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Branciforti, F.. Le rime di Bonifacio Calvo. Catania: Università di Catania. Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia, 1955

[CdT en procés d'incorporació]

101,010- Bonifaci Calvo

v. 1. e sgg. Certo la costruzione non è regolare; ma in definitiva non credo che sia necessario emendare il c'om in que, come suggerisce il Levy, in «Literaturblatt f. germ. u. rom. Phil.», XIX, col. 28.
 
vv. 19-24. Il passo ha bisogno d'un restauro, al quale si sono accinti il Levy (ibid.) e lo Schultz-Gora, in «Zeitschr. f. rom. Phil.», XXI, 571. Entrambi hanno visto una soluzione, scrivendo (v. 23) plai'en ed il primo di essi interpretando: « Vielmehr will ich mit solchem Willen viel weniger Macht als dass mir irgendwie das Vergnügen der Schlechten und ihre elende Gesellschaft gefalle, d. h. ich ziehe eine gute Gesinnung und geringe Macht der Gunst und Freundschaft der Schlechten... vor». Ma questo testo non convince affatto. E' chiaro che aital voler del v. 19 vada riferito a mos volers del v. 16 e che meinz poder del v. 20 al poder del v. 13: in altri termini il poeta non desidera «elevarsi» con mezzi illeciti, perchè non gli piace nè il riconoscimento nè la compagnia degli «arrivati», anzi ne avrebbe vergogna. Perciò accolgo nel testo l'emendamento suggerito dallo stesso Levy (ibid.), no·m plai, che restituisce all'intero passo un chiaro significato ed una logica coerenza.
 
v. 28. Il verso è ipermetro e il Jeanroy propone di sopprimere l'E iniziale (in «Le Moyen Age», X, pag. 191), mentre il Levy pensa di considerare bisillabo faria (« …so viel ich sehe Beispiel für einsilbiges -ia bei Calvo findet», ibid.): soluzioni tutte e due inaccettabili per ragioni diverse. Del resto nessuna di esse risolverebbe la difficoltà del senso logico del passo. Il maggior ostacolo alla piana intelligenza di esso è costituito dal condizionale di faria, perchè fa apparire ipotetico ciò che invece è reale ed attuale, anzi già avvenuto: mos ditz serratz sono i versi precedenti, ove sdegnosamente si respinge la compagnia dei malvagi; onde il timore del poeta di apparire superbo (qe'm lau con outracuidatz). Il faria non ha motivazione alcuna e non è inverosimile pensare ch'esso sia una facile corruzione di farai: l'intera strofe ne riceve luce.
 
v. 32. Accolgo la correzione del Levy (auria·l), che così intende questi versi: «und ich weiss, ich könnte mit meinen Worten (was ist serratz?) den Anschein erwechen, dass ich mich wie ein sich Ueberhebender lobe» (ibid). Serratz significa «serrati, fitti, chiusi».

 

 

 

 

 

 

 

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