare tuttavia che la relazione tra i due componimenti si limiti alla presenza di una stessa temperie culturale (in Ausias March sono inoltre molto frequenti analoghe movenze incipitali: cfr. Axí com cell    qui desija vianda, Axi com cell   qui·n lo somni·s delita, Axí com cell    qui·s parteix de sa terra). Quanto alla metafora del naufragio d'amore, essa era naturalmente topica anche tra i trovatori (cfr. nota al v. 2).
 
La canzone esordisce con axi, il primo di una lunga serie di tratti catalani disseminati in tutto il testo. La -x- rappresenta la palatale fricativa sorda in parole nelle quali in provenzale troveremmo -is- o /š/ (axi 4, 15, puxa 18, laxats 26; inoltre pux 8), mentre l'occlusiva velare sorda in posizione finale è resa con -ch (loch 8, pauch 12, donchs 13, ladonchs 21) (9).
La confusione grafica tra -e e -a atone (l'unica vocale finale atona  nei parossitoni a non cadere) è un fenomeno che compare frequentemente in catalano antico (10): pelatia 2, sobra 5; forse un ipercorrettismobunde 13, quando non una semplice svista: rimane comunque l'unica correzione necessaria per ragioni metriche.
Tra le vocali, o aperta davanti palatale non si dittonga, ma si chiude in u (hulls 18, puxa 18; conservata in loch 8) (11). A livello di consonanti, un catalanismo sarà il passaggio /-dr-/ latino a /-wr-/ (creuray 17, 25, veuray 20), nonché la mancanza di vocalizzazione della -l- in altra 16.
Quanto alla morfologia, si notino le forme mon cors 6 (a. prov. mos cors), vaig 5 e venits 21. A nau manca la -s del caso soggetto. Dal momento che questo errore di flessione è tutt'altro che episodico (nau 3, gran 11, cort 32; e per i participi: mort 3, perillat 5, nafrat 15) e che l'ipercorrettismo corrispondente risulta in un caso assicurato dalla rima (enderrocatz 12; e cfr. inoltre laxats 26) è ragionevole far risalire tali incertezze linguistiche all'autore. Pare quindi inopportuno aggiungere sistematicamente la -s mancante come in Lamur 1987, pp. 22-23, tanto più che in alcuni casi le inserzioni non servono a soddisfare del tutto le regole della grammatica: ai vv. 11-12, ad esempio, non basterebbe aggiungere la -s a gran, ma bisognerebbe correggere, contro le esigenze di rima, totz lo mons e enderrocat. Gli errori non stonano del resto con i numerosi tratti catalani che traspaiono ovunque: mi è parso dunque inutile aspirare a normalizzare un testo che da un punto di vista della grammatica provenzale non doveva essere corretto neppure nell'originale.
 
1. perilats: il verbo è connesso con il mare e la navigazione, per cui cfr. SW 1910, VI, pp. 253-54, n. 4 e 3.
 
2. nau, pelatia: sulla metafora nautico-erotica e sul motivo del naufragio nelle diverse letterature, cfr. Andrea Pulega, Da Argo alla nave d'amore: contributo alla storia di una metafora, Bergamo, La Nuova Italia, 1989, e in particolare le pp. 69-100 dedicate alla letteratura provenzale; cfr. poi la nota di Asperti 1990, p. 241, con altra bibliografia e ulteriori riscontri. Tra tutti cfr. "Atressi co·l perilhans | que sus en l'aigua balansa, | que non a conort de vida, | tan suefre greu escharida | que paors li toll membransa, | e pueis quan ven a bon port | per astre o per secors: | tot aitals astres m'a sors | per qu'ieu ai assaz razo | de far novella chanso" PVid 364, 6, 1-10; "Quon hom e mar, quan se sent perilhar | que dins son cor sospir'e dels huelhs plora, | e contra·l ven no pot nulh gienh trobar, | ni no·l ten pro si be·s gieta l'ancora, | ni nulh<s> conort<z> no·l pot atrair'en lai, | ans pregua Dieu que·l giet d'aquel esmai, | que·l grans tempiers fa ja la nau ferir | et a paor de si meteis perir. | Dompna, merces vuelh, si·us platz, merceiar, | qu'autre conort no crei qu'ieu n'ai'ad ora" RmJord 404, 3, 25-34; "Enaissi cum la naus en mar, | destrecha d'ondas e de vens, | que s'i sent tan fort perillar | que selhs de dins an grans turmens, | ... | enaissi·m sent yeu perillar" PnOrt 379, 1, 1-8 ecc. Nella canzone Aitan ses plus viu hom quan viu jauzens di Sordello torna anche il gioco linguistico mar-amar (vv. 9-15): "E puys guida·l ferm'estela luzens | las naus que van perillan per la mar, | ben degra mi cil, qi·l sembla, guidar, | qu'en la mar suy per lieys profondamens | tant esvaratz destreitz et esbaitz, | qe·i serai mortz ans que·n hiesc'e peritz, | si no·m secor, quar non truep a l'yssida | riba ni port, gua ni pont, ni guerida" Sord 437, 2, vv. 17-24; il topos nautico-amoroso è inoltre utilizzato in "c'atressi·m ten en balansa | com la naus en l'onda. | Del mal pes que·m desenansa, | no sai on m'esconda" BnVent 70, 44, 38-42, con ai vv. 53, 55 la rima domna jauzionda : me fonda (per cui cfr. qui i vv. 29-30).
preyon: anche questa grafia riconduce all'area catalana: cfr. "Potz ampl' e fer, neyr e preyon veyra" Cerv 434, 15, 29 e il planch anonimo di tradizione estravagante De gran dolor cruzel ab mortal pena, tràdito dal manoscritto di Barcellona A.C.A., S. Cugat 27 ("tro dins al test, laïns al pus preyon" An 461, 74a, 38, ed. Spaggiari 1977).
 
