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Boni, Marco. Sordello, Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario. Bologna: Palmaverde, 1954.

265,001a=437,010a- Joan d'Albuzo

1. brui: da bruir, variante del più comune brugir. Per il significato cfr. S. W., I, p. 169.
 
3-4. Non si tratta probabilmente di un’allusione a Cunizza, ma una battuta arguta e vivace che mira a rintuzzare l’accusa di Joan.
 
7-8. Cfr. ciò che Sordello dirà poi a Peire Bremon Ricas Novas nei v. 22-23 del n. XXIV. - m’amia: forse allusione a Cunizza.
 
10. marqes. Credo che sia pienamente accettabile l’ipotesi del BERTONI (accolta anche dallo SCHULTZ-GORA e dal DE BARTHOLOMAEIS: cfr. la n. 68 del cap. I), che vede nel marqes il marchese Azzo VII d’Este. Lo JEANROY, nella sua recensione allo studio Nuove rime di Sordello di Goito del BERTONI, in Annales du Midi, XIV, 1902, p. 208, ritenne dapprima che potesse trattarsi anche del marchese di Monferrato; ma più tardi (La poesie lyrique des troubadours, Toulouse-Paris, 1934, I, p. 247, n. 2) aderì anch’egli all’opinione del Bertoni. Cfr. anche D. J. JONES, La tençon provençale, Paris, 1934, p. 39.
 
11. l’o: il DE BARTHOLOMAEIS emenda in los; ma non è necessario. - prezi: si ha qui il perfetto debole in luogo del più comune e regolare perfetto forte. Tale perfetto debole (3ª pers. sing. prezet e 3ª pers. plur. prezeron) si ritrova anche nei frammenti della traduzione provenzale del Roman de Merlinediti dallo CHABANEAU in Revue des langues romanes, XXII, 1882 (cfr. p. 241 e seg.). Per tali forme deboli, non rare nell’antico provenzale accanto alle forme dei perfetti forti, specialmente nei perfetti in gutturale, cfr. V. CRESCINI, Manuale per l’avviamento, Milano, 1926, p. 120; J. ANGLADE, Gramm. de l’ancien provençal, Paris, 1921, p. 307 e seg., e 310.
 
13-14. Lo SCHULTZ-GORA, Ein Sirventes von Guilhem Figueira, Halle, 1902, crede che qui si debba scorgere un’allusione a Cunizza: ma tale ipotesi mi sembra molto arrischiata. Ritengo col BERTONI (rec. al vol. dello SCHULTZ-GORA, in Giorn. stor. d. lett. it., XLI, 1903, p. 421) che si tratti di una battuta ironica, nella quale Joan vuol dire a Sordello che non crede alla sua risposta: il giullare che segue Sordello notte e giorno è una arguta perifrasi per indicare lo stesso Sordello.
 
16. Verso assai oscuro. Il ms. ha e donei en combatria, che lascia assai perplessi. Lo JEANROY, ibid., ha cercato di spiegare en combatria, proponendo di sostituire em a en e traducendo «je suis disposé à combattre» (considerando me come espletivo): proposta in fondo accettabile, benché non elimini ogni dubbio. Resta però da spiegare donei, che può intendersi come perfetto di donar («ho fatto doni») o come equivalente a don’ei, con ei invece di ai («ho doni», ossia «ricevo doni»). Delle due interpretazioni mi sembra più accettabile la prima, che si lega meglio a quel che precede (il dono che Sordello afferma di aver fatto al giullare) e anche ai versi seguenti (17-18), in cui Johan afferma di vedere Sordello non donar, ma chiedere e pregare; benché non mi nasconda che ei, presente, meglio si accorderebbe con sui, e che il donar può essere implicito nel sui cortes (s’intende che il donei va strettamente unito a per amor: per amore sono cortese, e per amore ho fatto doni...; ossia per mostrare la mia generosità cavalleresca e meritarmi l’amore della dama...). Lo SCHULTZ-GORA, ibid., propone di leggere, emendando notevolmente il combatria, e don’ei en Conh’a tria; il che permetterebbe di trovare nella tenzone un esplicito accenno a Cunizza da Romano. Ma questa interpretazione che è stata accolta anche dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie prov. stor., II, p. 114 e segg., (il quale traduce «e da Cunizza ricevo doni a scelta») mi sembra — come già parve al BERTONI, ibid. — troppo ardita e molto discutibile.
 
17. no vos. Il ms. ha nous: ma l’emendamento (proposto dal BERTONI) è necessario per restituire la giusta misura al verso, che altrimenti risulterebbe mancante di una sillaba.
 
21. lo: supplemento proposto dallo JEANROY, ibid., per sanare l’ipometria e accolto anche dal DE BARTHOLOMAEIS.
 
22. blasm’om: emendamento del BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, in Giorn. st. d. lett. it., XLI, 1903, che ritengo preferibile alla lezione del ms. (blasmon), che però si potrebbe anche sostenere. Il Bertoni osserva che nel ms. è frequente lo scambio di m e n finali, e rimanda per tale sostituzione, non ignota ad altri testi, a una breve nota dello SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., XII, 1888, p. 263.
 
28. m’entenda: il ms. ha menten, sì che il verso risulta mancante di una sillaba. La correzione, paleograficamente facilissima, è stata proposta dallo SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del BERTONI, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXVI, 1902, p. 367, ed ed. cit., ed è stata accolta anche dal DE BARTHOLOMAEIS.
 
29-32. È assai probabile che in questi versi vi sia una allusione a Cunizza. - len: il S. W., IV, p. 361, cita proprio questo passo di Sordello nella trattazione dedicata a len = «lento», e mostra quindi di intendere l’avverbio come equivalente a «lentamente». Si potrebbe però pensare anche al len = «lisse, doux, glissant» (L. R., IV, p. 44 e E. LEVY, Petit dictionnaire, Heidelberg, 1923; manca nel S. W.), e spiegare «troppo alla liscia», ossia «troppo alla svelta»: con quest’ultima espressione traduce appunto il DE BARTHOLOMAEIS. Con quest’ultima interpretazione l’allusione a Cunizza sarebbe ancor più evidente. - am’: seguo la proposta dello JEANROY, rec. al vol. del BERTONI, e dello SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del BERTONI e Ein sirventes, accolta anche dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie prov. stor. Il BERTONI stampa am.

 

 

 

 

 

 

 

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