v. 5. La correzione è indispensabile per la rima; cfr. Levy, in «Literaturblatt f. germ. u. rom. Phil.»,XIX, col. 28.
v. 12. L'emendamento è proposto dal Jeanroy, in «Le Moyen Age», X, pag. 189, e dallo Schultz-Gora, in «Zeitschr. f. rom. Phil.», XXI, pag. 571; da parte mia ho corretto anche il qui in cui. Il Levy, nell'art. cit., si domanda se qui ( = cui) er non possa essere considerato unica sillaba, come fa ilh di I , 35.
vv. 13-16. Spero di aver intepretato rettamente il passo: il dono non è gradito se si può biasimare o rimproverare l'offerente, poichè non sa rappresentare la sua intenzione. Questa seconda strofe spiega le tre condizioni poste nella prima (vv. 5-7): la persona che offre il dono, colui che lo riceve, e il dono stesso. Quindi questi versi (13-16) si debbono riferire alla natura intrinseca del dono.
vv. 29-32. Non soddisfa del tutto nè l'interpretazione del Milà (pag. 207: «pues ellos han adoptado tal uso y tal arte (esto quiere saber el rey) que á seguirlos, cada cual destruiria su prez por menguana que la tuviese»), nè quella del Pelaez (pag. 350: «perchè essi hanno appreso tale abitudine e tale arte che ciascuno (questo a lui voglio far sapere) vorrebbe diminuire il suo pregio per poco ch'egli ne avesse»). Il poeta biasima qui la condotta dei cattivi consiglieri del re, i quali, coi loro suggerimenti inducono il re a comportarsi in modo non adeguato al suo pregio: essi distruggerebbero l'altissimo «valore» del re, per poco che ne avesse.
vv. 35-40. L'ultima strofe chiarisce l'elemento occasionale della canzone. L'amore lo induce a servire il re, che non lo meriterebbe, perchè egli, seguendo i consigli di qualcuno dei suoi amici, non lo ha ricompensato degnamente; ma egli non smette d'amarlo in onore della sua donna, la quale per questo gli dovrebbe concedere una grande ricompensa, se volesse esprimere la sua gratitudine secondo giustizia. Intendere in altro modo, cioè dare a poingnar e deservir il senso opposto a quello che hanno in realtà (Milà: «pues quando deberia esforzarme para servir el rey, me ocupo en complacerla»; Pelaez, pag. 351, «in luogo di servire il re, passa il tempo a compiacere la sua dama»; e così anche il Jeanroy, in «Le Moyen Age», X, pag. 189), se può servire a spiegare la strofe, non può una simile interpretazione in eguale misura inserirsi nel quadro dell'intero componimento e soprattutto della strofe precedente, la quale impegna con le sue chiare linee ad una motivazione realistica della lamentela di Bonifacio. |