Notes - Anmerkungen - Notes - Notas - Notes - Note - Nòtas

Radaelli, Anna. Pastorella danzante (BdT 244,8). "«Ab nou cor et ab nou talen» Nouvelles tendances de la recherche médiévale occitane", ed. d'A. Ferrari i S. Romualdi. Modena: Mucchi Editore, 2004, pp. 263-286.

244,008- Guiraut d'Espanha

Nel codice è lasciato uno spazio bianco pari a metà della colonna A con un accapo dopo il punto metrico del primo emistichio, forse da collegare con l’inserzione del punto metrico dopo leuei al v. 3, indizi di un’incertezza del copista nel comprendere la struttura strofico-rimica della lirica. La stessa incapacità si rivela al v. 7, come si vedrà. P. ALLEGRETTI, La pasturella e le foresette di Guido Cavalcanti, in Carmina semper et citharae cordi. Etudes de philologie et de métrique offertes à Aldo Menichetti, Genève 2000, pp. 247-59, nota 11, sulla scorta di «una caratteristica minore della mise-en-pages» della pastorella, prospetta una lacuna testuale per questa e la successiva dansa-balada (Si no·m secor dona gaia, 244,16) in base alla diversa collocazione dello spazio bianco che viene solitamente lasciato nel resto del canzoniere a fianco dell’ultima parola della composizione che precede, a ospitare la rubrica attributiva. Le carte sciolte di E che raccolgono le canzoni da ballo prevedono in effetti questo spazio per sette testi contro tre in cui esso è ridotto al minimo, se si eccettua naturalmente il primo, Si·l dous jois d’amor, dove a fianco della grande incipitaria miniata ci sarebbe teoricamente lo spazio per un’attribuzione, ma dove non si legge neppure l’indicazione per il rubricatore come invece avviene per la successiva sezione delle canzoni di Guiraut d’Espanha. A ciò si aggiunga che, secondo quanto detto in precedenza, questi testi erano lasciati volutamente adespoti. Nei due casi della pastorella e della dansa-balada, questo spazio bianco è visibile dopo il primo emistichio: «La percezione immediata ed erronea di quest’assetto è quella di una lacuna nel testo. Se è mimetismo della disposizione della rubrica nell’antigrafo, ne rimane non meglio precisabile il senso» (ALLEGRETTI, La pastorella cit). A mio avviso per questo e per il caso seguente le incongruenze segnalate sono da imputare alla configurazione metrico-rimica non immediatamente percepibile e, se di lacuna si deve parlare, meglio forse presumerla per ragioni di ordine strutturale interne al testo: l’insolita lunga tirata della pastorella può indurre il sospetto che tra la terza e la quarta cobla ci possa essere stato l’intervento del cavaliere, ristabilendo così l’alternanza di voci nel débat.
Per la presenza di un refrain di tono decisamente cortese preposto a un testo dai toni popolareggianti, cfr. P. ZUMTHOR, Langue et techniques poétiques à l’époque romane (XIe-XIIIe siècles), Paris 1963, pp. 174-77, secondo il quale la funzione principale dei refrains è quella di produrre degli effetti di rottura e contrasto sia di ordine prosodico, ritmico-melodico, che registrale e stilistico; cfr. anche S. JOHNSON, The role of the Refrain in the Pastourelles à refrain, in Literary and Historical Perspectives on the Middle Ages, Morgantown, West Virginia Univ. Press, 1982, pp.78-92. Secondo RIVIÈRE, Pastourelles cit., I, pp. 61-68, le pastorelle, almeno quelle anonime, offrono una proporzione di refrains molto elevata rispetto all’insieme della poesia lirica francese, infatti su 74 pastorelle anonime pubblicate nella sua collezione, cinquanta sono provviste di un refrain.
 
2. Cors Covinen: il senhal non appare altrove tra i testi adespoti di E. Per il significato di covinen, si veda M. PFISTER, Lexikalische Untersuchungen zu Girart de Roussillon, Tübingen 1970, pp. 354-55.
 
5. intrei m’en en un vergier: cfr. la stretta affinità con Riv LXXXI (motet del ms. di Monpellier, GENNRICH 438), 5-8: «par un matin me levai /sorpris d’une amorete /en un vergier m’en entrai /por cueillir violete»; inoltre Riv XXVIIII (RS1275), 1-2: «L’autrier en mai por moi esbanoier /je m’en antrai en un flori vergier»; Riv LXXX (GENNRICH 275), 1-2: «Au doz mois de mai / en un vergier flori m’entrai»; Riv XCIII (GENNRICH 122), 1-3: «Hui main au doz mois de mai /.../en un vergier m’en entrai».
 
