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Boni, Marco. Sordello, Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario. Bologna: Palmaverde, 1954.

437,007- Sordel

1. Bel m’es. Sulle frasi impersonali formate da esser in unione con un agg. cfr. F. DIEZ, Grammatik der romanischen Sprachen, Bonn, 1882, p. 907. Per bel in particolare cfr. L. R., II, p. 206 e S. W., I, p. 137. La frase Bel m’es è una delle formule iniziali più diffuse nella lirica trobadorica; cfr. J. COULET, Le troub. Guilhem Montanhagol, Toulouse, 1898, p. 79. - A far. Sugli infiniti preceduti da a in dipendenza da bel cfr. DIEZ, ibid., p. 939; e cfr. S. W., III, p. 211.
 
3. que·l melher ecc. Il DE LOLLIS (Vita e poesie di Sord., Halle, 1896, p. 281) osserva: «Simili forme comparative tenevan luogo a volte di ‘segnale’; e perciò manca qui l’articolo». Ma questa frase, come hanno osservato il LEVY (rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., 1898, XXII, p. 256) e l’APPEL (rec. al vol. del DE LOLLIS, Literaturblatt f. germ. u. rom. Phil., 1898, XIX, col. 230), è alquanto insolita come senhal, anche per la sua lunghezza, per quanto presenti qualche analogia con i senhals «Mielhs-de-be» e «Miels-de-domna» citati dal De Lollis (e cfr. A. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, Toulouse-Paris, 1934, I, p. 317 e seg.): sì che io preferisco attenermi alla proposta del Levy e dell’Appel, e leggere, aggiungendo l’articolo, que·l.
 
5. de maestria: S. W., V, p. 11, 4 traduce «kunstvoll».
 
6. mas: col valore di «poiché» (cfr. S. W., V, p. 30 e seg., 8, ove è citato anche questo passo di Sordello; cfr. anche DIEZ, ibid., p. 1021, n. 1; A. KOLSEN, Guiraut von Bornelh, Berlin, 1894, p. 106, n. al v. 20 del n. I).
 
8. prim... tria. Il passo è di interpretazione assai dubbia, e parve tutt’altro che chiaro anche al Levy, il quale, citando questi versi nel S. W., V, p. 11, 4, vi appose un punto interrogativo. La traduzione che ho dato non è che un tentativo di interpretazione del tutto provvisorio, che mi lascia assai incerto. La difficoltà principale sta, a mio parere, nell’incertezza in cui si è sul significato del secondo prim, che potrebbe essere inteso nello stesso senso del primo, oppure in un senso diverso (nel qual caso si avrebbe uno di quei giochi di parole che sono tutt’altro che infrequenti nella lirica trabadorica) e nell’incertezza sul valore esatto di triar. Il primo prim potrebbe avere, a mio giudizio, il significato di «leggero», «facile», «semplice», che si ritrova, riferito a una lirica, nel primo verso di una canzone-sirventese di Raimbaut d’Aurenga, En aital rimeta prima (P. C., 389, 26), citato nel L. R., IV, p. 643 e tradotto dal Raynouard «En telle petite rime légère». Tale significato mi sembra confermato dai v. 2-3 dello stesso componimento (uno di quelli in cui Raimbaut si compiace di mostrarsi seguace anche del trobar leu: un trobar leu, peraltro, sottilmente elaborato; cfr. JEANROY, ibid., II, p. 44), ove si dice: m’agradon leu mot e prim / bastit ses regl’e ses ligna (cfr. C. A. F. MAHN, Gedichte der Trobadors, Berlin, 1856-73, n. 628): si noti l’accostamento di prim a leu, proprio come nel passo di Sordello, e il chiarimento significativo ses regl’ e ses ligna. (Però il prim del v. 2 si potrebbe anche intendere, col CANELLO, La vita e le opere del trov. Arnaldo Daniello,Halle, 1883, p. 196, nel senso di «sottile», contrapposto anziché allineato al leu, come nella canzone arnaldiana Chanso do il mot son plan e prim). Il qui, naturalmente, ha il ben noto valore di si quis (cfr. A. CAVALIERE, Le poesie di Peire Raimon de Tolosa, Firenze, 1935, p. 48 e seg.; G. BERTONI, I trov. d’It.,Modena, 1915, p. 516 (n. a XVII, 22) e p. 547 (n. a XXXIII, 21), ove si troveranno altri rimandi bibliografici.
 
9 e seg. L’immagine del cuore rubato dalla dama o dagli occhi della dama è frequentissima nella lirica trobadorica: si vedano i copiosi esempi citati dal DE LOLLIS, ibid., p. 80 e segg. e 282, tra i quali è particolarmente notevole il v. 36 della canzone A penas sai comensar di Guiraut de Borneill (P. C., 242, 11) Tant be·m saup lo cor emblar, che forse Sordello ebbe presente. (In tale forma però il v. compare solo nel ms. C; il KOLSEN, Sämtl. Lieder des Trob. Giraut de Bornelh, Halle, 1910, I, p. 18 con altri mss. legge: Tant be·m sap lo cor comtar).
 
