Ancora qualche osservazione specifica sulla redazione di Celeis cui am inserita e commentata, con le modalità già più volte enunciate, all'interno della Exposition di Guiraut Riquier.
L'insolita contestualità di questo testimone della canzone (almeno per quanto riguarda la letteratura d'oc) (1) non ha avuto riflessi degni di nota né su quanto attiene all'integralità del tradito (proprio R, insieme a C ed E, si distingue anzi per completezza, risultando questi manoscritti i soli a tramandare la seconda tornada della canzone) né sull'ordinamento progressivo delle coblas, la cui distanziata trascrizione (intervallata dalle rispettive porzioni di commento) non contempla scambi o manomissioni rispetto a quello che risulta l'ordine comune a tutta la tradizione (2). La versione di R² si caratterizza, se mai, per una propria peculiare ridondanza, date le costanti ricitazioni, nelle corpo delle varie «glosse» riquieriane, di versi (singoli o più spesso a coppia, o in gruppo di tre) già citati appunto all'interno delle coblas rispettive: questa duplicità di trasmissione non solleva però problemi trattandosi di varianti quasi sempre minimali (di cui riferiamo nelle singole note al testo). Nulla di notevole, parimenti, sotto l'aspetto scrittorio, poiché il testo di Calanson, distinto visibilmente dall'opera di Riquier tramite l'uso (quasi sempre appropriato) dell'inchiostro rosso (3), risulta generalmente di agevole lettura (per i pochi casi dubbi, v. nostre note all'edizione passim), e tutte le peculiarità di copia s'inseriscono in quelle sistematicamente illustrate per il «libro» di Riquier da Valeria Bertolucci Pizzorusso (4). Per quanto riguarda invece la specifica qualità testuale di R², vale a dire la sua posizione e il suo livello di attendibilità all'interno della tradizione manoscritta, sarà utile un sommario riepilogo della sistemazione operata a suo tempo da O. Dammann, sostanzialmente accettata dagli editori successivi.
In base all'opera di recensio pressoché esaustiva (all'elenco dei testimoni escussi mancava soltanto, oltre al «gemello» K di I (5), il ms. a² o «complemento Càmpori» del Riccardiano 2814, di cui diremo più avanti), ed alla esplicita applicazione del metodo lachmanniano, «sind drei von einander unabhängige Handschriftengruppen anzunehmen», famiglie da Dammann ricondotte a tre capostipiti supposti in diretta filiazione dall'originale (riproduciamo in calce, per maggior chiarezza, il grafo stemmatico) (*). Limitando il nostro campo d'osservazione al «gruppo γ» (6), noteremo che ad esso fan capo, oltre alle due distinte sezioni di R (R' ed R², appunto, la quale ultima si identifica nella versione farcitoria dell’Exposition riquieriana) ed all'eclettico C, E (considerato di livello superiore agli altri della serie, e la cui lezione spesso fa testo nelle edizioni Dammann ed Ernst) (7), nonché, possiamo aggiungere, a² ancora ignoto all'epoca (8), ma preso in considerazione poi da Ernst e da Jeanroy, sia pure senza alcun giudizio di merito.
In effetti il nostro (sia pure sommario) approccio a questa tarda copia del testo calansoniano conferma la collocazione già implicitamente offerta da Jeanroy (orbita di γ, insomma) (9), oltre ad appurare una fedeltà alla lezione presumibilmente originaria superiore a quanto ci si potrebbe attendere in un testo sfigurato da errori di trascrizione e sviste grossolanamente devianti (10). Anche in questo caso, quindi, recentiores non deteriores: tale era del resto il succo del giudizio pure un po' burbero del Bertoni, scopritore ed editore del codice (11).
La fiducia goduta (indubbiamente a giusto titolo) dall'operato editoriale del Dammann presso gli studiosi successivi — basti accennare all'Ernst, che all'interno della propria riedizione del corpus calansoniano, dove ad ogni testo è dedicata una minuziosa ricognizione ecdotica con proposta di stemma, rimanda sic et simpliciter al proprio predecessore per tutto quanto attiene alla nostra canzone — non esime tuttavia da una diretta presa di conoscenza della recensio attualmente disponibile: la nostra verifica si è concentrata, come ovvio, sul «gruppo γ» e all'interno di questo sulle due redazioni di R di una delle quali abbiamo fornito, all'interno dell'Exposition riquieriana, la nostra rilettura interpretativa. I ritocchi che questa indagine elementare ha permesso di apportare agli apparati critici e alle trascrizioni diplomatiche precedenti (v. per tutti Dammann e Jeanroy) e che qui di seguito esponiamo, oltre a saggiare il livello di fededegnità testuale della versione nota a Riquier (che, anche in rapporto all'altra copia di R, risulta abbastanza elevato), provvedono a una descrizione della fisionomia di questa copia che ci è sembrato utile premettere all'analisi ravvicinata dei rapporti testo-glossa di cui diamo un saggio al punto successivo.
Rimandando per ora ogni altra considerazione, passiamo in concreto all'esito del nostro confronto: da sinistra a destra testo di R', testo di R² (in base a dirette verifiche) e testo critico (secondo Ernst, ma con nessuna differenza sostanziale, per i luoghi qui di seguito riportati, nei confronti di Dammann). Le note in calce completano le informazioni relativamente agli altri codici del gruppo ed alle eventuali divergenze di lettura dei precedenti editori; sarà superfluo avvertire, infine, che non prendiamo in considerazione le varianti puramente grafiche (e invece segnaliamo quelle relative alla morfologia nominale, su cui cf. anche le qui seguenti note 12, 13).
R'
R²
Ernst
I,
v.
2
senher
senhors
seignor
5
car sai que vens
per so car vens
per so car vens
8
e ja nulh temps
ni ja nulh temps
ni ja nuill temps
II,
12
fa dos colps de plazer
don fal colp de p.
don fai c.d.p.
13
don
on
on
14
e lansa
tan lansa
si lansa
15
sajeta
sajetas
sagetas
15
ab .I. dart
lansa un dart
lans'un dart
III,
18
res no ve
ren no ve
no ve re
IV,
29
les
lens
les
31
los fals
los
los fals
V,
35
noi sap joi elegir
no sap joc elegir
no sap nuill joc legir
37
que non l'adop
que non l'ades
que noi ades
38
de lag jogar mespres
de lach joglar m.
de lait jogar m.
39
li ponhs
li ponh
li point
VI,
42
el solelhs par se
el solelh par
ni soleils par, se
fai de totz grazir
se fai per tot g.
fai a totz servir
47
que porta senhs
que porta senh
que porta ceing
VII,
50
es de gran beutat
es de tan gran beutat
es de tan gran rictat
VIII,
53
chanso
chansos
chanso
v. 2
Per E si tratta qui di una zona muta in quanto «l'ablation de la lettre initiale [...] a fait disparaître une partie du premier couplet», danno comune a buona parte del codice (JEANROY, Jongl. et troub., p. 29 n. 1): risulta peraltro leggibile la sequenza don'e seignor. Circa R' R² cf. qui avanti nota n. 13.
v. 5
Il testo di R² comune, nel gruppo γ, a C ed a²; per E cf. supra.
v. 8
Per R² Ni, cf. ricitazione in Exp., v. 233 E (allineamento a C, E, a²).
v. 12
R' dos a fine rigo (DAMMANN: dous); C E a² in linea con R². Per R² fal cf. apparato e nota all'ed.
v. 13
R' Dō noζ (risolvibile in -m?); C e noy (diversamente da JEANROY, Jongl. et troub.), a² e non; E on no.
v. 14
R' E lāsa (segue una lettera — o ? - soppuntata in fine rigo); tan comune a C, E, a² oltre che R².
v. 16
E lansa un dart (così a²: lanza), C trai un dart.
