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Beltrami, Pietro G. La canzone "Belhs m'es l'estius" di Jaufre Rudel. "Studi Mediolatini e Volgari", 26 (1979), pp. 77-105.

Postilla 2012.

262,001- Jaufre Rudel de Blaja

1. Belhs m’es l’estius ecc. - Il cosiddetto « esordio primaverile », comunissimo nella lirica trobadorica, si trova in Rudel cinque volte su sei, nelle canzoni I, II, III, IV e V (secondo la numerazione dell’ed. Jeanroy, cit., da cui traggo tutte le citazioni rudeliane al di fuori di Belhs m’es l’estius). Per questa topica esordiale Rudel si collega strettamente a Guglielmo IX, in modo più evidente però in Quan lo rius de la fontana (I), dove si trovano chiare consonanze di tono e di lessico con Pos vezem de novelh florir e Ab la dolchor del temps novel (cfr. l’ed. critica a cura di NICOLÒ PASERO, Modena, 1973, da cui traggo tutte le citazioni guglielmine; per Ab la dolchor cfr. anche GIORGIO CHIARINI, Alle origini della lirica neolatina: la canzone decima di Guglielmo d’Aquitania (testo e traduzione), « L’Albero », LV (1976) n.s., pp. 3-24).
 
2. quan l’auzelh chanton sotz la flor - La presenza degli uccelli come simbolo della primavera è costante in Rudel: l’usignolo delle canzoni I e II, le voutas d’auzelh e lays e critz della canzone III; ma la formula belhs m’es ci richiama più da vicino la canzone V, 2: m’es belhs douz chans d’auzelhs de lonh.
 
3-4. mas ieu tenc l’ivern per gensor ecc. - D. STONE, New reading, cit., pp. 143-144 giustifica questa brusca svolta impressa alla canzone in termini morali: « Rudel can say that the winter time affords him more joy because the coldness, the absence of waxing nature recall to the lover his victory over himself. He has learned to wait; he has learned fidelity. He has learned that ‘fin’amor’ is a wintry state of abnegation but one of joy also, for to have reached this state, the lover must have passed beyond the foolishness of summer ». L. T. TOPSFIELD, The Poetry of J.R., cit., pp. 290-291, vede qui una connessione con l’esordio della canzone XXXVIII di Marcabruno (numerazione e testo dell’ed. Poésies complètes du troubadour Marcabru, publiées avec traduction, notes et glossaire par J. M.-L. DEJEANNE, Toulouse, 1909):
 
Pois la fuoilla revirola
que vei d’entre·ls cims cazer,
quel vens deromp e degola,
que no·is pot mais sostener,
mais pretz lo freich temporau
que l’estiu plen de gandill
don nais puti’et enveia (vv. 1-7).
 
La presenza di Marcabruno in Belhs m’es l’estius è stata affermata con energia da D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., con particolare riferimento alla canzone Ans que·l terminis verdei (VII) : « Das Lied Bel m’es stellt eine Paraphrase und Weiterentwicklung des Gedankens von Marcabrun, den er im Lied Ans angedeutet hat, dar. Die Liebe (falsche), sagt Marcabrun, hat ihn betrogen, er tadelt sie dafür, lässt von ihr ab und drückt seine Zufriedenheit darüber aus, dass er sich endlich von der falschen Bürde befreit hat. In derselben Weise preist Rudel seine Befreiung von der falschen Liebe, der falschen Bürde. Er vermischt dabei die Ausdrücke Wilhelms und Marcabruns zu einem ziemlich buntem Durcheinander » (p. 207; riporto i riscontri precisi indicati dallo Scheludko nelle note ai versi interessati). Di Marcabruno mi sembra più interessante richiamare per questo esordio la canzone IV, Al prim comens de l’ivernaill, dove egli perora vibratamente la causa di Prodezza contro l’abiezione dei giovani che si danno al bere e all’amore adultero, e rimandano i loro progetti dalla notte al giorno, dall’inverno alla bella stagione, ma sono poi incapaci di metterli in pratica. E’ da notare, quanto all’attacco di Marcabruno contro l’amore adultero, che in Pro ai del chan essenhadors Rudel dice esplicitamente che la donna di cut egli è innamorato ha marito (e i rimandi fra le due poesie rudeliane, discussi più avanti, fanno pensare che Pro ai del chan preceda Belhs m’es l’estius). La preferenza accordata nell’esordio all’inverno contro l’estius e·l temps floritz potrebbe essere una risposta ai vv. 19-24 di Al prim comens:
 
Ioves homes de bel semblan
vei per Malvestat deceubutz
que van gaban
« De so mil essais encogan
farem qan lo temps er floritz »,
mas lai reman lo gabs e·l brutz
 
(testo del ms. A, e punteggiatura secondo EMIL LEVY, Provenzalisches Supplement-Wörterbuch, Leipzig, 1894-1924, vol. II, p. 422, s.v. encogan, e AURELIO RONCAGLIA, Marcabruno: « Al departir del brau tempier », « Cultura neolatina », XIII (1953), pp. 5-33, a p. 18. De so, v. 22, è lezione di AIKd, confermata da N de zo, contro il solo a, che ha dizo, accettato dal Dejeanne).
Anche nella canzone V troviamo l’« inverno »: chans ni flors d’albespis / no·m platz plus que l’yverns gelatz, dice il poeta, perché per la rimembranza di un amore lontano egli va de talan embroncx e clis: dunque che importa che sia inverno o primavera? Ma si tratta di una figura di contrapposizione fra lo stato d’animo del poeta e il fiorire della bella stagione comune ad altre poesie rudeliane (III, 6: qu’en un petit de joy m’estau; più indirettamente II, 9: per vos totz lo cors mi dol) ed anche adAb la dolchor di Guglielmo IX (7-9: De lai don plus m’es bon e bel / non vei mesager ni sagel, / per que mos cors non dorm ni ri), e non, come qui, dell’attribuzione dello stato di grazia ad una stagione di per sé negativa, in contrapposizione a quella a ciò deputata.
 
3. gensor - GLYNNIS M.CROPP, Le vocabulaire courtois des troubadours de l’époque classique, Genève, 1975, pp. 155-157, pone gen e il suo comparativo fra le « qualités propres à la dame »; ma l’uso, come l’esempio dimostra, deve essere esteso, giusta la definizione della stessa Cropp (p. 155): « tout ce qui est ‘beau, joli, agréable à voir’, et tout ce qui est en soi ‘ aimable, noble, poli ’». L’uso « polemico » di gensor è già in Guglielmo IX, Farai un vers de dreit nien, 35: qu’ie·n sai gensor e belazor. L’opposizione qui in Rudel non è gen-gensor, ma belhs-gensor; piuttosto che pensare ad un’improbabile differenza di significato fra i due termini, in questo contesto, credo che gensor carichi retroattivamente dei propri significati più specificamente cortesi il più generico belhs.
 
