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Bertoni, Giulio. I trovatori minori di Genova. Dresden: Gesellschaft für Romanische Literatur, 1903

290,001a- Luquet Gatelus

Fu inserito frammentariamente dal Rajna in Studi di fil. rom., fasc. XII, 48-51. L'illustre editore non ne pose in discussione l'attribuzione. Ora, il poco affidamento che offre il fram., che attribuisce, ad es., a Gui d'Uisselh una tenzone tra A. de Pegulhan e Gaucelm Faidit, nella quale ripetutamente gli interlocutori si nominano (id., p. 12), e d'altro lato la ben maggiore autorità del ms. Campori ci permettono di togliere con sicurezza questo componimento a L. Cigala per accrescerne le scarse reliquie poetiche di L. Gattilusio.
Che il testo si trovasse a disagio tra le cose del Cigala, sentì il De Lollis (Op. cit., p. 67), il quale scriveva: «solo in grazia dell'esserci stato conservato insieme col precedente, potrebbe forse pretendere ad essergli riavvicinato anche per ragion cronologica». E sulla cronologia del nº 3 (edizione Rajna) già trovò di che dire lo Schultz, Epist. cit, 169-172; sì che anche di quest'ultimo componimento potrebbesi non a torto dubitare.
Il nostro testo è inviato a Sordello, che trovavasi allora a fianco di Carlo D'Angiò. Luchetto Gattilusio potè conoscerlo dopo la battaglia di Benevento, poiché egli faceva parte dell'ambasceria genovese del 1266 a Carlo D'Angiò e Clemente IV. Questa è una chiara prova che ci dimostra che Sordello, che non per mare ma per terra era penetrato in Italia, dovè trovarsi presso il Conte al tempo della battaglia di Benevento. A simile conclusione era già pervenuto per via ipotetica il De Lollis (p. 60); ora la nostra poesia rende la bella ipotesi una palese verità; poiché Luchetto non potè certo conoscere Sordello ad Aix il 21 Iuglio 1262, non essendo, pare, presente alla convenzione che si stabilí in quella occasione tra Carlo e il Comune di Genova (Liber Jurium, col. 1412).
La composizione del componimento cade tra il 1261 e il 1273 (Rajna, Op. cit, pp. 34-36). Il Rajna non volle vedervi accenno alla dignità imperiale d'Occidente (p. 34), e preferì pensare ai disegni di Carlo sull'impero orientale.
Baldovino II, detronizzato sin dal 1261 dal Paleologo, s'era prima rivolto a Manfredi; ma poi, dopo la disfatta e la morte dello Svevo, non aveva esitato a rivolgersi a Carlo d'Angiò, il quale segnò a Viterbo il 27 Maggio 1267 un trattato col quale prometteva di far guerra a Michele Paleologo (Del Giudice, Codice diplom. di Carlo I e II d'Angiò, Napoli, 1869, II, 30 sgg.). A questo atto era presente il gran Giustiziere del Regno, Barral de Baux, il cui figlio Bertrando aveva combattuto in favore di Carlo alla battaglia di Benevento. È personaggio ben noto: fu dapprima acre nemico di Carlo; venne il 1236 scomunicato insieme a un signore italiano e poeta provenzale, Torello di Strata (Papon, Op. cit., II, LXI), si volse di poi con ardore al conte di Provenza e lo seguì in Italia, ove fu podestà di Milano (Martène e Durand, Thes. Nov. Anecd., lettere, 221, 242, 291, 292).
L'impresa pareva dovesse aver principio con l'alleanza di Venezia, e alludendo a ciò il poeta parrebbe consigliare il re a guardarsi dai mali amici. Si cfr. Torraca, in Giorn. Dantesco, 1896, pag. 36. Senonché i vv. 13-14, dai quali impariamo che Carlo aspirava alla Vicaria dell'Impero, ci guidano più tosto a scorgere nel componimento un accenno alle pretese alla dignità imperiale d'occidente.
Lo schema è il seguente:
a10 b10 a10 b10 c8 c8 d10 d10
 
Maus, Op. cit., pp. 88, 27; 108, 359, nº 6. P. Cardenal, 1, 6; Peirol, 20; Alex., 1; Templ., 1; Bertr. d'Alam., 10; Aust. d'Orlac, 1; Bern. de Rov., 2; Jacme Mot., 1; B. Carb., 3, 23, 26, 73, 91; Anon. 204 (Schultz, Prov. Dicht., p. 31).
 
vv. 5-6. Si ricordi (Lex rom., IV, 629):
   Pueis poirion dir: De folh
   apren hom sen . . .
 
Vedi: B. Peretz, Altprovenz. Sprichwörter mit einem kurzen Hinhlick auf den mhd. Freidank, in Romanische Forschungen, III (1887), pag. 444.
 
v. 8. met'a non chaler. Metre a. . . equivale a getar a . . . cfr. De Lollis, Op. cit., 264.
 
v. 9. Quan reis. Per questo verso, si cfr. G. de Montanhagol, ediz. Coulet, pag. 156:
   Que d'aut rey tanh, quant un gran fag empren,
   Quel tragu'a cap, on segua l'aventura.
 
v. 16. È una mia congettura. Il cod. non dà senso.
 
v. 17. Posta. Mantengo la lezione del codice. Lo Jeanroy opina che si debba mutare Posta in Polha, e scrive: (Ann. du Midi, XIII, p. 88): «L'intérêt historique de cotte pièce, dont M. Rajna avait jadis publié des fragments trop mutilés pour être intelligibles, est considérable: le poète détourne Charles d'Anjou d'abandonner la proie pour l'ombre; la proie, c'est la Pouille (si ma correction du v. 17 est juste); l'ombre, ce serait la vicairie de l'Empire; il s'agirait de chercher à quel moment Charles d'Anjou a songé à se faire octroyer par Baudouin II le titre de vicaire impérial. Je soupçonne qu'il y a ici une allusion au traité de Viterbe (printemps 1270) par lequel Charles, en échange de la promesse d'un corps de troupes, recevait de Baudouin l'investiture d'une quantité de fiefs dans les domaines conquis et à conquérir, et qui semblait en effet faire de lui une sorte de vice-empereur. (Voir R. Sternfeld, Ludwigs des Heiligen Kreuzzug nach Tunis, pp. 56-9)».

 

 

 

 

 

 

 

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