5. d'amar sobra l'onda: con esplicita paronomasia la mar 1 - amar 5. Il bisticcio è molto frequente e compare ad esempio in "E d'autra part sui plus despers | per sobramar | que naus, can vai torban per mar | destreicha d'ondas e de vens; | aissi·m destreing lo pensamens" GuirBorn 242, 60, vv. 35-39; "non li plassa q'ab se·m men oltra mar | ... | mas fort lo deu nostre segner amar" Sord 437, 18, 2-7; "En la mar major sui d'estiu e d'ivern | e sai tant del amar per c'adreich mi govern" PBrem 330, 6, 1-2 ecc.
 
9. vostros: la forma esiste tanto in prov. che in alcuni dialetti catalani.
 
10. fon: 'fonde, distrugge', in dittologia con art anche in "ab lieis don muor et art e fon" GcFaid 167, 56, 46; "si tot amors me frayn e·m fon e m'art" Cerv 434a, 83, 22.
 
12. enderrocatz: letteralmente 'abbattuto, demolito'. Per la forma, rara rispetto a quelle derivate dal verbo senza il prefisso en- (derrocar), cfr. "mas cazut son del enderroc" Marcabr 293, 12, 48 (ma 71 BnVenzac); "e vei gienhs traire e murs enderrocatz" BnRov 66, 1, 4.
 
13. bunda: da abondar con aferesi di a-, altro fenomeno comune nei mss. di origine catalana, come l'aferesi della e- (cfr. v. 21).
 
14. de vos: si noti  l'enjambement.
confonda: 'uccida'.
 
15. con: la presenza di con 11 induce a rendere con -n il titulus soprascritto 15 e 25.
 
18. hulls: si noti l' h- iniziale pseudo-etimologica.
 
21. sponda: 'bordo del letto', con aferesi della e-, per cui cfr. il v. 13; cfr. inoltre REW 8170, p. 675, it. sponda, a. fr. esponde, prov. esponda, cat. espona.
 
26. e·m: con passaggio di -n a -m davanti a labiale.
 
27. L'ipometria del v. è probabilmente dovuta ad un errore del copista, che omette la e- prostetica di [e]sp(er)its.
 
29. veuray: venray in Lamur 1987, p. 23, che interpreta "je viendrai, le visage joyeux, supplier Dieu qu'il vous envoie là haut, en son royaume".
Per il noto fenomeno di paraipotassi, comune anche in antico occitano, in base al quale, dopo una secondaria, la preposizione e può introdurre la principale, cfr. Jensen 1986, § 990, p. 340. L'ipotetica conferisce qui a e un valore avversativo, "du moins" Zufferey 1991, p. 23.
 