4. joy - « Gaudio », come traduzione, non è più esatto di « gioia », ma ha il vantaggio di non suggerire subito un’interpretazione banalizzante. Per il concetto di joy cfr. la bibliografia contenuta in AU.RONCAGLIA, « Trobar clus »: discussione aperta, « Cultura neolatina », XXXIX (1969), pp. 5-55, nota 89 a p. 54; G.M. CROPP, Vocabulaire, cit., pp. 335-353; MARIO MANCINI, Il principe e il « joi ». Sul canzoniere di Bernart de Ventadorn, in « Studi filologici letterari e storici in memoria di Guido Favati », Padova, 1977, vol. II, pp. 369-395. Mais de joy vorrà piuttosto dire « più gaudio », « un gaudio più grande » (con A. STIMMING e S. BATTAGLIA, edd. citt.) che non « il gaudio più grande » (che è il senso delle tradd. di A. JEANROY e M. CASELLA, edd. citt.).
 
cobitz - C’è fra gli studiosi una sostanziale unanimità sul senso di questa parola: A. STIMMING, ed. cit., p. 63 « weil mir da mehr Freude zu Theil geworden ist »; A. JEANROY, ed. cit., p. 9 « car jamais plus de joie ne m’est échue »; M. CASELLA, ed. cit., p. 63 (liberamente) « mi ha colmato una gioia come non mai »; S. BATTAGLIA, ed. cit., p. 124 « m’è toccata una più grande gioia ». F. RAYNOUARD, Lexique roman, Paris, 1836-1845, vol. II, p. 421 dà a cobir il senso di « départir, accorder, obtenir », citando due esempi di Bertrand de Born e di Giraut de Bornelh (vd. subito avanti). E. LEVY, Supplement-Wörterbuch, cit., vol. I, p. 269, corregge in « vergönnen, zu Theil werden lassen ». Tale significato è confermato dagli editori di Bertrand de Born per l’espressione jois m’es cobitz, v. 89 di S’abrils e fuolhas e flors (n. 6 dell’ed. di Carl APPEL, Die Lieder Bertrans von Born, Halle, 1932; cfr. il glossario di questa e delle due edd. precedenti: A. STIMMING, Bertrand de Born, sein Leben und seine Werke, Halle, 1879; ANTOINE THOMAS, Poésies complètes de Bertrand de Born, Toulouse, 1888); e da ADOLF KOLSEN, Sämtliche Lieder des Trobadors Giraut de Bornelh, Halle, 1910 (glossario nel vol. II, 1935), per i vv. 60-63 di En un chantar (n. 52): c’un joi, que·m fai d’Amor lauzar, / cel que m’es dins el cor aizitz / fis e ferms e que·m fo cobitz / ans que fos natz... A dire il vero, tutti i termini della serie lessicale in cui cobir è inserito (cfr. in F. RAYNOUARD, Lexique roman, cit.: cobeitos, cobes, cobeytatiu, cupiditat, cobeitat, cubitia, cobezeza, cobeitar, cobezeiar, encobir, concupiscentia) conservano in vario modo il senso originale di’ « volere, bramare », e covir in a. fr. (ADOLF TOBLER, ERHARDT LOMMATSCH, Alt-französische Wörterbuch, vol. II, Frankfurt a.M., 1936, col. 999) pare avere solo il senso « begeheren »; il che rende non insensata la traduzione del Plà « mi è desiro » (considerando che cobitz è participio, fa tuttavia difficoltà la sintassi, con mi che difficilmente può essere complemento d’agente).
 
5. ve son jauzimen - Vale semplicemente « ottiene »; cfr. E. LEVY, Suppl.-Wörterbuch, cit., vol. VIII, p. 725, n. 3: « sehen, dass etwas vorhanden ist », con l’esempio di Folchetto di Marsiglia, Us volers outracujatz (IV dell’ed. di STANISLAW STROŃSKI, Le troubadour Folquet de Marseille, Cracovie, 1910): que·m laissetz voler / lo gaug qu’ieu desir vezer. Fuori di Provenza, cfr. fra i Siciliani l’anonima Non m’aven d’allegranza (BRUNO PANVINI, Le rime della scuola siciliana, Firenze, 1962, vol. I, p. 471), 21-23: Lo diletto vedire, / po’ ch’illo non si vede, / core porria ‘ndurare; e Giacomo da Lentini, Uno disio d’amore sovente (ed. cit., p. 23), 49-50 (sottinteso gioia): Per ciò vorria ch’eo l’avesse ad avire / ed a vedire. Per esempi nella lirica galego-portoghese cfr. P. G. BELTRAMI, Pero Viviaez e l’amore per udita, « Studi mediolatini e volgari », XXII (1974), pp. 43-65, a p. 47.
 
jauzimen - Cfr. III, vv. 39-40: tost veirai ieu si per sufrir / n’atendrai mon bon jauzimen. Nella nostra canzone, in realtà, l’osservazione è, almeno formalmente, di carattere generale; il riscontro lessicale, tuttavia, pone subito il problema dei rapporti fra le due canzoni, che sono già state considerate da altri come strettamente connesse, particolarmente da L. T. TOPSFIELD, The Poetry of J.R., cit., p. 288: « The two poems Pro ai del chan essenhadors (III) and Belhs m’es l’estius (IV) have a similar theme. The happy progression in Quan lo rossinhols (I) from desire for a lesser to desire for a greater joy, is replaced by conflict between the dissatisfaction with a lesser, ephemeral joy and the desire for a greater, lasting joy. Both poems, especially Belhs m’es, show the possible influence of Marcabru, and both are concerned with the antithetical themes of seriousness / frivolity, fruitfulness / vanity which inspired Marcabru, and provoked other troubadours, such as Bernard Marti, to recrimination ». In entrambi i manoscritti che le conservano, Pro ai del chan essenhadors è posta dopo Belhs m’es l’estius, ma per testi di un’età così antica e conservati in così scarso numero non è possibile ipotizzare un ordinamento cronologico (cfr. D’A.S. AVALLE, Tradizione manoscritta, cit., p. 86). Almeno nelle sue articolazioni principali, pare invece possibile leggere la canzone IV in chiave antifrastica rispetto alla III: Er ai ieu joy e suy jauzitz (8) richiama III, 23-24: alres noy a mais del murir, / s’alqun joy non ay en breumen; tug silh cuy ieu n’ey obeditz (23) devono essere i « consiglieri » invocati in III, 19-20: et si per bos cosselhadors / cosselhan no suy enantitz (cfr. I, 19-21: mas sa beutatz no·m val nien / quar nulhs amicx no m’essenha / cum ieu ja n’aia bon saber, meno direttamente collegato, ma che mostra la ricorrenza del motivo dei consiglieri nell’opera di Rudel); qu’er no·n sia sals e gueritz (32) richiama la chiusa di III: e d’aquest mal mi pot guerir / ses gart de metge sapien. Nell’esordio di IV avremmo dunque in certo modo una continuazione della metafora iniziale di III: nella bella stagione (Pro ai del chan essenhadors ecc.) il poeta si trova in uno stato d’animo negativo (qu’en un petit de joy m’estau); dunque il poeta, pur amando la bella stagione (Belhs m’es l’estius), preferisce il tempo in cui ha prevalso un valore positivo, il gaudio « toccato » o la tensione spirituale verso di esso, quando es ben razos e d’avinen / qu’om sia plus coyndes e guays. Ivern al limite potrebbe figurare qui semplicemente come contrario di estius.
 
6. es ben razos e d’avinen - Cfr. in Rudel II, 7: dreitz es qu’ieu lo mieu refranha; e in Guglielmo IX Ab la dolchor, 5-6: adonc esta ben c’om s’aisi / d’acho dont hom a plus talen. Per G. M. CROPP, Vocabulaire, cit., p. 157 n. 39, « avinen... ‘ gracieux, charmant, agréable ‘, décrit ce qui plaît par son aspect »; qui però, in iterazione sinonimica con es razos, si avvicinerà per significato a covinen (per la duplicità cfr. F. RAYNOUARD, Lexique roman, cit., vol. V, p. 488). La traduzione data concorda con quelle di STIMMING (« angemessen ») e di JEANROY (« convenable »), mentre il CASELLA e il BATTAGLIA traducono « è bello » (accettando la lezione di e, tutto sommato adiafora, ritoccata in ez avinen).
 