6. per cuillir violeta: l’immagine del cavaliere che coglie i fiori è meno comune di quella in cui è la pastorella a farlo, si veda ad esempio la situazione in JoEst (266,7), 4-6: «m’en yssi totz sols delechar, / ez en un pradet culhen flor, / encontrey pastora ses par», per cui S. VATTERONI, Le poesie del trovatore Johan Esteve, Pisa 1986, alla nota al verso, p.63, riporta: «sintatticamente ambiguo, è ovvio però che si debba riferire alla pastora». Ma nel nostro caso sembra piuttosto che cuillir violeta sia immagine metaforica per designare l’incontro sessuale, cfr. Riv LVI (RS1709), 25-28: «s’irons cueillir la violete /et si serons riches d’amors /et si serez plus joliete /que l’aloete au point du jor».
 
7. HOBY, Die Lieder cit., alla nota al verso, avanza l’ipotesi che potrebbe intendersi anche bel de luenh come «bien de loin» e ALLEGRETTI, La pastorella cit., p.256, sottolinea che «la percezione topica lascia trasparire uno stilema rudelliano «m’es bel dous chan d’auzel de lonh», BdT 262,2 v.2».
auzi un chan: per il motivo, usitato in àmbito oitanico, cfr. 461,145, 5-6: «(trobiei pastorela) /que chant e favella /un sonet de Castella», e GuiUss (194,13), 1-2: «L’autre jorn, cost’una via, /anzi cantar un pastor», e GuiUss (194,15), 4-7: «e vi denan me / una pastorella, /ab color fresqu’e novella, /que chantet mout gen».
 