30. suppleiar l'ay: futuro, 'suppleiaray'.
seu: interpreto la forma come un possessivo maschile usato, in modo tendenzialmente indeclinabile, con un sostantivo femminile; in un testo allogeno come questo il fenomeno non sarebbe così peregrino.
fonda: 'locanda, dimora', con accezione catalana: cfr. DECLC 1984, IV, p. 87 s.v. ('establiment públic on es dóna hostage i s'hi serveixen àpats o altre menjar' < arab. FUNDAQ), anche se i primi ess. riportati sono settecenteschi. Fonda nel probabile senso di 'fondaco, magazzino' in Sord 437, 21, 4r ("qe·l baron si sont espres, | entr'els an conprat fonda"), per cui cfr. SW 1902, III, p. 529 n. 2 (ma Asperti 1995 bis, p. 224 traduce 'fionda').
"tremet'a sa fonda" Lamur 1987, p. 24; Zufferey 1991, p. 23 propone invece "que·us tremeta e·us fonda" e traduce "de vous envoyer détruire", ma l'intervento mi sembra troppo invasivo.
 
32. senes vos: senza la donna amata il Paradiso non è completo anche in "al mieu senblan, non seria | lo paradis gent complitz de coindia | senz leis" BonCalvo 101, 12, 32-33.

 

Note
 
(1) Cfr. Lamur 1987, p. 197. ()
 
(2) Cfr. Grüzmacher 1864, pp. 84-97, dove avrebbe dovuto comparire al n. 155, p. 94. ()
 
(3) Cfr. rispettivamente Lamur 1987, p. 226 e Zufferey 1991, p. 232. Sul sistema di rapporti che lega l'Italia meridionale alle terre catalane in quegli anni, cfr. Giuseppe Tavani, L'asse culturale Napoli-Barcellona fra Tre e Quattrocento, in "Annali dell'Istituto Universitario Orientale", Sezione romanza, XXX (1988), pp. 105-116. ()
 
(4) Per una panoramica sulla situazione linguistica dei lirici catalani fino ad Ausiàs March, cfr. Martín de Riquer in Andreu Febrer, Poesies, a c. de M. de R., Barcelona, Editorial Barcino, 1951, pp. 140-60. ()
 
(5) A proposito, cfr. il bel volume di Beatrice Barbiellini Amidei, Alla luna. Saggio sulla poesia del Cariteo, Firenze, La Nuova Italia, 1999, alla quale si rinvia anche per le notizie che riporto sul codice 'De Marinis'. ()
 
(6) Dal punto di vista stilistico, non ci sono indizi particolarmente stringenti a favore di un'attribuzione (è vero però che ogni codice linguistico utilizzato dal Gareth potrebbe portare con sé una relativa tradizione, anche diversa da quelle di codici linguistici paralleli).
Dal punto di vista tematico, vi è invece qualche vicinanza col son. CV dell'Endimione, Voi, donna, et io per segni manifesti, in cui il poeta, all'inferno, dichiara che la presenza della donna potrebbe trasformare quel luogo in paradiso: "Ch'essendo voi presente a gli occhi miei, | vedrò nel mezzo inferno un Paradiso, | che'n pregio non minor che'l cielo havrei. | Et, si dal vostro sol non son diviso, | non potran darmi pena i spirti rei: | chi mi vuol tormentar, mi chiuda il viso!", vv. 9-14, da confrontare con i vv. 17-32 di Axi com cell. L'immagine del chiudere gli occhi dell'amante è topica, e il sonetto del Cariteo fu a sua volta molto imitato. Ringrazio Beatrice Barbiellini Amidei per avermi gentilmente segnalato questi contatti. ()
 
(7) Non ho potuto consultare il codice 'De Marinis' dell'Endimion a la luna del Cariteo, che contiene la prima testimonianza a noi nota sull'opera del poeta e che ora appartiene ad un collezionista privato: negli spazi bianchi tra gli strambotti e la canzone per Ferrandino ci sono alcuni componimenti scritti indifferentemente in castigliano e in italiano, in una gafia più affrettata e non curata, assai probabilmente una copia autografa, come attesterebbero le didascalie e la ripetizione del verso. ()
 
(8) Ausias March, Obra poética completa, edición, introdución y notas de Rafael Ferreres, 2 voll., Madrid, Clásicos Castalia, 1979, n. LXXXI, p. 402. ()
 
(9) Cfr. Badia 1983, p. 70. ()
 
(10) Cfr. Spaggiari 1977, p. 150; Badia 1983, p. 70. ()
 
(11) Cfr. Badía Margarit 1951, 51, pp. 144-45; Badia 1983, p. 74. ()

 

 

 

 

 

 

 

 

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