v. 18
Ad E si allineano C (no ve re) ed a² (non vei res), coi soliti ondeggiamenti nella resa del sostantivo a valore avverbiale.
v. 29
R² lēs (cf. app.), non segnalata da JEANROY.
v. 31
Ovunque fals eccetto C (Quar li fols).
v. 35
E come testo critico; C non es nulhs hom q(ue) ioy ne sapcha eslir; per a² cf. n. 10. In app. DAMMANN attribuisce sia ad R' che ad R² sap joc.
v. 37
La lezione di R' non segnalata in app. DAMMANN; JEANROY omette di sciogliere il titulus di nasale (nō), e non segnala il testo di R². E come testo critico; C a² e g(u)ar q(ue) noi ades.
v. 38
R': de lag con e sbiadita, malastazaut con ast depennato; per R² joglar (con l parzialmente visibile), cf. nota a canz. V, 38.
v. 42
La forma asigmatica di R² (solelh) non riportata in JEANROY (cf. la nostra n. 12); E fai per tot obezir; C tot es al sieu servir, a² es tout al sieu servir.
v. 47
Per le scrizioni del p. ps.-aggettivo cf. qui avanti, n. 31.
v. 50
E come testo critico; C es de granda rictat; in a² mancano le due tornadas.
La prima deduzione ricavabile dal precedente schema riguarda il numero decisamente rilevante di coincidenze tra R² ed E, contro le isolate e meramente deteriori lezioni di R' (vv. 5, 12, 16; a v. 13 don, di per sé variante minimale nei confronti di on, conferma se non altro l'incuria del copista che anche qui produce una forma unica nel contesto della tradizione). L'incompleta affinità di R' al resto del gruppo spicca anche nei luoghi di presumibile distacco comune dal testo originale (cf. a v. 14 E lansa di R', contro Tan lansa di R², C, E, a²: a livello editoriale si è imposto si di α e ζ). In ogni caso, R' non smentisce la sua complessiva inferiorità ad R² nella copia del comune modello: cf. al v. 35 R' joi per R² joc, svista peraltro comune al più deteriorato testo di C; al v. 37 R' adop (?) per R² ades; al v. 50, se è probabilmente da addebitare al capostipite di R' R² la sostituzione di rictat, già occorrente in rima (ai vv. 24 e 54), per zelo comprensibile ma eccessivo trattandosi qui (come poi a v. 54) della zona «franca» della tornada, R² riesce almeno a salvare l'equilibrio metrico invece compromesso da R' (dove beutat deriverà probabilmente da una cattiva lettura di bontat). Dell'analoga incuria di R' a livello morfo-nominale fanno poi fede i vv. 15 (saieta Obl. Pi.), 39 (li ponhs Nom. Pl.), 47 (senhs coordinato ad aurfres che qui funge da oggetto), per citare solo i casi più sicuri (12) in cui R² mostra invece il suo adeguamento alla tradizione più corretta (13).
Per quanto riguarda poi la caratterizzazione in positivo di R', gli unici luoghi decisamente preferibili alla corrispondente lezione di R² si situano ai vv. 29 (les / R² lens, cf. Postilla a traduzione g e qui addietro nota all'edizione) e 38 (joglar / R² jogar da precedente joglar: sull'incertezza di lettura cf. qui addietro testo edito); R' non conosce, infine, la breve lacuna di R² in corrispondenza di fals del v. 31 (anche per questo v. nota relativa).
Da queste precisazioni non può venire inficiata l'asserita e indiscutibile affinità genetica delle due versioni tramandate dal codice R, anche se costituisce un pur minimo progresso rispetto alla vulgata critica l'avere appurato la bontà di copia decisamente maggiore di R² rispetto al suo imperfetto «gemello» (e ciò invita quindi alla periodica verifica di etichettature del genere che se supinamente accettate rischiano di far eludere la concreta fisionomia dei testi). Tutto quanto possiamo affermare, in conclusione, che è l'amanuense di R² trascrive con attenzione e buon senso il modello spesso strapazzato e frainteso da quello di R': conclusione molto provvisoria che invita al contempo ad una verifica più approfondita dei rapporti fra queste due sezioni del codice R, la cui composita strutturazione è stata già sperimentata da competenti studiosi (14).
2. Problemi del chiosatore
La correzione dell'ottica troppo livellatrice instaurata nei confronti della «coppia» R'-R²(risolta, come s'è visto, a favore della seconda redazione) non può esimere, in direzione opposta, dalla necessità palese di smorzare l'eccesso di sacralità autorizzativa che Riquier conferisce (per ragioni, certo, psicologicamente assai intuibili) al prezioso manoscritto della canzone giunto nelle sue mani, «que motz camjatz no·y fo, / aisi com l'auziretz» (Exp., vv. 54-55).
Sarebbe ovviamente antistorico pretendere dal nostro trovatore criteri di giudizio propri della moderna critica testuale (tanto più se applicati a quello che risulta, nella ridotta prospettiva riquieriana, un codex unicus): a noi spetta invece la constatazione del discreto livello di attendibilità del testimone (migliore, all'interno del suo gruppo, non solo di R' ma anche dell'ibrido C e del tardo e pasticciato a², e decisamente inferiore, quindi, al solo E), controbilanciata peraltro dal doveroso riconoscimento che anche R² riproduce in maniera già imperfetta il presumibile dettato originale della canzone. Né i riflessi di questi scarti (abbastanza numerosi, ma di diversa qualità) sulla Exposition, che con essi deve forzatamente convivere motivandoli anzi come elementi autentici del discorso calansoniano, né, più in generale, l'alto coefficiente d'intersezione testuale che accomuna glossato e glossante all'interno di quest'ultimo (e che travalica, ad una attenta indagine, la troppo netta demarcazione fra «zone di competenza» rispettive affidata ai già individuati segnali scrittori, e poi tipografici) non hanno suscitato quell'attenzione che a nostro parere meritavano da parte della critica moderna, tutta tesa a privilegiare univocamente il primo testo poetico (per i motivi, almeno in parte comprensibili, che abbiamo rilevato altrove).
Il completo disancoramento da questa realtà di fatto (15) nei pochi e sbrigativi giudizi tributati al nostro autore in epoca moderna (concordanti nel negativo, per lo più vagamente motivato data la superficiale presa di visione del testo) (16) non può che avere prodotto aporie valutative, alcune delle quali verranno additate nelle pagine seguenti.
La nostra indagine prende le mosse, come sembra doveroso riconoscere, da indicazioni al riguardo già fornite nel voluminoso commento Dammann, le quali però non ebbero a nostra conoscenza nessun seguito forse in ragione della loro asistematicità di presentazione (e, quindi, dello scarso rilievo ad esse concesso dal medesimo studioso).
Diamo qui di seguito una rassegna dei luoghi che ci sembrano più significativi per il diretto collegamento istituibile fra lezione abnorme di R ed inevitabile égarement dell'espositore Riquier: ogni citazione del segmento testuale interessato prima secondo R² (come da nostra attuale edizione), poi secondo l'edizione critica Ernst della canzone (le differenze rispetto a Dammann, nei casi da noi presi in esame, si riducono in effetti ad alcune scelte interpuntive di cui pure diciamo in nota).
c. II, v. 1
e fier tan fort que res no·l pot gandir
e fer tan dreg que res no·il pot gandir
In questo caso, la lezione fort di R² è comune ad R', E, a² (per il gruppo γ), nonché agli esponenti di α. Dreg di ζ si è comunque imposta, nelle edizioni critiche Dammann ed Ernst, per motivi anzitutto di opportunità logica e semantica: non tanto la «forza», quanto la «destrezza», la precisione del colpo conduce insomma all'impossibilità di schivarlo, e lo stesso concetto, poi ribadito nella seguente cobla III (vv. 18-19), conosce una prima replicatio già all'interno della II, primo emistichio del v. 14 («si lansa dreit») (17).