8. Il verso è ipermetro. Appel lascia a testo la lezione del codice ma in apparato suggerisce di eliminare gaia; Riquer, che dichiara di seguire il testo Appel, non accoglie il suggerimento e lascia l’ipermetria a testo; Savj-Lopez e Hoby invece, considerando gaia una zeppa del copista, pensano di regolarizzare la misura del verso espungendo l’attributo, anzi Savj-Lopez propone di leggere al posto di trobei (gaia) pastorela, trobei gaia enfan: «tanto più che un copista potè facilmente scriver quest’ultima parola (così ovvia nella situazione presente) in luogo di un’altra; sarà più prudente attribuire ad alterazioni del testo il disordine della rima», Le rime, p. 406.
In realtà è chiaro che i versi 7 e 8 vanno considerati insieme: come si è visto, il copista pone il punto metrico dopo chan in modo tale che nel codice si legge così: ·(et) auzi un chan bel de luenh gardan trobei gaia pastorela sos anhels guaran·. Evidentemente, volendo stabilire arbitrariamente la rima in -an nel primo emistichio del decenario, il copista inserisce gardan in ‘falsa’ rima equivoca col verso successivo, il quale però viene in questo modo a trovarsi irregolarmente ipermetro tanto che egli non vi inserisce il punto metrico della cesura mediana, come invece fa invece per tutto il testo. Mi sembra dunque che considerare gardan una zeppa aggiuntiva del copista e spostare nel secondo emistichio la congiunzione, possa ristabilire 1) la regolarità metrico-rimica, 2) recuperare l’attributo gaia che, nel contesto della tradizione, mi pare abbia più di una ragione per essere mantenuto. Per quanto riguarda il primo aspetto, si ritrovano le corrispondenze interne (assonanza tonica orizzontale bel : trobei e verticale, ma con atona soprannumeraria, bel : pastorela) che quelle di fine verso, poiché il perfetto trobei nel primo verso del distico finale rimanda al perfetto sonet della quinta strofe, che ha anch’essa cesura epica nell’ultimo decenario e consonanza intema baizet : quarteta del tutto congruente con quella dei vv. 7-8. Aggiungo infine che si restaura in questo modo la serie dei perfetti esordiali in sequenza: «levei ... intrei ... auzi ... e trobei». L’appellativo è invece sia il Leitmotiv delle cosiddette rime della dona gaia, che nella piccola collezione di canzoni da ballo di E sono contigue alla p. 228 (244,16 e 244,4), sia marcatore di genere in alcune pastorelle occitaniche come in GrRiq (248,32), 1-2: «Gaya pastorelha / trobey l’autre dia», GrRiq (248,49), 7-8: «vi gaya bergeira, / bell’e plazenteira, / sos anhels gardan», JoEst (266,6), 10-1: «gaya pastorella /covinent e bella», JoEst (266,5), 8-10: «yeu vi denan, / ab un pastor, gaya pastorella». ,
trobei: verbo tecnico della pastorella, usato dal personaggio maschile per introdurre il tema dell’incontro, cfr. PaMars (319,6), 3: «trobei pastora»; 461,145, vv.1-3: «L’autrier, al quint jorn d’Abril, /trobiei pastorela / a l’onbreta d’un espi».
Per la particolare posizione di pastorela in chiusura del primo emistichio, cfr. Riv LXVI (RS1680), 3: «trouvai pastorele-qui en chantant» e 25 «quant la pastorele-me vit venant» e Richart de Semilli (RS1583, BARTSCH, Romanzen und pastourellen, cit., III, 11), 2: «trouvai pastorele - gardant berbiz» e 31: «ceste pastorele».
anhels guaran: la sola altra attestazione del sintagma, a mia conoscenza, è in JoEst (266,5), 7-10: «En un deves, anhels garan, /yeu vi denan, / ab un pastor, gaya pastorella», è infatti molto più usuale, in contesti simili, l’impiego di guardar: JoEst (266,7), 17-18: «Saludey la - quar a gensor /no cre qu’om vis anhels gardar» ; PaMars (319,6), 3-6: «trobei pastora ab agradiu / cors plazen, ab plazens faisos, / que gardava anhels pres d’un riu / soleta»; GuiUss (194,14), 4-6: «trobey toza benestan, / simpl’e de bella faitura,/ sos anhels guardan»; GrRiq (248,49), 9: «sos anhels gardan»; GrRiq (248,50), 3: «gardan anhels»; GrRiq (248,51), 9: «Toz’, aissi etz vostres anhels gardan». Così pure nella tradizione oitanica è questa la forma più usata: cfr. Riv I (RS974/1967), 3-4 «et trovai en mi mai voie /pastorelle aigniaus guardant»; Riv XIII (RS70), 4-6: «Deleiz un bouxon trovai /pastorelle qui gardoit / aigniauz en pasture / et chantoit a voix quassette»; Riv XIX (RS1694), 3-4 «trovai pastoure aigniaus gardant/ et jolivement chantant»; Riv XXXII (RS1508), 2 «gardoit aignials lonc une fontanelle»; Riv LIX (RS 1257), 3-4: «si truis pastore gente / aigniax gardoit en un vergier»; Riv XCII (RS1045), 5-6: «truis pastourele / ses aignelez gardant». Ciò nonostante si è mantenuto quanto riportato dal codice in rima al v. 8, come fa Appel, mentre tutti gli altri editori preferiscono porre a testo g(u)ardan.
guaran è l’unico rimema terminante per -an al posto di -en di tutti gli altri versi in ultima sede (Covinen : argen : onramen : fromen : ren) tanto che RIQUER, Los trovadores cit., p. 1390, nota al verso, la considera una «rima falsa»: «sin duda se trata de una corrupción del manuscrito»; Savj-Lopez propone payssen e ALLEGRETTI, La pastorella cit., p. 256, segnala la possibile suggestione di JoEst (266,7), 8-9 «mot covinen /anhels seguen». Penso invece che, pur rimanendo viva l’impressione che si tratti comunque di un aggiustamento del copista in seguito all’inserzione impropria di gardan nel verso precedente, nella prospettiva del recupero formale oitanico di cui si è parlato, questa potrebbe essere considerata di un tipo affine a quella che AVALLE, La rima “francese” nella lirica italiana delle origini, in Scritti in onore di Caterina Vassallini, Verona 1974, pp. 29-43, per la lirica italiana, ha identificato come ‘rima francese’: «rima fra a ed e toniche seguite da nasale appoggiata».
 
