6. P. V. non tien conto del fatto che i Pisani erano in buona grazia con l’imperatore, mentre i Genovesi, delusi della mancata parola di lui di accordare loro dei vantaggi per gli aiuti prestatigli nell’impresa di Sicilia, se ne venivano allontanando, come si vide chiaramente nell’incontro che i loro ambasciatori ebbero a Pavia col «sevus tyrannus dictus imperator» il 30 e 31 di maggio. V. OTTOBONO SCRIBA. p. 59; TOECHE, p. 361, 675. Il trovatore allude alla ripresa delle ostilità fra le due repubbliche, seguita dopo che i Pisani, avendo rotto il patto di alleanza e di pace, avevano fatto occupare da «pirati» e riedificare il castello di Bonifacio, in Corsica, e si erano dati alla guerra di corsa contro i navigli dei loro rivali. «Infinita mala fecerunt civitati nostrae», scrive OTTOBONO «multa enim naves, multos mercatores, infinitam peccuniam per Siciliam, per Romaniam et circumquaque ceperunt et abstulerunt Ianuensibus» (p. 54). Forse, mentre il poeta scriveva, non si era ancora iniziata la reazione genovese, o non glie ne era ancora pervenuta notizia, reazione della quale l’annalista viene a parlare subito dopo.
12. Qualcuno ha scorto in queste parole una imitazione di quelle di Peire de la Caravana (v. p. 37). Ma non c’era bisogno di un modello letterario per dir male della parlata tedesca in un ambiente ostile a’ Tedeschi.
19-22. L’appello che il poeta rivolge a Riccardo Cuor di Leone di venire a far suo il Reame, conquistato col danaro da lui pagato ad Arrigo pel riscatto dalla prigionia, ovvero, chè il passo potrebbe intendersi anche così, a farlo tornare, col suo aiuto, al legittimo erede di Tancredi, cioè al piccolo Guglielmo, potrà bene esser dovuto a un impulso personale del trovadore. È tuttavia assai probabile che un disegno simile egli abbia udito ventilarlo in qualche corte italiana. Sul disegno non potrebbe non avere influito il fatto della parentela del re d’Inghilterra con la dinastia Normanna di Sicilia. Che in Italia si sia pensato a un intervento dell’Inghilterra non c’è traccia presso i cronisti; ma i cronisti sogliono registrare i fatti, non i progetti e le opinioni.
23-4. I versi, riesciti misteriosi all’ANGLADE, p. 117 n., non vogliono dire, all’ingrosso, che questo: fra coloro che Riccardo si troverebbe di aver di fronte, non c’è che il Marchese che valga qualcosa: il resto non vale più di uno straccio.
25. sains Julians]. Anche nella canzone «Tart mi veiran mei amic en Tolzan» (ANGLADE, p. 96), P. V. dice: «Domna, ben aic l’alberc Saint Julian Quan fui ab vos dins vostre ric ostal». San Giuliano Ospitaliere, ossia l’ospitalità stessa.
28. I nomi di luogo furono variamente deformati dai copisti: «Monferatz e Milans» leggono AB, leziune di ripiego secondo che dimostra il fatto che «Milans» è già in rima al v. 17. Tale pure quella di Q: «Trevisans e Forlan», geograficamente assurda. «Lameras e Nirans» ha D; «Lameiras e Milans» C; «Lamieras e Aillans» IK, «Lanieras e Chilans» N, «Laneres et Allian» c.; CRESCINI, Man.3, p. 234 nota. Il TORRACA, P. V. in Italia, p. 229, propose di intendere «Laveirans e Aillans», emendando il «Lamie-» di IK. Il CRESCINI non si pronunzia e preferisce di lasciare in bianco l’emistichio. L’ANGLADE, p. 117, accoglie la proposta del Torraca. Non c’è dubbio che quest’ultima dia la lezione meno inverosimile, in quanto ne risultano i nomi di due località piemontesi: Lavriano (Torino) e Agliano (Alessandria). La accolgo io pure. Nondimeno permane in me il dubbio che anche altri nomi possano celarsi al di sotto di quelle deformazioni, per es., i nomi di «Lanerio», di «Lanzo», di «Merana» e di «Vigliano». Lanerio era un castello di cui si veggono ancora le rovine presso Canelli (Alessandria); gli uomini di Lanerio sono spesso ricordati ne’ document i Astigiani; v. Q. SELLA, Cod. Ast., agl’indici. Ben noto è Lanzo nel Canavese. Merana trovasi sulla Bormida di Spigno (Alessandria) e serba le rovine del castello. Di Vigliani ce nè due: l’uno a un quattro km. da Biella, l’altro a circa otto da Asti. Di quest’ultimo molti documenti si leggono nel Cod. Astensis: v. gl’indici.