La variante di R² non produce comunque stravolgimenti di importanza capitale per quanto attiene all'economia semantica del periodo; Riquier dal canto suo potrà insistere (Exp., vv. 297 ss.) a ragion veduta sulle conseguenze micidiali del colpo, «forte» o «sicuro» che esso sia, e anzi il testo di R gli fornirà l'occasione per istituire uno dei suoi virtuosismi interpretativi. Questa volta il collegamento allegoretico viene istituito tra «forza» inarrestabile del colpo d'Amore e qualifica metallica del dardo che lo produce (vv. 308-11: «Pero car assier es / pus fortz metalh que sia, / nomnet per maystria / mot be d'assier lo dart»).
c. III, vv. 18-19
e ren no ve may lay on vol ferir,
e no·l falh temps, tan gen se sap aizir;
e no ve re; mas lai vol ferir
no faill nuill temps, tan gen s'en sap aizir;
All'interno del gruppo γ, solo E e C conservano il testo presumibilmente originale (che a², come spesso accade, riesce ancora a recepire nonostante la resa imperfetta: «e non vei res mas lai on vol ferir / non li fail res tan gent si sap assir»): la «coppia» R'-R² si viene così a trovare in netto isolamento sia per l'inversione oggetto-verbo del v. 18 (cf. al § precedente) che, soprattutto, per l'intera specificità di lezione del v. 19.
Si tratta, com'è abbastanza evidente, di un diluimento del secco enunciato temporale (nuill temps «mai», locuzione di normale utilizzo in a. prov. (18) e del resto già ricorsa al qui precedente v. 8) nell'espressione meno univocamente assumibile «le temps li falh»: in direzione semignomica invitano tuttavia altri riscontri trobadorici e lo stesso circostanziato commento riquieriano (Exp., vv. 428 ss.), che potrebbe aver tratto contemporanea suggestione dall'accezione «stagionale» di temps (19).
Sul piano sintattico, occorrerà rilevare la diversa segmentazione del dittico (due coordinate, ognuna adagiata in un verso, in R) che induce tra l'altro all'univoca traducibilità di may «eccetto, tranne»: alternativa compresente, ma non esclusiva, per quello che è il testo critico (come dimostra l'interpunzione Dammann) (20), anche se a noi appare preferibile la proposta Ernst sia per motivi di equilibrio formale (ricorrenza di spezzature sintattiche all'interno della canzone) che di pregnanza contenutistica (lo stesso binarismo antinomico: amore cieco ma arciere infallibile, marchia, calansonianamente, il Fadet joglar) (21).
c. IV, vv. 26-27
ha .v. portals, e qui·ls .ij. pot hubrir
greu passa·ls tres, mas leu n'es per partir
a cinc portals, e qui·ls dos pot obrir
leu passa·ls tres, mas no·n pot leu partir;
Nel punto di perfetta centralità trova adeguata collocazione l'apice emblematico dell'intero componimento: di ciò è buona spia la disparità, talvolta contraddittoria, della tradizione manoscritta. Restringendo l'angolo d'osservazione, come di consueto, al gruppo γ, va notato l'allineamento sostanziale ad E di R' R² (previa commutazione, nel secondo emistichio del v. 27, di s'en pot in n'es per, lezione peculiare della «coppia»), ma in questo caso risultano C («leu passals tres mas non pot leu yssir») ed a² («ben passals tres mais leu non pot partir») i riflessi (esatti nella sostanza, se non nella forma) del testo originale (22), che del resto non è tramandato da nessun manoscritto a noi noto, ma ricostruito dagli editori in base ai dati offerti dalla recensio.
Foyerir radiatore della diaspora, con ogni probabilità, la duplice ravvicinata ricorrenza di leu nel v. 27 che, anche in ragione del contenuto tutt'altro che immediatamente recepibile dell'intero periodo, può avere indotto a sostituzioni (nella prima o nella seconda occorrenza) con l'associato antinomicamente greu: destinato, almeno nei testi delle famiglie α e γ, a vanificare la forte dialetticità originaria poggiante sul perfetto bilanciamento di parallelismo (i due membri periodali giustapposti) ed antitesi (al centro, in posizione eminente, l'avversativa mas).
Della lezione di R risalta abbastanza facilmente la scarsa congruenza all'interno del rapporto gerarchico prefigurabile (sia pure in via ipotetica) fra le due serie di portals: data la funzione di filtro selettivo assegnabile alla prima di esse, la carica di difficoltà connessa al superamento della triade successiva dovrebbe verosimilmente risultare diminuita, e non aumentata come pare di poter arguire dal testo di R (23); quanto al secondo emistichio del v. 27, non privo di una certa ambiguità sia pure più apparente che reale (24), possiamo solo affermare che è più confacente agli schemi mentali ed alle metafore letterarie del Medioevo la «difficile» uscita dal castello d'amore, quasi trasformato in dorata prigione per chiunque sia penetrato nei suoi più profondi recessi (25).
L'interpretazione diametralmente opposta desumibile dal testo di R combacia peraltro in modo esemplare con le già enucleate tendenze anticortesi di Riquier, in particolare con quella visione intrisa di profondo pessimismo dell'amor carnalis precipitante ab origine verso il proprio disfacimento, che prima di questo passo specifico trova espressione in altri numerosi luoghi dell'Exposition. È dunque quasi scontata, a questo punto dell'opera (vv. 520 ss.), dopo il generico cenno alla pericolosità di tutti e cinque i varchi (26), la lapidaria chiosa dell'ultimo emistichio citato: «e qui·ls a totz passatz / a issir lo·n cove, / pus son dezir a ple, / co vos ai dig desus» (vv. 544-547). Già prima, infatti, è avvenuta l'identificazione fra «quinto portale» e «faitz, per que mor / l'amors» (vv. 525-26), previo radicalizzante elevamento a dogma di quella che risulta un'acquisizione (fra le tante anche di segno opposto) del trobadorismo «aureo» (27).
c. VI, v. 42
e·l solelh par, se fai per tot grazir;
ni soleils par, se fai a totz servir;
L'innovazione sostanziale di R è costituita ovviamente da grazir, a cui, nel medesimo gruppo γ, si oppongono obezir (singularis di E) nonché la convalidata servir (C a²), che ricorre in tutti e tre i rami della tradizione (28). Al di là dei criteri meccanici, risulta superfluo rilevare l'assai maggiore congruenza di servir al contesto (dove, almeno fino al v. 45, si continua a ribadire l'illimitato poder di Amore, con illustrazione del suo vario manifestarsi); la lezione di R produce viceversa un'inopinata stonatura anche a livello di strutturazione tematica complessiva, dato l'assai esiguo spazio concesso all'aspetto «gradevole» del menor ters (i pochi sprazzi ottimistici si inseriscono nella descrizione dello stadio aurorale dell'amore: cf. vv. 12, 21). L'incongruenza di R si rivelerà, in questo caso, abbastanza deleteria per il severo fruitore-chiosatore che, obbligato a deviare dalle sue normali linee di tendenza (connotate, è ovvio, in senso diametralmente opposto: Amore = fals semblans e produttore di affanni, crudele despota, ecc.) cercherà di liberarsi dell'assioma con una breve nota definitoria (Exp., vv. 743-47) risolta però in una catena di pseudosillogismi poco perspicui anche sintatticamente (cf. le nostre note all'ed.).
c. VI, vv. 47-48
que porta senh, don tug siey parentat
naiso d'un foc don tug em assemblat.
que porta ceing; e tuit sei parentat
naisson d'un foc de que son assemblat.