9. Così com’è tradito, a terminazione femminile -ela, il verso risulta ipermetro: l’allocuzione in primo piano con la trasposizione del verbo a fine di verso, e la forma enclitica del pronome, ne hanno ristabilito la misura, cfr. PaMars (319,6), 8: «pastoreta, Dieus vos sal». Per normalizzare l’assetto sillabico si è fatto ricorso all’inversione anche per il verso 29: «per la blanqua man».
Na pastorela: nell’allocuzione alla pastora il poeta premette la particella onorevole come fosse un nome proprio, un elenco di casi similari è approntato da C. FRANCHI, Le procedure della soggettività nelle pastorelle in lingua occitanica, in «Annali dell’Istituto Universitario Orientale. Sezione romanza», XLII,1 (2000), pp. 71-108:79. In àmbito oitanico, qualcosa di simile si ritrova in Riv LXXVIII (RS1704), 3-4: «trovai en mei ma voie /cortoise pastourelle», e Riv LXIII (RS593), 3-4: «trouvé pastorele / qui n’est pas vilaine».
Il sottile trattino orizzontale sulla l di pastorela mi pare da imputare a volontà normalizzante di una mano posteriore.
 
10. color de rozeta: per esprimere la freschezza dell’incarnato nelle pastorelle d’oïl, cfr. Riv XVIII (RS963), 13: «cleir vis vermillet»; LVII (RS1698A), 4: «la color fresche et vermeille» e, con maggior corrispondenza, Riv XLVI (RS1706), 14 «la color rosine»; Riv XXXIV (RS61), 4-6: «Touse i vi de bel atour /la colorot /frexe com roze en mai» e Jean Bodel (BARTSCH, III 39, RS367), 27-28: «La pastore ot cler le vis / et colour rosee».
 
12. com estaitz soleta: cfr. Riv XII (RS 1991), 31-34: «Belle trop feroie follour / se vos laissoie soule si/il me vantroi a deshonour /mais reteneis moi a amin», e Riv XVII (RS1683), 13-14: «Sachiez mout en ai grant joie / cant si soulette la vi».
 
13. bliaut: forma oitanica, cfr. GODEFROY, I, 662b, sv. bliaut: «sorte de robe commune aux deux sexes. Ce vêtement de dessus avait la forme des blouses que nous voyons aux gens de la campagne; il était brode comme celles-ci au col et aux poignets. Les hommes le portaient par dessus l’armure ou par dessus le pourpoint lorsqu’ils étaient désarmés. Aux femmes il laissait voir le bas des jupes»; cfr. anche T.-L. I,1001-2.
 
14. menudet cordat: cfr. l’affinità, già segnalata da De Robertis, con la ballata XXX di Cavalcanti, Era inpenser d’amor quand’i’trovai, vv. 31-33: «i’ dissi: “E’ mi ricorda che ‘n Tolosa / donna m’apparve, accordellata istretta, / Amor la qual chiamava la Mandetta”», cfr. G. Cavalcanti, Rime, con le rime di Iacopo Cavalcanti, a c. di D. DE ROBERTIS, Torino 1986, p. 116, nota al verso 32.
ab filetz d’argen: per l’argento, prezioso corredo nei doni alle pastorelle, cfr. Riv XII (RS1991), 35-36: «Jualz vos domai ke biaus est,/teixut d’argent que riches est»; Riv XIX (RS1694), 25-27: «Je vos ameroie / belle et si vos donroie / senture ferree d’argent»; Riv XXXbis (RS1376), 6-7: «De son amor li priai doucement /et li promis corroie a cloz d’argent».
 
15. La pastorella risponde alla sorpresa del cavaliere nel trovarla sola oppure alla domanda tradizionale, sottintesa, di fargli compagnia (cfr. Riv LXVIII (RS47), 14-15: «Touse, l’amour requier; /n’as compagnon ni jou compaigne»). Si può così spiegare <m’amor> demandas del v.17 (ma cfr. RIQUER, Los trovadores cit., p. 1391, nota al verso: «demandas no parece adecuado; tal vez habría que enmendar en alguna forma del verbo proferre, ‘ofrecer’»). Sulla risposta sdegnosa della fanciulla cfr. Riv XXX (RS1369), 13-15: «et de s’amor je li priai /Elle respondit sans delai / De vostre amor n’ai je cure»; Riv XLII (RS2101), 34: «Sire je n’ai de vos cure»; Riv XLIII (RS392), 23-24: «Certes, sire, pouc vos valt / kan ke vos aleis querant» e 27 «je n ’ai de vostre amor cure»; Riv LVI (RS1709), 32: «je n ’ai de vos cure».
 
