31–40. I fatti a cui allude G. F. son narrati nel modo seguente dal continuatore di Guglielmo da Tiro (HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia diplom. Frider. II, vol. III, p. 480 sg.): «Li Empereres Federic . . . descendi a Limecon [nell’isola di Cipro] . . . et si i fu Jehan d’Ibelin, sires de Baruch et tous les chevaliers de la terre dou Roiaume de Jerusalem . . . Li Empereres fu reçu a Limecon a grant joie et a grant honnour. Il n’ot mie esté gramment en la ville quant il requist a avoir par le droit de l’Empire le baillage dou Roi qui estoit sous aage e de sa terre et les hommages du Roi et de ses homes; et en ce n’ot nul contradit, ains si fu fait ensi comme il l’avoit requis. Quant il ot receü les homages, il retint le Roi en son ostel. Apres ce, vint un jour que il semont tous les chevaliers au mengier o lui, et, quant il orent mengié, li Empereres mist a raison Jehan d’Ibelin, sire de Baruch dou Roiaume de Jerusalem. Il respondi a ce pluisours choses, et tant que a ce vindrent les paroles que il li donna ostages d’estre a droit quant il serait a Acre. Li ostages furent li dui fil Baliam, li ainznez et Hues le tiers». Dopo aver raccontato come l’Imperatore li facesse legare e imprigionare, viene all’accordo, che fu fatto con questi patti: «que l’Empereor auroit pour son baillage dou Roi la terre de Chipre et seroient soues toutes les rentes et cuiteroit les pleges et recevroit l’ommage de Jehan d’Ibelin». E continua: «Lors se parti de Chipre l’Empereres et enmena o lui le roi Jehan d’Ibelin et Gautier le seignour de Cesaire et tout le plus des chevaliers de la terre et mist les chastelains es chastiaus et ses baillis par la terre pour les rentes assambler».
53–6. «Hinc», cioè dal monastero di Santa Giustina, dove era alloggiato, l’Imperatore «ibat aliquando ad venandum, aliquando ad paissandum; ipsum namque plurimum hec et similia solacia delectabant» (ROLANDINI PATAVINI, Chronica, p. 63). È noto come Federico II, amantissimo della caccia, mantenesse, oltre a cani di buona razza, falconi e leopardi addestrati. Una «leopardiera», custodita da schiavi mori, era in Lucera (DE CHERRIER, Storia della lotta de’ Papi e degli Imperatori, II, p. 163 nota). Però, piú che di veri leopardi, si sarà trattato di ghepardi, specie intermedia tra il cane e il leopardo, ora non piú esistente nell’Africa settentrionale, donde li faceva venire l’Imperatore. Ciò mi suggerisce il zoologo prof. A. Chigi. Quanto all’elefante di cui parla G. F., gli era stato regalato dal sultano Alkamil, durante la Crociata (v. RAINAUD, Chroniques arabes, tradotte; in MICHAUD, Biblioth. des Croisades, IV, p. 429) e se lo era riportato egli stesso in Italia. Osserva O. SCHULTZ-GORA (op. cit., p. 29) che sopra quella’bestia potrebbe scriversi addirittura una breve monografia. Essa infatti si faceva ammirare per la sua grandezza, per la sua intelligenza e per la sua domestichezza. Nel 1235 la trasportarono in Alta Italia e la si mostrò in quasi tutte le feste popolari. Fra l’altro, trascinò per le strade di Cremona il carroccio de’ Milanesi, preso a Cortenuova. Gli Annales Parmenses maiores, dopo aver narrata questa battaglia, aggiungono: «Et eo anno elephans venit Parmam» (p. 669). L’elefante morí nel 1248, in Cremona.
71. Manfredi II Lancia, dopo aver partecipato alla campagna del 1237, era stato nominato vicario generale dell’Impero «a Papia superius». Egli non aveva però seguito l’Imperatore nella Marca Trivigiana, e ora, nella primavera del 1239, trovavasi in Piemonte, in attesa degli eventi (vedi C. MERKEL, Manfredi I e Manfredi II Lancia, pp. 70, 76, 83).
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