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Chiarini, Giorgio. Jaufre Rudel. L'amore di lontano. Roma: Carocci, 2003.

262,003- Jaufre Rudel de Blaja

1 ss. Dalla dichiarazione di poetica contenuta nei primi quattro versi si evince il significato da attribuire al vanto tecnico che chiude la strofa. Il pregio della canzone consiste «nell’unità sintetica di canto, di sapiente spartizione strofica e di ragione intelligibile in sé» (Casella): quando ciò si verifica, l’interazione delle componenti testuali determina un incremento di valore del componimento, che sempre meglio si avverte riascoltandone l’esecuzione. Si ponga mente alla terminologia: so è la melodia; vers il «libretto»; rima la composizione poetico-musicale nel suo insieme; razo l’occasione al poetare (poi, convenzionalmente; il brano riassuntivo che l’illustra). Per vers e motz cfr. Bernart de Ventadorn, Lancan vei per mei la landa, vv. 36-37: «Faihz es lo vers tot a randa, / si que motz no·i descapdolha», dove mot vale «Textwort eines Liedes» (Glossar s. v.); come del resto anche in Marcabruno XXXV, v. 2: «fetz Marcabrus los motz e·l so». Quanto allo specifico valore contestuale di di e di fa, «faire si riferisce al momento delia composizione poetica (faire motz = trobar vers), dire al momento della recitazione cantata» (A. Roncaglia, La tenzone tra Ugo Catola e Marcabruno, in Linguistica e filologia. Omaggio a Benvenuto Terracini, Milano, 1968, pp. 203-54, a p. 220).
 
6. L’autocoscienza artistica dei poeta espressa concisamente in questo verso, allude — trasponendoli al profano — alla distinzione teologica fra le due glorie divine: la gloria intrinseca, il cui fondamento è l’essenza divina in quanto perfezione assoluta; la gloria extrinseca, testimonianza della bontà del creatore resa dalle creature (cfr. Dictionnaire de Théologie Catholique, a cura di A. Vacant, E. Mangenot, Paris, 1920, t. IV, col. 1386 ss.). Motivo ripreso da Bernart de Ventadorn, Ges de chantar no·m pren talans, vv. 57-58: «Lo vers, aissi com om plus l’au, / vau melhuran tota via».
a a. La ripetizione della vocale in rima indica il protrarsi della frase melodica oltre le parole del testo: «fenomeno musical parecido a lo que occuría en el canto litúrgico (principalmente en las secuencias) cuando se repetía el neuma sólo de la vocal final de un grupo de versos a manera de refranh, o estribillo» (Riquer).
 
8. so. La donna, che il poeta non vedrà mai, è sentita come oggetto inattingibile, evocato mediante il pronome neutro: anche grammaticalmente, in questo amore il sesso è messo fra parentesi. L’oggetto di un amore siffatto è dunque una pura astrazione: esso non sarà mai visto, né mai l’amante ne prenderà piacere. Il vers rudeliano è un componimento amoroso, ma di segno negativo; l’atteggiamento del poeta è comparabile a quello tipico del soggetto nel genere del devinalh, salvo che in questo normalmente alla fine si cristallizza un significato etico, mentre nel devinalh di Jaufre ciò non avviene.
 
9. joi. Ha valore tecnicizzato, in senso puramente metafisico.
 
10. «L’insistence sur le “non-voir” veut dire que Jaufré Rudel tue en lui-méme la concupiscence. Car “voir”, pour Aristote le désir naturel de l’homme, est l’attribut prépondérant pour Saint Augustin (Conf. X, 35) de la “curiosité”, c’est à dire de la concupiscence» (Spitzer).
 
11. ri. Propriamente “ride”. «Quand un troubadour dit que la joie d’amour le fait rire, il exprime son sentiment de béatitude supraterrestre» (Spitzer). La stessa accezione il verbo ha in Guglielmo IX, Ab la douzor v. 9 (cfr. G. Chiarini, Alle origini della lirica neolatina: la. canzone decima di Guglielmo d’Aquitania, in «L’albero», XXIV, n. 55, 1976, pp. 3-24, a p. 21).
 