16. auradura: il termine non è attestato, cfr. MISTRAL 1,179a, sv. aura: «prendre l’air [...]; s’élever dans les airs», aura, ado, part. «Eventé, évaporé». Si potrebbe pensare anche a ‘lusinga, blandizie, allettamento ingannevole’, secondo DU CANGE I, 484b sv. aurarii: «Laudatores, vel fautores, vel adulatores: qui auram captant, id est favorem [...] Aurarii quia favoribus splendidos faciunt et claros [...] fautores qui quasi favore inaurant homines».
 
20. far m’aun: futuro analitico con tmesi, cfr. anche v. 26 «dar vos em». La desinenza -aun < *HABUNT, è uno dei tratti caratteristici dei canzonieri E e b, e insieme agli esiti vaun <*VADUNT, faun < *FAGUNT e la forma analogica estaun, ha conosciuto un’ampia estensione per tutto il Medio Evo, cfr. P. MEYER, Les troisièmes personnes du pluriel en provençal, in «Romania», 9 (1880), pp.193-98 e 211; Å. GRAFSTRÖM, Etude sur la morphologie des plus anciennes chartes languedociennes, Stockolm 1959, pp. 106, 118, 121, 124. Sull’origine della desinenza -au(n), cfr. F. ARMITAGE, Au, fau, vau, in «Romania», 9 (1880), pp. 128-29; CL. BRUNEL, Les plus anciennes chartes en langue provençale. Recueil des pièces originales antérieures au XIIIe siècle, Paris 1926, pp. XLI-XLII e Supplement, p. XIV; ZUFFEREY, Recherches linguistiques cit., pp. 184-85.
 
22. Oltre che crida mi pare possibile anche la lettura cuida da cuidier «penser, croie, s’imaginer», GODEFROY 114c, nel senso di ‘preoccuparsi, pensar male’, cfr. cuidance «pensée mal fondée, vaine imagination». Nella tradizione oitanica sono infatti attestati ambedue i motivi: Riv LXX (RS583), 30-33 : «Ele dist: «Biau sire, / vos ne m’avrez mie; /ma mere m’escrie, /ce poez oïr», Thibaut de Champagne (RS342,  ed. A. WALLENSKÖLD, Les chansons de Thibaut de Champagne, Roi de Navarre, Paris, SATF, 1925, LI), 53-57: «Aval les prez regardai / s’oï criant / deus pastors par mi un blé, /qui venoient huiant, /et leverent un grant cri» e Riv LVI (RS1709), 13-17: «Gardez que ne mi faciez mal /car mes peres est en l’aree / ou il esploite son jornal / Certes se il vos veoit ore, / mult tost il penseroit a mal». Quest’ultima pastorella è particolarmente degna di nota poiché ha più di un punto di contatto con Per amor soi gai: oltre all’uso metaforico di cuillir violete (cfr. nota al v. 6), ai vv. 33-36 ripresenta il motivo del padre, garante della purezza della fanciulla, che lavora in un campo vicino: «cele s’en entre en un essart /et cil li gete un douz regart; /vers son pere s’en va la bele», versi che testimoniano infine uno dei non molti esempi di passaggio dalla 1ª alla terza persona narrante (cfr. nota ai vv. 27-32).
 
23-24. Il codice riporta quieu lo uei laius arar ab bue/us · apres selartigua: il v. 23 eccede dunque di due sillabe perché il copista pone il punto metrico dopo bueus. Per la lezione a testo seguo la scelta solidale degli editori precedenti che espungono apres del v. 24, ma avanzando l’ipotesi che allo stesso modo si potrebbe considerare la jus una zeppa e proporre i versi qu’ieu lo vei arar ab bueus / apres sel’ artigua, anche perché artigua indica piuttosto un poggio, una collinetta che mal si concilierebbe con la jus. La presenza di rims espars non facilita la decisione.
artigua: cfr. DU CANGE I, 412b: «Modus agri, ut videtur, ac fortassis montuosi [... ] *incultus ager ad culturam redactus, recens proscissus»; è termine corrispondente agli essarts settentrionali, terreni debbiati e sterpati, pronti a essere solcati. Vi è dunque accenno all’opera di défrichement in corso alla fine del XIII secolo in tutta l’area meridionale. Cfr. anche MISTRAL I 146: «Novale, terre défrichée» e LR II,129 «tertre, monticule».
 
