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Boni, Marco. Sordello, Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario. Bologna: Palmaverde, 1954.

344,003a=437,015- Peire Guilhem de Luserna

3. Ho preferito la lezione di E M N, ma anche quella di O a’ sarebbe sostenibile. In molti punti, come si vedrà, le due famiglie ci offrono, in questa tenzone, due lezioni assai diverse, tra le quali la scelta è assai problematica. Per anar col gerundio cfr. VIII, v. 40 e la nota relativa.
 
4. Ho relegato nell’apparato l’iest di M, accolto dal DE LOLLIS nel testo, che è la forma della 2ª singolare e qui appare assai strana (cfr. O. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr, f. rom. Phil., XXI, 1897, p. 252), e ho preferito l’es di E O a’, che si intravvede anche sotto l’esa di N ed è certo la lezione originaria.
 
6. q’en Blacatz... Sordello appare da questo passo rivale in amore del celebre signore di Aups, del quale piangerà la morte nel famoso planh.
 
10. son nientz: esempi della locuz. es nientz sono dati dal CAVALIERE, Le poesie  di Peire Raimon de Tolosa, Firenze, 1935, p. 118 (n. al v. 1 del n. XVII).
 
11. Altro passo assai incerto. Sicuro è pendutz, dato da N O a’ (a cui si accosta anche l’Eq.): M e E qui evidentemente variano. Nella prima famiglia si può dare per certo il fora, dato da M N. Ho preferito seguire la lezione di O a’, che mi sembra più chiara, in considerazione anche del fatto che tali mss. danno in modo più sicuro anche il v. seguente: ma, al solito, si potrebbe forse difendere anche la lezione adottata dal DE LOLLIS (Q’en Blacatz fora ab me pendutz), ricostruita sulla lezione dei mss. della prima famiglia (cfr. però le osservazioni fatte in proposito dal LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., 1898, XXII, p. 255). Si potrebbe anche prendere in considerazione la lez. di N, che sembra rispondere assai bene al finale della strofa precedente; ma a me sembra che la presenza di ab me o mi in E M e la lezione di O a’, nonché l’accenno a se stesso che Sordello fa nei versi precedenti inducano a ritenere probabile che Sordello in questo verso accennasse anche a se medesimo. Ho mutato il fosson di O a’ in fossem, non essendovi esempio di fosson nella 1ª pers. plur. dell’imperfetto cong. di esser. Per pendre usato per affermare energicamente cfr. A. JEANROY – J. J. SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, Toulouse, 1913, p. 190, n. al v. 15 del n. XII, e cfr. n. VI, v. 15.
 
12. Anche in questo verso ho seguito le lezione di O a’, adottata del resto già dal DE LOLLIS. La lezione di E M (quen aiso, qen aisso) mi sembra una correzione: la presenza di i (o li) nel testo originale mi par certa. Quanto al senso dei due versi, mi sembra che Sordello voglia dire che la contessa è tanto ricca di meriti che nessuno potrebbe sollevarsi tanto in alto sì da esser degno dell’amore di lei.
 
13. color: nel senso di «specie», «qualità»: S. W., I, p. 283; e cfr. L. R., II, p. 440.
 
15. es: anche qui ho preferito es di E a iest di M (cfr. v. 4). Il verbo manca, in N, ove però per questo il verso è ipometro.
 
23. per dever: qui vale «per obbligo». L’espressione ricorre anche nell’Ensenhamen (XLIII), cfr. 398 e 898.
 
23-24. Letteralmente: «chi volesse avesse ogni ricchezza, sol che (purché) io ne avessi...»: ossia «io sarei disposto lasciare a chi la volesse ogni ricchezza, pur di avere...». Vi è un brusco mutamento di costruzione rispetto ai versi precedenti: ma l’anacoluto è in tutta la tradizione, e non dà luogo a dubbi. Ho preferito E M N a O a’, perché questi ultimi mss. mi sembrano dare qui una lectio facilior; però anche la lezione di O a’ sarebbe sostenibile. -Qi·s = qui sibi, col solito pronome riflessivo pleonastico (cfr. I, v. 24).
 
26. vos faitz: «vi fate», «vi date l’aria di essere»: cfr. L. R., IV, p. 201, ove è citato anche il nostro passo. Non è necessario ritenere, come fa il DE LOLLIS, che vos equivalga a vo·us (= vos vos; parallelo a nos = no·us): il vos soggetto è sottinteso (cfr. LEVY, ibid.). Il predicato è in nominativo, poiché se faire è una di quelle costruzioni che presentano appunto tale particolarità (cfr. A. STIMMING, Bertran de Born, Halle, 1879, p. 230).
 
29. auzet[z]: anche qui ho scartato auziest di M, poiché tale forma è invero molto strana, come già ebbe ad osservare lo SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 252. La forma da me adottata è un emendamento della forma di E. Come si vede dall’apparato, questo verso si presenta nei mss. in modo assai vario. La lezione da me data si fonda, principalmente su E M, a cui appartiene anche escarnir, che ho preferito perché assai soddisfacente per il senso. Certo dà da pensare la concordanza tra N O a’ (scrimir N, scremir O, escremir a’): e può venire il sospetto che la lezione originaria, possa essere escremir. Occorre però notare che in O a’ la lezione è certamente corrotta, perché il verso è ipermetro in a’, e tale diverrebbe anche in O se vi si introducesse la forma corretta escremir, e che anche N è certo assai guasto; d’altra parte non mi pare che escremir dia un senso soddisfacente. Comunque, come abbiamo avvertito, questo passo può suscitare qualche sospetto che la classificazione dei mss. che si è proposta sia complicata da collazioni. Quanto al fatto a cui qui accenna Peire Guilhem, anch’esso è tutt’altro che chiaro: la maggior parte degli studiosi vi ha visto un accenno agli amori tra Sordello e Cunizza da Romano (cfr. Introduzione, p. XXXVII).
 
31. derrengatz: derrengar ha qui il senso di «von der graden Linie, von der richtigen Weise abweichen», come nell’Ensenhamen (XLIII), v. 390; cfr. S. W.,  II, p. 107; e cfr. L. R., V, p. 83.
 
32. a lei: «a guisa di...», «a mo’ di...»: L. R., IV, p. 36; e S. W., p. 356, 6; cfr. anche LEVY, Guilhem Figueira, Berlin, 1880, p. 85, n. al v. 66 del n. 2; C. APPEL, Prov. Chrest., Leipzig, 1930, gloss.
 
33. Anche qui si sarebbe potuta adottare la lezione di O a’, che presenta in forma soddisfacente anche il verso seguente (cfr. SCHULTZ-GORA, ibid.). Non mi pare accettabile, invece, nonostante il contrario giudizio dello Schultz-Gora, la lezione mos senz di M, che può essere corretta in sé, ma ha contro tutto il resto della tradizione. È curioso notare che in M il ricordo del coms è scomparso anche nei v. 27-28.
 
35-36. In forma diversa la sentenza si ritrova in un passo del Libre de Senequa: Qui crida so que deu selar / e cela so que deu cridar / l’aus es vaycel que re no te / e l’autre ama mays que be (ed. K. BARTSCH, Denkmäler d. prov. Lit., Stuttgart, 1856, p. 209, I, 27 e segg.).
 
38. gandir: riflessivamente, nel senso di «sottrarsi», «sfuggire»: cfr. L. R., III, p. 422 e soprattutto S. W., IV, p. 34, 7 e per il de, p. 33, 3.

 

 

 

 

 

 

 

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