Sarà opportuno segnalare, anzitutto, che il vocabolo finale del dittico risulta interessato ad un caso abbastanza vistoso di diffrazione (presumibilmente in praesentia, stando alle scelte operate in sede di restitutio): DIK aflamat, E alumnat, altrove as(s)emblat, lezione quest'ultima accolta, con poche riserve, dai moderni editori della nostra canzone (29).
Anche l'intelligibilità complessiva del passo (sia letterale che allegorica) non può dirsi completamente chiara, soprattutto nei suoi elementi lessicali parentat ed assemblat, che nel foc trovano il punto d'incontro. Rimandiamo alle nostre Postille alla traduzione per una messa a punto specifica dell'area semantica rispettiva: ammessa come più probabile l'equazione assemblat = 'assimilati, resi simili', per parentat l'interpretazione più accreditata rimane quella Dammann a cui fanno capo, distinguendosi solo per sfumature, più o meno tutti gli esegeti successivi a cominciare dall'Ernst (30).
La specificità di lezione offerta da R, nonostante la sua scarsa appariscenza (situandosi al livello di interscambiabili connettivi sintattici: v. 47 don / e, v. 48 don tug em / de que son, con implicazione della persona verbale), potrebbe a nostro avviso aver fornito a Riquier una chiave interpretativa decisamente peculiare dell'intero passo. L'elemento catalizzatore è dato dalla variante (in sé graficamente legittima) senh (-s in R') per seint, forma quest'ultima riportata a grande maggioranza dal resto dei manoscritti e scrizione più canonica del derivato di CINCTU(S) in a. prov. (31). Ora, nonostante che in più occasioni la parafrasi riquieriana dell'Exposition tolga ogni dubbio quanto all'ascendenza etimologica del vocabolo recepito (a partire dalla ricitazione di vv. 790-91: «car el dis que vai nuda / sencha d'un pauc d'orfres», dove evidentemente sencha <CINCTA, e cf. ai successivi vv. 798, 805, 817, 821; lasciamo da parte il luogo un po' ambiguo del v. 822, su cui cf. la nota all'edizione), proprio il testo di R², con don (locativo?) posto da tramite fra senh e parentat permetterebbe di completare la parziale proposta di traduzione dello Jeanroy (che già mostrava di intendere senh = «devise») (32); e che i ricami dell’orfres si prestassero a simili personalizzazioni decorative di gusto araldico è ben documentato in sede specificamente letteraria (33).
Con ciò, sia chiaro, desideriamo solo lumeggiare l'intravista polivalenza significativa di un testo (quello di R, appunto) presumibilmente già alterato rispetto all'originale e quindi non meritevole, in sé, di riabilitazione, ma interessante proprio per la sua peculiare interpretabilità da parte del chiosatore. Alla lezione del nostro codice va perciò riconosciuta una sua densa capacità evocativa, compressa fra le due occorrenze della particella don assumibili in diversa funzione: l'una (v. 47) deittico-visualizzante, quasi suggerente un «primo piano» sui particolari del quadro (i ricami dell'abito, secondo una tradizione di rispettabile antichità); l'altra (v. 48) delegata invece a introdurre quel legame di stringente dipendenza «genetica» tra fuec e complesso dell'umanità (in cui risulta coinvolto, dall'uso della quarta persona verbale, lo stesso Calanson) che verrà avvedutamente enfatizzato da Riquier a culminante convalida della propria dissertazione anticortese. Paragonato infatti il fuec all'«acabamen / d'est'amor» (Exp., vv. 832-833), secondo l'ottica già più volte manifestata nel corso dell'opera (e il sibillino rimando dei vv. 836-837: «et ai vos dig per que / si m'avetz entendut», certo allude alle considerazioni sull'inevitabile destino autodistruttivo dell'amor carnalis, localizzate precipuamente ai precedenti vv. 348 ss.), proprio la specificità di lezione del testo calansoniano secondo R gli permetteva di inserire, in luogo strategicamente opportuno (siamo ormai in prossimità della risentita peroratio finale, vv. 842 ss.), un breve ma efficace contrappunto del dettato poetico a sua disposizione. Si tratta dei vv. 837-840 dove, insieme al proprio dolente evocatore, l'intera stirpe umana viene solennemente chiamata a testimoniare la propria comune discendenza dal «fuoco», ulteriore immaginifica metaforizzazione dell'altrove deprecato fait che solo in questa canalizzata prospettiva (34) può ottenere riscatto (35).
Note:
(*) Per l'elenco dei mss. e informazioni generali sul codice R, cf. supra Intr., 'La canzone', note 50-52. Inparticolare per la sezione finale (che contiene, oltre all'Exp. situata ai ff. 119v° - 120v°, numerosi altri unica), v. PIROT, pp. 206 ss. (analyse dei ff. 103-148), BERTOLUCCI, Il «Libro», pp. 244-245 n. 13 e Gavaudan, p. 83 (tutti convergenti nel ritenere ragionevole oltre che suggestiva la finora indimostrata ipotesi secondo cui in R appunto sarebbe da identificare quel «libro» personale del conte Enrico II di Rodez menzionato da FLunel, Romans de mundana vida, vv. 510 ss., con l'auspicio che anche la propria opera potesse trovarvi onorato inserimento: certo, almeno per quanto attiene a Riquier, «nulla di più naturale se presso il conte o la sua famiglia fosse stato depositato l'esemplare più completo del canzoniere del nostro trovatore, anzi stupirebbe il contrario», come commenta BERTOLUCCI, op. cit., p. 245 n. 13). (↑)
(1) Rimandiamo in proposito alle osservazioni già effettuate in Introduzione e note: quasi impossibile, del resto, offrire una panoramica completa di quanto nell'antica poesia romanza «comporte des procédés de mélanges et d'hybridations que seule une très large perspective psychologique (non historique) [...] peut embrasser en une formule unique» (I. FRANK, La chanson ‘Lasso me' de Pétrarque et ses prédécesseurs, in «Annales du Midi», LXVI (1954), pp. 259-268, ap. 268 n. 42). (↑)
(2) Eccettuato l'anche altrove stravagante C (dove la nostra cobla VI si trova inserita fra la IIIe la IV, e le due tornadas si scambiano di posto: v. in proposito JEANROY, Jongl. et troub., p. 29 e DAMMANN, pp. 7-8). Aggiungiamo infine un'avvertenza chiarificativa: in JEANROY, Anthologie, p. 118, al testo secondo A segue, senza alcuna indicazione esplicita, la trascrizione dei vv. 39-54 secondo R', che induce erroneamente il lettore moderno a supporre una sorta di sdoppiamento di redazione nella seconda parte di A. (↑)
(3) Segnale scrittorio al quale spetta denotare «tutto quello che è estraneo al dettato in versi di Guiraut» (BERTOLUCCI, Il «Libro», p. 235 n° 71): le lievi incoerenze imputabili al rubricatore per quanto si riferisce all’Exp. (e cioè estensione di tale accorgimento demarcatorio a versi riquieriani anziché calansoniani) vengono elencate nel nostro apparato (e v. anche nota all'ediz. 530-31 e Intr. n. 14). (↑)
(4) Conformemente a quanto proprio di tutta la sezione finale del «libro», il restringimento di spazio provocato dall'infittirsi del testo (sei colonne per foglio) ha indotto il rubricatore, al solito operante seriormente rispetto al copista, ai tipici contorcimenti di scrittura «seguendo l'andamento curvo e irregolare del fregio», alle interruzioni con recuperi in margine o nei righi successivi, ecc. (cf. l'attenta descrizione di tale fenomenologia data da BERTOLUCCI, ib., pp. 238 ss.). (↑)
(5) Sui «gemelli» I-K cf. le note di AVALLE, pp. 92 ss. e FOLENA, Tradizione, cit., pp. 461-2; a questo proposito conviene correggere l'affermazione di JEANROY (Jongl. et troub., p. 27), che definisce «à peu près identiques à I» sia K che D, di cui sono pertanto omesse le varianti (anche l'elenco di «fautes caractéristiques» dato ib., riproduce solo in parte quello DAMMANN, p. 7). In effetti, come già segnalato dal primo editore di Celeis cui am, la posizione di D è superiore di almeno un piano a quella della coppia IK (situazione quindi analoga a quella di E ed O nei confronti degli altri esponenti dei rispettivi gruppi), e una nostra personale verifica conferma il miglior stato del tradito di D (soprattutto per la seconda parte della canzone). Si dà qui di seguito l'esito del confronto: v.1 D Cella / IK Bella; 31 C'abs los fals/ Car, Quar li fals; 33 For al peiron / Lai al p.; 35 legir / eslir; 37 Et ai mil ponz / et (h)a nuillz ponz; 42 servir / I temer, K tener; 49 al segon ters / el s.t.; inoltre a v. 40, E quim fraing un / e qui l'un fraing (inversione unica nel contesto della tradizione).