7. coyndes e guays - Per coyndes cfr. G. M. CROPP, Vocabulaire, cit., p. 109: « dans la société courtoise, il était indispensable de connaître la façon de se comporter, de savoir plaire ». La traduzione più precisa è forse quella di STIMMING, « liebenswürdig »; « gentile » vuole qui rendere la stessa idea. Per questo verso D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cita Marcabruno, Ans que·l terminis verdei (VII), 17: Per amor suelh esser guais. II binomio è in Guglielmo IX, Pos de chantar, 29: Mout ai estat cuendes e gais; cfr. la nota di N. PASERO, ed. cit., p. 292. Per guays cfr. G. M. CROPP, Vocabulaire, cit., pp. 138-141.
 
8. Er - Cfr. 12 eras, 19 aras, 26 er - Considerando la ripresa del tema primaverile nel congedo, in contrasto con ivern del v. 3, il tempo ideale in cui si svolge la canzone può essere il momento di trapasso fra l’inverno e la primavera, alla ripresa della vita, quando il poeta valuta e conclude l’esperienza interiore consumata durante la pausa dell’inverno, e l’affida ad una poesia che i chantador diffonderanno al cominciare della bella stagione.
 
ai ieu joy - Cfr. L. T. TOPSFIELD, The Poetry of J.R., cit, p. 277: « For Guilhem IX and Jaufre Rudel the search of Jois appears to be more important than the experience of Amors, which is merely the means by which Jois or ‘ individual happiness ‘ can be found ».
 
joy - jauzitz - Giustamente A. JEANROY, ed. cit., p. IX, definisce questa espressione paronomastica come « une sorte de marque de fabrique » di Rudel; cfr. I, 3 jauzent joyos; I, 18 per qu’ieu la jau jauzitz jauzen; III, 12 don ieu sia jauzens jauzitz.
 
9. restauratz en ma valor - In Guglielmo IX valor (che in epoca antica non è ancora specializzato in senso cortese, cfr. G. M. CROPP, Vocabulaire, cit., pp. 432-435) si trova in Farai un vers pos mi sonelh con il significato prevalente di « coraggio »: 59-60 qu’a pauc no·n perdei la valor / e l’ardiment (in iterazione sinonimica con ardiment, cfr. N. PASERO, ed. cit., p. 152). In Marcabruno, nella tenzone con Ugo Catola, l’espressione perdre sa valor è collegata con un tradimento (si parla di Dalila):
 
— Catola, qar a sordejor
la det, e la tolc al meillor,
lo dia perdet sa valor,
qe·l seus fo per l’estraing traïtz (21-24)
 
(AU. RONCAGLIA, La tenzone fra Ugo Catola e Marcabruno, in « Linguistica e filologia. Omaggio a Benvenuto Terracini », Milano, 1968, pp. 203-254; cfr. la nota a p. 234). Nel nostro testo valor si oppone generalmente a quella situazione di smarrimento e di scacco raffigurata nella canzone III: per so·m sen trop soen marrir (15), per so m’en creis plus ma dolors (49), aquest mal (55). Collegherei questa opposizione a quella espressa nei vv. 31-32, lunhatz d’amor - sals e gueritz (vd. nota); la perdita della valor, e la conseguente necessità di esservi restauratz, derivano dall’allontanamento da amor o da un atteggiamento sbagliato verso di essa. Per un inquadramento generale dei significati e della storia di valor cfr. ERICH KÖHLER, Sociologia della fin’amor. Saggi trobadorici, trad. e introd. di MARIO MANCINI, Padova, 1976, in particolare Sui rapporti tra amore, ardimento, sapere e ricchezza nei trovatori (1955), pp. 81-99.
 
10. e non iray jamai alhor - Alhor è il contrario di lai (28, lai mi remanh e lay m’apays), l’una e l’altra espressioni per indicare in modo sfumato la dama (cfr. G. M. CROPP, Vocabulaire, cit., pp. 44-46 per loc = « dama »; per lai nella poesia di Rudel, RITA LÉJEUNE, La chanson de l’« amour de loin » de Jaufre Rudel, cit., p. 419). Rudel si richiama a III, 33-34, Lai es mos cors si totz c’alhors / non a ni sima ni raïtz, e vuol dire che non sarà più costretto a dimorare separato da Amore.
 
11. ni non querrai autruy conquistz - Lo direi semplicemente un rafforzativo del verso precedente. Conquerrai di e (di per sé lezione non assurda) si spiega come anticipazione di conquistz; ma. doveva essere già nell’antigrafo, dal quale il Pia traduce piuttosto che dalla propria trascrizione (cfr. anche le note ai vv. 13 e 27): « né conquisterò l’altrui conquiste ».
 
12-14. qu’eras say ben ecc. - Y. LEFÈVRE, J.R. professeur de morale, cit., pp. 416-417, cita due proverbi raccolti da JOSEPH MORAWSKIi, Proverbes français antérieurs au XVe siècle, Paris, 1925, n. 1244 « Mieus vaut bonne attente que malvaise haste » e n. 1248 « Meauz vaut bons atendres que folement enchaucier ». Il tono di questi versi ha certamente del proverbio; ma dato il contesto della canzone mi sembra più interessante rinviare a Guglielmo IX, Pos vezem, 22-24 Certanamens / a bon coratge bon poder, / qui·s ben sufrens, in un contesto dove si parla delle doti necessarie per avere buon frutto da amor, fra le quali la pazienza.
 
12. az escien - Cfr. I, 40 mon escien; III, 32 e say qu’ilh n’a bon escien; in Guglielmo IX Companho, farai un vers qu’er covinen, 17 mon essien; Farai un vers pos mi sonelh, 22 mon escient; Pos vezem, 16 az essiens. Alla luce di questi riscontri e delle note di N. PASERO, ed. cit., p. 30 e p. 203, mi riesce difficile accettare il giudizio espresso da Y. LEFÈVRE, J.R., professeur de morale, cit., p. 417: « nous ne saurions considérer az escien comme une simple redondance à côté du verbe saber... » per quella che tutto sommato pare un’iterazione sinonimica (ben az escien).
 
13-14. savis-fols - Per l’opposizione foudat - sen cfr. N. PASERO ed-cit., p. 21. In Guglielmo IX cfr. Ben vueill que sapchon li pluzor, 8: Eu conosc ben sen e folor (cui N. PASERO, p. 173, accosta Marcabruno, L’autrier jost’una sebissa (XXX), 23 ben conosc sen e folia) e Molt jauzens me prenc en amar, 25-30:
 
Per son joi pot malaus sanar,
e per sa ira sas morir,
e savis hom enfolezir,
e belhs hom sa beutatz mudar,
e·l plus cortes vilaneiar,
el totz vilas encortezir
 
(cfr. in Rudel III, 28-29: quar ieu dels plus envilanitz / cug que sion cortes lejau - l’accostamento è di D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 212). L’opposizione savis-fols è anche in Marcabruno, D’aisso lau Dieu (XVI), 25-30:
 
Qu’ieu jutg’a drei
que fols follei
e savis si gart al partir,
qu’en dobl’es fatz
e dessenatz
qui·s laiss’a fol enfolletir
 
(ed. AU. RONCAGLIA, Il « gap » di Marcabruno, « Studi medievali », XVII (1951), pp. 46-70).
 
13. selh - sol è uno scorso di penna del Plà, dato che la sua traduzione che quegli è savio rispecchia la lezione corretta.
 
14. selh es fols qui trop s’irays - E’ implicito il concetto di mezura, su cui cfr. in E. KÖHLER, Sociologia della fin’amor, cit., il saggio La piccola nobiltà e l’origine della poesia trobadorica (1964), pp. 1-18, part. pp. 15-16.
 