14. ponha. Se vale “trafittura” è deverbale da ponher PUNGERE; ma A. Roncaglia avverte che potrebbe anche essere “battaglia”, da ponhar PUGNARE.
sostra. Termine ricco di espressività, che l’enjambement (questo è forse l’esempio più antico e certo uno dei rarissimi, prima di Arnaut Daniel, nella poesia trobadorica) fa inoltre cadere nella sede metrica più rilevata. L’effetto ottenuto è complessivamente quello di una energia lessicale che va precipitando verso la rima: modulo stilistico che prelude al trobar clus e che anche Dante utilizzerà, specialmente nelle «petrose».
 
18. no conve ni no s’esca. Coppia sinonimica, anche in Bernart de Ventadorn, E mainh genh se volv e·s vivra, v. 13: «que no cove ni s’eschai».
 
20. la. È il luogo ideale, al quale si rivolge la mente dell’amante; opposto al sa, luogo della materialità della vita empirica. La connotazione psicologica pertinente all’esperienza del la è la dolcezza, quella pertinente alla routine del sa la tristezza; il vettore dal sa al la è il sogno; i cui diletti si perdono al risveglio. Il motivo del luogo ideale nei trovatori è di derivazione agostiniana (il luogo ove è Dio): luogo che, come ha fatto notare L. Spitzer, più che un luogo vero e proprio è il polo gravitazionale dell’anima nella direzione del trascendente («locus... qui non est locus»). Come osserva J. Ch. Payen nel suo fondamentale studio sull’argomento (L’espace et le temps de la chanson courtoise occitane, in «Annales de l’Institut d’Etudes Occitanes», II, 1970, pp. 143-67, a p. 153), insomma, «ici est un ailleur. Là bas est le vrai sejour du poète».
 
22. mos con. Indica la persona fisica, in quanto corporeità che contrasta con la spiritualità; Jeanroy, invece, «mon coeur».
 
23. reisit. Da reisidar «aufwachen» (SW, VII, 194); lezione di Re, senza dubbio difficilior nspetto alla variante resveill; cfr. V, 18.
 
25. Ben sai. Formula asseverativa, che esprime energicamente l’acme della contraddizione come certezza negativa di ogni possibile contenuto del rapporto: conclude un processo discorsivo di negazione radicale di un esito nel mondo fisico per ribadire la fiducia in quello nel mondo non fisico.
 
28. coven. Patto amoroso; anche in Cercamon, Ab lo pascor m’es bel q’eu chant, v. 46: «Sien nostre coven verai», e in Peire Vidal, Ges quar estius, vv. 15-16: «no·lh frais covens / ni mandamens».
 
29-30. In CMR si trovano al posto di 11-12.
 
34. franha... pessi. Dittologia sinonimica, intensamente fonosimbolica, anche in Folchetto di Marsiglia, XXIX, v. 53: «que totz soy pesseiatz e franhs».
 
35. l’auzon. Jeanroy l’auran («l’avranno»). Credo opportuno tornare alla lezione dello Stimming, per il suo significativo collegamento con l’auziretz del v. 6. Il congedo riprende intenzionalmente l’autoelogio della strofe iniziale: se i signori di Quercy e della regione di Tolosa ascolteranno la canzone, questa avrà la diffusione che merita (riconoscimento ab extra).
 
37. hi. Avverbio attualizzante, frequente in italiano antico (cfr. ad es. «mentre che ‘l vento, come fa, ci tace» Inf. V, 96), assai meno in provenzale.
 
 
Strofe apocrife
 
1
Ms. a1
E si tan fai que zo devi
ma domna cossi m’amara,
pos messatgiers la non ira
ni eu me·n metrai el cami,
e s’anc per lieis null mal sufri
ja per mon grat non o sabra.
 
2
Ms. C
Un’amor lonhdana m’auci
el dous dezirs propdas m’esta,
e quan m’albir qu’eu men an la
en forma d’un bon pellegri,
mey voler son siey anc issi
de ma mort qu’estiers no sera.
 
3
Ms. C
Peironet passa riu di li
que mos cors a lieys passara,
e si li platz alberguar m’a
per que·l parlamen sera fi;
mal me faderon mi pairi
s’amors m’auci per lieis que m’a.

 

 

 

 

 

 

 

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