Su I e K v. ora ZUFFEREY, pp. 67-78 (cf. anche la nota di A. TAVERA in «Le récit bref au Moyen âge», par D. BUSCHINGER, Paris, 1980, p. 189 n. 6: «Il n'existe pas d'exemple de chansonniers provençaux qui soient aussi proches l'un de l'autre [...] Il est cependant bien imprudent d'affirmer [...] qu'ils sont «assolutamente identici [...]»). (↑)
(6) Le lezioni caratteristiche del gruppo si situano ai vv. 1, 30, 36, 45 (DAMMANN, p. 7): di esse solo la prima (A leis) viene accolta a testo da DAMMANN (e B.-K.) contro ERNST ed APPEL (che preferiscono Celeis, ricavabile dal resto della tradizione in sé abbastanza diffratta: cf. la nota 1 di ERNST, p. 372). Di converso, al v. 36 plazer (di α e ζ) viene posto a testo da DAMMANN, ma voler di γ da ERNST (che rifiuta plazer in quanto mot tornat, con riferimento all'occorrenza del v. 12: cf. ib., p. 374 n. 36), nonché dai citati ib. APPEL e B.-K.
Per quanto attiene ai luoghi dei vv. 30 e 45, la scelta unanime degli editori moderni (v. 30 Mas, v. 45 Pois, contro E iniziale di ambo i vv. in tutti gli esponenti di γ) ha dalla sua una ragione ecdoticamente ineccepibile (il consenso della maggioranza dei testimoni: due rami della tradizione contro uno). (↑)
(7) DAMMANN, p. 7: «Da E in manchen Fällen die richtige Lesart hat, wo die übrigen drei sämtlich Abweichungen zeigen, wie V. 2.24.40 (oder doch zwei von ihnen: V. 15.19.35.41.42.48.50 [...]) — so ist E dem Originai am nächsten anzusetzen» (sulla fisionomia complessiva del codice E all'interno della tradizione trobadorica, cf. AVALLE, pp. 101-102 e FOLENA, Tradizione, cit., pp. 460-61). Quanto ad R' R², di essi risaltano «so wesentliche Uebereinstimmungen auf, V. 19.35.48.50.51; auch 15.18.40.41.42, — dass sie beide direkt aus hergeleitet werden müssen» (DAMMANN ib., con rimandi a GRÖBER, Liedersammlungen der Troubadours, cit., pp. 379 ss. in specie per le relazioni con C, poi puntualizzate in AVALLE, pp. 112 ss.). (↑)
(8) In quanto la sua scoperta risale agli ultimissimi anni del secolo XIX, poco dopo l'uscita del volume di Dammann: cf. G. BERTONI, Il canzoniere provenzale di Bernart Amoros (Complemento Càmpori), edizione diplomatica [...], Friburgo, 1911, Prefazione, pp. V-VI («Ebbi la ventura di mettere le mani sul complemento del cod. riccardiano nell'estate dell' a. 1898 e ne comunicai l'indice al pubblico erudito nel Giornale storico della letteratura italiana, XXXIV (1899), p. 118 sgg.»). La nostra canzone a pp. 310-311, n° 228 (da cf. con JEANROY, Jongl. et troub. pp. 29 ss. che dichiara di rifarsi al testo di Bertoni). Dammann potè invece venire a conoscenza della prima parte di a(= a'), sia pure limitatamente ad «Abschrift» del testo della canzone fattagli pervenire dall'ivi gratificato Dr. Goldstaub (p. 5). Per indicazioni complessive sul codice: «Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine», Firenze, 1957 (VIII Congresso Internazionale di Studi Romanzi, 3-8 aprile 1956), pp. 170-171, nonché AVALLE, pp. 126-27 (cf. qui avanti alle note successive).
(9) JEANROY, Jongl. et troub., stampa infatti il testo di a² nel settore riservato alla costellazione γ: l'accordo con gli altri esponenti di tale ramo della tradizione è perfetto (cf. n. 6) eccetto per la lezione del v. 1 (a² Cella).
Per quanto si riferisce ai contatti tra a² ed E: cf. ai vv. 18 (e non vei res), 28 (et ab gaug viu), 40 (envidat), 42 (ni soleills; di contro, al v. 41 mars e terra in linea con R' R²). Questa prevalente ambiguità redazionale (allineamento più spiccato ad E, con punti di riscontro però in R) può essere riportata alla posizione «bifronte» del canzoniere di Bernart Amoros, da situare nell'orbita del collettore ε (come appunto E) ma senza escludere l'aggancio alla tradizione y (meno nettamente individuabile) cui fan capo di contro C ed R (AVALLE, p. 126). (↑)
(10) Tra gli svarioni più evidenti di a² segnaliamo (in base a nostra personale ricognizione): a v. 35 «qe neguns hom no(n) pot los pointz legir» (con anticipazione dei ponhs nominati a vv. 37-39); a v. 38 «de lui [per lai, -g?] iugar e(n)pres» e a v. 48 «viu d'aqel frug des qe son asemblat»; a v. 33, «Or al peiro» può rappresentare invece, sia pur deturpata per acefalia, la convalidata Fors (assunta a testo dagli editori moderni). (↑)
(11) Canzoniere, cit., p. XXII: il «complemento» a², eseguito nel 1589 su richiesta dell'erudito e letterato fiorentino Piero di Simon del Nero dal curioso personaggio Jacques Teissier de Tarascon (autodefinitosi «moitie frances et moitie prouensal», «conosceva quasi l'antico provenzale meno del letterato fiorentino»), risulta «una copia assai infelice, ma, per fortuna, a malgrado di moltissimi errori, assai fedele, cercando di riprodurre alla meglio le lettere del modello laddove non riusciva a comprenderlo». Nonostante, quindi, i numerosi «mostri» derivati da cattiva decifrazione di lettere e interi vocaboli, gli erronei scioglimenti di abbreviazioni, ecc., essa si qualifica «preziosa per lo studioso» proprio in nome dell'accanito (se pure maldestro) rispetto del trascrittore per il suo modello, su cui mai interverrebbe «con sue correzioni e con sue proposte». Per un giudizio complessivo sulla fisionomia del codice, va tenuto in conto, per di più, che «Piero di Simon del Nero corresse la copia, tenendo sott'occhio l'originale, com'è fatto chiaro dalle parecchie aggiunte» (ib., p. XXVI; la sezione della nostra canzone non risulta interessata a tali ritocchi). (↑)
(12) Non si considerano quindi le voci uscenti in dentale o affricata, secondo quanto già avvertito (Nota ai testi e all'edizione n. 466) né elementi comunque asignificativi sotto il profilo flessionale (v. gli ondeggiamenti res / re, sia NomSg che OblSg, comuni ad R' ed R²). Per quanto riguarda il v. 42, e cioè l'opposizione solelhs (R') / solelh (R², ricitazione in Exp., v. 742), appare più legittima la -s di R' (per la ricorrenza del Nom. in presenza di parer intrans, «mostrarsi», ecc., v. Appel e B.-K., Gloss. con rimando alla canzone), a meno di giustificare solelh di R² come OblSg retto da el<en + le («nel sole compare», sub sole videtur); a testo ovunque «ni soleils par».