15-21. Lonc temps ai estat ecc. - E’ la strofa in cui si sviluppa esplicitamente la contrapposizione fra passato doloroso e presente gioioso, implicita nella precedente, polarizzando in questo senso le opposizioni implicite che seguiranno. « Si accenna, in termini chiusi, a uno stato di profondo timore, al quale, poi, si è sostituita una condizione di liberazione dal tormento, in cui Jaufres non vuole ricadere ‘ ja mais ’» (M. MAJORANO, Lingua e ideologia, cit., p. 184). Questo « stato di profondo timore » è già qualificato come situazione caratteristica dell’amante cortese da Ab la dolchor di Guglielmo IX, 7-12:
 
De lai don plus m’es bon e bel
non vei mesager ni sagel,
per que mos cors non dorm ni ri
ni no m’aus traire adenan,
tro qu’eu sacha ben de la fi,
s’el’es aissi com eu deman.
 
Dolor, paor, marrir diventano del resto rapidamente concetti tipici della lirica amorosa trobadorica: cfr. G. M. CROPP, Vocabulaire, pp. 200-203, 280-282.
 
16. de tot mon afar - Cfr. per il senso di mon afar N. PASERO, ed. cit., p. 72.
 
17. endurmitz - E’ una situazione che a Rudel piace: cfr. II, 16-17: D’aquest amor suy cossiros / vellan e pueys sompnhan dormen. Qui si richiamerà presumibilmente a III, 35-36: et en durmen sotz cobertors / es lai ab lieis mos esperitz (cfr. anche VI, 19-20: Anc tan suau no m’adurmi / mos esperitz tost no fos la). Il sonno e il sogno sembrano il luogo ideale dell’amore che non trova sbocco nella realtà, o la metafora di un tipo di amore che si realizza essenzialmente nel desiderio.
 
18. rissides - reisides di e è variante adiafora, in quanto rissidar e reisidar convivono in provenzale (F. RAYNOUARD, Lexique roman, cit., vol. V, pp. 221-222; E. LEVY, Suppl. - Wörterbuch, cit., vol. VII, pp. 194-195). Il significato (da EXCITARE, REW 2970) è « svegliare », « svegliarsi » (se rifl.) ; la traduzione un po’ intensificata è motivata da paor.
 
paor - Cfr. Guglielmo IX, Ben vueill que sapchon li plusor, 10: ai ardiment e paor, e la nota di N. PASERO, ed. cit., p. 173.
 
20. passai ai aquelh turmen - D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208, cita Marcabruno, Ans que·l terminis verdei (VII), 15-16; Fols fui per Amor servir, / mas vengut em al partir. Resta il problema se il turmen sia davvero un altro amore, o un tipo diverso di amore, oppure l’allontanamento, la separazione da amore (cfr. nota al v. 31). M. MAJORANO risolve (Lingua e ideologia, cit., p. 185) sostenendo che esso « è provocato dall’ignoranza socio-culturale del codice della fin’amors », al prezzo di un’interpretazione fortemente allegorica e, mi pare, non sufficientemente motivata nel testo dell’intera canzone.
 
22-28. Mout m’o tenon ecc. - Cfr. L. T. TOPSFIELD, The Poetry of J.R., cit., p. 292: « This is the amplification of the phrase restauratz en ma valor »; M. MAJORANO, Lingua e ideologia, cit., p. 184: « Il poeta continua spiegando come è sfuggito a quel turmen e come ha potuto godere di una rinnovata stima da parte di molti ».
 
22. m’o - La lezione di e è da preferirsi come difficilior (e non può derivare per trascrizione erronea da mi; oltretutto era nell’antigrafo da cui Plà traduceva molto mel tengon), e trova riscontro linguistico (con tutta la costruzione con quar dichiarativo) nella razo di S’abrils e fuolhas e flors di Bertrand de Born: « ad honor m’o tenh, quar vos m’etz vengutz vezer ni prejar qu’ieu vos prenda per chavalier e per servidor » (C. APPEL, Die Lieder Bertrans von Born, cit., p. 14).
 
onor - Cfr. E. KÖHLER, La piccola nobiltà e la poesia trobadorica, cit., part. pp. 8-9, sulla coincidenza lessicale onor « feudo », « premio del servizio d’amore »; per la questione generale S. PELLEGRINI, Intorno al vassallaggio d’amore nei primi trovatori (1945), in Id., Studi rolandiani e trobadorici, Bari, 1963, pp. 178-191; R. LÉJEUNE, Formules féodales et style amoureux chez Guillaume IX d’Aquitaine, in « Atti dell’VIII Congresso internazionale di studi romanzi (Firenze, 1956) », Firenze, 1960, vol. II, pp. 227-248. Per onor « feudo, dominio, territorio » cfr. N. PASERO, cit., p. 286; per « favore, beneficio », in relazione al servizio amoroso, MAURO BRACCINI, Rigaut de Barbezieux, Le canzoni. Testi e commento, Firenze, 1960, nota a Atressi com lo leos (I), 17-18: Ai quantas bonas honors / m’a tout temens’e paors! (l’opposizione fra paor e onor è da notare anche nel nostro testo). Qui siamo più vicini a Guglielmo IX, Ben vueill que sapchon li pluzor, 9: e conosc anta et honor; più particolarmente nel nostro caso si tratta di un riconoscimento sociale (tug silh) legato alla bontà del servizio amoroso.
 
23. tug silh - La forma di e è corretta, come plurale nominativo, contro quella di C, totz selhs, che rappresenta un plurale obliquo; difficile pensare che si tratti di una correzione del Plà o del suo antigrafo, che avrebbero più semplicemente tolto -z e -s. « Tug altri non erano », secondo M. MAJORANO, Lingua e ideologia, cit., p. 185, « se non quelli che l’assalirono (ideologicamente) e lo derisero (per il suo modo di concepire l’amore) ». A me sembra più evidente, considerando obeditz, il riscontro con i cosselladors di III, 19-24: et si per bos cosselladors / cosselhan no suy enantitz... alres noy a mais del murir, / s’alqun joy non ay en breumen. Rudel dice che ora ha recuperato il suo joy grazie ai « buoni consiglieri », che ora se ne congratulano con lui. Quanto alla coincidenza fra questi e coloro che n’aneron rizen, essa è perfettamente verosimile; in realtà qui si tratta di un intero ambiente che viene di tanto in tanto evocato al collettivo. La figura del « consigliere » e la sua funzione positiva sono già implicite in Guglielmo IX, che si autodescrive in questo senso in Ben vueill que sapchon li pluzor, 32-35:
 
ja hom que conseill me querra
non l’er vedatz,
ni nuils de mi non tornara
desconseillatz
 
(cfr. N. PASERO, ed. cit., p. 179).
 
obeditz - D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208 indica a riscontro Guglielmo IX, Pos vezem, 29-30: et a totz sels d’aicels aizis / obediens; meglio ancora, credo, i vv. 31-32: Obediensa deu portar / a maintas gens, qui vol amar (diverso il senso di obediens in Pos de chantar, 3, come dimostra AU. RONCAGLIA, « Obediens », in « Mélanges de linguistique romane et de philologie médiévale offerts à M. Maurice Delbouille », Gembloux, 1964, II, pp. 597-614, cui rimando per una discussione approfondita del significato e degli usi di questa parola). Il concetto, in Guglielmo IX come in Rudel, tanto in III, 19-24 come qui, è tenuto piuttosto sul generico, conformemente con il carattere di questa lirica, e può liberamente oscillare dal suggerimento pratico del companho alla sottomissione feudale. L’opposizione è comunque con i cattivi consigli, quelli dei lauzenjador (v. 30).
 
24. quar a mon joy suy revertitz - D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208, cita Guglielmo IX, Molt jauzens, 3: e pos en joi vueill revertir (cfr. N. PASERO, ed. cit., p. 226); citabile forse anche Marcabruno, L’autrier jost’una sebissa, 71-72: tota creatura / revertis a sa natura. Importante mi pare il parallelo con et s’amors mi revert a mau (III, 37).
 
