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Branciforti, F.. Le rime di Bonifacio Calvo. Catania: Università di Catania. Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia, 1955

[CdT en procés d'incorporació]

101,014- Bonifaci Calvo

vv. 4-8. Il senso, chiaro in certo qual modo sino al v. 6, diviene molto oscuro negli ultimi due versi. Il Jeanroy tenta di spiegare in tal modo il testo del Pelaez: « ... ni Raison ne veut, tellement sa valeur est supérieuse à la mienne, qu'il lui plaise que je l'aime, ni qu'elle m'accepte pour sien, sauf pourtant qu'elle sache que c'est d'elle que me vien, et avec raison, le mal que j'éprouve» (in «Le Moyen Age», X, pag. 190). Come si vede, la maggiore difficoltà consiste nel dare un nesso sintattico al sabes del v. 7 e la soluzione proposta dal Jeanroy non soddisfa interamente: la ragione consentirebbe al poeta soltanto di far sapere alla donna che i maltrattamenti da lei dati in cambio del suo amore sono giusti! Amio parere, qui invece c'è solo un'espressione d'umiltà: egli non si sente degno dell'amore di lei e la ragione gli dice che nient'altro può aspettarsi da lei se non l'affanno e il tormento d'amore. Ciò mi induce a correggere la lez. sabes in sai bes, ricavandone un senso del tutto consono alle esigenze logiche del passo. Soggetto di autrei non è «lei», ma «io», cioè il poeta stesso.

vv. 9-16. Il Pelaez spiega (pag. 351): «Benchè non ci sia alcuna donna che la mia uguagli pei meriti, tuttavia io son desideroso di servirla e di esaltarla; e il maltrattamento e l'affanno ch'io ne ho in compenso, ella mi dà con ragione, perch'io non merito altro; anzi non so se ho detto troppo, dicendo che ella mi dà tutto l'affanno che merito»(costruendo: non sai si trop dig ai (que) tot m'o autrei). Ma in tutto ciò non si vede l'aderenza al testo. Ora sia il Jeanroy (in «Le Moyen Age», X, pag. 190) come lo Schultz-Gora (in «Zeischr. f. rom. Phil.», XXI, ·pag, 571) propongono di scrivere m'autreja razos, in cui razos sia soggetto, e di intendere: «Je l'aime tant ... que c'est Raison qui m'octroie mes tourments, et je ne connais pas encore tout mon octroi, si j'en ai trop dit». Ma il nesso logico non appare chiaro. Non può sfuggire il legame di questi versi con gli ultimi della strofe precedente; e da ciò si cava l'impressione che razos si ricolleghi direttamente a dreig: al v. 8 per dreig, qui al v. 15 a razon: la correzione mi sembra ben sollecitata dal testo.

vv. 23-24. Piuttosto che correggere ben in be'm, come propone il Levy, in «Literaturblatt f. germ. u. rom. Phil.», XIX, col. 28, preferisco emendare il vai in n'ai. Credo che si possa anche mantenere il calar del v. 24 col senso di «smettere, tacere»; tuttavia la lieve correzione dà un senso perfetto, soprattutto per quanto il poeta dice nei vv. 25-26.

vv. 35-36. Il Pelaez legge car sa valor m'enpar ser qui trop senbla orgoillos ed interpreta (pag. 352): «chè il suo valore mi rende signore che sembra orgoglioso». Un simile testo, soprattutto per quel ser, ha trovato premurosi correttori; il Jeanroy per primo (ibid.) emenda s'er, intende qui=cui, corregge sembla in sembl'eu (o senbles) e spiega «s 'il est quelqu'un à qui je puisse paraître ... (seguito dal Levy: «seine Trefflichkeit heschütze mich, wenn jemand zu hochmütig erscheinen wird»,l. cit.). Non mi sembra evidente la necessità della correzione di sembla, nè di fare obliquo il retto qui; il testo non ègenerico con un misterioso «quelqu'un» (che, del resto, non spiegherebbe nulla!). Qui sembla orgoillos è, a mio parere, la donna del poeta, il quale chiede l'aiuto della protezione del re per dire alla sua donna (daus on mi ve, v. 40) l'affanno che ha dentro di sè: protezione che lo deve «innalzare»e lo deve «levare» (v. 37).

 

 

 

 

 

 

 

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