Si noti infine a v. 53 chansos, vocativo sigmatico proprio solo di R² (unanime preferenza, a livello editoriale moderno, per la forma senza -s, chanso); analoghe commistioni tra forma nominativale ed obliqua, proprie anche di questa specifica sede, sono segnalate in Jensen, p. 127, con rimando ad A. Beyer, Die Flexion des Vocativs im Altfranzösischen und Provenzalischen, in «Zeitschrift für Romanische Philologie», Band VII, 1883, pp. 23-44 (che costituisce uno dei pochi contributi specifici sull'argomento). (↑)
(13) Sotto questo profilo, i luoghi di traviamento comuni ad R' R² risultano i due seguenti: a v. 2 gli Obl. Sg. (?) donas-senher (R') e donas-senhors (R²), ed a vv. 7-8 gli Obl. Sg. razos-voluntatz (: jutjatz). Per il primo caso, potrebbe essere dubbia la consistenza della -s di donas, in base all'altrove segnalato fenomeno del raddoppiamento grafico di consonante iniziale (e, quindi, dona ssenhor, naturalmente da scempiare: cf. la nota n. 422 alla nostra ed.); permane invece irriducibile la duplice resa anomala del sostantivo maschile, al posto della forma canonica senhor. Quanto ai vv. 7-8, pur fatto conto della già segnalata scarsa indicatività dell'alternanza -t / -tz (n. prec), confermata del resto dagli ondeggiamenti della tradizione in questo passo specifico (cf. A a' razon - voluntatz: jutgatz, e di converso DIK razo(n)s - voluntat: j.at; solo O ed a² riportano omogeneamente uscite asigmatiche, e all'opposto C generalizza -s: razos - voluntatz, ecc.), all'origine della ben impiantata oscillazione potrebbe essere sottesa una diversa assunzione semantica del contesto, solo apparentemente univoco. Infatti, s(i)ec non sussiste solo in quanto «segue» (<SĘQUIT), ma anche in quanto 'sedette' (perfetto forte, cioè, di sezer: cf. Pellegrini, p. 261) e in tale direzione invita del resto la stessa traduzione Dammann (p. 10: «an ihrem Hofe herrscht nicht Vernunft, sondern planavoluntatz») ricalcata dalla recente Jones, p. 120 («and there where her court is, not reason but pure will reigns»). (↑)
(14) Oltre a Bertolucci, Il «Libro», p. 245 n. 13 (nota sulla qualità delle fonti di R, «eccellenti — anzi eccezionali [...] —, riprodotte poi con la trascuratezza che gli è solita») ed a Pirot, pp. 216-219 («Déterminer les sources de la fin de R est impossible et l'on peut même affirmer que, dans l'état actuel des poèmes conservés, R a recueilli des versions indépendantes de tous les autres manuscrits conservés»), cf. Tavera, Chansonnier, partic. a p. 237 n. 7 (sui caratteristici ritorni di una stessa pièce in sezioni distanziate del codice: «en tous cas, les leçons ne sont jamais tout à fait les mêmes, et les sources sont bien évidemment diverses»). Anche per quest'aspetto risulta interessante l'ipotesi di M. Eusebi, Singolarità del codice provenzale R, in «Romanische Forschungen», 95, 1983, 1/2, pp. 111-116 (vari indizi rimanderebbero «alle condizioni della conservazione mnemonica, della trasmissione orale e della ricezione acustica dei testi da parte del collettore» di almeno una sezione del codice, e cioè R³). Non si può che auspicare, in conclusione, una ripresa sistematica degli studi su questa silloge che sollecita tanti e interessanti problemi (v. Guida, Jocs, p. 70 inn. 196 circa l'ora disponibile libro di F. Zufferey).
(15) Molto illuminanti metodologicamente le osservazioni di G. Favati a proposito della ridda di commenti e interpretazioni suscitati nei secoli dal celebre testo del Cavalcanti, Donna me prega («la più studiata canzone della letteratura italiana»), spesso paradossalmente non sorrette da un'adeguata cognizione di «quella che è da ritenere la più probabile fisionomia della composizione» (Inchiesta sul dolce stil nuovo, Firenze, 1975, pp. 197 ss.). Circa «l'eccessivo rumore esegetico» creatosi nel tempo attorno alla canzone si è anche pronunciata, di recente, M. Corti (Felicità, p. 16 e passim). (↑)
(16) Si può ben dire che il carattere di «filisteismo anticortese» da Dammann affibbiato a quest'opera di Riquier abbia fatto testo: ancora oggi si parla, e giustamente del resto, di «antihöfischen Tendenz» (Jauss, pp. 230-31), sia pure con tentativo di più serena meditazione sulle obiettive radici storiche del fenomeno (già iniziata del resto a partire da Anglade, GR, pp. 254-256 e passim: l’Exp. si rivela a un tempo «manifestation intéressante de l'état d'âme de Riquier» ed espressione degli stimoli di un società, per cui «elle est bien plus précieuse à ce titre»; cf. anche, sulla stessa linea, Troub. Toul., p. 197 e ss.). Più alla leggera, le brevi annotazioni di Jeanroy, Poésie, II, pp. 171-2 nonché Anth., pp. 123-4 innn. (e in tempi recenti: Ruhe, p. 94, Jones, Cort d’Amor, p. 50 secondo cui l'operazione è condotta «more or less unsuccessfully», infine Sansone, Allegoria, p. 252 e n. 2, Batany, pp. 24-5 su cui cf. 'La canzone', n. 33).
