Notes - Anmerkungen - Notes - Notas - Notes - Note - Nòtas

De Bartholomaeis, Vincenzo. Poesie provenzali storiche relative all'Italia. Volume primo con ventiquattro silografie. Roma: Tipografia del Senato, 1931

[CdT en procés d'incorporació]

217,008- Guillem Figueira

12. Nell’omaggio al monarca G. F. accomuna una «madonna Dia» e un «signor Torello». Non sappiamo nulla dire di madonna Dia. Quanto al signor Torello, lo CHABANEAU (Biogr., p. 383) e il LEVY (p. 96) lo identificano senz’altro con quel «Taurel» che scambiò la tenzone con Falconetto (vedi n. LI). Ma non ci vuol molto per escludere la verisimiglianza di tale identità. A parte la distanza del tempo, che è di circa un quarto di secolo, tra le due composizioni, sta il fatto evidente che colui fu un umile giullaretto, mentre questo di G. F. è un signore. È presso di lui probabilmente che si trova il poeta: certo è per mezzo di lui che spera di far pervenire le sue parole al sovrano (vedi la tornada). F. TORRACA(Studi sulla poesia Ital. nel Duecento, p. 298) richiamò l’attenzione degli studiosi sopra un «dominus Taurellus de Papia», che fu in relazione con Federico II e podestà in vari luoghi. Ma famiglie Torelli c’erano in piú luoghi; per es. a Reggio Emilia, nella Marca Trivigiana (ricordati spesso come avversari degli Estensi) e a Ferrara (v. LITTA, D’Este, e Torelli di Ferrara, tav. I e IV). Celebre Salinguerra, il cui figliuolo Giacomo, detto «Torello» senz’altro, ebbe da Federico II, nel 1245, l’investitura del patrimonio Matildico, già donato da Ottone IV a suo padre, e il titolo di conte di Carpineto (cf. BÖHMER-FICKER, Reg. Imp., n. 2334). Un Torello della stessa famiglia militò nella parte Ghibellina nell’Umbria il 1248 (LITTA, op. cit., tav. VI).

15. «Civitas Gaiete ad mandatum redit Imperatoris et iuramentum fidelitatis sibi prestat et Conrado filio eius. Ad quem Hector de Monte Fuscolo iustitiarius Terre Laboris accedens iussu Imperatoris, doanam instituit in ea, et consulatu privavit eandem». Ciò nel 1233 (RYCCARDI DE S. GERMANO Chron., p. 370; BÖHMER-FICKER, Reg. Imp., V, p. 400).

21–2. Allude forse piú particolarmente all’occupazione del Ducato di Spoleto e della Marca d’Ancona, compiuta ne’ mesi precedenti dall’Imperatore.

23. s’albergaria] Forse intende il Regno, ove Federico era omai rientrato dopo cinque anni di guerre nell’Alta Italia.

27. Con diploma spedito da Ortanova e con un altro spedito da Foggia pochi giorni appresso, l’Imperatore dava disposizioni perché venissero mandati a lui i prigionieri lombardi fatti a Cortenuova, che egli aveva sparpagliati per il Reame, dandoli in custodia a vari baroni (v. BÖHMER-FICKER, Reg. Imp., s. a.). Nel convegno di Barletta (o delle vicinanze, ché non è il caso di prendere troppo alla lettera l’espressione del trovadore) si sarà trattato per l’appunto della restituzione de’ prigionieri, e ciò sarà bene apparso ad alcuni siccome la restituzione da parte de’ Lombardi di «tutti i diritti» della corona imperiale.

29. Il trovadore esagera o è poco esattamente informato. Genova non si è mai sottomessa all’Imperatore, ed è noto l’atteggiamento che di fronte a’ suoi ambasciatori che ne richiesero il giuramento di fedeltà, nel 1238, tenne il Consiglio (AnnIan., III, p. 87). Quanto alla Riviera, ribelle dal 1238, essa, nel 1240, veniva tornando a Genova. «Eodem similiter anno [1240]», scrivono gli Annales Ianuenses, «tota fere Riperia de versus ponentem, que rebellis extiterat comuni Ianue, ad mandata comunis Ianue venit sua propria voluntate, exceptis impiis proditoribus Saonensibus e Albinganensibus qui in sua temeritate et pravitate consistunt» (III, p. 99).

