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Parducci, Amos. Miscellanea di letteratura del Medio Evo. IV. Granet, trovatore provenzale. Roma: Presso la Società, 1929

189,001- Granet

7. mais. È stato aggiunto per restituire la metrica. Non è possibile, in fatti, considerare «avenia» come un imperfetto, perché nell’apodosi («devez» 8) avrebbe dovuto trovarsi il condizionale: SCHULTZ-GORA, Altprov. Elementarbuch3, Heidelberg, 1915, S197.

nulh dan. È un errore di declinazione, che la rima non permette di correggere.

19. ‘l Dalfis te vostras possessios. Il SALVERDA DE GRAVE notava che questo verso ci riportava senza dubbio a prima nel 1257. Come poi Carlo d' Angiò era arrivato in Provenza nel 1246, quelli erano i due limiti estremi,in cui doveva collocarsi il sirventese: Le troub. B. d'Alamanon cit., pp.44 e 121 sgg. Ma aveva certamente ragione il Merkel, rimasto ignoto al Salverda de Grave, quando lo riferiva senz' altro al 1257, sebbene non documentasse esaurientemente la sua affermazione: L’opinione cit., p. 309. Cfr. anche DIEZ, Leben u. Werke, 582 e DE LOLLIS, Vita e poesie di S. di G cit., p. 56. Dal verso l7 alla fine il componimento suona d’armi e chiama la battaglia; e la battaglia è imminente: cfr. vv. 21-4. Che esso dunque sia stato composto proprio nel bel mezzo degli avvenimenti è da ritenere con tutta sicurezza. E gli avvenimenti devono anche essere stati di  notevole importanza, ché il canto sgorga dal petto del trovatore assai fervido e commosso.

Ora, se fra Carlo d'Angiò e il Delfino Guido VII di Vienna non c'era mai stato buon sangue, la rottura aspra e violenta avvenne solo sul principio del 1257: STERNFELD, Karl von Anjoucit., pp. 120 e 126. Allora fu guerra aperta, allora da ambe le parti si brandirono minacciosamente le armi. Se non che il Delfino, subito nel luglio,piegava umile di fronte al potente avversario e firmava la pace e gli si dichiarava vassallo: STERNFELD,op. cit., pp. 137-8.

Ai primi dunque del 1257 risale indubbiamente il sirventese.

23-4. Son versi fortemente ironici.

25-34. Sia per il numero dei versi (10)sia per l'ordine delle rime (b10 a10a10b10 b10 a10 a10 c10 d10 d10),questa strofe differisce dalle altre. Il senso però, che corre logicamente dal primo all'ultimo verso, non permette di vedervi una contaminazione di due strofe dovuta a cattiva trascrizione o riproduzione a memoria. Ma così il sirventese dovrebbe esser stato fatto per la lettura e non per il canto: il che, se si ha riguardo anche al suo autore, non par davvero possibile.

Io la ritengo interpolata perché a) ilv. 25 non lega bene con quanto precede; b) mentre lega benissimo il v. 35, che è il primo della strofe sg.; c) dalla quale —v. 35 —si è preso anche lo spunto per ilv. 26; d) il concetto espresso in tutta la strofe non è necessariamente legato né a quanto precede né a quanto segue, e può quindi essere soppresso.

La ragione dell'interpolazione è da ricercare nel desiderio —quello che eta stato detto prima vi si prestava opportunamente—di levare ancora una volta alta la voce contro le insaziabili brame degli intendenti di Carlo d'Angiò, amministratori, secondo i Provenzali, di troppo severa giustizia: cfr. il mio Bonifazio di Castellana in Romania cit., XLVI, p. 489 e III, 5 sgg. e 33 sgg. e note relative.

26. cavalier e sirven. È indicata netta la differenza fra queste due categorie di soldati. I «sirven», in fatti, servivano a piedi e si adoperavano particolarmente all'attacco e alla difesa dei castelli, in cui invece erano risparmiati i «cavalier»: cfr. P. MEYER, Girart de Roussillon, Paris, 1884, pp. LXXII, LXXVI-VII e 65 n. 2. Sull'etimologîa di «sirven» cfr. DUCANGE, ad v.

33. qu’= id quod. Cfr. SCHOLTZ-GORA, Altprov. Elementarbuch3 cit., § 198. E nota il forte anacoluto.

37. papallos. La rima non permette di correggere l'errore di declinazione. Così in questo («elmes», «brans»), come nel v. sg. («escutz»,«ausbercx»), per quanto si sia fuori di rima, mi sembra più prudente non procedere a correzioni, ché anche altri influssi possono qui aver turbato il trovatore.

41. cazen, feren, levan. Sulla concomitanza di più gerundi cfr. SCHULTZ-GORA in Zeit., XVI, 515 e BERTONI, I trovatori d’Italia cit., XXVII, 28 (p. 536).

 

 

 

 

 

 

 

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