38-9. Nella miniatura della c. 43 del codice Bernese del Liber ad honorem Augusti di PIETRO DA EBOLI è figurata la scena della pretesa congiura de’ baroni meridionali. Si vedono raccolti intorno a un tavolo, in atto di giurare sul Vangelo i seguenti personaggi: «Uxor Tancredi, Praesul Salerni, [Niccolò] Margaritus [da Brindisi, il famoso ammiraglio], Rogerius Thortis, comes Riccardus [di Acerra?], comes Rogerius [di Molise?], comes Riccardus de Agellis [Aiello], Eugenius [mastro delle dogane di Salerno], comes Willelmus de Marsico, Johannes frater presulis Salerni, comes Rogerius Avilini, Alexius servus Tancredi». V. l’ediz. SIRAGUSA, dell’Istit. Stor. Ital., tav. XLII. Alla tav. XLIII si vede, in alto, la scena della denuncia, e, in basso quella, che riproduciamo nella vignetta, dei congiurati trascinati davanti all’imperatore.
41. N’Alaçais]. Adelaide di Saluzzo. La tornada è conservata in uno solo degli otto, che però riduconsi a sei, Mss.: e. Il CRESCINI non la ha accolta nel testo, limitandosi a riferirla in nota. Ve l’ha compresa bensì l’ANGLADE, e, a mio credere, con ragione. Che P. V. abbia celebrato la marchesa di Saluzzo, è detto nella biografia provenzale di Rambaldo di Vaqueiras: «Madona Azalais, comtessa de Saluza, sofri P. Vidal per entendedor». Lo CHABANEAU, Biogr., p. 294, non trovava nulla nella biografia provenzale di P. V. nè nelle sue rime che si riferisse a questo episodio. Egli però non conosceva la tornada di e. Noi possiamo ritenerla autentica, anche se l’ultimo verso sia quasi identico al v. 32; tantoppiù che P. V. allude ad Adelaide anche nella canzone «Estat ai gran sazo» che segue. Secondo BENVENUTO DI S. GIORGIO, Cron. del Monferrato, p. 36, Adelaide (o Adelasia, Alaxia), sorella del marchese Bonifazio I del Monferrato, sposò Manfredi II di Saluzzo nel 1182. Si conserva un atto, stipulato nel giugno del detto anno in Chivasso, in cui Manfredi donava, diceva, «Adelasie mee uxori, filie Wilielmi marchionis Montisferrati», a titolo di allodio alcuni suoi diritti; (v. A. TALLONE, Reg. de’ Marchesi di Saluzzo, p. 23). Il LITTA, March. di Sal., tav. III, dà il 1182 per anno del matrimonio. Q. SELLA, negli alberi genealogici da lui ricomposti e alligati al Cod. Ast., I, nn. I, III, non cita la data delle nozze. Il MULETTI, Storia di Saluzzo, II, pp. 96 sgg., sostiene però che Adelasia fosse già moglie di Manfredi II nel 1173, fondandosi sopra un istrumento di questo anno, riferito, in volgare, da GIOFFREDO DELLA CHIESA, Cron., p. 42: ivi Adelaide è ricordata come moglie del marchese. Ma è da osservare che GIOFFREDO non traduce il testo dell’atto del ‘73, ma lo parafrasa. È quindi ovvio pensare che, scrivendo egli: «Corrado, marchese del Monferrato, fratello di sua moglie Alaxia di Monferrato», abbia introdotta di propria testa l’apposizione «fratello» &c., pensando a quello che Corrado (cf. n. VII) divenne più tardi, cioè il cognato di Manfredi. D’altra parte, quelle dell’82 riveste tutti i caratteri di un atto di donazione fatto in contemplazione di matrimonio. Infatti vi si prevede il caso dello scioglimento a cagione di sterilità («si... prolem de te habuero»). Tale clausola sarebbe stata un assurdo, dopo oltre dieci anni di matrimonio! Nel ‘95, quando il trovadore capitò alla corte di Saluzzo, Adelaide, se sposata nell’82, era sulla trentina, ciò che meglio si confà con le lodi alla sua bellezza tributate dal poeta. La marchesa figura in diversi atti notarili, del 1187, del 1192 e degli anni successivi, che v. in MULETTI, op. cit., pp. 109, 112, nel Cod. Diplom. di Saluzzo, s. a. e nel Cartario dell’Abadia di Staffarda, s. a.
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