25. laus en ecc. - D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208, cita Guglielmo IX, Ben vueill, 29: Deu en laus e saint Julia.
 
lieys - Nella canzone III lieis (36 e 50) è abbastanza ben individuata come figura di donna, grazie all’abbinamento elha e sos maritz (18). Qui occorrerà maggiore prudenza, mancando ogni riferimento preciso prima e dopo (a meno di voler proprio identificare la seror con l’amigua): potrebbe anche essere, a rigore, un’anticipazione di amor, o un vago accenno all’interno di una distributio (lieys e Dieu e lhor).
 
26. lur grat e lur prezen - Il grat (su cui cfr. G. M. CROPP, Vocabulaire, cit., p. 368) e il prezen di coloro cui Rudel ha obeditz, e che gli portano a onore il fatto di essere ritornato al suo joy sarà difficilmente questo stesso fatto; più probabile che si tratti della canzone stessa, qualificata come canzone di ringraziamento; o dell’atteggiamento di riconoscenza del poeta verso l’ambiente che lo ha aiutato e lo onora.
 
27-28. que qu’ieu m’en anes dizen ecc. - D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208 vede qui una risposta a Marcabruno, Ans que·l terminis verdei (VII), 23-24; mala nais / qui d’aital foudat se pais. Più verosimilmente, ciò che Rudel « andava dicendo » (anar è chiaramente fraseologico) può essere benissimo et s’amors mi revert a mau / car ieu l’am tant e liei non cau (III, 37-38), considerando che lai indica sfumatamente la donna stessa, o Amore (cfr. nota al v. 10). In contrasto con quanto « diceva prima », ora Rudel afferma di avere riconquistato il proprio amore (cfr. II, 20-21: ben es selh pagutz de mana, / qui ren de s’amor guazanha!).
 
29. Mas per so ecc. - A. JEANROY, ed. cit., p. 11 traduce per so con « puisque », M. CASELLA, ed. cit., p. 65, con « per il motivo che », S. BATTAGLIA, ed. cit., p. 125, con « una volta che », tutti collegando sintatticamente il v. 29 con il seguente, come antecedente-conseguente. A. STIMMING, ed. cit., p. 64, traduce meglio « hierdurch », « per questo mezzo », staccando il verso da quello che segue. Meglio ancora, credo, intendere più esplicitamente per so come riepilogativo di quanto detto prima, e tradurre « quanto a questo », sempre isolando sintatticamente il verso.
 
esclarzitz - E. LEVY, Suppl.-Wörterbuch, cit., vol. III, p. 159, accetta la lezione di C escharzitz, dando per se escharzir il senso di « sich absondern, sich trennen », « separarsi », con questo solo esempio. Tale significato è però inaccettabile in questo contesto, dopo lai mi remanh e lay m’apays e prima di sals e gueritz. Prima e dopo il LEVY, nessun editore ha accettato la forma data dai mss. A. STIMMING, ed. cit., corregge in escharitz, dandogli il significato (trad. p. 64. « belehrt », « me ne sono istruito, ho capito ») che F. RAYNOUARD, Lexique roman, cit., vol. III, p. 147 assegna a escari in Ben vueill que sapchon li pluzor di Guglielmo IX, 22: que tan bon mester m’escari, contraddetto dal LEVY, Suppl.-Wört., cit., vol. III, p. 151 (« zutheilen », « assegnare »; cfr. anche N. PASERO, ed. cit., p. 177). Gli altri, da A. JEANROY, ed. cit., in poi, hanno preferito correggere encharzitz (p. 11: « je me suis mis à un plus haut prix (j’ai accru ma valeur) »; M. CASELLA, ed. cit., p. 65: « mi son fatto degno d’onore »; S. BATTAGLIA, ed. cit., p. 125: « ne sono investito »). L’emendamento più logico è tuttavia esclarzitz (che postula uno scambio fra l- e -h-), che riprende una parola rima di III (42: la nueit et dia esclarzitz) usata in un contesto dove pure si parla della ricerca di amore contrastata da figure negative (là gilos brau, qui lauzenjador), e annuncia più coerentemente la nuova raggiunta convinzione del poeta nella fedeltà della fin’amor. Significativo mi pare un riscontro marcabruniano (XL, 1-7; esclarzis per es clarzitz è correzione, direi sicura, di N. PASERO, ed. cit., p. 229):
 
Pus mos coratges s’esclarzis
per selh Joy don ieu suy jauzens,
e vey qu’Amors part e cauzis,
per qu’ieu n’esper estre manens,
ben dey tot mon chan esmerar,
qu’om re no mi puesca falsar,
que per pauc es hom desmentitz
 
dove joy-jauzens e manens (cfr. Belhs m’es l’estius, 55) invitano a non escludere collegamenti con la nostra canzone.
 
31-32. qu’anc no fuy tant lunhatz d’amor ecc. - Per Y. LEFÈVRE, J.R., professeur de morale, cit., p. 418, « J.R. semble ironiser avec un humour certain sur le thème qui lui est cher et si naturel, l’éloignement de l’amour ». GIULIO BERTONI, recensendo la prima edizione dello Jeanroy (« Annales du Midi », XXVII-XXVIII (1915-1916), pp. 217-222, alle pp. 219-220) trova oscuri i due versi nella lezione Jeanroy (« On s’attendrait, dans le second vers, à une idée opposée à celle du premier ») e propone di correggere banhatz d’amor, intendendo (Jeanroy nella 2ª ed., cit., p. 27 lo definisce « un sens excellent  », ma non corregge) « Quelque amoureux que j’aie été jadis, maintenant j’en suis sauf et guéri ». Sulla base della lezione lunhatz, accettata da tutti gli editori, L.T. TOPSFIELD, The Poetry of J.R., cit., p. 292, interpreta: « This love amor (31) which has caused him such uncertainty and torment (stanza III) was never a ‘ distant ’ enough love, and for this reason he can be cured of it and saved. In contrast to this earlier ‘ non distant ’ amor of 1. 31, Jaufre’s present love which has now restored him to jois and valors, certainty and peace of mind, is called fin’amors (1. 35) ». Il punto debole, mi pare, sta nell’interpretazione data a sals e gueritz, come se questa espressione volesse dire che Rudel si è liberato dall’amore di cui parla nel v. 31. Sals e gueritz vuol dire esattamente il contrario, cioè che Rudel ha recuperato quell’amore da cui è stato lunhatz, ma non abbastanza da perderlo del tutto (cfr. III, 52-53: qu’us sols baizars per escaritz / lo cor no·m tengues san e sau, e 55: e d’aquest mal mi pot guerir). La connessione fra sals e gueritz e il concetto di consolazione amorosa è nei versi di Ugo Catola nella tenzone con Marcabruno:
 
— Marcabrun, quant sui las e·m duoill,
e ma bon’amia m’acuoill
ab un baisar, quant me despuoill,
m’en vau sans e saus e gariz
 
(AU. RONCAGLIA, Catola e Marcabruno, cit., vv. 49-52; cfr. la nota a p. 247); e guerir in questo significato è già in Guglielmo IX, Molt jauzens mi prenc en amar, 47-48: Mas ela·m deu mon meils triar, / pos sap c’ab lieis ai a guerir (cfr. N. PASERO, ed. cit., nota a guerir, p. 240, e a sanar, p. 233). Nella tenzone citata, i versi di Catola rispondono a questi altri (ed. cit., vv. 45-48) in cui Marcabruno dice dell’amor sostenuto dal suo avversario:
 
— Catola, anc de ren non fo pres
un pas, que tost no s’en loignes,
et enqer s’en loingna ades
e fera tro seaz feniz.
 