25. blatz: cfr. DU CANGE I, 672, bladum: «sic autem appellabant quodvis triticum, etsi differet a frumento, quod blé froment vulgo dicimus, puriori scilicet, nec aliis granis mixto tritico [...] Interdum pro farre omnis generis, quando est in herba ante messem». Anche dai documenti studiati da Monique Bourin blé è termine impreciso, si parla solitamente di blé mitadenc, mélange di frumento e orzo d’inverno per le rendite signorili e regie.
fromen: DU CANGE III, 619 frumentum «[...] Frumenti itaque vocabulo saepe saepius designatum opinor triticum purum, nec aliis granis mixtum». Nell’ultimo quarto del XIII vi era stata un’espansione dello spazio coltivato a favore essenzialmente dei cereali. Il frumento è un prodotto raro: dai testamenti risulta che solo gli scrigni dei più grandi signori e dei contadini arricchiti col credito ne erano colmi, gli altri, benché ricchi di capitale fondiario, fanno lasciti in orzo. Il frumento dunque è la derrata preziosa per eccellenza di contro all’orzo che è il cereale ‘popolare’, tanto che nella seconda metà del XIII secolo l’uno valeva il doppio dell’altro, cfr. M. BOURIN-DERRUAU, Villages médiévaux en Bas-Languedoc: genèse d’une sociabilité (Xe-XIVe siècle), 2 tomi, Paris 1987, II, pp. 25-45 e passim; G. DUBY, L’économie rurale et la vie des campagnes dans l’Occident médiéval, Paris 1962.
acaptatz: RIQUER, Los trovadores cit, p. 1391, nota al verso: «tanto puede significar ‘demander, mendier’ como ‘acheter’, Levy, Petit dic., pág. 3, lo que permite traducir ‘y si lo pedis’».
Il sistema di prelevamento signorile era quello della «tenure à acapt» o enfiteusi perpetua, ereditaria e alienabile. Il diritto di acapt era il diritto d’entrage su una terra appena data in allodio o abbandonata dal suo precedente possessore, ne conseguiva dunque l’accettazione e il riconoscimento del nuovo signore. Cfr. DU GANGE I, 40c sv. accaptare: «capere ad accapitum, hoc est, capere, vel possidere feuda aut quaevis alia bona sub accapitum conditione ac onere [...] Hinc nostri vocem, Acheter, seu ut Picardi efferunt, acater [...] quod qui a domino praedium in Accapitum, vel cum onere praestationis, vel etiam in emphyteusin accipit, dato pretio illud sibi habeat ac comparet». Vi è tuttavia anche l’accezione di accaptare come: «etiam simpliciter pro emere absque ullo onere» (DU CANGE I, 41a), che si avvicina alla nota di Riquer e permette di impiegare una più generica interpretazione nella traduzione. Difficile decidere che cosa potrà significare: che la pastora è figlia di ricchi proprietari terrieri (onramen = dote) che possono permettersi di vendere frumento a un cavaliere? o che grazie all’abbondante raccolto sono in grado di pagare il censo in prezioso frumento (canone enfiteutico)? o piuttosto, in linea con quanto sta per accadere, la pastora concede il diritto di acapt al cavaliere offrendogli il meglio del raccolto, cioè sé stessa?
 
27-32. Passaggio alla terza persona e al discorso indiretto. Quanto a Savj-Lopez, egli la considera «un’aggiunta di un inabile rifacitore che volle o completare la narrazione a suo modo o sostituire una chiusa perduta» (Savj-Lopez, Le rime cit., p 406), mentre per Riquer si tratta di un «calculado cambio de perspectiva» (Riquer, Los trovadores cit., p. 1391). Nelle pastorelle oitaniche se ne ritrovano invece esempi: in Riv LXIII (RS593), dopo l’esordio in prima persona («trovai pastorele», v. 3), dalla terza strofe si assiste al passaggio alla terza («Et li chevaliers»), mantenendo il discorso diretto nel débat; in Riv LVI (RS1709) nell’ultima strofe, vv. 33-38, c’è il passaggio alla terza persona; lo stesso accade in Riv LVII (RS1698A) 23-24: «N’ala pas trois pas avant / entre ses braz l’a sesie /deseur l’erbe verdoiant», in cui appare anche l’emblematico numero tre.
 
27. cfr. la medesima costruzione in Thibaut de Champagne (RS529, ed. WALLENSKÖLD cit., LII) 51 : «Quant ele m’en vit aler».
 
