20. Boç’] La lezione del codice, manifestamente scorrettissima, è dovuta ad ignoranza del copista; e io credo di non errare supponendo che, ai di sotto della lezione «Dolce le pros», si nasconda un nome di persona. Or questo nome non può essere che quello di «Boso», cioè di quel Boso di Dovara col quale Uberto Pelavicino e il marchese Azzo VII d’Este formarono la triade guelfa che sconfisse e catturò Ezelino. I tre nomi ricorrono simultaneamente nelle narrazioni e ne’ do cumenti relativi al memorabile avvenimento. Boso o, come scrivono alcuni, Buoso, è famoso sopratutto per la menzione dantesca del suo tradimento a favore di Carlo d’Angiò (Inf., XXXII, 116). Fu certo uno dei personaggi piú notevoli nella politica del suo tempo. Nel 1247, fu podestà di Reggio e con Enzo tenne Guastalla per due mesi (v. SALIMBENE, Chron., pp. 178, 189). Dal 1249 al 1266, tenne Cremona, sua patria, con Uberto Pelavicino, e ne fu espulso con questo nel 1267. Il piú antico documento relativo a lui, riassunto ne’ Regesta Imperii, è di quest’anno.
Nell’emendamento adotto la forma «Boç» come probabile base della falsa lettura «Dolc»: avrei forse potuto adottare una lezione «Bolç» o «Bouç», che avrebbe meglio spiegato la forma illusoria «Dolc»; ma ho preferito accostarmi alle forme de’ testi latini, che sono «Bosius», «Bosus» e «Boxus».
marqes Palavisis] Uberto Pelavicini, di Peregrino, famoso personaggio politico e guerriero di parte Ghibellina. Podestà di Pavia, vicario imperiale nella Lunigiana, a Pontremoli, nella Versilia e nella Garfagnana, poscia podestà di Reggio e di Cremona, rettore di Piacenza, capitano generale della Lombardia, e infine podestà di Milano, di Piacenza e di Brescia, partecipò a quasi tutte le imprese guerresche della Lombardia e dell’Emilia (v. BÖHMER-FICKER, Regesta Imperii, ind. s. v. ; SALIMBENE, Chron., pp. 178, 334; LITTA, Pallavicino, tav. XIV). Salimbene (p. 376) lo dice «pulcher homo et solatiosus et cantionum inventor». Fu, dunque, anche poeta in volgare, benché nulla rimanga dell’opera sua. Passò alla parte Guelfa, con Boso di Dovara, nella fine del 1258, aderendo alla crociata contro Ezelino, dopo la conquista di Brescia da parte di questo, avvenuta con l’aiuto di lui stesso. Nel breve di Alessandro IV al vescovo di Enbrun, legato pontificio nella Lombardia, in data 13 dicembre 1258, col quale si dava l’assoluzione a coloro che avevano già favorite Ezelino, si legge: «proviso quod si praedicti Palavicinus et Bosius redire velint ad mandatum Ecclesiae reverenter et in eius devotione persistere pura fide, ac societatem seu confoederationem penitus abiurare, quam cum Manfredo quondam principe Tarentino seu quibuscumque aliis Dei et Ecclesiae inimicis damnabiliter inierunt; nec non super iis pro quibus per sedem Apostolicam excomunicationis vinculo sunt astricti, satisfactionem congruam impartivi, tu eis, recepta prius ab ipsis de eis observandis idonea cautione, absolutionis beneficium iuxta formant Ecclesiae largiaris: facturus id ipsum circa Cremonenses et quoscunque alios aut comunitatis etiam Lombardiae seu Marchiae Tarvisinae quoad excomunicationis et interdicti sententias relaxandas ...» (RAYNALDI Ann. Eccles., III, p. 35 sg.; VERCI, Storia degli Ezelini, III, pp. 416–7). Ma durò poco nella grazia della Chiesa, ché, rientrato in Brescia, dopo la vittoria di Cassano, tenne la città in modo da emulare Ezelino, e tornò alla parte di re Manfredi da cui fu nominato suo capitano per la Lombardia. (ROLANDINI Chron. p. 116; Chron. Marchiae Tarvisinae et Lombardiae, p. 39)
21. marqes d’Est] Azzo VII.
25. A due marchesi di nome Federico è dato di pensare nell’identificar quello di cui il trovadore fa l’elogio e a cui manda il suo sirventese. Prima a Federico Malaspina, perché nessun marchese dell’Alta Italia, che abbia avuto una parte di qualche importanza nelle faccende politiche durante il sec. XIII, recava quel nome. E sarebbe con questo Federico che si chiuderebbe la storia de’ rapporti di quella casata illustre co’ trovadori. Federico Malaspina era di fazione Guelfa. Nel 1260, combatteva in Lombardia contro la parte Ghibellina e fu tra coloro che apportarono soccorso a Piacenza, minacciata da Uberto Pelavicini, già scacciato da questa città e ora sforzantesi di rientrarvi. Nello stesso anno, corse in aiuto de’ Guelfi di Firenze e, combattendo a Montaperti, cadde prigioniero, ma non molto dopo tornò in libertà. Morí poco prima del 1266 (v. LITTA, Malaspina, tav. IV). Ben si conviene a lui, come guelfo, la esortazione del trovadore di non fidarsi dei Ghibellini, divenuti Guelfi per l’assoluzione del Papa, e ora tornati nuovamente Ghibellini, qual era, per es., Uberto Pelavicini. L’altro marchese Federico sarebbe Federico Lancia, parente e partigiano di re Manfredi. Lo si trova spesso ricordato nelle memorie del tempo, come strumento del Re e come uomo di guerra. (V. intorno a lui, fra l’altro, Q. SELLA, Cod. Ast., I, p. 91, e BÖHMER-FICKER, Reg. Imp., ind. s. n). |