Basta l’accenno al maritz in Pro ai del chan essenhadors, 18, per escludere che le idee di Rudel sulla fin’amor possano coincidere con quelle di Marcabruno (sulle quali cfr. AU. RONCAGLIA, « Trobar clus »: discussione aperta, cit.). Non so quanto volutamente, i versi qu’anc no fuy tan lunhatz d’amor / qu’er no·n sia sals e gueritz riprendono lo schema di quella botta e risposta fra Marcabruno e Ugo Catola nel senso voluto dal secondo.
 
33. plus savis hom - Fatti salvi i sempre possibili dubbi, quest’uomo « più saggio » di cui Rudel contrasta l’opinione dev’essere Marcabruno. Forse un riferimento a questi versi si può cogliere nella canzone inviata da quest’ultimo a Rudel, Cortesamen vuoill comensar (AU. RONCAGLIA, C.v.c, in « Studi in onore di Alfredo Schiaffini » = « Rivista di cultura classica e medievale », VII (1965), pp. 948-961), 7-12:
 
Assatz pot hom vilanejar
qui cortesia vol blasmar,
que·l plus savis e·l mieills apres
no·n sap tantas dire ni far
c’om no li puosca enseignar
petit o pro, tals hora es.
 
35. qu’anc fin’amors home non trays - Per questo verso, cui, secondo Y. LEFÈVRE, J.R., professeur de morale, cit., p. 418, l’« avventura notturna » che subito segue conferirebbe un valore ironico, D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 207, cita Marcabruno, Ans que·l terminis verdei (VII), 19: c’una·m n’enguanet e·m trais. Se quanto ragionato sopra è corretto, questa fin’amors, nonostante l’uguaglianza del termine, non è quella di cui parla Marcabruno, ma è la stessa amors del v. 31, quella stessa che Marcabruno in altre poesie chiama fals’amor e fals’amistat (cfr. AU. RONCAGLIA, « Trobar clus »: discussione aperta, cit.). Rudel difende qui il « suo » tipo di amore, che non è responsabile del turmen (è stata la temporanea mancanza di esso, con la sfiducia che ne è derivata, a provocare il turmen, la confusione felicemente risolta) contro gli attacchi moralistici di chi considera questo tipo di amore peccaminoso, falso e degradante (significativo il contrasto fra II, 20-21: ben es selh pagutz de mana / qui ren de s’amor guazanha!, e Marcabruno, Al prim comens de l’ivernaill (IV), 13-15: Aquist fan semblant a tahi / al ser quan son plen e pagutz / apres lo vin).
 
36-42. Mielhs mi fora ecc. - Apparentemente, Rudel inserisce qui a titolo di exemplum la narrazione scorciata di un fatto accadutogli (lo prende senz’altro per tale SALVATORE SANTANGELO, L’amore lontano di J.R. (1953), in Saggi critici, Modena, 1958, pp. 93-116), e in realtà non si può del tutto escludere che questi versi abbiano un qualche fondamento autobiografico, anche se l’ipotesi non soddisfa (cfr. M. MAJORANO, Lingua e ideologia, cit., p. 185). « Il fatto non importa », nota M. CASELLA, Poesia e storia, cit., pp. 91-92; « Del resto egli vi accenna in forma così chiusa e con allusioni così vaghe, che non è possibile diradarne i veli. Comunque, fu un’avventura dolorosa, ma necessaria. Egli ne trasse una più profonda conoscenza di se stesso: un più fermo possesso della sua volontà e una più aperta intelligenza dell’idea costitutiva del proprio essere ». Un’interpretazione morale della strofa è stata tentata da ALBERTO DEL MONTE, « En durmen sobre chevau » (1955), in Civiltà e poesia romanze, Bari, 1958, pp. 60-69, sulla base di testi di Rabano Mauro, Wolberone, Riccardo di San Vittore: « I vestimenta erano i bona opera [...] Jaufre rimpiange di essere stato nudus virtutum tegmine ... di non essersi liberato dalla peccatorum suorum deformitas... tanto da essersi trovato indifeso quando fu assalhitz [...] Il poeta, quindi, rimembra un somnium in cui fu sopraffatto dalle illicite cogitationes con l’amaro e mortificante disinganno del risveglio ». L’interpretazione del TOPSFIELD, The Poetry of J.R., cit., p. 296, che dipende dall’interpretazione data alla strofa che precede, ha il pregio di porsi coerentemente all’interno del testo: « In this context his description of the occasion he was assailed [...] may be considered in its literal sense as a dramatised exemplum of the disturbance (pantais) and betrayal into which, according to Marcabru in Ans que, Amors can lead the man who is in love ». Così prima di lui lo SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208: « Die sechste Strophe von Rudel, in der er über sein Liebesunglück klagt, stellt die Bearbeitung des Motivs von Marcabrun: c’una m’enganet e·m trais dar. Der Text von Marcabrun ist ernst; zerknirschten Herzens bedauert er der falschen Liebe gedient zu haben: fols fui per amor servir. Rudel nimmt dasselbe Motiv auf, um es ins Scherzhafte und Parodistische umzuwandeln: mielhs mi fora jazer vestitz que despolhatz sotz cobertor ». La proposta interpretativa più sicura, pur con la necessità di qualche approfondimento soprattutto sul piano letterale, è quella di S. PELLEGRINI, J.R. e la critica, cit., pp. 237-238: « Il Poeta ha voluto soltanto affermare che non si adopra mai abbastanza prudenza e ponderatezza, che bisognerebbe addirittura mettersi a letto vestiti per trovarsi pronti a difendersi da un eventuale assalto notturno, e che purtroppo il comportamento degli uomini non è agevolato dalla disparità di pareri, divergenti anche fra persone vicinissime fra loro ».
 
36-37. Mielhs mi fora jazer vestitz ecc. - A. JEANROY, ed. cit., p. 11 traduce « Mieux m’eût valu coucher tout habillé »; M. CASELLA, ed. cit., p. 67: « Sarebbe stato meglio per me coricarmi vestito »; S. BATTAGLIA, ed. cit., p. 125: « Mi sarebbe stato meglio rimanere vestito »; ma già A. STIMMING, ed. cit., p. 64, traduceva con il condizionale presente: « Besser wäre es mir, bekleidet zu liegen ». Fora, infatti, pur potendo avere anche il valore di condizionale passato, ha prima di tutto quello di presente: cfr. JOSEPH ANGLADE, Grammaire de l’ancien provençal, Paris, 1921, pp. 275-276; PIERRE BEC, Manuel Pratique de Philologie romane, Paris, 1970, t. I, p. 452; AU. RONCAGLIA, La lingua dei trovatori, Roma, 1965, pp. 110-112; GIOVAN BATTISTA PELLEGRINI, Appunti di grammatica storica del provenzale, 3ª ed., Pisa, 1965, p. 209; HEINRICH LAUSBERG, Linguistica romanza, trad. it., Milano, 1971, vol. II, pp. 208-209. La lettura « Mi sarebbe meglio giacere (o restare) vestito » esclude dalla « narrazione » o exemplum i vv. 36-37, e suggerisce di leggerli in chiave « sentenziosa » (sulla linea indicata da S. PELLEGRINI, cit.). L’opposizione vestitz-despollatz ricorda d’altronde la già citata canzone IV di Marcabruno, Al prim comens de l’ivernaill, 7-12:
 
Ladoncs que avols hom se plaing
qand ve·l temps frei e las palutz        
contra·l regaing,
que·l s’avila e met en bargaing,
que·n estiu que non es vestitz
pot anar d’una peilla nutz
 
(testo del ms. A, con vestutz, v. 11, corretto in vestitz per la rima). Persino a letto, invece, è meglio andare vestiti, risponderebbe Rudel, per essere pronti a tutto. Per l’uso metaforico di « vestire » e « svestire » cfr. AU. RONCAGLIA, I due sirventesi di Marcabruno ad Alfonso VII, « Cultura neolatina », X (1950), pp. 157-183, alle pp. 167-168. Sotz cobertor rimanda a III, 35-36: et en durmen sotz cobertors / es lai ab lieis mos esperitz.
 