28 ela : 29 erbeta. Per la corrispondenza in rima -ela : -eta nella tradizione occitanica, cfr. ALLEGRETTI, La pasturella cit., pp. 256-57; per uno spoglio delle desinenze -ele : -ete nelle pastorelle anonime oitaniche, cfr. RIVIÈRE, Pastourelles cit., I, 59 e III, 133 (per cui si veda anche G. LOTE, Histoire du vers français, 3 voll., Paris 1949-1955, III, pp. 268-69). Attinente a questa nota mi pare debba considerarsi anche la corrispondenza interna dei vv. 31 : 32 baizet : quarteta nonostante l’opposizione timbrica della vocale tonica. Che la terminazione in -ela (: -eta) fosse sentita come caratteristica del genere risulta evidente anche dalla più antica pastorella catalana fino a oggi conosciuta, anch’essa in forma di dansa, Ai espiga novela!, conservata nell’Arxiu Capitular de la Catedral de Barcelona (cod. 178-5, f.14), la cui edizione critica è stata recentemente curata da G. Avenoza, “Ai espiga novelal” Estudi i edició d’una pastorel·la catalana del s. XIV, in Studia in honorem Germán Orduna, Alcalá 2001, pp. 53-71.
 
29. pres la per la blanqua man: per il motivo, cfr. Riv LXi (RS599), 33-34: «Pris la par la main nue, / Mis la sus l’arbe drue»; si noti l’attributo blanqua, usato solitamente come tratto descrittivo della bellezza di midons, inusuale per una pastora provenzale, cfr. GrBorn (242,44), 44-45: «Mas vos ab la tencha nera / no crezatz qu’eu plus vos quera!»; ma non per una francese, si veda Riv xxxvii (RS89), 45-46: «La pastourelle enbraissai /ki est bianche et tendre»; Riv liv (RS1984), 25-28: «Quant vi que proiere ne m’ivaut noient /couchai la a terre tout maintenant / levai li le chainse /si la vi la char si blanche»; Riv lix (RS 1257), 9-10: «blanche ot la gorge et le menton /plus que noif sur gelee»; Riv lxx (RS583), 13: «Bele estoit et blanche»; Moniot de Paris (ed. H. Petersen Dyggve, Moniot d’Arras et Moniot de Paris, trovères duXXXe siècle, Helsinki 1938, 86.2), 11: «blanchete de bel ator» e 14 «et sa blanche gorgete».
 
30. gieta: unica forma della 3a ps. sg. di perfetto in -a della la 1ª coniugazione, evidente prestito francese, accanto ai due esiti schiettamente provenzali in -et (v. 31 baizet - sonet). Hoby lo considera forma dell’indicativo presente, ma nella nota al verso ipotizza che gieta possa essere perfetto guascone in -a. La terminazione da -a(v)it latino, pur essendo poco frequente, si ritrova, oltre che in testi di origine francese, anche in testi non letterari occitanici, come le carte provenienti dalla regione di Saint-Gaudens nel Comminges e in un caso isolato, presta, ad est di Tolosa (cfr. Grafström, Morphologie cit., pp. 127 e 129); esempi di perfetto in -a sono presenti anche nelle vidas, ma sono per lo più esplicati come italianismi (cfr. G. B. Pellegrini, Appunti di grammatica storica provenzale, Pisa 1965, pp. 226-27).
Per l’uso topico del verbo geter, nella locuzione ‘geter sor l’erbe’, nelle pastorelle francesi, si veda: Riv xxxiii (RS1364), 49-50: «Ne vo plus a li tencier /ains l’ai sor l’erbe getee»; Riv xxxvii (RS89), 47: «desor l’erbe la getai»; Riv xxxix (RS1586), 47-49: «Lors l’ai enbraissie / en la bouche la baixai /et sor l’erbe la getai» ; Riv xliii (RS392), 38: «jetai lai en mi l’erboie»; con esempio di passaggio alla terza persona in un motet del ms. di Montpellier: Riv lxxxiv (Gennrich 716), 12-16: «il l’embrasa /sour l’erbe la jeta /si la baisa / et li fis sans delai / le geu d’amor»; tra gli autori noti Jacques de Cambrai (ed. J. Ch. Rivière, Les poésies du trouvère Jacques de Cambrai, Genève, TLF 257, 1978), 31-35: «Quant j’ai veu ke par mon biau proier /ne me porai de li muels acointier / tou maintenant la getai sor l’erbier / en mi leu de la praelle / si li levai la gonelle».
Per il motivo dello stupro, cfr. K. Gravdal, Camouflaging Rape: The Rhetoric of Sexuel Violence in the Medieval Pastourelle, in «Romanic Review», 76 (1985), pp. 361-73; D. Rieger, Le motif du viol dans la littérature de la France médiévale entre norme courtoise et réalité courtoise, in «Cahiers de Civilisation Médiévale», XXXI (1988), pp. 241-67: 260-61 e W. D. Paden, Rape in the Pastourelle, in «Romanic Review», 80 (1989), pp. 331-49.
 