40. «Dum restitutione tractaretur Terre sancte, Dominus Iesus Christus . . . sic ordinavit, quod Soldanus restituit sanctam Iherusalem ipsi Imperatori et Christianis» &c. (RYCCARDI DE S. GERMANO Chron., p. 354). Il trattato fu conchiuso il 18 febbraio 1229 (v. BÖHMER-FICKER, Reg. Imp., s. a.; testo in HUILLARD-BRÉHOLLES, Hist. Diplom., III, p. 86).

41–6. «Et lors s’en ella li Emperes en Chipre [1229, maggio] e fu a Limeçon, et illuec fist le mariage dou Roi [l’undicenne Enrico] et de la fille du marquis de Monferrant qui avoit non Aalis. Et puis livra le Roy et la terre as .V. riches homes Haimeri Barlais et Amaurri de Bessan et Hue de Gybelet et Guillaume de Rivet et Gauvain de Chelichi, et lor dist que il deussent rendre le .x. mile mars a Baliam de Sajete et a Garnier l’Allemant qui estoient demourez en son lieu baillis de la terre de Ierusalem». Ciò perché, sin da quando l’Imperatore soggiornava in Acri, «vindrent de Chipre Haimeri Barlais et quatuor alii, omnes Ibelinorum capitales inimici, liquel parlarent a l’Empereor et firent tant que il achaterent le ballage de lui que il devoit tenir .III. ans [cioé sino all’età maggiore del Re] et l’en otrierent a donner .X.M. mars d’argent » (Continuaz. di Guglielmo da Tiro, in Huillard-Bréholles, Hist. Diplom. Friderici II, vol. III, p. 140 sgg.).

Questi gli attestati di buona fede e di lealtà dati dall’Imperatore in Cipro. Quanto al signor di Beirut, cioé Giovanni Ibelin, che della venuta di Federico II in Oriente aveva da ricordarsi, si veda il male che ne aveva ricevuto, nel commento a’ vv. 31 sgg. del n. CXXXIII. «Cui» non va riferito, forse, precisamente al sire di Beirut, ma, idealmente, a’ baroni favoriti. Siccome i due mss. hanno «sol» (la lezione «sols» è un emendamento del Levy), cosí potrebbe pensarsi a un antico tolc e riferirlo al signor di Beirut, al quale in realtà Federico tolse i beni; ma come è possibile conciliare siffatta espressione con la «gentil cortesia» usata dal «nobile» Imperatore? Del resto, in una poesia cosí fervidamente elogiastica di Federico II non è da attendersi rigorosa esattezza storica, tanto piú trattandosi di apprezzamenti.

49. Berreta] Personaggio ignoto. SALIMBENE (Chron., p. 70) dà notizia di un «Beretta», fratello di Gigliuolo «de Gente», detto anche di «donna Agnese», Parmense, podestà di Reggio nel 1223 «pulcher miles et fortis bellator et validus, qui staturam habuit ita longam quod mulieres et homines mirabantur».

50. Non si saprebbe chiarire l’aneddoto al quale G. F. allude.

51. Il testo è manifestamente guasto: il Levy non è riescito a emendarlo, e io nemmeno. «Darnelh» sarà storpiatura fatta da’ copisti di un nome di luogo: «carguat» non dipende da nessun verbo finito, e, anche aemendarlo «carguet» [caricò], si urta con l’«E» del v. sg.

60. Raimondo VII di Tolosa trovavasi presso Federico II: con lui dobbiam credere si tenesse a contatto G. F., come col suo signore naturale.

61–2. Il senso di queste parole non riesci chiaro al Levy e al Tobler (secondo lo  stesso LEVY, op. cit., p. 98). A mio avviso la «mercanzia» non può essere che quella che il poeta poteva solo smerciare: la poesia, cioè il sirventese stesso.

64. Giuoco di parole analogo a quello di A. de Peguilhan (n. LXIX).

 

 

 

 

 

 

 

Institut d'Estudis Catalans. Carrer del Carme 47. 08001 Barcelona.
Telèfon +34 932 701 620. Fax +34 932 701 180. informacio@iec.cat - Informació legal

UAI