38. e puesc vos en traire auctor - Come già indicava D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208, qui c’è una chiara ripresa dalla prima strofa di Ben vueill que sapchon li pluzor di Guglielmo IX, 4-7:
 
qu’ieu port d’aicel mester la flor,
et es vertatz,
e puesc ne trair lo vers auctor
quant er lasatz
 
(cfr. N. PASERO, ed cit., p. 172). Mon mi pare un caso che il richiamo sia a una dichiarazione di poetica, con l’effetto di estraniare alquanto la materia dei versi successivi.
 
39. la nueyt - In III, 41-43, Ma voluntatz s’en vai lo cors, / la nueit et dia esclarzitz, / laintz per talan de son cors (ripristino son cors dei mss. contro socors proposto da A. Thomas e accettato da Jeanroy). Nella nostra canzone la nueyt è evocata implicitamente nei vv. 17-18, qu’anc no fuy tan fort endurmitz / que no·m rissides de paor. Luogo della fuga nel sogno e, attraverso di esso, della consumazione ideale dell’amore (I, 16; III, 35-36; VI, 19-20), la nueyt può essere qui assunta come momento esemplare, non necessariamente connesso con una situazione determinata.
 
quant ieu fuy assalhitz - Il fatto che il Plà non si sia accorto che i vv. 37-38 erano invertiti nel suo antigrafo toglie ogni valore alla sua interpretazione; ma c’è da notare che la lezione soi assaillitz non fa che banalizzare e rendere incoerente con il « tempo » della canzone un concetto che fuy assalhitz esprime in forma più difficile. A mio parere questo v. 39 va ricollegato ai vv. 17-18, dove Rudel esprime con l’immagine dei terrore notturno lo stato d’animo connesso con la separazione da amore e con la perdita di fiducia in esso. Sfuma di molto, con la lettura data ai primi tre versi, se è corretta, la possibilità che questo fuy assalhitz sia collegato con una vicenda fisicamente svoltasi o raccontata come tale a qualunque titolo, mentre mi sembra più probabile che l’agente di questo passivo sia qualcosa che al collettivo può trovare un nome nella paor del v. 18.
 
40. totz temps n’aurai mon cor dolen - D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208, cita Marcabruno, Ans que·l terminis verdei (VII), 14, can m’en membra·m fai languir.
 
41. quar aissi·s n’aneron rizen - « perché così se ne risero » ecc. Aneron è molto probabilmente fraseologico qui come al v. 27. Rudel lamenta di essere stato deriso. « Essi » saranno certamente i lauzenjador (indicati al v. 30 con un singolare collettivo), un attributo costante dei quali è quello di schernire il poeta per il suo dolore amoroso (cfr. p. es. E. KÖHLER, Sulla struttura della canzone, in Sociologia della fin’amor, cit., pp. 19-37; il lauzenjaire è in ultima analisi il rivale). Ciò non vuol dire che i lauzenjador siano l’agente del passivo fuy assalhitz; nulla impedisce, ed è anzi più verosimile, che il poeta si dica deriso per il fatto di essere assalhitz dalla paor; più precisamente per il fatto di vivere in quel determinato stato di dolore amoroso. Smontata così, credo in modo convincente, la necessità che la sesta strofa abbia come referente un episodio vero o inventato, bisogna anche dire che l’ambiguità resta, che questo tipo di referente rimane possibile. Questa esistenza larvata di referenti suggeriti dal testo, che a una lettura più approfondita si rivelano così evanescenti, è anzi una delle caratteristiche più interessanti di Rudel e di molta lirica trobadorica.
 
42. pantays - patais di e deriva dalla lezione corretta certo per caduta di un segno di abbreviazione; ma era già nell’antigrafo del Plà, che lo traduce « patisco ». Pantaizar (dal grecismo PHANTASIARE, REW 6459; F. RAYNOUARD, Lexique roman, cit., vol. IV, p. 411; E. LEVY, Suppl.-Wörterbuch, cit., vol. VI, pp. 48-49) ha il significato base di « sognare »; qui naturalmente dato il contesto si avvicinerà al significato di « avere incubi ».
 
43. error - Per il senso di « confusione, imbarazzo, dubbio » cfr. E. LEVY, Suppl.-Wörterbuch, cit., vol. IlI, p. 130 n. 6 (« Verlegenheit »). Gli editori danno tutti in vario modo un senso analogo.
 
44. mos cors - La solita ambiguità fra « cuore » e « corpo » nei casi sigmatici (cfr. N. PASERO, ed. cit., p. 257, e G. CHIARINI, Canzone decima, cit, p. 21). Gli editori optano tutti per « cuore », ma anche il valore pronominale non potrebbe incontrare qui alcuna seria obiezione.
 
45-46. que tot con lo fraire·m desditz ecc. - Un altro referente suggerito, ma di assai labile consistenza: il « fratello » e la « sorella » su cui la critica si è molto affaticata. Le interpretazioni, a questo punto, dipendono naturalmente da come è stata letta fin qui la canzone. M. CASELLA, ed. cit., p. 80, annota: « Il ‘ fratello ’ e la ‘ sorella ’ in contrasto sono: il desiderio di ciò che non ci appartiene (v. 11 non querrai autrui conquist) in contrasto con l’amore già posseduto. Il ‘ desiderio ’ ci nega alla vera gioia (joy) ed è cupidigia (cobezeza). L’amore (fin’amors), che gode di ciò che diletta l’anima e la ordina, ci dà la vera gioia, che è la gioia di una vita infinita » (cfr. anche Poesia e storia, cit., p. 95). A. DEL MONTE, « En durmen sobre chevau », cit., p. 69, interpreta in modo più credibile: « Il fraire è soltanto un personaggio-pretesto, l’espressione dell’indole rinunciataria dell’amor contemplativus tramite un impedimento materiale, come il maritz della III canzone, come la ‘lontananza’ delle altre canzoni [...]. E la seror è semplicemente... l’amigua, detta seror perché è proprio sorella di suo fratello ». Per M. MAJORANO, Lingua e ideologia, cit., p. 187, il fraire va identificato con l’amore « nella sua accezione tradizionale », e la seror con la fin’amors. Più problematico prima di lui L. T. TOPSFIELD, The Poetry of J.R., cit., p. 296: « If the stanza is authentic, Jaufre may be using fraire and seror with an intentionally enigmatic meaning, but he may also be saying that sensual temptation persists and that the male counsellor advises him against, he hears being granted by the female. Fraire might refer to another troubadour or to a priest, and the word seror can also be used for ‘ wife ’». Sul piano letterale, questi versi possono essere visti come una pointe preparata da due versi che insistono sul dubbio e sullo sbalordimento, e stemperata poi da una considerazione di carattere generalissimo, « da qualche parte bisogna pure inclinare ». La donna, la seror, vince le resistenze opposte dal fraire e permette al poeta di raggiungere quella vittoria di cui si parla nella prima parte della poesia. Ma fraire e seror può anche valere come distributio, per dire « tutti », e desditz e autreiar possono significare « nega » e « afferma » (considerando l’etimologia da AUCTOR), senza necessario riferimento al divieto e alla concessione. In questo caso Rudel vuole esprimere la confusione dei pareri che gli vengono dati (come osservava S. PELLEGRINI, cit.).
 