L'unico specifico riferimento alla qualità del testo calansoniano posseduto da Riquier (sia pure in via interrogativa, e con velato giudizio di merito sulla comunque impegnativa prova del chiosatore) è contenuto nel già cit. contributo di Akehurst, Les étapes de l'amour, p. 135: «On peut douter que Riquier ait eu devant lui la version originale [!], mais il a fait de son mieux avec le texte qu'il possédait» (si tratta in particolare del passo relativo al varco dei portals, vv. 26-27, definito «ambigu et insuffisant» in ogni caso, «bien ou mal conservé»). (↑)
(17) A questi argomenti, già avanzati da Dammann (p. 49), si può solo aggiungere l'inopportunità stilistica di fort a breve distanza da un'altra sua comparsa (al v. 13). Quanto alla convergenza di α e γ come portatori di fort, essa non appare necessariamente significativa perché proprio l'alta diffusione del sintagma ferir fort parla a favore della trivializzazione poligenetica (Dammann, p. 8). (↑)
(18) FEW, XIII, p. 187 (a. prov. negun, nul temps «jamais»), e Levy, SW VIII, 127 n. 9; cf. Ernst, p. 340 e Gloss. s.v. temps, nonché Dammann, pp. 58-9 (dove in nota 2 si rileva l'erronea tradizione data da Raynouard al testo citato secondo R: «Tandisqu'il a sa vigueur, le temps ne lui manque pas en vérité»). (↑)
(19) Raynouard, Lexique, V 320 con citazioni proverbiali fra cui quella di Gademar, Non pot esser soffert ni atendut (ed. Almqvist, cit., n° VII, vv. 14-15): «Qui temps esper'e no fai qan temps ve, / Si temps li faill, ben estai e cove» (trad. «occasion»); lo stesso riportato in Cnyrim, Sprichwörter, cit., p. 48 n. 867, e per un allargamento dei riscontri al romanzo occidentale in genere, cf. J. W. Hassell Jr., Middle French proverbs, sentences, and proverbial phrases, Toronto, 1982, p. 236 (T26: «Qui temps a et temps attent, temps lui faut», con rimando a Philippe de Mezières, Epistres: «Il est dit en proverbe en Ytalie»). La citazione calansoniana potrebbe quindi costituire una sorta di replica contraddittoria della seconda parte del detto (inapplicabile all'attivissimo Amore-arciere che «non perde davvero tempo»). Quanto a temps «saison» (Raynouard, l. cit., e cf. Levy, SW VIII, 125 n. 3), in effetti risulta più ricorrente in connessione ad aggettivi qualificativi (cf. anche FEW XIII, pp. 185-188). (↑)
(20) A testo virgola fra i vv. 18 e 19; cf. traduzione, p. 10 («sie sieht nichts als wohin sie treffen will, doch fehlt sie trotzdem niemals»); così Jeanroy, p. 123: «elle ne voit que l'objet qu'elle veut frapper», e Jones (p. 120) che pone tra i due vv. una più decisa pausa interpuntiva (punto e virgola). (↑)
(21) «[...] und sie sieht nichts; aber das Ziel, das sie treffen will, verfehlt sie niemals, so gut versteht sie sich darauf einzurichten» (Ernst, p. 340, e cf. p. 372, n. 18 per l'ivi dichiarato accordo con Zenker, Appel e Bartsch). Quanto al raffronto (proposto anche da Jung, p. 137 n. 39) coi vv. 205 ss. del Fadet joglar («e no ve re, / mas fer trop be / ab sos dartz, qu'a fagz gen forbir») esso, prescindendo dalla tuttora discussa cronologia relativa delle due opere (su cui cf. Intr. a Exp., n. 53), non può che giovare a conferma della nostra proposta di lettura. (↑)
(22) Conservato o reintrodotto anche da A (tost passals al posto di leu), con restituzione del «Sinn» se non della lettera originale (Dammann, p. 6) contro a'O (cf. la qui seguente n. 24). I mss. di ζ (DIK) presentano invece «leu passals tres mas greu sen pot issir», con complessiva ricomposizione del significato originario del verso. Notare infine che Dammann in app. attribuisce erroneamente ad R' (in perfetto allineamento con R²) la lezione greu n'es per. (↑)
(23) Tali erano già le osservazioni di Dammann, pp. 56-7, che faceva appropriato rimando al passo analogo del Chastel d'amors (v. ora ed. Nelli-Lavaud, p. 248, c. 12): varcata di esso la seconda soglia «De baisars soau donatz», si afferma infatti recisamente: «E pois aquest es passatz / Pois no-i ha nul defensal» (cf. nella cobla seguente il ribadimento imperativo dell'asserto: «Mas qui passa quest fermal / E plus a enant non sal, / Aferir fa res a mal»). V. anche la qui successiva n. 25. Cf. anche nota seg. (↑)
(24) Il dubbio che si può presentare circa l'opposta valenza (positiva da INDE, negativa da NEC, NON) attribuibile alla n' va inevitabilmente risolto a favore del primo caso («[...] ma facilmente ne uscirà»), se non si vuole vanificare tutto il periodo antitetico del v. 27 (come accade, in effetti, al testo di a': «grieu passals tres mas non pot leu partir», e di O, solo un po' corrotto rispetto al precedente). Per l'analoga ricorrenza di costrutti infinitivali retti da per cf. almeno Longobardi, vers, XXIII 39 ss.: la «giusta via» (quella della salvazione cristiana) «tant es pauc ademprada, / per que petit es polida, / quar mot es greus per tener [...]» (n. a p. 148 con altri rimandi in questa direzione, per cui v. anche Roncaglia, Il «gap», cit., pp. 83-4 inn. 15).
Sulla «soglia» determinante del baiser v. anche PERON, Rolandino da Padova cit., p. 214. (↑)
(25) Basti un rimando al domnejaire (ed. Melli, vv. 95-98): «[...] qi pot un dels escalos / puiar, ia pueis non sera ios / per deguna forsa tornatz» (dove in effetti l'accento è posto più sul «diritto» che sul «dovere» o necessità del mantenere tale posizione ambita; lo stesso dicasi per le ancora più esplicite avvertenze del Chastel d'Amors, coblas 12-13 già altrove citate dove in sovrappiù viene enunciato che chi si fermasse a metà del percorso stabilito «aferir fa res a mal»). (↑)
(26) A proposito di questi versi (Exp., 540-543: «Mot o saup azaut dir, / car tug son perilhos / li trey, ab que dels dos / sia hom leu intratz»), Dammann credeva di scoprire una ulteriore contraddizione nel dettato riquieriano, posto che qui si arriverebbe a dire che «die beiden ersten Thore keine Schwierigkeiten bereiten» (p. 71), in contrasto cioè con il precedente asserto del loro arduo superamento (cf. ai vv. 504-5 e 510-11). L'interpretazione Dammann è però in questo caso inesatta, in quanto «tutti e tre gli altri (portali) sono rischiosi, anche se, ammesso pure che uno riesca a superare facilmente i primi due», con ab que = «wenn auch» (Levy, SW I, p. 1 n. 2; cf. K.P. Linder, Ab que final: une conjonction qui n'a pas réussi. Contribution à l'étude des propositions finales en ancien occitan, in «Cultura Neolatina», XXXVIII, 1978, pp. 149-57, partic. a p. 150 con rimando ai precedenti lavori di A.J. Henrichsen). (↑)
(27) L'inevitabile congiunzione tra fait e morte dell'amore viene ribadita più volte all'interno dell'Exp. (al di là della metafora «plumbea», vv. 363 ss., cf. ai vv. 452 ss., 520 ss., ecc.) e per essa sono rintracciabili espliciti riscontri in area letteraria coeva: basti rimandare al Breviari d'Amor, vv. 28518 ss. («Assatz doncs val mais atendre / lo plazer d'amors que prendre, / quar pus que·l dezirs es cumplitz / le jois d'amors es totz delitz, / quar tug li gaug d'amor, per ver, / prendon naichensa del esper / le quals el cumplir se deligz [...]»), a cui segue, come più avanti a v. 29585 inanalogo contesto, citazione da Uc Brunenc, Pus l'adrechs temps (cf. ib., p. 30 n. 450, 7, e Richter, pp. 417-18, nn. 243-244). Identiche anche dal punto di vista formale le perifrasi definitorie del fait in Riquier ed Ermengaud (Exp., vv. 452-4 e Brev., v. 31153). Tale accentuato pessimismo risente certo della filosofia cristiana dell'amore (Gilson, Esprit, cap. XIV: L'amour et son objet, pp. 266-83 con pertinenti citazioni dalla Summa theol.) più che della sfumata e tendenzialmente compromissoria teorizzazione attuata in ambito trobadorico-cortese (Nelli, Érotique, pp. 174 ss.: la concessione del surplus può avvenire in presenza di garanzie e requisiti di alta eticità; Deroy, pp. 309 ss.: proprio nel fait potrebbe essere ravvisata la merce invocata dai trovatori come premio del servizio amoroso e loro stessa ineliminabile ragione di sussistenza). (↑)