13 e segg. Anche l’immagine dell’amore che penetra per gli occhi nel cuore è assai comune, presso i trovatori e poi presso i poeti italiani del sec. XIII. Basti anche qui rimandare all’esemplificazione raccolta dal DE LOLLIS, ibid.
 
20. l’es bo. Per la frase esser bos, nel senso di «piacere», assai comune, cfr. S. W., I, p. 154.
 
22. ab cor forsan. Il passo è chiarito nel S. W., III, p. 566, ove è detto: forsan = forsat. Letteralmente, quindi, l’espressione significherebbe: «con cuore costretto». Il senso del passo è indubbio, per la evidente contrapposizione che qui è posta tra la parola, che talora non corrisponde ai moti del cuore, che è infrenato, costretto a non rivelare i suoi sentimenti, e lo sguardo che sempre segue l’impulso del cuore.
 
23-24. Per l’accordo tra il cuore e gli occhi e per l’immagine degli occhi messaggeri del cuore, motivi comunissimi della lirica trobadorica e nella lirica italiana del sec. XIII, si vedano i passi citati dal DE LOLLIS, ibid., p. 80 e segg. e 282.
 
26. en perdo: «gratuitement» (L. R., IV, p. 515) ossia senza ottenerne alcun favore. Cfr. S. W., VI, p. 236, 5 e A. STIMMING, Bertran de Born, Halle, 1879, gloss., p. 354.
 
29. guia: in questa parola il De Lollis, come si è detto, voleva scorgere una allusione a Guida: ma ciò, come abbiamo accennato, è molto dubbio (cfr. p. LXV).
 
30. en ... loc prezan: qui loc significa «persona», e va riferito naturalmente alla donna amata dal poeta. È costrutto non raro, per cui si cfr. S. W., IV, p. 418, 8, e STOESSEL, Die Bilder und Vergleiche der alprov. Lyrik, Diss. Marburg, 1886, p. 26. Tre esempi, fra l’altro, occorrono nelle liriche di Guilhem Montanhagol: cfr. la canzone Non ai tan dig, v. 45 Qui amans es fols quant en bon loc non tria (ed. COULET, ibid., p. 112), e la canzone Non estarai, v. 33 Qu’ilh a mon cor en tal ric loc pausat e v. 46-48 es grans profegz qu’om tri ... loc conoissent aut e car (ibid., n. VIII, p. 120 e seg.).
 
32. be·u. Il De Lollis nella sua ed. aveva mutato u in o (be o); io ritengo, col MUSSAFIA (Zur Kritik und Interpretation rom. Texte, in Sitzungsberichte d. Kais. Akad. d. Wiss. di Vienna, Phil.-hist. Klasse, CXXXIV, 1895, p. 13) e con lo SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXI, p. 253) che sia da mantenere la lezione del manoscritto, dove u, come chiarì il Mussafia, equivale a l (lo in enclisi) per un fenomeno di vocalizzazione. Lo Schultz-Gora espresse il dubbio che nel ms. potesse leggersi ben: ma il ms. ha chiaramente beu.
 
33. Per valer nel senso di «esser utile», «giovare», cfr. S. W., VIII, p. 575, 2 e cfr. L. R., V, p. 463.
 
36. ni ... deuria. Il DE LOLLIS (ibid., p. 283) tentò di giustificare la lezione del ms., annotando: «Intendi: eppure non dovrebb’essere così, che io, cioè, non vi chieda (non abbia il diritto di chiedervi) altro se non che, ecc..», Il MUSSAFIA (ibid.) propose invece di sostituire estre, da lui giudicato una corruttela, con estiers, intendendo «und andere Gabe dürfte ich nicht verlangen»; e lo SCHULTZ-GORA (ibid.), non interamente soddisfatto di tale emendamento, mise innanzi la congettura autre, da intendersi come complemento di demandar, che sarebbe in tutto accettabile. L’APPEL però (ibid., col. 230), ritenendo che il poeta voglia dire qui che l’adempimento della preghiera non dovrebbe mancare, difese la lezione del ms., proponendo di costruire ni deuria estre «non», e di intendere (dando a ni valore negativo) «und nicht solite ‘nein’ sein». Dopo qualche perplessità (perché, in verità, questa interpretazione non mi sembra del tutto esente da difficoltà) ho preferito con l’Appel non mutare la lezione del codice, ritenendo che si debba evitare il più possibile di allontanarsi dal ms., ove dia un senso plausibile.

 

 

 

 

 

 

 

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