47-49. e nuills hom ecc. - L’uomo perfetto, si evince, non inclinerebbe né da una parte né dall’altra. Se così è, quanto la seror autreia viene messo sullo stesso piano di quanto il fraire desditz: entrambe le cose sarebbero da evitare, ma nessun uomo normale (que puesc’aver cominalmen) ha tanto senno da poter procedere diritto, evitando i suggerimenti errati che gli vengono da destra e da sinistra. Alla sesta e alla settima strofa si può dare in definitiva questa lettura: « Bisogna essere sempre pronti a difendersi, e ne fa fede il tempo in cui fui combattuto dal dolore; mi viene ancora male a pensare come ne fui deriso. Ma ora resto net dubbio, e sbalordito, perché chi mi dice di no, chi mi dice di sì; e nessuno è così perfetto da poter tenere una via diritta ». Fino alla quinta strofa l’accento è stato piuttosto sul joy recuperato; nella sesta e nella settima è piuttosto sulla confusione e sul dubbio. Ciò dovrebbe spiegare l’uso di adonc al v. 52.
 
48. cominalmen - E’ « parola-verso » di Guglielmo IX, Pos vezem de novel florir, 3940: que·ls motz son faitz tug per egau / comunalmens (cfr. N. PASERO, ed. cit., p. 208).
 
50-53. El mes d’abril ecc. - Sono nuovamente i modi dell’esordio primaverile (cfr. II, 4-7: el rossinholetz el ram / volf e refranh ez aplana / son dous chantar et afina, / dreitz es qu’ieu lo mieu refranha). Adonc (52) funzionalizza però questi versi primaverili come sbocco delle incertezze e della confusione di cui si parla nelle due strofe precedenti. Ecco una primavera finalmente riconquistata come stagione di gaudio, grazie all’esperienza dell’inverno. La primavera simboleggia così una chiarificazione (29: Mas per so m’en suy esclarzitz), raggiunta la quale Rudel può « dunque » affidare il suo canto agli esecutori perché lo diffondano.
 
52. mos chans si’auzitz - Sull’uso antico di vers e chans per « canzone » cfr. AU. RONCAGLIA, Catola e Marcabruno, cit., pp. 220-221, e p. 224 per numerosi riscontri a questa espressione. Il chans è qui certamente la canzone stessa, in senso tecnico, come i chantador sono gli esecutori professionali che la dovranno diffondere. Auzitz allude ad una diffusione orale, come II, 29: Senes breu de parguamina.
 
56. car soi descargatz de fol fais - D. SCHELUDKO, Theorien der Liebe, cit., p. 208, cita Marcabruno, Ans que·l terminis verdei (VII), 21-22: Ben es cargatz de fol fais / qui d’Amor es en pantais. M. CASELLA vede in questo verso un significato religioso (ed. cit., pp. 80-81), che potrebbe trovare riscontro in Guglielmo IX, Pos de chantar m’es prez talenz, 31: ar non puesc plus soffrir lo fais (cfr., per i significati di fais, N. PASERO, ed. cit., pp. 292-293). Qui però fol fais indicherà collettivamente tutto il « momento negativo » di cui Rudel ha parlato, e in particolare la sfiducia nella fin’amor e il dolore amoroso finalmente superati.
 
PIETRO G. BELTRAMI
 
 
POSTILLA
 
Questo lavoro era pronto per la stampa nel gennaio 1978. Dopo di allora ho avuto notizia dell’ed. di R. T. PICKENS, The songs of Jaufré Rudel, Leiden. 1978 (che peraltro non ho ancora potuto vedere). Proposte per il testo di Belhs m’es l’estius sono state avanzate da MAURIZIO PERUGI, Le canzoni di Arnaut Daniel, Milano-Napoli, 1978, tomo I, Prolegomeni, p. 62: al v. 6 et avinen, preferendo la testimonianza di e; al v. 7 que om sia coyndes e guays, al v. 41 que aissi·s n’aneron rizen, ritenendo, con la forza di un’imponente documentazione, che le lezioni dei due mss. siano da spiegare come risultati della soppressione dello iato. Non si occupa per ora di Belhs m’es l’estius la prima parte del lavoro di GIORGIO CHIARINI, Per una verifica testuale della poetica rudeliana della lontananza, « Paradigma », 2 (1978), pp. 3-29.
 
 
POSTILLA 2012
 
Questo ripubblicato in versione di rete, accogliendo volentieri la proposta del Corpus des Troubadours, è un lavoro vecchio di più d’un trentennio, che sconta il naturale invecchiamento oltre la mia inesperienza di provenzalistica di quando lo scrissi; ma per aggiornarlo, o riscriverlo, avrei dovuto chiedere all’impresa del Corpus un rinvio troppo lungo.
 
Successiva a questo lavoro è l’edizione a cura di GIORGIO CHIARINI, Il canzoniere di Jaufre Rudel, L’Aquila, Japadre, 1985 (riedizione postuma in Jaufre Rudel, L’amore di lontano, a cura di Giorgio Chiarini, Roma, Carocci, 2003, con aggiornamento bibliografico e cura redazionale di Marco Infurna).
 
Dopo l’edizione di Chiarini, il ms. e è stato degradato al ruolo di descriptus dal ritrovamento, da parte di Maria Careri, del ms. che ne è la fonte, il cod. 2 Ms 26 della Biblioteca della Real Academia de la Historia di Madrid (Mh²): cfr. MARIA CARERI, Alla ricerca del libro perduto: un doppio e il suo modello ritrovato, in Lyrique romane médiévale: la tradition des chansonniers. Actes du Colloque de Liège, 1989, édités par Madeleine Tyssens, Liège, Faculté de Philosophie et Lettres, 1991, pp. 329-78; EAD., Per la ricostruzione del Libre di Miquel de la Tor. Studio e presentazione delle fonti, « Cultura neolatina », LVI, 1996, pp. 251-408 (edizione diplomatica del nostro testo alle pp. 395-96). Per quanto riguarda Belhs m’es l’estiusMh² legge al v. 13 sel es sauis, confermando che la lezione sol è del Plà, non del suo antigrafo, come non della sua traduzione, e dunque non esiste (cfr. la scheda di Careri, Alla ricerca, p. 347); non si può perciò accettare la diversa soluzione di Chiarini, che stampa sol con la motivazione che « la variante sol (contro selh del canzoniere C, forse per erroneo anticipo del verso seguente) –rifiutata dagli editori perché offerta dal testimone più tardo e (ma “recentiores non deteriores”!) –pone in opportuna evidenza il requisito essenziale di questa saggezza amorosa ».
 
Sull’interpretazione di Jaufre Rudel non si può oggi fare a meno di leggere e discutere il saggio di LUCIA LAZZERINI, La trasmutazione insensibile. Intertestualità e metamorfismi nella lirica trobadorica dalle origini alla codificazione cortese, « Medioevo romanzo », XVIII, 1993, pp. 153-205, 314-69; su Belhs m’es l’estius, e in particolare sull’episodio notturno e sul riferimento al ‘fratello’ e alla ‘sorella’, interpretato alla luce di testi religiosi cfr. pp. 194-98. Quanto, appunto, al fraire e alla seror, pur continuando a trovare il testo enigmatico, inclino ora a credere che sia logico cercare più semplicemente nel testo stesso un soggetto maschile e uno femminile che si oppongono l’uno all’altro. Il fraire potrebbe dunque essere il plus savis hom del v. 33, che parla contro amor, e la seror la stessa amor, che invece si presenta, ora, favorevole (l’amante è infatti sals e gueritz della sua pena, v. 32). Fra questi due, l’amante resta timoroso di non seguire il retto cammino (biais e biaisar, infatti, hanno di regola una connotazione negativa).

 

 

 

 

 

 

 

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