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De Bartholomaeis, Vincenzo. Poesie provenzali storiche relative all'Italia. Volume primo con ventiquattro silografie. Roma: Tipografia del Senato, 1931

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080,004- Bertran de Born

3. La poesia è diretta a Corrado di Monferrato, il quale appare qui col titolo italiano di «messere», durante il tempo in cui si difende, in Tiro, dalle armate del Saladino. Non bisogna però intendere alla lettera l’espressione «a Sur» e far coincidere la poesia con uno de’ vari assedi sostenuti dal marchese entro le mura di Tiro. Tiro fu bensì il centro delle sue operazioni, ma queste furono condotte anche al di fuori. Corrado vi era giunto il 13 luglio del 1187, tre giorni dopo la sanguinosa battaglia di Hattîn, nella quale erano caduti prigionieri del sultano il re di Gerusalemme Guido di Lusignano e il padre stesso di Corrado, Guglielmo il Vecchio, oltre a gran numero di cristiani, nel mentre le fortezze si arrendevano l’una dopo l’altra in potere degli infedeli. «Il marchese era un uomo simile a un demonio», scrive IBN AL-ATIR, «pieno di prudenza, di vigilanza e dotato di gran valore. Egli incominciò col fortificare la città, ne fece scavare di bel nuovo i fossati, riparò le mura e accrebbe forza alle sue posizioni» (Recueil des historiens des Croisades, Orient, I, p. 695). Il primo assedio di Tiro fu posto dal Saladino verso la metà di agosto, ma non poté continuarsi che per sette giorni («Tiro septem diebus obsessa», SICCARDO DA CREMONA, col. 604). Il sultano apparve di nuovo il 1° novembre sotto gli spalti della città, ma, respinto dalla parte di terra e battuto in mare, fu costretto a toglier l’assedio nella notte dal 1° al 2 gennaio 1188 e a ridursi in Acri. L’eco della eroica difesa fatta dal marchese di Monferrato di quell’ultimo baluardo cristiano risonò in tutto l’Occidente; conseguenza ne fu che l’urgenza dell’invio de’ soccorsi venne universalmente sentita. Quasi tutti i cronisti occidentali ne parlano. Cade in quest’ epoca la composizione del Planctus de amissione Terrae Sanctae del monaco AIMARO, il quale trovavasi allato a Corrado e fu poscia spacciato da lui in Occidente a predicarvi la nuova Crociata. D’allora in poi le vicende della guerra si svolsero al di là di Tiro. Per tutto ciò che riguarda Corrado, si veda la particolareggiata monografia di TH. ILGEN, Corrado marchese di Monferrato, trad. di G. CERRATO, Casale, Cassone, 1890.

41. «Con altri re»: forse allude alla speranza che alla spedizione si unisca anche il re di Sicilia.

42. l’Arbre Sec] Secondo una leggenda, ricordata dal THOMAS, p. 86 nota, quest’albero esisteva in Ebron dalla creazione del mondo. Si era seccato alla morte di Cristo e doveva rinascere quando un principe cristiano avrebbe scacciato gl’infedeli dalla Terra Santa.

43. Bels Papiols]. Il giullare a cui il trovadore affida il ricapito, o la divulgazione, del suo sirventese.

45. rei] Il trovadore dà a Corrado il titolo di re, ma indebitamente. Corrado si considerava bensì come erede legittimo della corona di Gerusalemme, per essere zio di Baldovino V, morto piccino, figliuolo di Guglielmo Lungaspada (v. n. II) e di Sibilla, ora moglie di Guido di Lusignano. E certo aspirò al regno. Durante la sua permanenza in Tiro compì atti da sovrano; dopa che Guido fu liberato dalla prigionia, contestava a costui i diritti sopra Tiro, usando per lui negli atti l’espressione «quondam rex», e riconoscendolo soltanto come re di Gerusalemme. Un accordo fra’ due fu convenuto durante l’assedio di Acri, posta da entrambi nell’agosto del 1189. Guido riconosceva Corrado signore di Tiro, Sidone e Bairut, a condizione che questi sostenesse con tutte le sue forze l’interesse del Regno e del re. La morte di Sibilla e il successivo suo matrimonio con la sorella di lei Elisabetta (24 nov. 1190), unica erede legittima, dopo l’annullamento di quelle di costei con Umfredo III di Turon, afforzarono i suoi diritti al trono. Ma l’aver proclamato Guido decaduto allontanò da lui la parte de’ cristiani rimasta fedele al marito di Sibilla; onde, poco dopo le nozze, fu costretto a ridursi con la consorte entro le mura di Tiro. Non è esatto l’ILGEN, op. cit. p. 99, quando afferma che Corrado, in quest’epoca, si desse ne’ documenti addirittura il titolo di re e usasse del sigillo reale. L’unica carta che rimane di lui di quest’epoca è un diploma a favore de’ Pisani, a’ quali conferma donazioni precedenti, del 3 gennaio 1191 (v. in G. MÜLLER, Documenti sulle relazioni delle città Toscane coll’Oriente cristiano e co’ Turchi, Firenze, Cellini, 1879, p. 39). Ivi egli si dice: «Corradus, marchionis Montisferrati filius, per Dei gratiam Tyri dominus», così come in atti precedenti. Comunque, agiva da re, e non stupisce che ci fossero, in Occidente, delle persone che lo considerassero come veramente tale, ritenendo estinto, con la morte di Sibilla, ogni diritto in Guido di Lusignano. Tra costoro, si vede, c’era anche B. de B. ciò s’accorda perfettamente con quel che ho detto nella nota al v. 3, che cioè il sirventese non può essere anteriore al principio del 1190. Fu solo dopo l’arrivo di Filippo Augusto e di Riccardo Cuor di Leone in Terrasanta che la controversia venne composta, mediante un arbitrato, il quale, fra le altre cose, stabiliva: restasse la corona a re Guido, ma non di diritto ereditario; dopo la morte di lui dovesse essa appartenere a Corrado o a’ suoi eredi diretti (28 luglio 1191). V. ILGEN, op. cit., p. 164. Bernardo il Tesoriere fa questo ritratto di Corrado di Monferrato (col. 814): «Fuit autem idem marchio Conradus armis strenuus, ingenio et scientia sagacissimus, animo et facto amabilis, cunctis mundanis virtutibus praeditus, in omni consilio supremus, spes blanda suorum, hostium fulmen ignitum, simulator et dissimulator in omni re, omnibus linguis instruitus, respectu cuius facundissimi reputabantur elingues».

 

 

 

 

 

 

 

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