(28) Alquanto diffratta anche in questa sede (cf. n. seg.): contro la compattezza di α (ovunque servir), se i mss. γ sono divisi fra servir, grazir, obezir (cf. supra al punto 1), di contro a D (servir, non segnalata da Jeanroy, Jongl. et troub.) gli altri rappresentanti di ζ hanno temer, tener (cf. n. 5). (↑)
(29) La maggiore validità di aflamat era sostenuta, a suo tempo, da E. Schultz-Gora («Literaturblatt», cit., p. 381) il quale giudicava assemblat ('formato, plasmato', ecc.) in posizione tautologica rispetto al primo emistichio del v. 48, «naisson d'un foc». Da tener presente, peraltro, che l'area semantica di a. è alquanto ampia (anche «rendere simile», ecc.: v. Postilla alla traduzione n). Quanto all'identica scelta testuale operata in B.-K., essa sarà dovuta in prima istanza (Ernst, pp. 374-5, n. 48) alla limitata recensio considerata in quella sede, e cioè CDEI (all'interno della quale aflamat di DI è in maggioranza relativa rispetto ad assemblat di C, alumnat di E). (↑)
(30) Per Ernst tuttavia, che difende tale lezione in quanto «bestbezeugte», «die Bedeutung von assemblat ist nicht ganz klar» (pp. 374-5, n. 48, con rimandi ad Appel ed a B.-K.). Il dubbio è fatto proprio, recentemente, anche da Jung (p. 137, n. 43): per un riepilogo delle possibilità interpretative di questo luogo della canzone, cf. Postilla alla traduzione qui sopra citata. (↑)
(31) Tale demarcazione grafica investe esclusivamente il gruppo γ: R senh(s), a2 ceng ed E seint, C cinht (?); altrove concordemente seint. (↑)
(32) Jeanroy, Anthologie, p. 124: «Elle va presque nue, vêtue seulement d'un lambeaux d'orfroi qui porte sa devise [...]» (la parte terminale della cobla, omessa di tradurre, viene segnalata coi su riprodotti puntini di sospensione: crux del traduttore o inopinato eccesso di pruderie?). Anche per Jung (che segue dichiaratamente Ernst) «le vers 48 n'est pas clair. Jeanroy ne l'a pas traduit» (p. 137, n. 43). Se l'ipotesi Jeanroy fosse documentariamente verificabile (e cioè risultassero reperibili altri contesti a. prov. con senh = 'devise'), verrebbe arricchita di un'accezione abbastanza preziosa la rosa di significati contemplati per il vocabolo senh da Raynouard (Lexique V, p. 226 n. 7: solo «seing, cloche») e da Levy (SW VII, p. 568: «Zeichen», «Glockenzeichen, -schlag», «Unterschrift», ecc.; v. anche PD s.v.). Cf. intanto s.v. senhal, segnal (Raynouard, Lexique, V 227 n° 8 «signe, marque, sceau», e Levy, SW VII, 572 n. 5: «Wappen» e, dubitativamente, «Verzierung, Stickerei?», a p. 573 n. 7, con citazione da Deux mss., VII: «[...] tapitz / Ab senhals brus e blanx»: cf. nota ib., p. 249 dove si propone «armoiries brodées d'où, en general, ornement, broderie?»). Una esplorazione della finora misconosciuta terminologia araldica è stata finalmente intrapresa: cf. gli interessanti contributi di M. Pastoureau, Les armoiries, Turnhout, 1976, pp. 21 ss. (dove si rileva, per l'a. fr., la tecnicità del termine enseigne) e Armorial des chevaliers de la table ronde, Paris, 1983, (in Avant-propos è annunciato «un travail futur, plus vaste et plus ambitieux [...] qui sera consacré à l'étude sémiologique et anthropologique de ce système»; ulteriori rimandi in nn. dell'Intr., ora integrati nella mise à jour del cit. Armoiries, Turnhout, 1985, pp. 2 ss.). (↑)
(33) Cf. ad es. L’Escoufle, roman d'aventure, nouv. éd. [...] par F. Sweetser, Genève, 1974: il conte di Saint-Gilles s'ingelosisce vedendo la dama da lui amata portare «cele aumosniere et cel tissu / ou li lyon sont ens tissu, / uns tex com ses sire le porte», tanto che la sua amie gliene fa dono per rassicurarlo del proprio amore; giunto a casa propria, è ora la di lui moglie a manifestare amaro disappunto «Ke c'on li trait sa cape fors, / ele a choisi par aventure / les lyonciaus de la çainture / u li ors reflamboie et luist. [...]. Bien connut que ce fu des armes / celui qui ert barons s'amie, / puis dist: "Cil ne me menti mie / ki me conta que vos amés / la dame por cui vos portés / l'aumosniere et le tissu tel." / "Dame, fait il, faites autel"», risponde cinico il conte, ma la saggia dama replica a sua volta: «"Certes, fait eie, en mon lignage / ne sai jou nule çainturiere"», ribadendo dunque il carattere squisitamente araldico del simbolo (citazioni da vv. 5835-7, 5902-5, 5908-14, 5918-19). Cf. anche nota seg. (↑)
(34) Ben rappresentata, come noto, dal Breviari di Ermengaud (cf. Intr., 3.2.2., n. 67), la cui superficiale bonomia non deve far sottovalutare lo stravolgimento della fin'amors in direzione cattolico-integralista: «on s'empara de l'amour, on fixa avec soin les limites qu'il ne pouvait franchir sous peine d'avoir maille à partir avec la morale de tous les temps, et tout ce qui se trouvait au delà fut impitoyablement condamné. On émascula le dieu, et on put alors brûler sans crainte et sans scrupules de l'encens sur ses autels [...]» (Thomas, Barberino, pp. 51 ss., a p. 54; e cf. Nelli-Lavaud, p. 663, Monson, p. 147 nn. 115-116 con rimando a Segre, Ars amandi, ecc., in «Grundriss», VI/1, pp. 115-116: il titolo stesso dell'opera è già indicativo di «un traitement spécifiquement chrétien du sujet»).
Alla «tradizione di rispettabile antichità» relativa alla descriptio dei ricami sugli abiti, di cui a testo, fan riferimento ad es. FARAL, p. 82 e JUNG, p. 70. (↑)
(35) Terminiamo con l'elenco dei traviamenti che (non dipendendo da una peculiarità di lezione, ma solo dalla scelta interpretativa di Riquier) possono essere definiti «minori», inseribili comunque sulla linea della tanto citata «moralisierende Tendenz».Exp., vv. 450-61 (chiosa a canz., v. 22: «e can fa mal sembla que sia bes»): la provata stereotipia del motivo (Dammann pp. 60-2, e cf. Breviari, vv. 29331 ss.: «don non es mals pus ven de grat»; v. anche la nostra nota all'ed. n. 456 e Intr., n. 56) non comporta necessariamente l'univoca conclusio ad essa sovrapposta da Riquier (Exp., v. 461: «Donc sos semblans es fals»), direttamente consequenziale, se mai, all'equazione posta a suo tempo fra amor carnalis ed inordinata voluntas (cf. Intr., 3.1.1). Exp., vv. 478-481 (chiosa a canz., v. 24: « no·y garda paratje ni rictat»): come già rilevato da Dammann (pp. 65-66), il fatto che Amore non tenga conto di 'nobiltà o censo' non va riferito tanto al cieco capriccio del dio (di cui s'è già discorso in precedenza, vv. 7-8) quanto all'essenza intimamente «disinteressata» della passio amorosa (e cf. ancora il già cit. Breviari, vv. 30790-94, citazione riportata in nota all'ed., n. 477). Exp., vv. 551-554 (chiosa a canz., v. 28: «e vieu ab gaug sel que·y pot remaner»): pare che Riquier escluda in toto, contro il più ottimista spiraglio lasciato aperto dal testo calansoniano, l'eventualità che qualche fortunato riesca a prendere dimora fissa nel palais (cf. qui addietro). A completamento di questo sommario excursus, accenniamo al fatto che esistono più luoghi, all'interno dell'Exp., poco perspicui anche dal punto di vista letterale (quindi, l'operato di Riquier rimane al momento insindacabile): v. ad es. Exp., vv. 470-475 (chiosa a canz., v. 23, secondo emistichio: «e·s defen e·s combat», su cui cf. nota all'ed.), oppure vv. 651-656 (perifrasi designativa del taulier, su cui v. pure nota al testo), fino a vv. 820-25 (sencha-senh, cf. nota). (↑)