31. tres vetz: le serie più frequenti di aforismi numerici e tecniche dell’enumerazione sono ternarie, cfr. le tappe dell’amore in PL 205,951 A: «Sunt in amore gradus tres, triplex gratia; fundat / prima, secunda fovet, tertia firmat opus». Ma per l’origine di questa modalità espressiva è forse opportuno rifarsi ai libri sapienziali dell’Antico Testamento, in particolare all’aforisma basato sui numeri in Proverbi 30,15: «Tria sunt insaturabilia, et quartum, quod numquam dicit: sufficit». Quanto ai ‘passi’ dell’amore nelle raccolte di sentenze come la Fecondaratis di Egberto di Liegi, cfr. E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, a c. di R. Antonelli, Firenze 1992, pp. 571-76. Anche il modello di comportamento codificato nel capitolo De amore rusticorum del trattato di Andrea Cappellano, sarà stato sicuramente decisivo per delineare l’atteggiamento del cavaliere verso la pastora (cfr. Andrea Cappellano, De Amore, a cura di G. Ruffini, Milano 1980, I, XXIII, pp. 212-14).
Mentre non trovo attestazioni nelle pastorelle occitaniche, il motivo è ricorrente in quelle francesi: Riv VIII (RS1707), 36-39: «lors si l’ai baixie /bien trois fois au un tenant / sans deffendre tant ne cant / a mon voloir s’otroiait»; Riv X (RS79), 35-37: «Tant fix par priere / k’ainz ke fust praigniere / trois fois la baixai»; Riv xxxvi (RS1050), 29-30: «Trois foix la baixai / et elle onkes pues ne dist»; Riv xxxviii (RS1704), 41-43: «Mist son piet jus de l’estrier / se descent en l’erbaige / trois fois si l’ait baixie /en une randonnee»; Riv lxv (RS1203), 28-32: «Pres de li me tres et guie / a deux bras l’ai embracie / a terre la mis couchier / trois fois li fis la folie»; Riv XX (RS1686), 12-13: «Et que diroit Geneviere / ke tu baisais ier trois fois?». Cfr. inoltre Ernoul le viel de Gastinois (Bartsch, III,9; RS973), 35-38: «touse n’iere mais cortois / proie t’ai par trois fois / a la quarte iert force drois / si feres tout mon voloir»; Jean Bodel (Bartsch III,39; RS367), 29-30: «Touse je vos requier / dones moi un baiser», 38-40: «vassal, et jel ferai / trois fis vos baiserai /por vos rassoagier», 57-62: «Li basier par amor / me doublerent l’ardor / et plus en fui destrois /par desous moi la tor / et la touse ot paor / si s’escria trois fois»; solo due volte invece per Jean Erart (RS 1375, ed. T. Newcombe, Les poésies du trouvère Jehan Erart, Paris 1972), 62-63: «Marion contre lui ala, /et Robin deus fois la besa».
senher vos mi ren!: il tessuto narrativo viene interrotto dall’erompere del discorso diretto nel secondo emistichio dell’ultimo verso, con la consueta ellissi di qualsiasi sintagma dichiarativo. La pastorella è posta in primo piano: «Una normale motivazione come la maggiore vivacità della rappresentazione si dimostra insufficiente: è necessario che l’enunciato da porre in prima persona contenga il succo di tutta l’azione o espliciti la vis di un personaggio» V. Bertolucci Pizzorusso, Transizioni dalla terza alla prima persona nelle biografie trovadoriche, in Studi di Filologia romanza offerti a Silvio Pellegrini, Padova 1971, pp. 1-13.
sonet: per l’uso del predicato, cfr. GrRiq (248,32), 14: «sonet me primeira».

 

 

 

 

 

 

 

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